L’antisemitismo, il ddl Delrio e il rischio censura
A dicembre 2025, in Australia il primo ministro Anthony Albanese ha annunciato un pacchetto di nuove misure legislative di contrasto all’odio - con un focus specifico sull’antisemitismo - all’indomani dell’attacco terroristico di Bondi Beach durante una celebrazione di Hanukkah. Tra gli interventi proposti figurano pene più severe per i discorsi d’odio che promuovono la violenza, l’inclusione dell'odio come fattore aggravante nelle condanne per reati di minacce e molestie online, un’attenzione mirata ai cosiddetti “hate preachers”, i predicatori d’odio, nonché strumenti amministrativi anche in materia di visti e ipotesi di iscrizione in appositi elenchi delle organizzazioni che promuovono odio o violenza.
Il contrasto all’antisemitismo, alla luce dell’aumento degli episodi di intolleranza, è un obiettivo rilevante anche per il legislatore italiano. Il 20 novembre scorso è stato depositato in Senato, e assegnato alla Commissione Affari costituzionali il successivo 2 dicembre, il disegno di legge recante “Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dell’antisemitismo e per il rafforzamento della Strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo nonché delega al Governo in materia di contenuti antisemiti diffusi sulle piattaforme on line” (n. 1722, cosiddetto “ddl Delrio” dal nome del primo firmatario). Il ddl si inserisce in un contesto in cui i dati sugli episodi antisemiti, in Italia e in Europa, mostrano un “forte incremento”, come sottolinea la Relazione illustrativa, sia in termini quantitativi sia per la qualità delle manifestazioni d’odio. Sono segnalati «invettive e stereotipi antisemiti nella realtà virtuale e nella vita quotidiana, in particolare nelle istituzioni scolastiche e universitarie. Si ravvisano altresì minacce a persone e istituzioni ebraiche, atti di discriminazione (...) e persino aggressioni fisiche in luoghi pubblici». La Relazione richiama i rapporti del Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio, basati anche sulle rilevazioni del Centro di documentazione ebraica contemporanea.
Il disegno di legge dedica particolare attenzione a due ambiti. Da un lato, le piattaforme online, nelle quali l’antisemitismo assume forme “liquide”: «più il linguaggio è veloce, più è facile che sia composto di aggressività», e «gli odiatori, se bloccati da una piattaforma si trasferiscono su un’altra, spesso più piccola, dove continuano a pubblicare i loro post antisemiti», si legge nella Relazione illustrativa. Dall’altro, gli ambienti scolastici e universitari, nei quali sono presenti linguaggi ostili e atteggiamenti di intolleranza che richiedono una risposta sistematica sul piano educativo e istituzionale. Su questo sfondo si colloca l’obiettivo dichiarato del ddl Delrio: aggiornare gli strumenti di prevenzione e contrasto dell’antisemitismo, in coordinamento con il Digital Services Act (regolamento UE 2022/2065, DSA) e con la Strategia nazionale per la lotta all’antisemitismo, adottata dalla Presidenza del Consiglio.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Le norme del Ddl Delrio
Il cardine del disegno di legge è rappresentato dall’articolo 1, che assume come definizione di antisemitismo quella adottata dall’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), in coerenza con la risoluzione del Parlamento europeo del 2017 e con la delibera del Consiglio dei ministri del 2020. Si tratta di una definizione “operativa”, che non ha carattere vincolante, ma che il legislatore interno adotta come parametro di riferimento per l’applicazione della legge («ai fini della presente legge»), in particolare per la disciplina delegata sui contenuti online, nonché per l’attività dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) e delle piattaforme.
L’antisemitismo è definito dall’IHRA come «una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti». Le manifestazioni retoriche e fisiche di antisemitismo sono dirette verso le persone ebree o non ebree e/o la loro proprietà, le istituzioni delle comunità ebraiche e i loro luoghi di culto». Come ha spiegato il Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, la definizione è resa più chiara «dai cosiddetti “undici esempi” riportati nello stesso documento dell’IHRA, che esplicitano il diverso atteggiarsi della minaccia antisemita»: «una minaccia polimorfa».
L’articolo 2 conferisce al Governo una delega legislativa per adottare uno o più decreti legislativi per «rafforzare gli interventi relativi ai contenuti antisemiti diffusi sulle piattaforme on line di servizi digitali», in lingua italiana, nel rispetto del DSA. La delega riguarda, in particolare, la definizione dei diritti degli utenti, degli obblighi delle piattaforme e dei poteri di intervento dell’AGCOM. L’articolo elenca poi i principi e criteri direttivi che dovranno guidare i decreti attuativi. La definizione IHRA è indicata come base concettuale che le piattaforme e AGCOM dovranno utilizzare quale «come categoria specifica e distinta all’interno della più ampia categoria delle espressioni d’odio in relazione ai contenuti veicolati dalle piattaforme, ivi inclusi quelli generati automaticamente da sistemi di intelligenza artificiale».
Le piattaforme dovranno istituire canali di segnalazione che prevedano espressamente l’opzione “antisemitismo”. Ogni segnalazione dovrà essere identificata da un codice, comunicata all’utente ed eventualmente sfociare in una decisione di sospensione o rimozione del contenuto entro quarantotto ore, con successiva comunicazione dell’esito. In caso di rimozione, la piattaforma dovrà informare sia l’autore del contenuto sia gli altri utenti che lo hanno condiviso, commentato o visionato, indicando le ragioni dell’intervento.
Un ulteriore segmento della delega riguarda la recidiva: qualora lo stesso autore, o altri utenti che hanno diffuso un contenuto poi rimosso perché antisemita, continuino a pubblicarlo, andranno sospesi dall’uso della piattaforma per sei mesi. Le piattaforme saranno inoltre obbligate a tenere un registro bimestrale delle segnalazioni e delle decisioni adottate, da trasmettere ad AGCOM, che eserciterà un controllo periodico e potrà ordinare «immediatamente» le correzioni o gli interventi necessari in caso di errori o omissioni.
Un altro profilo rilevante riguarda l’obbligo di rimozione automatizzata. Qualora sia tecnicamente possibile «rinvenire automaticamente» la diffusione, da parte di altri utenti, di contenuti antisemiti già rimossi, la piattaforma dovrà procedere alla nuova rimozione immediata anche in assenza di ulteriori segnalazioni, informando comunque l’autore e gli altri utenti coinvolti.
La delega disciplina, inoltre, un canale di segnalazione collettiva verso AGCOM: l’Autorità compilerà, in collaborazione con gli organismi rappresentativi delle comunità ebraiche, un registro di associazioni di utenti che, su richiesta, potranno trasmettere insiemi aggregati di segnalazioni di contenuti ritenuti antisemiti. All’Autorità viene demandata anche la definizione, con regolamento, del regime sanzionatorio per le piattaforme inadempienti e l’individuazione di procedure semplificate di cooperazione tra AGCOM, le piattaforme e gli organismi rappresentativi delle comunità ebraiche.
La seconda parte del ddl interviene sul mondo universitario e scolastico. L’articolo 3, richiamando l’art. 33 della Costituzione, ribadisce la libertà di insegnamento e di ricerca dei docenti universitari e sottolinea che essa può esplicitarsi anche attraverso collaborazioni con studiosi e dipartimenti stranieri. Alle università viene attribuito un dovere di tutela, garanzia e promozione di tali attività.
L’art. 4 prevede l’individuazione, in ogni università, di un soggetto interno incaricato di verificare e monitorare le azioni per il contrasto dei fenomeni di antisemitismo, «in linea con il codice etico dell’università» e in conformità con la Strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo. Ai sensi dell’art. 5, le istituzioni scolastiche devono comunicare annualmente al Ministero dell’istruzione e del merito i dati sulle azioni intraprese per contrastare tali fenomeni.
Infine, la clausola di invarianza finanziaria, all’art. 6, esclude nuovi oneri per la finanza pubblica e impone alle amministrazioni interessate di provvedere alle nuove attività con le risorse disponibili.
La definizione di antisemitismo
La scelta di incorporare in un testo di legge una definizione, quella dell’IHRA, contenuta in un atto di soft law internazionale, cioè in un atto non normativo e non vincolante, solleva questioni di certezza del diritto. Da un lato, la definizione - pur contenuta in una legge - rischia di essere modificata ed evolvere nel tempo in modo non controllabile dal legislatore nazionale. Ed è un problema, dal momento che essa costituisce, nel sistema delle fonti interne, il criterio operativo che regola l’attività dell’AGCOM e delle piattaforme.
Dall’altro lato, la definizione, proprio perché contenuta in un atto di soft law, è connotata da formule ampie (ad esempio, «una certa percezione»), prive della tassatività richiesta a una fattispecie normativa. Il rischio di adottare un’enunciazione non puntualmente precisata è quello che siano identificate come manifestazioni antisemite delle posizioni che, pur criticando duramente l’assetto istituzionale o le politiche di Israele, si collocano nell’alveo del legittimo dibattito politico e giuridico. Secondo qualcuno questo rischio sarebbe mitigato dalla previsione, sempre nel documento dell’IHRA, che «le critiche verso Israele simili a quelle rivolte a qualsiasi altro paese non possono essere considerate antisemite». Ma la genericità anche di questa previsione la espone a interpretazioni discrezionali.
Va anche detto che il bilanciamento con l’articolo 21 della Costituzione imporrebbe comunque che la definizione di antisemitismo sia interpretata in modo da non comprimere il legittimo dissenso politico e la critica anche radicale delle scelte di un governo straniero. Ma restano i dubbi, e quindi il rischio di compressioni indebite sulla libertà di espressione. Ad esempio, l’uso di categorie come “Stato razzista”, “apartheid” o “genocidio” riferite a Israele ricadrebbe automaticamente nel perimetro della legge Delrio?
L’obbligo di rimozione dalle piattaforme
Quanto agli obblighi delle piattaforme di selezionare i contenuti da rimuovere e gli account da sospendere, il disegno di legge appare sbilanciato nelle garanzie per chi segnala rispetto alla tutela dell’utente che subisce la rimozione o la sospensione. Ad esempio, è vero che la “rimozione automatizzata” - quando la piattaforma decide che un certo contenuto è antisemita e lo rimuove, il medesimo contenuto viene eliminato automaticamente tutte le volte in cui riappare - rende più efficace il contrasto alla ri-diffusione seriale di contenuti d’odio. Ma il rischio è che vengano colpiti, attraverso la rimozione, anche usi legittimi di quello stesso contenuto – ad esempio in citazioni critiche o articoli di cronaca - con un potenziale effetto di compressione sulla libertà di espressione e di informazione.
In altre parole, è difficile pensare che il filtro delle piattaforme e dei loro sistemi di moderazione riesca a distinguere, in modo fine, tra invocazioni violente che negano il diritto all’esistenza di una popolazione e discussioni storiche, giuridiche o politiche sulla legittimità di un certo assetto statale o costituzionale. E l’AGCOM interviene solo in seconda battuta.
Quanto ai rapporti tra piattaforme e utenti, gli automatismi della rimozione e i tempi previsti dal ddl Delrio rischiano di essere in conflitto con la necessità di una valutazione, individuale, caso per caso, richiesta dal DSA. Alcuni commentatori hanno rilevato il rischio, da un lato, di overblocking, cioè di cancellazioni anche non dovute, con pensanti ripercussioni specie per chi usa le piattaforme anche per lavoro; dall’altro, di un freezing effect, un effetto congelamento sulla libertà di espressione, soprattutto in materie politicamente controverse come il conflitto israelo-palestinese. A quest’ultimo riguardo, la consapevolezza che alcune parole chiave fanno scattare il rischio di rimozione o sospensione potrebbe indurre a evitare di utilizzarle anche quando sarebbero appropriate per dibattere, ad esempio, sull’intento genocidario dell’azione del governo israeliano a Gaza, ai sensi della Convenzione del 1948.
La scelta di una disciplina specifica sull’antisemitismo
Un profilo controverso del disegno di legge è la decisione di concentrare l’intervento normativo esclusivamente sull’antisemitismo. È vero che la scelta trova giustificazione nella specificità storica dell’antisemitismo e nella rilevanza della memoria della Shoah. Tuttavia, dal punto di vista dell’eguaglianza formale e sostanziale di cui all’articolo 3 della Costituzione, la previsione di strumenti particolarmente invasivi solo per una forma di odio può apparire problematica se non si accompagna, almeno in prospettiva, a un disegno sistematico che ricomprenda altre forme di discriminazione. Si corre, inoltre, il rischio di una frammentazione normativa nella quale ogni categoria di hate speech venga disciplinata con interventi ad hoc, creando un mosaico legislativo disomogeneo e potenzialmente incoerente.
Università, scuole e libertà accademica
La previsione di un soggetto interno preposto al monitoraggio delle azioni di contrasto all’antisemitismo, senza che il ddl operi una tipizzazione minima delle azioni richieste alle scuole e alle università, lascia a tale soggetto un ampio margine di discrezionalità. In un clima di forte polarizzazione, il rischio di strumentalizzazioni della definizione dell’IHRA non può essere ignorato: una volta recepita nella legge, tale definizione potrebbe essere utilizzata per mettere in discussione corsi, eventi, inviti o collaborazioni “sgraditi”, qualificandoli come espressione di antisemitismo, nonostante la libertà di ricerca e insegnamento di cui all’articolo 33 della Costituzione dovrebbe scongiurare questo esito.
Quanto all’articolo 5 sulle scuole, se l’obbligo di comunicare annualmente le iniziative di contrasto all’antisemitismo non sarà accompagnato da investimenti in formazione, materiali didattici e supporto ai dirigenti e ai docenti, rischia di tradursi in un mero adempimento formale.
La clausola di invarianza finanziaria incide sulla concreta effettività delle misure delineate. In assenza di risorse dedicate, il rischio è che la nuova disciplina resti, almeno in parte, sul piano delle dichiarazioni di principio.
Conclusioni
Il ddl Delrio muove da un intento condivisibile: rafforzare gli strumenti di contrasto all’antisemitismo in un contesto in cui il fenomeno assume forme nuove, pervasive e spesso difficili da intercettare. Ha anche il merito politico di riportare al centro del dibattito pubblico la tutela delle persone ebree, in un ordinamento che comunque già prevede misure in tema di odio razziale.
Tuttavia, l’obiettivo di costituire un argine effettivo all’odio antiebraico rischia di non essere sorretto da un impianto normativo adeguato, considerati i numerosi profili di criticità che esso presenta. Criticità che richiederebbero puntuali interventi correttivi, qualora il testo proseguisse il suo iter.
































