Il mito russo della Grande Guerra Patriottica e la minaccia di “denazificare” l’Unione Europea
9 min letturaFin dalla rivolta di Maidan e dall'annessione illegale della Crimea da parte della Russia nel 2014, la propaganda del Cremlino ha costantemente dipinto i leader ucraini come nazisti o fascisti. I funzionari russi e i media di Stato hanno così cominciato a dire che la nuova leadership ucraina è composta da “neo-nazisti” che minaccerebbero la popolazione di lingua russa dell'Ucraina. La Russia ha anche accusato le autorità ucraine di “genocidio” della popolazione del Donbas.
Il 24 febbraio 2022, annunciando l'invasione su larga scala, la “denazificazione” dell'Ucraina è stata presentata come l'obiettivo principale della guerra. Sul campo, non ci sono prove a sostegno delle accuse di Mosca: nessuno ha mai documentato un “genocidio” contro persone di etnia russa o di lingua russa, né in Ucraina né altrove. Per quanto riguarda l'estrema destra ucraina, la sua influenza politica rimane minima: nelle elezioni parlamentari del 2019, i principali partiti ultranazionalisti, che si sono presentati con una lista comune, hanno ottenuto poco più del 2% dei voti, ben al di sotto della soglia necessaria per entrare in Parlamento. In breve, l'immagine di un “regime nazista” a Kiev si basa su un evidente divario tra retorica e realtà.
Ma l'obiettivo in questo caso non è dimostrare che la propaganda russa è, di fatto, propaganda. Si tratta piuttosto di capire perché le autorità russe invocano ripetutamente riferimenti alla Seconda Guerra Mondiale – o, nel linguaggio russo, alla "Grande Guerra Patriottica" – quando parlano dell'Ucraina. Comprendere questa dinamica della memoria è essenziale per cogliere la forza di una retorica che, nonostante l'assenza di qualsiasi fondamento fattuale, continua a plasmare la visione russa del mondo.
Di cosa parliamo in questo articolo:
L’occultamento delle complicità sovietiche nella Seconda Guerra Mondiale
L'insistenza sovietica e russa nell'utilizzare il termine “Grande Guerra Patriottica” per riferirsi esclusivamente al periodo che va dal 1941 al 1945 ha uno scopo preciso: cancellare i quasi due anni che precedettero l'invasione dell'URSS da parte della Germania nazista. Tra il Patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939 e l'Operazione Barbarossa del 22 giugno 1941, Mosca e Berlino sono state di fatto alleate: si impegnarono in un'ampia cooperazione economica e in un coordinamento diplomatico, invasero e spartirono insieme la Polonia nel settembre 1939 e l'Unione Sovietica procedette all'annessione dei Paesi Baltici e alla guerra contro la Finlandia. Riducendo la guerra al periodo 1941-1945, l'URSS prima e la poi Russia hanno potuto negare ogni responsabilità nello scoppio della Seconda Guerra Mondiale e presentarsi esclusivamente come vittima dell'aggressione nazista e principale liberatore dell'Europa.
La Grande Guerra Patriottica - e soprattutto la vittoria del 1945 - è diventata l'evento fondante della storia sovietica e la pietra angolare della memoria collettiva. Tuttavia questa memoria, spesso dipinta come monolitica e universalmente condivisa, è tutt'altro che uniforme. Un ucraino della parte occidentale del paese, che ha subito due occupazioni successive tra il 1939 e il 1944, ricorda una guerra molto diversa da quella di un ucraino della parte orientale, la cui esperienza è stata plasmata principalmente dalla distruzione nazista. Il ricordo di un russo non è per niente simile a quello di un tataro di Crimea, che è stato deportato insieme a tutta la sua comunità e a cui è stato negato il diritto al ritorno per decenni. Gli ebrei sovietici, che hanno visto le loro famiglie e le loro comunità annientate dall'Olocausto, sono stati a lungo costretti a tacere: le narrazioni ufficiali non hanno lasciato spazio alla specificità della loro sofferenza.
Mentre in Europa Occidentale e in Nord America l'Olocausto fu inteso come espressione massima dell'orrore bellico, il mito sovietico della guerra rimosse questa tragedia, inglobandola nel vasto numero di morti dell'intero popolo sovietico. Le memorie delle minoranze - pogrom, deportazioni etniche o la variegata esperienza dell'occupazione - andavano assorbite, messe a tacere e cancellate.
L'esperienza collettiva della guerra e il discorso ufficiale che la circondava rimodellarono profondamente la comprensione di “fascismo” e “antifascismo” da parte della popolazione sovietica. Piuttosto che riferirsi a una specifica dottrina politica del periodo tra le due guerre, il termine “fascismo” diventò ben presto un'etichetta per indicare il nemico finale. Trotsky o i conservatori britannici potevano essere etichettati come “fascisti” con la stessa facilità, così come gli avversari nazionali e internazionali dopo il 1945, compresi i comunisti cinesi. La parola stessa “nazista” era usata raramente. Nella vita di tutti i giorni, chiamare qualcuno “fascista” esprimeva il più grave insulto possibile più che descrivere un’appartenza ideologica sostanziale.
Negli anni '60 e '70, mentre la fede nel comunismo come progetto per il futuro cominciava a scemare, il culto della vittoria del 1945 divenne gradualmente il principale pilastro della legittimità del regime sovietico. Le commemorazioni divennero rituali e coinvolsero tutte le generazioni e i gruppi sociali: i bambini, ordinatamente allineati, marciavano davanti alla Fiamma Eterna o alla Tomba del Milite Ignoto; le spose, con il velo e il bouquet in mano, visitavano i monumenti di guerra per deporre fiori e mettersi in posa. In ogni città - e alla fine in ogni paese e villaggio - lo Stato costruì complessi commemorativi la cui solenne architettura aveva lo scopo di iscrivere la memoria della Grande Guerra Patriottica nella vita quotidiana dei cittadini.
L'era Putin: la memoria come arma
Sotto Vladimir Putin, il culto della Grande Guerra Patriottica ha conosciuto una nuova vita. In seguito alle proteste pro-democrazia del 2011 e alla candidatura di Putin per un terzo mandato presidenziale nel 2012, il regime ha puntato consapevolmente a costruire una narrazione storica, con l'obiettivo di fondare la propria legittimità sull'immaginario di una nazione sotto assedio. Di fronte alle diffuse proteste contro il crescente autoritarismo, le istituzioni russe hanno scelto di dipingere il paese come circondato da nemici e Putin come l'unico baluardo in grado di difendere la patria. Non c'è stato bisogno di inventare una nuova ideologia: il mito già consolidato della Grande Guerra Patriottica è emerso naturalmente come narrazione strategica del regime, funzionante a tutti i livelli.
La glorificazione della vittoria del 1945 ha permesso al regime di ripulire la memoria collettiva dagli specifici elementi socialisti: mantenendo solo la narrazione del trionfo nazionale, il periodo sovietico è stato integrato in una storia nazionale lineare, senza alcuna rottura rivoluzionaria. Allo stesso tempo, la riabilitazione di Joseph Stalin come legittimo vincitore è servita a convalidare l'autocrazia. Le repressioni di massa e le politiche genocide che hanno causato milioni di vittime sono state presentate come un passo tragico, ma necessario: hanno reso l'URSS una superpotenza globale, capace di difendere la civiltà dalla “peste bruna” (ovvero il nazismo).
Il Cremlino ha moltiplicato gli strumenti legali per rafforzare questa narrazione. Dal 2020, la Costituzione russa impone il “rispetto della memoria dei difensori della patria” e vieta di “sminuire l'importanza dell'eroismo” del popolo sovietico. Nell'aprile del 2021, Putin ha firmato una legge che inasprisce le pene per “insulti” o “false informazioni” sulla Seconda Guerra Mondiale e sui suoi veterani. Nel dicembre 2019, Putin in persona ha riunito alcuni leader degli Stati post-sovietici attorno a una pila di documenti d'archivio che, a suo dire, dimostravano verità storiche a lungo ignorate in Occidente, citandoli in modo selettivo per giustificare, a posteriori, l'annessione della Polonia e degli Stati baltici da parte dell'URSS. In questo modo, Putin ha reso la storia uno strumento inseparabile dall'interesse nazionale. Contestare la sua interpretazione equivale al tradimento.
Ogni anno, il 9 maggio, i russi marciano nel Reggimento Immortale portando con sé i ritratti dei parenti che hanno combattuto tra il 1941 e il 1945. Sempre più spesso sono aggiunti anche i volti di coloro che hanno combattuto - o sono morti - nella guerra contro l'Ucraina, come se entrambe le guerre facessero parte di un'unica, infinita lotta. La guerra passata e quella presente si fondono e la vittoria del 1945 diventa la lente attraverso la quale tutti gli eventi - passati, presenti e futuri - sono interpretati lungo un asse temporale di perfetta continuità storica.
Questa fusione simbolica spiega anche le immagini surreali delle forze di occupazione russe che nelle ultime settimane hanno decorato le città ucraine distrutte. Una Bakhmut inabitabile è stata trasformata in una scenografia celebrativa per l'80° anniversario della vittoria russa nella “Grande Guerra Patriottica”. Il culto della vittoria non è solo un elemento centrale dell'immaginario putiniano: è funzionale sia alla governance interna sia all'aggressione esterna.
Russie 🇷🇺
— Cartes du Monde (@CartesDuMonde) April 29, 2025
Au milieu des ruines de la ville Ukrainienne de Bakhmut, les forces Russes ont placardé des affiches pour fêter les 80 ans du Jour de la Victoire de l'URSS sur l'Allemagne Hitlérienne. pic.twitter.com/dscG6c17QH
Dalla "denazificazione" dell'Ucraina a quella dell'Europa
Questo quadro mitologico influenza anche la politica estera di Mosca, alimentando la convinzione di avere il diritto morale di “punire” chi è accusato di collaborare con il nemico. La narrazione bellica diventa così uno strumento disciplinare contro i paesi vicini “ribelli”. Un esempio lampante è l'installazione di uno schermo gigante al confine con l'Estonia, che trasmette ininterrottamente le celebrazioni del Giorno della Vittoria, nel tentativo di ricordare agli estoni, ma anche ai lettoni e ai lituani, che la vittoria sovietica rappresenta una superiorità morale inattaccabile. Identificarsi con il discorso della Grande Guerra Patriottica diventa quindi un segno di lealtà e virtù; rifiutarlo o metterlo in discussione significa dimostrare il proprio tradimento, esporsi come corrotti dal nemico e quindi essere bollati come fascisti. Attraverso questo meccanismo, il regime russo fa molto di più che controllare la memoria collettiva: controlla la sfera politica e sociale.
Nell'immaginario collettivo russo, la parola “fascismo” ha perso ogni legame con una specifica ideologia politica e ora si riferisce solo a una minaccia astratta e assoluta: il desiderio di distruggere la Russia. È diventata sinonimo di “nemico” o “russofobo”, indicando sempre l'Altro, mai un movimento storicamente definito. Questa separazione tra parola e significato permette al regime di glorificare la vittoria antifascista e promuovere apertamente una retorica xenofoba, omofoba o ultraconservatrice, senza alcuna contraddizione percepibile.
La parola “denazificazione”, usato da Vladimir Putin il 24 febbraio 2022 per giustificare l'invasione, inizialmente ha lasciato perplessi molti russi, la maggior parte dei quali non aveva familiarità con il termine usato in un contesto del genere. In seguito, l'agenzia di stampa statale RIA Novosti ha pubblicato un articolo di Timofey Sergeytsev (Cosa dovrebbe fare la Russia con l'Ucraina) volto a chiarire il significato. Sergeytsev ha descritto la “denazificazione” come una “pulizia totale”, che prende di mira non solo i presunti leader nazisti, ma anche “le masse popolari che sono naziste passive”, ritenute colpevoli di aver sostenuto il “governo nazista”. Secondo Sergeytsev, l'Ucraina moderna è in grado di nascondere il suo nazismo dietro aspirazioni di “indipendenza” e “sviluppo europeo”. Distruggere questo nazismo, sostiene, significa “de-europeizzare” l'Ucraina. In questa logica, la denazificazione diventa sinonimo di eliminazione di ogni influenza occidentale dall'Ucraina e di smantellamento dell'esistenza del paese come Stato-nazione e società distinta. Incubata sulle piattaforme ufficiali dello Stato, questa narrativa rivela la vera portata della “denazificazione”: un progetto su larga scala volto a cancellare ogni traccia di singolarità ucraina, un progetto per il genocidio.
L'articolo L'eurofascismo, oggi come 80 anni fa, è un nemico comune di Mosca e Washington, pubblicato di recente sul sito ufficiale del Servizio di Intelligence Estera della Russia (SVR), illustra in modo impressionante l'espansione del discorso sulla “denazificazione” ben oltre i confini dell'Ucraina. L'immagine che accompagna l'articolo raffigura un mostro ibrido e grottesco: il suo corpo ha la forma di una svastica nera con al centro il cerchio delle stelle dell'UE, mentre la testa è una caricatura di Ursula von der Leyen. La creatura, con gli artigli insanguinati protesi, è intrappolata tra due baionette, una americana e l'altra russa/sovietica. Questa immagine grottesca non è solo una provocazione: riflette una narrazione profondamente radicata nella propaganda di Stato russa, dove l'“eurofascismo” diventa un concetto operativo che abbraccia tutte le società europee.
Russian intelligence: 'Eurofascism' is the common enemy of Russia and the US. The drawing says it all. Russia is now using the same language against EU that it used to justify its attack on Ukraine. Sure, let's do business with this country again and try not to provoke it. pic.twitter.com/FzXi1hmmZl
— Janis Kluge (@jakluge) April 17, 2025
Un messaggio del genere, sostenuto dai più alti livelli dello Stato, sarebbe sembrato assurdo o addirittura comico solo pochi anni fa, proprio come la retorica sugli “ukronazisti”, che nemmeno le figure dell'opposizione russa riuscivano a prendere sul serio, liquidandola come una cinica cortina fumogena. Ma il punto di svolta del 2022 ha rivelato questi discorsi per quello che sono realmente: il fondamento ideologico di un'invasione su larga scala, preparata da tempo nella sfera informativa. Oggi, parte della società europea, in particolare alcuni elementi della sinistra pacifista, sta cadendo nella stessa trappola: sottovalutare o ignorare la dinamica propagandistica in atto. Ma la macchina è già in moto. Il linguaggio del fascismo si sta ampliando ogni giorno per includere nuovi nemici designati, e la guerra ideologica sta cambiando: non si ferma più all'Ucraina, ma ora prende di mira tutta l'Europa. Di fronte a questa brutale riconfigurazione della narrativa ufficiale russa, il compiacimento o la passività sono diventati essi stessi forme di cecità strategica.
Traduzione dall'inglese a cura di Valigia Blu
(Immagine anteprima: frame via YouTube)
