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Cibi ultra processati e salute: serve una nuova alfabetizzazione alimentare

5 Maggio 2025 9 min lettura

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Cibi ultra processati e salute: serve una nuova alfabetizzazione alimentare

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Crocchette di pollo, hamburger, preparati per dolci, spuntini confezionati, biscotti industriali. Sono gli alimenti ultra processati, che negli ultimi anni sono diventati una presenza quotidiana sulle nostre tavole e nelle nostre dispense. Questi prodotti sono attraenti, comodi, gustosi e spesso economici, ma sempre più la ricerca scientifica evidenzia i potenziali rischi per la nostra salute. Il consumo di grandi quantità di alimenti ultra processati sembrerebbe non solo accelerare l’invecchiamento, ma anche aumentare il rischio di morte precoce.

Non parliamo solo di patatine, snack confezionati o bevande zuccherate, ma anche di prodotti come il pane a lunga conservazione, lo yogurt alla frutta, alcuni cereali per la colazione e le zuppe pronte. E poi i piatti precotti o pronti da scaldare, che vanno tanto di moda, il pesce in bastoncini, le salsicce, gli hot dog.

Secondo una nuova ricerca pubblicata ad aprile 2025 sull’American Journal of Preventive Medicine, un aumento del consumo di cibi ultra processati del 10% corrisponderebbe a una crescita del 3% del rischio di morire prima dei 75 anni. Sul totale delle morti premature registrate, in media una su sette è associabile al consumo di questo tipo di alimenti. Non si tratta di un nesso diretto di causa-effetto, ma esiste un'associazione statisticamente significativa.

L’indagine mette insieme evidenze raccolte in otto paesi del mondo: Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Brasile, Canada, Colombia, Cile e Messico. La percentuale dei decessi prematuri attribuibili al consumo di cibi ultra processati è rispettivamente del 4% Colombia, 5% in Brasile, 6% in Cile, 11% in Canada, e cresce fino al 14% negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Ogni anno, i decessi prematuri associati a questo tipo di alimentazione sono circa 125mila negli Stati Uniti e 18mila in Gran Bretagna.

Le morti premature attribuibili al consumo di alimenti ultra lavorati aumentano significativamente in base alla quota nell’apporto energetico totale per individuo”, spiega al Guardian Eduardo Augusto Fernandes Nilson della fondazione brasiliana Oswaldo Cruz, primo firmatario dello studio. “Questi cibi influiscono sulla salute al di là dell'impatto individuale dell’elevato contenuto di nutrienti critici – sodio, grassi trans e zuccheriper via delle modifiche apportate agli alimenti durante la lavorazione industriale e dell'uso di ingredienti artificiali, tra cui coloranti, aromi e dolcificanti artificiali, emulsionanti e molti altri additivi e coadiuvanti tecnologici”.

Cosa sono i cibi ultra processati

Il concetto di "cibo ultra processato" deriva dalla classificazione Nova, sviluppata nel 2009 dal ricercatore brasiliano Carlos Monteiro, che li definisce come prodotti che subiscono molteplici lavorazioni industriali, spesso con l'aggiunta di ingredienti e additivi estranei alla cucina casalinga. Questa classificazione quindi non tiene in considerazione i nutrienti, bensì i processi di preparazione finalizzata al consumo. 

Secondo Nova, esistono quattro gruppi di alimenti: il primo è composto dai cibi non trasformati, ossia gli alimenti freschi o sottoposti a processi di conservazione semplici (refrigerazione, congelamento, essiccazione, confezionamento sotto-vuoto e fermentazione non alcolica). Una lavorazione che non comporta l’aggiunta di sali, grassi o zuccheri. Il secondo gruppo è composto dagli ingredienti utilizzati per elaborare i cibi del primo gruppo, come sale marino, oli vegetali, burro, lardo, miele, ma anche gli additivi come antiossidanti, umettanti, addensanti, antibatterici o stabilizzanti. Il terzo gruppo è quello dei cibi processati: si tratta di prodotti relativamente semplici, ottenuti aggiungendo olio, sale o altri condimenti del secondo gruppo agli alimenti del primo gruppo. La maggior parte di questi cibi ha due o tre ingredienti e le lavorazioni includono cottura, conservazione e fermentazione non alcolica. Il gruppo comprende ad esempio la pasta, il pane fresco, i formaggi, i sottoli, ma anche il vino e la birra.

Infine, ci sono gli alimenti ultra processati. Si tratta di prodotti industriali che solitamente utilizzano cinque o più ingredienti, che contengono sostanze non presenti abitualmente in cucina (come proteine idrolizzate, maltodestrine, grassi idrogenati). Generalmente contengono diversi additivi, che servono per esaltare i sapori o coprire gusti non gradevoli. “Oltre ad essere inadeguati da un punto di vista strettamente nutrizionale, essendo ricchi di zuccheri, sale e grassi saturi o trans, questi alimenti subiscono una intensa lavorazione industriale che di fatto ne altera la matrice alimentare, con la conseguente perdita anche di nutrienti e fibre”, spiega la ricercatrice Marialaura Bonaccio, responsabile degli studi su alimentazione e salute dell’Irccs Neuromed. “Questo può avere importanti ripercussioni su una serie di funzioni fisiologiche, incluso il metabolismo del glucosio, e la composizione e funzionalità del microbiota intestinale. Non va inoltre dimenticato che spesso questi prodotti vengono venduti in confezioni di plastica, diventando così veicoli di sostanze tossiche per l’organismo”.

L’impatto sulla salute dei cibi ultra processati

L’esposizione ad alimenti ultra lavorati è associata direttamente a 32 parametri di salute, che comprendono mortalità, cancro e salute mentale, respiratoria, cardiovascolare, gastrointestinale e metabolica: lo afferma una review di 14 diversi studi scientifici pubblicati dal 2009 al 2023.

In particolare, diverse ricerche che hanno mostrato che mangiare cibi ultra processati è associato a un rischio più elevato di alcuni tipi di cancro del sistema digestivo e respiratorio. Lo studio Epic ha riguardato oltre 450mila partecipanti di dieci paesi europei, Italia inclusa, che sono stati seguiti per circa 14 anni. Grazie a una serie di questionari, i ricercatori hanno potuto ricostruire almeno in parte il tipo e le quantità delle diverse categorie di alimenti consumati. I dati mostrano che un aumento del consumo di cibi ultra processati del 10% circa è associato a un rischio maggiore di tumori testa-collo del 23% e di adenocarcinoma esofageo del 24%.

Diverse ricerche hanno collegato questi cibi anche a un eccesso di peso, a un maggiore indice di massa corporea, all’accumulo di tessuto grasso e a una maggiore circonferenza della vita. Poiché alcuni di questi effetti di un’alimentazione poco salubre sono già conosciuti per il loro impatto sui tumori, i ricercatori hanno cercato di capire se fosse proprio l’adiposità a collegare i cibi ultra processati al rischio più alto di cancro. Tuttavia, la maggiore presenza di grasso corporeo spiegava solo una piccola parte dell’associazione riscontrata. Ciò significa che l’aumento del rischio di tumori testa-collo e di adenocarcinoma esofageo non è imputabile solo all’aumento di peso: è probabile che siano implicati altri meccanismi, per esempio innescati dalla presenza di particolari sostanze nei prodotti. 

E in Italia?

Anche in Italia, i dati confermano i possibili danni alla salute di questi cibi: un’indagine pubblicata nel 2024 mostra che un elevato consumo di alimenti ultra processati sarebbe associato all’accelerazione dell’invecchiamento biologico, indipendentemente dalla qualità nutrizionale della dieta. Lo studio è stato condotto dall’Irccs Neuromed all’interno del progetto epidemiologico Moli-sani: i ricercatori hanno monitorato per 12 anni lo stato di salute di oltre 22mila persone e lo hanno correlato con le loro abitudini alimentari.

Il risultato è che una dieta particolarmente ricca di alimenti ultra processati fa sì che le persone siano biologicamente più vecchie della loro effettiva età cronologica. L’invecchiamento biologico è infatti una sorta di “orologio interno” del nostro corpo, che può scorrere più velocemente o più lentamente rispetto agli anni segnati sul calendario, riflettendo il vero stato di salute dell’organismo.

“Questo studio ci invita ancora una volta a ripensare le raccomandazioni alimentari”, commenta Licia Iacoviello, direttrice dell’Unità di ricerca di epidemiologia e prevenzione di Neuromed. “Non basta limitarsi alla qualità nutrizionale, ma occorre considerare anche il grado di lavorazione industriale dei cibi. Anche alimenti apparentemente ‘sani’, infatti, possono essere stati sottoposti a processi di lavorazione che ne alterano le caratteristiche”.

Nel 2022 un altro studio dell’Irccs Neuromed relativo al progetto Moli-sani aveva dimostrato che la lavorazione industriale, se eccessiva, rappresenta un potenziale rischio per la nostra salute anche per prodotti nutrizionalmente validi, come fette biscottate, alcuni cereali per la colazione, cracker e yogurt alla frutta.

“I nostri risultati confermano che il consumo sia di alimenti di scarsa qualità nutrizionale che quello di cibi ultra processati aumenta in modo rilevante il rischio di mortalità, in particolare per le malattie cardiovascolari”, spiega Marialaura Bonaccio, epidemiologa di Neuromed e prima autrice dello studio. “Quando però abbiamo tenuto conto congiuntamente sia del contenuto nutrizionale della dieta che del suo grado di lavorazione industriale, è emerso che quest’ultimo aspetto è quello più importante nell’evidenziare il maggiore rischio di mortalità. In realtà, oltre l’80% degli alimenti classificati come non salutari dal Nutri-Score sono anche ultra-lavorati. Questo suggerisce che il rischio aumentato di mortalità non è da imputare direttamente (o esclusivamente) alla bassa qualità nutrizionale di alcuni prodotti, bensì al fatto che questi siano anche ultra lavorati”. 

Il cibo ultra processato fa male perché è più grasso?

Ci sono però alcuni scienziati che hanno messo in dubbio la categorizzazione Nova e il concetto stesso di cibo ultra processato, perché a tutt’oggi è difficile misurare il livello di lavorazione di un alimento, nonché i possibili impatti di queste trasformazioni sulla salute. Il primo problema è riuscire a definire con chiarezza quali prodotti sono ultra processati e quali no: uno studio ha messo a confronto l’opinione di centinaia di specialisti della nutrizione, e non c’è consenso nel classificare gli alimenti nelle quattro categorie Nova. Le loro scelte sono molto soggettive: su una scala da 0 a 1, l'accordo medio è stato di 0,33. Questo significa che, se chiedessimo a due nutrizionisti di dirci se un certo alimento è ultra lavorato o meno, è tutt'altro che certo che si troverebbero d'accordo.

Sull’Atlantic, Nicholas Florko si chiede se il pane industriale che ha in frigo, integrale e ricco di semi, possa essere davvero considerato al pari dei Twinkies o della Coca Cola, solo perché alle spalle ha un processo di lavorazione industriale. Il punto è: cosa intendiamo per “lavorazione industriale”? Se impastiamo il pane a casa o se lo fa un macchinario, cosa cambia esattamente? Tamar Haspel sul Washington Post scrive che i cibi ultra lavorati “sono considerati i colpevoli dell'obesità e delle malattie” e che “sebbene la conclusione sia giusta, le argomentazioni sono per lo più sbagliate”. Il problema dei cibi ultra processati, dice, non sarebbe la lavorazione, bensì i valori nutrizionali: molti di essi sono altamente calorici e poveri di nutrienti, oltre che molto golosi, il che porta le persone a mangiarne di più e a ingrassare. “È l'aumento di peso, non i conservanti, a rappresentare un rischio per la salute”, scrive Haspel. E allora sarebbe meglio focalizzarsi sugli alimenti ad alta densità calorica, più che sui cibi ultra processati.

Non solo, esiste anche un problema legato al costo di questi prodotti, che spesso sono molto economici, e dunque all’estrazione sociale di chi li acquista. “Potrebbe essere (e quasi certamente lo è) che le persone che mangiano molti alimenti ultra processati siano diverse da quelle che non ne mangiano”, scrive Tom Chivers su The New European. “Per esempio, queste persone potrebbero essere meno abbienti, e sappiamo che essere poveri è correlato a risultati di salute peggiori. Forse questi studi ci stanno semplicemente dicendo, in modo indiretto, che la ricchezza ci rende più sani?”

Le politiche alimentari non tutelano abbastanza i consumatori

Visto l’impatto dei cibi ultra processati sulla salute delle persone, comunque, in tanti si stanno mobilitando per chiedere una regolamentazione più severa, nonché tasse aggiuntive su questo tipo di prodotti. Eppure oggi il marketing alimentare è spietato ed è concessa la vendita di questi alimenti anche nelle scuole e nei luoghi di lavoro.

Attualmente la normativa sull'etichettatura alimentare è regolamentata dal Regolamento europeo 1169/2011, che prevede la presenza di etichette con informazioni chiare, leggibili e vere, utili al consumatore per fare scelte informate. Tra le informazioni da includere obbligatoriamente ci sono l’elenco degli ingredienti, l’indicazione di allergeni e la dichiarazione nutrizionale (con i valori energetici e contenuti di grassi, carboidrati, proteine, zuccheri, sale e altri nutrienti chiave)

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Per accrescere la consapevolezza dei consumatori e migliorare le abitudini alimentari, negli anni sono stati messi a punto anche altri sistemi di etichettatura, rimasti però facoltativi per le aziende che decidono di aderire. Una di queste è il Nutrinform Battery. che si basa su un simbolo “a batteria” che indica al consumatore l’apporto nutrizionale per singola porzione dell’alimento in rapporto al fabbisogno giornaliero. Poi c’è il Nutri-Score, che utilizza una scala di colori (dal verde al rosso) e una scala alfabetica (dalla A alla E) per indicare la qualità nutrizionale di un prodotto. Il Nutri-Score è stato oggetto di attacchi in quanto classifica con semaforo rosso molti prodotti del made in Italy, ed è stato definito “fuorviante” dalla ong Safe Food Advocacy Europe. Questi sistemi comunque non sostituiscono l’etichetta nutrizionale classica – che resta obbligatoria – ma rappresentano un’integrazione con informazioni aggiuntive.

Il problema degli alimenti ultra processati però non sempre viene rilevato da queste etichettature. Per una strategia di prevenzione che sia realmente efficace, dobbiamo concentrarci soprattutto su quegli alimenti che il Nutri-Score classifica come validi da un punto di vista nutrizionale, ma che sono anche molto lavorati”, spiega Giuseppe Grosso, professore associato dell’Università di Catania. “È il caso ad esempio di alcune bevande che, pur avendo un ridotto contenuto di zuccheri, risultando quindi adeguate sul piano nutrizionale tanto da conquistarsi una lettera B del Nutri-Score, di fatto sono molto lavorate. Ma anche yogurt e dolci freddi, che vantano pochi grassi, ma contengono una lista corposa di additivi alimentari”. Il semaforo verde, insomma, a volte non basta: quello che manca sono classificazioni chiare, e un reale investimento sull’educazione alimentare dei consumatori.

Immagine in anteprima via alandi ayurveda

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