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I dissidenti bielorussi in esilio sono perseguitati e minacciati dal regime di Lukašenka

27 Giugno 2025 6 min lettura

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I dissidenti bielorussi in esilio sono perseguitati e minacciati dal regime di Lukašenka

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A distanza di cinque anni dalle proteste di massa del 2020 in Bielorussia, il regime di Aljaksandr Lukašenka continua a perseguitare l’opposizione politica non solo nei propri confini, ma anche all’estero. Una rete estesa di sorveglianza, minacce, estradizioni e pressioni psicologiche si abbatte sui dissidenti fuggiti in esilio in Europa, in quello che osservatori e attivisti definiscono “un’operazione di repressione transnazionale”.

Le prove raccolte da diverse testate internazionali, dalla BBC all’Associated Press, confermano l’esistenza di una strategia sistematica per intimidire gli oppositori anche all’estero, costringerli al silenzio o al ritorno forzato in patria, dove li attendono processi politici, torture o anni di carcere. Tra mandati d’arresto internazionali, pressioni sulle famiglie, video di pentimento forzato e campagne di disinformazione, Minsk ha esteso la propria macchina repressiva ben oltre le frontiere. L’obiettivo è chiaro: far capire a chi è fuggito che non esiste luogo sicuro.

Un esilio sotto assedio

Decine di oppositori bielorussi in esilio, giornalisti, attivisti, oppositori politici, semplici partecipanti alle proteste del 2020, sono stati seguiti, minacciati o colpiti da mandati di arresto internazionali. In alcuni casi sono stati arrestati in transito da paesi terzi: emblematico il caso di Dziana Maiseyenka, fermata nel 2023 al confine tra Armenia e Georgia su richiesta di Minsk con l’accusa di “disordini di massa”. Oppure quello del regista Andrei Hniot, bloccato all’aeroporto di Belgrado, detenuto per circa un anno in Serbia con una richiesta di estradizione pendente da parte del governo bielorusso, e poi infine rilasciato.

Le autorità bielorusse accusano questi esuli di terrorismo, estremismo o propaganda sovversiva. Si tratta di accuse costruite ad arte, finalizzate a giustificare la repressione di ogni forma di dissenso. Un altro obiettivo di questa strategia è rompere ogni legame tra gli esuli e chi rimane nel paese. 

“Anche se qualcuno in Bielorussa comprende la situazione, ci penserà due volte prima di parlare con un ‘terrorista’”, ha spiegato a BBC la giornalista Hanna Liubakova, condannata in contumacia a 10 anni di carcere. Liubakova ha anche raccontato come alcuni suoi parenti rimasti in Bielorussia abbiano ricevuto visite dai servizi segreti, mentre le proprietà registrate a suo nome sono state sequestrate. 

Nel 2024 Sviatlana Tsikhanouskaya, principale sfidante di Lukašenka alle elezioni del 2020 poi costretta all’esilio, ha ricevuto centinaia di richieste di bielorussi all’estero che lamentavano l’apertura di procedimenti penali contro di loro in patria. Tsikhanouskaya è inoltre intervenuta tramite il suo ufficio in almeno 15 paesi dove sono state fatte richieste di estradizione

Ci sono casi in cui le persecuzioni non sono precedute o seguite dalla formalizzazione di accuse di nessun tipo. La giornalista in esilio Tatsiana Ashurkevich all’inizio di quest’anno ha scoperto che la porta del suo appartamento a Minsk era stata sigillata con schiuma isolante. Ashurkevich ha poi affrontato un utente che l’aveva contattata più volte via messaggio attraverso Instagram, con comportamenti sospetti. L’uomo si è offerto di “aiutarla” attraverso canali ufficiali, purché in cambio le fornisse informazioni su cittadini bielorussi impegnati sul fronte ucraino.

Minacce, ricatti e propaganda

Secondo il sito EUvsDisinfo, la macchina della propaganda di Stato bielorussa lavora su più livelli. Il regime agisce ad esempio attraverso la pubblicazione di video di “pentimento” di esuli tornati in patria, spesso girati sotto coercizione, per dimostrare che è possibile essere perdonati. Un altro aspetto è il discredito degli oppositori, descritti dai media di Stato come criminali o “agenti stranieri”. Infine, come già visto, ci sono le pressioni ai familiari di dissidenti, anche ricorrendo ad arresti arbitrari e minacce di ritorsioni.

In parallelo, molti esuli si trovano impossibilitati a rinnovare i passaporti o a ottenere certificati, con l’effetto di restare in una condizione di limbo legale. Nel 2023 il governo ha infatti vietato ai cittadini di rinnovare il passaporto mentre sono all'estero. Senza documenti validi, non possono viaggiare né accedere a molti servizi, a meno di rivolgersi alle autorità bielorusse e rischiare di finire in manette.

"I metodi usati dai servizi dalle forze di sicurezza bielorusse sono molto simili a quelli del KGB ai tempi dell’Unione Sovietica, aggiornati con le tecnologie moderne”, ha dichiarato Andrei Strizhak, direttore di Bysol, organizzazione che sostiene gli attivisti bielorussi.

La dimensione geopolitica

Le richieste di estradizione si sono moltiplicate anche per effetto della cooperazione di paesi alleati della Bielorussia, o considerati vicini, come Russia, Vietnam o Serbia. Nel 2024, il dissidente Vasil Verameichyk è stato estradato dal Vietnam e consegnato alle autorità bielorusse, dopo una richiesta di estradizione effettuata da queste ultime, che lo consideravano un “terrorista”. Verameichyk è poi apparso alla tivù di Stato lo scorso gennaio, dove è stato esibito in un programma intitolato Confessioni di un militante. Durante la cosiddetta “intervista”, Verameichyk avrebbe lasciato intendere che le truppe ucraine sono pronte a incursioni in Bielorussia, in modo analogo a quanto fatto nell’oblast russo di Kursk.

Il Parlamento Europeo ha più volte denunciato la repressione extraterritoriale del regime bielorusso, mentre il Consiglio Europeo ha imposto sazioni al paese per le elezioni fraudolente del 2020, le violazioni dei diritti umani e la complicità avuta finora nell’invasione su larga scala dell’Ucraina. Tuttavia le autorità europee non hanno sempre gli strumenti legali per impedire l’arresto di un cittadino bielorusso su mandato di Minsk, soprattutto in assenza di accordi chiari o in paesi fuori dall’Unione.

Allo stesso tempo, gli attivisti in esilio hanno istituito “ambasciate popolari” in vari paesi, continuando il lavoro politico e diplomatico da fuori. Minsk ha reagito dichiarandole “organizzazioni estremiste”: chiunque collabori con loro rischia fino a sette anni di carcere.

Nell'ultimo anno, il regime ha annunciato il rilascio di oltre 300 prigionieri politici. Tuttavia, si tratterebbe di operazioni di facciata: a ogni rilascio corrispondono nuovi arresti, e il numero complessivo di prigionieri politici resta superiore a 1200.

Il caso più noto è quello di Siarhei Tsikhanouski, marito della leader in esilio. È stato liberato nei giorni scorsi, dopo la visita di un alto diplomatico statunitense, ma secondo alcuni analisti si è trattato di una concessione tattica per ottenere vantaggi nei negoziati diplomatici o nelle relazioni internazionali. Nessun segnale fa pensare a un allentamento della repressione sistemica.

La vita in esilio, tra paura e resistenza

Per i dissidenti, vivere all’estero significa camminare su un filo. Molti hanno cambiato casa più volte, hanno ricevuto telefonate e messaggi, sono stati bersaglio di attacchi cibernetici o hanno trovato le loro foto su siti bielorussi che li etichettano come “traditori”. Le manifestazioni pubbliche sono monitorate da agenti in incognito. Alcuni raccontano di sentirsi costantemente sorvegliati.

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In paesi come Lituania e Germania sono nate reti solidali tra esuli, progetti giornalistici indipendenti, fondazioni per la documentazione degli abusi. In Polonia, ad esempio, il bar Karma è una sorta di quartier generale per dissidenti bielorussi in esilio. “Ho visto informatori dei servizi segreti bielorusso spuntare al Karma, ma non riusciranno mai a distruggere la nostra comunità”, ha detto a Le Monde il proprietario del bar Gleb Kovalev, spiegando che se decidesse di varcare il confine sarebbe probabilmente arrestato. Ha dovuto spostare due volte la sua attività: prima da Minsk a Kyiv, a seguito delle persecuzioni contro i manifestanti delle proteste del 2020, poi da Kyiv a Varsavia, dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina.

La repressione degli esuli bielorussi solleva perciò un interrogativo urgente per le democrazie europee: fino a che punto è possibile garantire la sicurezza di chi fugge da regimi autoritari?

(Immagine anteprima: frame via YouTube)

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