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Il grido d’aiuto ignorato dalla comunità internazionale: che fine hanno fatto il Nobel per la Pace Ales Bialiatski e gli altri prigionieri politici in Bielorussia?

27 Maggio 2023 7 min lettura

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Il grido d’aiuto ignorato dalla comunità internazionale: che fine hanno fatto il Nobel per la Pace Ales Bialiatski e gli altri prigionieri politici in Bielorussia?

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A luglio 2024 il presidente bielorusso Aljaksandr Lukašenka potrebbe festeggiare il suo trentesimo anno al potere. ‘Potrebbe’ perché il deterioramento della sua salute ha sollevato la questione del futuro della Belarus’ dopo la fine di quella che viene già definita “era Lukašenka”. Ma il bat’ka (letteralmente “padre”, soprannome che gli è stato attribuito a metà degli anni Novanta nel mondo russofono e con cui lui stesso si identifica) per ora non molla, tiene duro e mantiene solide le sue posizioni in materia di politica estera (la guerra in Ucraina e i rapporti con l’Occidente) ma anche di politica interna.

A tal riguardo, entro i confini della Belarus’, non ci sono grandi miglioramenti sulle condizioni di vita dei cittadini bielorussi, in particolar modo quella dei prigionieri politici, il cui numero continua a salire sotto l’indifferenza generale della comunità internazionale, che a malapena si ricorda di loro. “Dove sono? Dov’è Viktar Babaryka? Dov’è Ihar Losik? Dov’è mio marito, Sjarhej? Non ho sue notizie da due mesi. Dov’è Mikalaj Statkevič? Abbiamo saputo che è stato messo in isolamento per sei mesi. Dov’è Maša Kalesnikava?”. L’appello della leader dell’opposizione in esilio, Svjatlana Cichanoŭskaja, parla chiaro: il regime bielorusso continua a nascondere i prigionieri politici e a riempire le carceri di innocenti accusati ingiustamente.

Cichanoŭskaja, insieme al centro per i diritti umani Viasna, ha promosso e sostenuto l’iniziativa internazionale del 21 maggio, giornata dedicata alla solidarietà per i prigionieri politici in Belarus’ che si è tenuta in diverse città europee e non solo. La data non è casuale: proprio il 21 maggio di due anni fa l’attivista dell’opposizione e coordinatore locale del movimento “Per la libertà” (Za svabodu) Vitol’d Ašurak è morto nel carcere n. 17 di Škloŭ, nella regione di Mahilëŭ, per un arresto cardiaco (almeno secondo la versione ufficiale). Accusato di “partecipazione ad azioni di gruppo che violano gravemente l’ordine pubblico” e di “violenza contro un ufficiale di polizia” era stato condannato a cinque anni dopo un processo a porte chiuse.

A maggio inoltrato ci sono ben 1.525 persone dietro le sbarre e di molte di loro non si sa più nulla. Parlando di loro, il condizionale è d’obbligo. Secondo Viasna, il premio Nobel per la Pace 2022 e difensore dei diritti umani, Ales’ Bjaljacki - condannato lo scorso marzo a dieci anni di carcere - pare sia stato trasferito dalla prigione di custodia cautelare n.1 di Minsk al carcere n.9 di Horki, nella regione di Mahilëŭ, ma altro non si sa. Situazione peggiore per Viktar Babaryka, candidato alle presidenziali del 2020 contro Lukašenka e arrestato prima del voto per impedirgli di fare campagna elettorale, condannato poi a quattordici anni di carcere con l’accusa di corruzione. Sembrava svanito nel nulla da febbraio, data a cui risalgono le ultime notizie, ma nella notte tra il 24 e il 25 aprile il suo portavoce ha comunicato che era stato portato nel reparto di chirurgia dell’ospedale di Navapolack per un problema ai polmoni: pare sia stato picchiato così brutalmente che i medici non lo hanno riconosciuto finché non hanno visto il suo nome sui registri e hanno dovuto intervenire per curargli un polmone collassato. Si è anche saputo che il prigioniero politico era stato collocato in un’unità abitativa di sicurezza per qualche tempo e che ha trascorso l’inverno in una cella di punizione. Ad oggi, nessuno sa dove si trova di preciso e le sue condizioni non sono pervenute.

Cichanoŭskaja e l’opposizione continuano la loro battaglia per una Belarus’ libera e democratica. Lo scorso 17 maggio, la leader ha inviato una lettera alla presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen in merito alle nuove prove che incriminerebbero Aljaksandr Lukašenka come complice nel rapimento e nel trasferimento illegale di bambini ucraini dai territori occupati dai russi in Ucraina. Secondo la Missione OSCE, l’UE e il Commissario del presidente ucraino per i diritti dei bambini, Dar’ja Herasymčuk, si ritiene che finora siano stati deportati più di 16.000 bambini dalle aree occupate dai russi in Ucraina, alcuni dei quali provenienti da orfanotrofi. A marzo, la Corte penale internazionale (CPI) ha emesso mandati di arresto contro il presidente russo Vladimir Putin e il Commissario presidenziale per i diritti dei bambini in Russia, Marija L’vova-Belova, per il presunto rapimento di bambini ucraini. Si stima che entro fine mese circa 2.150 bambini saranno deportati in Belarus’, secondo quanto dichiarato dall’oppositore in esilio Pavel Latuška. In particolare, il campo di Dubrava, di proprietà della società di estrazione di fertilizzanti di potassio Belaruskali, sarebbe la destinazione principale. L’azienda ha fornito anche altra assistenza, soprattutto finanziaria e materiale, per organizzare il trasferimento dei bambini ucraini in Belarus’.

Che ne sarà della Belarus’ dopo Lukašenka?

Le speculazioni delle ultime settimane sulla salute del presidente hanno fatto il giro del mondo. Ebbene, il bat’ka pare non abbia un bell’aspetto ultimamente, ma non è sicuramente in fin di vita: è riapparso in pubblico per la prima volta solo diversi giorni dopo la parata del 9 maggio a Mosca, dove è stato visto stanco e affaticato e con una mano bendata. Inoltre, cosa piuttosto inusuale, si è perso la maggior parte degli eventi ufficiali organizzati dal Cremlino, tornando a Minsk il giorno stesso, senza tenere il rituale discorso solenne presso il Monumento della Vittoria della capitale bielorussa, di cui si è occupato invece il ministro della Difesa Viktor Chrenin. Gli esperti – e non solo - si sono quindi posti quesiti inevitabili: quanto è grave la salute del capo di stato bielorusso e quale sarà il destino della Belarus’ in caso di un’improvvisa scomparsa di Lukašenka, al potere dal 1994?

Svjatlana Cichanoŭskaja, il 15 maggio, scriveva su Twitter: “Girano molte voci sulla salute del dittatore Lukašenka. Per noi significa solo una cosa: dobbiamo essere ben preparati a ogni evenienza per portare la Belarus’ sulla strada della democrazia e impedire alla Russia di interferire. Abbiamo bisogno che la comunità internazionale sia proattiva e veloce”. Ma Cichanoŭskaja non si sorprende né delle numerose speculazioni, dato che nemmeno la stampa governativa e la propaganda sapevano come reagire a questa situazione, né su come la cerchia ristretta del presidente stia già tramando la prossima mossa: “Cosa gli stia succedendo esattamente è un segreto di Stato. Lukašenka, come ogni dittatore, ama controllare tutto e dare l’impressione di essere invincibile o quasi immortale”.

Teoricamente, se il bat’ka venisse a mancare per morte naturale, il potere passerebbe in automatico a Natallia Kačanava, presidente del Consiglio della Repubblica di Belarus’ dal dicembre 2019. Molto vicina a Lukašenka, Kačanava nel novembre 2020 ha affermato che le proteste antigovernative erano state organizzate dall’estero, dichiarando che le foto delle persone picchiate dalla polizia erano false e sostenendo l’espulsione degli studenti dalle università per motivi politici. Kačanava è stata sanzionata dall’UE, dal Regno Unito e dalla Svizzera, nonché soggetta alle sanzioni del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti; nel 2022 è stata inserita nella lista nera anche da Giappone, Ucraina e Canada. Le elezioni presidenziali avverrebbero poi entro i 30-70 giorni, ma nessuno è al corrente di come effettivamente si svolgerebbero e chi sarebbero i candidati. In caso, invece, di una morte violenta il potere cadrebbe nelle mani del Consiglio di Sicurezza, guidato da Aljaksandr Volfovič, anch’egli sottoposto a sanzioni dalla Lituania per il suo ruolo nella repressione delle proteste bielorusse del 2020 e inserito nella lista nera da Stati Uniti, UE, Regno Unito, Nuova Zelanda, Giappone, Svizzera, Canada e Australia a causa dell’invasione russa dell’Ucraina.

Pavel Macukevič, ricercatore senior del Centro per le Nuove Idee, ex-diplomatico e autore del canale Telegram PulsLenina19 (letteralmente “il battito di Lenin”, che si occupa di politica estera), sottolinea l’incertezza che aleggia sulle condizioni di salute di Lukašenka, evidenziando come sia assolutamente prematuro parlare di “seppellire” Aljaksandr Grigor’evič: “Il suo silenzio può essere una pausa teatrale che lui stesso sopporta e allo stesso tempo osserva. A volte è vantaggioso fare il morto per vedere come si comporta il proprio entourage, chi manda avanti la verticale di potere, quali saranno le reazioni in Russia, in Ucraina, in Occidente”.

A tal proposito, sia Macukevič che altri esperti affermano che non c’è né da preoccuparsi per ora, né tantomeno da illudersi: nello scenario peggiore, il Cremlino farà di tutto per piazzare qualcuno di adeguato come nuovo capo dello Stato bielorusso, senza alcuna intenzione di prendere in considerazione l’opposizione in esilio. In linea di massima nulla può minacciare la Russia, nemmeno l’ipotetica morte del bat’ka, ritiene Macukevič, perché è improbabile che qualsiasi successore rappresenti una minaccia per gli interessi russi. L’analista politico e storico, Aleksandr Fridman, ritiene che, in caso di morte o di gravi condizioni del presidente che gli impediscano di svolgere le sue funzioni, Mosca cercherà di assicurarsi che salgano al potere persone che continuino il suo corso o che servano la Russia fedelmente perché perdere il controllo sulla Belarus’ sarebbe fatale per Mosca. “Questo è esattamente ciò che distingue ciò che sta accadendo in Belarus’ da altri paesi post-sovietici. Lì, quando i leader morivano o quando accadeva loro qualcosa, la Russia osservava la situazione con molta attenzione e di tanto in tanto esprimeva il suo punto di vista, ma, di norma, non interferiva attivamente. Nel caso della Belarus’, per di più nelle circostanze politiche odierne, credo che interverranno e lo faranno molto seriamente”, afferma Fridman.

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L’esperienza post-sovietica dimostra che il passaggio del potere da padre a figlio ha le migliori possibilità di successo, come in Azerbaigian (da Heydar Aliyev a Ilham Aliyev) e in Turkmenistan (da Gubanguly Berdymukhamedov a Serdar Berdymukhamedov).  Il “figlio successore” quarantasettenne, Viktar Lukašenka, a lungo aiutante del padre per la sicurezza nazionale, potrebbe ereditare il potere, mentre Natallia Kačanava e il primo ministro Raman Haloŭčenka, devoti al bat’ka, sono considerati i favoriti per quanto riguarda la cerchia ristretta. Eppure, Lukašenka padre ha sempre ripetuto che i suoi figli non guideranno la Belarus’, e non perché è assurdo stabilire una dinastia presidenziale in un paese europeo, ma per le peculiarità personali dei figli di Lukashenko: in Viktar non vede una figura abbastanza solida e in grado di mantenere il potere, mentre il diciottenne Mikalaj è ancora troppo giovane.

Al momento, però, Aljaksandr Lukašenka sembra non preoccuparsene minimamente, in attesa solo di luglio 2024, momento in cui celebrerà i suoi trent’anni al potere.

Immagine in anteprima: frame video Wall Street Journal

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