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Combattere la disinformazione salvaguardando i valori fondamentali della democrazia e delle società aperte

3 Marzo 2018 18 min lettura

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Combattere la disinformazione salvaguardando i valori fondamentali della democrazia e delle società aperte

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La diffusione inesorabile delle “fake news”, la disinformazione dilagante, i bot russi in grado di determinare l’esito delle elezioni di praticamente tutti i paesi occidentali. Da oltre un anno media mainstream e politica non fanno altro che parlare del pericolo che bufale e "fake news" possano influenzare le scelte degli elettori, incapaci di saper distinguere tra notizie vere e false. In particolare dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti e il successo della Brexit in Gran Bretagna, a ogni tornata elettorale, dal Referendum Costituzionale in Italia del 2016 alle presidenziali francesi dello scorso anno, per fare alcuni esempi, viene agitato lo spauracchio delle “fake news” quale minaccia principale delle democrazie moderne.

Tutto questo ha spinto governi e piattaforme private ad affannarsi per trovare una soluzione che frenasse il presunto flusso dirompente delle notizie false e salvare le nostre fragili democrazie nonostante diversi studi al riguardo dimostrassero che non ci troviamo di fronte a un’emergenza e che l’impatto delle "fake news" non è così decisivo come si suol credere. Anzi, nei giorni scorsi Facebook ha detto a una Commissione parlamentare britannica di non aver trovato prove, dopo ulteriori indagini, che la Russia abbia usato i social media per interferire nel referendum del giugno 2016 in cui la Gran Bretagna ha votato per lasciare l'Unione Europea. Anche uno studio dell'Oxford Internet Institute ha recentemente dimostrato che gli account Twitter collegati alla Russia (sono stati presi in considerazione circa 3000 profili) non hanno avuto alcun impatto sul voto in Gran Bretagna. Inoltre, il ministro dell’Interno, Marco Minniti ha negato il rischio di interferenze internazionali sul voto in Italia tramite attacchi cyber e anche Maksymilian Czuperski, direttore del Digital Forensic Research Lab dell'Atlantic Council, un think tank di Washington, che in un’intervista a Repubblica lo scorso novembre aveva parlato di minaccia russa per le elezioni italiane, ha detto al New York Times che «nessuno ha visto qualcosa di concreto che indichi che la Russia stia cercando di influenzare il voto in Italia».

In Italia, lo scorso gennaio, Minniti ha lanciato un’iniziativa che affida alla polizia il compito di verificare sospette notizie false segnalate dai cittadini. Le persone possono segnalare “fake news” alla polizia, che interviene per stabilire la "verità". Sempre a gennaio, è scesa in campo la Commissione Europea, che, a seguito di una selezione aperta, ha nominato 39 esperti del mondo dell'informazione per un nuovo gruppo di lavoro su notizie false e disinformazione online. E dal 2015 è attiva la campagna EUvsDisinfo, l’Unione europea contro la disinformazione, un progetto dell'Unione europea avviato nel 2015 che ha come obiettivo quello di frenare la diffusione della disinformazione online. Gestito dal Servizio Europeo per l'Azione Esterna, responsabile per gli Affari Esteri dell'Unione europea, EUvsDisinfosi legge sul sito – "è parte di una campagna per meglio prevedere, affrontare e rispondere alla disinformazione del Cremlino". Ogni settimana viene prodotta una "Disinformation Review", che ha permesso di individuare in due anni di lavoro oltre 3500 casi di disinformazione. Di recente, tre siti olandesi hanno fatto causa a EUvsDisinfo perché, a loro avviso, etichettati erroneamente come diffusori di disinformazione.

Si tratta di iniziative da non sottovalutare perché delegano allo Stato o a società private il compito di stabilire cosa è vero e cosa è falso e la verifica delle notizie. Cosa che sostanzialmente avviene nei regimi autoritari. In alcuni casi, come in Cina, Egitto e Turchia, questa lotta ha prestato il fianco ad azioni di censura da parte dei governi. Il rischio è che la cura trovata sia peggiore della malattia e che, paradossalmente, le nostre democrazie finiscano per ritrovarsi improvvisamente più deboli. Come prima cosa va effettuata una diagnosi precisa: di quale malattia esattamente stiamo parlando? Solo così possiamo capire le dinamiche, studiare gli effetti e individuare un'eventuale iniziativa di contrasto. Avendo, però, come obiettivo principale la salvaguardia dei valori fondamentali delle democrazie e delle società aperte.

Ospitiamo l’intervento del giornalista Rasmus Kleis Nielsen – direttore di ricerca al Reuters Institute e professore di Comunicazione Politica all’Università di Oxford, uno dei 39 esperti selezionati dalla Commissione Europea e autore di diversi studi sull’impatto delle "fake news" sulla dieta informativa dei cittadini europei – durante un'audizione organizzata lo scorso 22 febbraio dallo European Political Strategy Centre (il centro di ricerca interno della Commissione europea) a Bruxelles sul tema "Preservare la democrazia nell'era digitale".

L'audizione è parte delle attività del gruppo di 39 esperti chiamati a lavorare sul tema delle "fake news" e la disinformazione online in Europa. I giornalisti e ricercatori intervenuti (Anne Applebaum del Washington Post/LSE, Philip Howard dell'Oxford Internet Institute, Philip Lelyveld dell'Entertainment Technology Center della University of Southern California and Keir Giles della Chatham House) hanno risposto a 5 domande poste dallo European Political Strategy Centre.

Preservare la democrazia nell'era digitale

Il contesto

Quali sono le vostre opinioni generali sulle tendenze globali associate all'emergere delle "fake news" e le questioni loro connesse?

  • Il tema dell'audizione è "preservare la democrazia nell'era digitale", e prima di passare alle "fake news" e alla disinformazione, voglio essere chiaro: le principali sfide alla democrazia in Europa oggi sono, in primo luogo, lo sgretolamento di alcune istituzioni (i partiti politici, i gruppi di interesse, i media) che hanno storicamente reso possibile il governo popolare e, in secondo luogo, alcuni attori politici ostili, compresi gli Stati esteri, tra cui purtroppo anche alcuni governi dell'Unione europea, che non si sono impegnati a rispettare i valori fondamentali che definiscono un governo democratico e le società aperte. Abbiamo ereditato queste istituzioni e questi diritti dal XX secolo e spetta a noi rinnovarli per il XXI. I problemi prodotti dalla disinformazione devono essere inclusi in questo contesto e la questione più pressante consiste in cosa possiamo fare collettivamente per affrontare queste sfide più vaste, non solo quelle strettamente correlate alla disinformazione.
  • "Fake news" è un termine vago, politicizzato e fuorviante per la vasta gamma di problemi della disinformazione. Vago – a meno che non sia usato in senso stretto (un contenuto falso e inventato, presentato come notizia), politicizzato – come viene utilizzato dai politici e compreso da molti cittadini (cattivo giornalismo e propaganda politica), fuorviante – in gran parte non è né falso né una notizia (ma un contenuto decontestualizzato o altri tipi di contenuti che includono le opinioni o altre attività come la capacità di generare interazioni, l'amplificazione, ecc.).
  • I problemi maggiori relativi alla disinformazione – un'informazione intenzionalmente fuorviante e spesso falsa e imprecisa prodotta per trarre profitto economico o scopi politici – vanno compresi nel loro contesto politico e mediatico. In molti paesi il contesto politico è di scarsa fiducia nelle istituzioni (inclusi media e politica) e di alti livelli di polarizzazione faziosa. In questo contesto, le persone non sanno di chi fidarsi e ricorrono al "ragionamento motivato" [ndr, una tendenza naturale che porta a selezionare le informazioni che riceviamo in modo che corrispondano alle nostre convinzioni, mentre vengono scartate come poco affidabili o credibili le informazioni dissonanti] e all'auto-selezione [ndr, delle informazioni]. Il contesto mediatico si sta dirigendo verso un ambiente dove le persone cercano sempre di più le notizie online su piattaforme di prodotti e servizi come social media e motori di ricerca. In questo contesto politico e mediatico, le persone (1) si approcciano al contenuto con "scetticismo generalizzato" e (2) non sempre riconoscono e ricordano le fonti che forniscono le informazioni che consultano. Il risultato è una sfera pubblica spesso turbolenta. Ma questo non significa necessariamente che sia una minaccia per la democrazia. I discorsi di odio e l'incitamento alla violenza sono problemi che devono essere affrontati, ma oltre a questo, nessuno ha mai promesso che la nostra politica dovesse essere  educata e il nostro dibattito pubblico raffinato. Viviamo in società irriducibilmente variegate e spesso litigiose. La questione cruciale è difendere i nostri diritti fondamentali e rinnovare le istituzioni che ci aiutano a farne buon uso.
  • C'è ancora molto che non sappiamo sulle notizie false, ritenute, in maniera  approssimativa, informazioni fornite a scopo di lucro o politicamente orientate, specialmente rispetto alle forme visive di disinformazione. Ma le ricerche fatte finora suggeriscono che le "fake news" hanno una portata limitata, specialmente sul web, sebbene alcuni diffusori ne generino quantità significative sui social media. La quantità di disinformazione può variare per ogni paese a seconda degli incentivi politici e commerciali per produrla, e la mole di notizie credibili con cui compete è diversa da paese a paese, a seconda del contesto politico e dei media. Dobbiamo misurare la dimensione attuale e la portata dei problemi in questione e dovremmo fare attenzione a non ingigantirli inutilmente.
  • Più in generale, molta disinformazione è determinata da attori politici (stranieri e alcuni nazionali), in parte dalla società civile, spesso in buona fede (disinformazione dal basso verso l'alto), in parte dai media (clickbait, opinioni molto di parte) – può mettere a disagio e risultare sgradita, ma spesso non è illegale, e non è facilmente identificabile in modo oggettivo –,  raramente può ridursi a una questione di vero o falso. Quando la si vuole combattere, dobbiamo considerare il possibile impatto negativo di risposte oppressive a un insieme vagamente definito e intrinsecamente ambiguo di problemi, come il rischio di soffocare la libertà di espressione attraverso la regolamentazione e i rischi legati al costringere società private a vigilare sulla limitazione delle parole.
  • Secondo me la risposta migliore è invece una combinazione tra (1) protezione delle nostre società aperte e (2) rinnovamento delle istituzioni che consentono di sfruttarle al meglio. Le società aperte sono ciò per cui stiamo combattendo, proteggono i diritti fondamentali e danno alle persone la libertà di esprimere (e formarsi) la propria opinione. Istituzioni solide producono un'informazione credibile (attraverso i media del settore privato e del servizio pubblico), la rendono facilmente accessibile (anche attraverso piattaforme di servizi e prodotti) e forniscono alle persone gli strumenti per navigare (alfabetizzazione ai media e all'informazione). Le società aperte con istituzioni solide saranno anche più preparate a resistere alla valanga di nuove forme di disinformazione (immagini manipolate, contraffazione di video, audio, produzione di contenuti con l'intelligenza artificiale) e ad affrontare i nuovi modi in cui circolerà la disinformazione (app di messaggistica privata, sistemi vocali, realtà virtuale/aumentata, oltre a siti Web, motori di ricerca e social media). Le società aperte con istituzioni solide non saranno esenti dalla disinformazione e dalle forme di linguaggio nocive, ma saranno in grado di affrontare i problemi che esse creano.

Valutazione della portata delle notizie false

Che cosa ha causato la diffusione delle fake news online e quali prove abbiamo del loro impatto?

  • I media digitali hanno reso più facile pubblicare e condividere qualsiasi tipo di informazione, inclusa la disinformazione. Abbiamo bisogno di analizzare la crescita della quantità di disinformazione che circola nelle nostre società tenendo conto della crescita esponenziale in genrale della quantità di tutti i tipi di informazione che circola. I divulgatori di disinformazione utilizzano spesso le stesse tecnologie dei media digitali che attori politici ed editori usano del tutto legittimamente. I gruppi estremisti stanno sfruttando le stesse piattaforme utilizzate da movimenti come #MeToo e #NeverAgain. Qualsiasi risposta ai problemi della disinformazione deve tenere presente che gli stessi strumenti e le stesse tecnologie che potenziano forme di disinformazione eventualmente dannose al tempo stesso danno potere anche a forme di informazione e coinvolgimento dei cittadini del tutto legittimi e positivi.
  • L'ascesa delle tecnologie digitali è parte integrante di un profondo cambiamento nei nostri sistemi mediatici e politici e cambierà le nostre democrazie e società in modi che ancora non comprendiamo bene. Ci sono molti vantaggi e opportunità ben evidenti davanti a noi, ma anche rischi. Come andrà a finire varierà da paese a paese a seconda del contesto. Le conseguenze in Bulgaria o in Danimarca non saranno le stesse. Ma in questa fase, credo che possiamo identificare almeno i seguenti tre effetti dell'aumento dei media digitali:
    • In primo luogo, hanno reso più facile pubblicare, portando a una scelta più ampia, che a sua volta potrebbe aumentare la disparità di informazione tra chi userà quella scelta più ampia per cercare maggiori informazioni sulle questioni di interesse pubblico e chi la userà per cercare più intrattenimento e, in società altamente polarizzate, aumentare potenzialmente anche la polarizzazione tra parti contrapposte.
    • In secondo luogo, contrariamente ai timori delle "bolle dei filtri" e simili, mentre ci sono questioni serie relative a come alcune persone trovano e utilizzano l'informazione online, per la maggior parte delle persone, l'uso dei motori di ricerca e dei social media, sui quali si fa sempre più affidamento per navigare nell'ambiente dei media digitali, porta ad avere informazioni più varie di quelle che avremmo trovato cercando da soli.
    • In terzo luogo, l'ascesa dei media digitali ha messo in discussione il business delle notizie come lo abbiamo conosciuto nel XX secolo, poiché ​sia ​il pubblico che gli inserzionisti si riversano sui prodotti e i servizi offerti dalle grandi compagnie di piattaforme. Per questo motivo molti editori di notizie devono ridurre i costi e reinventare il loro business, e l'investimento nelle notizie – soprattutto a livello locale, nei mercati più piccoli e negli Stati membri che non hanno una storia di media indipendenti solidi – sta diminuendo di conseguenza.
    • In breve, i media digitali hanno reso più facile l'accesso e l'interazione, hanno permesso a molti altri di far sentire la propria voce, hanno portato all'affermazione di nuove aziende di piattaforme in qualità di "guardiani" che determinano chi viene ascoltato e chi no e chi cambia il business dei media, e stanno portando a una profonda trasformazione istituzionale in politica e nei media che, tra le altre cose, rende meno redditizio fare giornalismo professionale.
  • C'è ancora molto che non sappiamo sulla dimensione e la portata dei problemi delle "fake news" in senso stretto e della disinformazione in senso più ampio ma, a questo punto, suggerirei che l'impatto principale della disinformazione è che possa seminare sfiducia, intensificare la polarizzazione intorno a questioni divisive, minare la fiducia nelle istituzioni politiche, nelle istituzioni dei media e nelle società di piattaforme, e aumentare la confusione intorno ai temi di rilevanza pubblica. Si tratta di rischi preoccupanti, ma dobbiamo documentarli per comprenderli e controbatterli, e nel fare ciò tenere presente che finora la maggior parte delle ricerche empiriche suggerisce che le "fake news", definite in senso stretto, per quanto preoccupanti, raggiungono solo una minoranza della popolazione e anche per coloro che le leggono (e diffondono) costituiscono, per lo più, solo una piccola parte rispetto alla totalità delle notizie e al loro uso dei media. La disinformazione è chiaramente una questione seria e mostra problemi che dovrebbero essere affrontati, ma se ne esageriamo la dimensione e la portata senza prove evidenti, facciamo noi stessi un disservizio, disinformiamo il pubblico e rischiamo di diventare complici delle stesse operazioni di disinformazione che ci preoccupano. L'opposizione russa, per esempio, ha giustamente esortato i liberali occidentali a non sopravvalutare l'effetto delle operazioni di informazione del Cremlino, facendo passare chi mira a minare le nostre società aperte e le istituzioni democratiche come "una forza onnipotente degna di una saga di James Bond". A meno che non sappiamo davvero chi siano, non dovremmo presentarli come tali.

Suggerimenti su come affrontare le fake news

In base alla tua esperienza professionale e alla tua ricerca, quali iniziative ritieni necessarie per contrastare le fake news online e le questioni che sollevano?

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  • Dal mio punto di vista, dobbiamo concentrarci sul bene superiore: vogliamo (1) proteggere società aperte che garantiscano i nostri diritti fondamentali (e purtroppo alcuni politici rappresentano una grave minaccia in questo senso) e (2) sviluppare istituzioni solide che ci consentano di fare buon uso dei nostri diritti. Questo è al centro di ciò che significa preservare – diciamo rinnovare – la democrazia nell'era digitale. Le risposte alle "fake news" e alla disinformazione dovrebbero partire da questi principi fondamentali. Cosa possiamo fare, allora? Suggerirei tre aree, una in cui dovremmo agire con grande cautela, una in cui poter perseguire specifiche risposte mirate e strettamente definite, e poi una serie di raccomandazioni più ampie per rafforzare le istituzioni che aiuteranno le società aperte a resistere alla disinformazione.
    • In primo luogo, cautela: siccome è difficile definire in modo chiaro e oggettivo le "fake news" e la disinformazione, dovremmo stare molto attenti a una legislazione formulata in modo vago, che lascia decidere ai giudici (o, peggio ancora, al potere esecutivo) cosa potrebbe o meno costituire una "fake news", così come dovremmo essere cauti con i tentativi politici di esternalizzare la sorveglianza sulla libertà di espressione alle società private, costringendole a decidere che cosa sia o non sia legale – questi tipi di iniziative sono una potenziale minaccia per le società aperte che stiamo cercando di proteggere, e sia i sostenitori della libertà di espressione come il Gruppo Articolo 19 che la coalizione delle Nazioni Unite sulla responsabilità delle piattaforme hanno giustamente messo in guardia contro tali misure. Come riconosciuto dalla "Dichiarazione congiunta sulla libertà di espressione e le 'fake news', la disinformazione e la propaganda", coordinata dall'Ocse, la tutela della libertà di parola include l'informazione e le idee che possono scioccare, offendere e disturbare. È importante considerare se le cure proposte talvolta siano peggiori della malattia, una malattia di cui sappiamo poco a causa della carenza di ricerche indipendenti, basate su dati concreti, disponibili pubblicamente.
    • In secondo luogo, risposte mirate: gli interventi diretti a mio avviso dovrebbero essere utilizzati per affrontare problemi chiaramente e strettamente definiti – in alcuni casi si tratta principalmente di una questione di applicazione dei regolamenti esistenti. In molti paesi è già illegale per i governi stranieri interferire nel processo politico, così come sono già fuorilegge l'incitamento all'odio e simili. Dove ci sono prove di azioni sbagliate, abbiamo bisogno di documentarle, renderle pubbliche e perseguirle sulla base della regolamentazione esistente. In altri casi, si tratta di esercitare una costante pressione pubblica sugli inserzionisti, le società di tecnologia pubblicitaria e le società di piattaforme affinché adottino misure neutrali, imparziali e trasparenti per ridurre gli incentivi economici a produrre disinformazione falsa e inventata potenzialmente pericolosa e per monitorare costantemente e considerare le implicazioni sociali e politiche dei loro prodotti e servizi. Renderlo possibile richiederà nuovi passaggi per aumentare la responsabilità algoritmica, assicurare un livello appropriato di trasparenza e rendere più dati disponibili a terze parti. Qui, le società di piattaforme devono condividere le più ampie responsabilità democratiche che derivano dalla loro importanza e potere.
    • In terzo luogo, rafforzare le nostre istituzioni: Questo comporta
      proteggere l'informazione e i media dai governi che usano pressioni politiche/economiche per controllarli, dalla criminalità organizzata e dai gruppi estremisti, e dalla privatizzazione imposta politicamente della sorveglianza della libertà di espressione. Tutti gli Stati membri dell'Unione Europea hanno firmato la raccomandazione del Consiglio d'Europa per la protezione del giornalismo e della sicurezza dei giornalisti e di altri attori dei media, ma finora solo Malta ha iniziato ad attuare la raccomandazione.
  • Creare un ambiente favorevole ai mezzi di informazione riformando le forme esistenti di sostegno indiretto e in alcuni casi diretto ai media del settore privato (esenzioni IVA, aiuti di Stato/sussidi) in modo da premiare il futuro, non il passato, sostenere media del servizio pubblico veramente indipendenti e garantire loro autonomia e finanziamenti per adempiere il proprio mandato utilizzando tutti gli strumenti appropriati, rendere possibile il giornalismo senza scopo di lucro snellendo la regolamentazione per facilitare la creazione di organizzazioni di informazione e incentivare il loro supporto, rendendo disponibile il sostegno per  ricerca, sviluppo e innovazione e assicurando la trasparenza sulla proprietà e il finanziamento dei media. Media indipendenti forti, sia nel settore privato che nel servizio pubblico, contribuiscono in modo palese a produrre una cittadinanza più informata che sarà maggiormente in grado di resistere alla disinformazione, e i decisori politici devono creare un ambiente favorevole a tali media. Anche nei paesi con media di servizio pubblico forti e indipendenti, la grande maggioranza degli investimenti nel giornalismo professionale proviene dai media del settore privato ed è di fondamentale importanza che i decisori politici sostengano il settore reinventandone il business per un'era digitale.
  • Creare un ambiente favorevole per il giornalismo investendo nell'apprendistato, nella formazione permanente, nella riqualificazione e tutelando i giornalisti dalle accuse di diffamazione/calunnia che mirano a reprimerli, nonché autorizzando giornalisti e altre terze parti attraverso la legislazione sulla "libertà di informazione" e iniziative sui dati aperti, oltre al supporto per l'innovazione individuale e l'imprenditorialità.
  • Investire nell'alfabetizzazione ai media e all'informazione dei cittadini in tutte le fasi della vita.

Valutazione degli sforzi dell'Unione Europea nell'affrontare le "fake news"

Credi che le iniziative della Commissione europea per affrontare le "fake news" online e le questioni loro connesse siano sufficienti?

  • Prima di passare alla domanda su cosa possa fare specificamente la Commissione europea, è importante sottolineare che i singoli Stati membri dovranno assumere un ruolo guida e ribadire che siccome la disinformazione e le questioni più ampie sul futuro delle nostre democrazie sono temi condivisi, abbiamo bisogno di risposte condivise, coinvolgendo tutti i principali soggetti interessati – attori politici, media, piattaforme, organizzazioni della società civile.
  • Le cose principali che la Commissione europea può fare a mio avviso includono:
    • Primo, se vogliamo preservare e rinnovare le nostre democrazie per l'era digitale, è di fondamentale importanza mantenere alta la pressione su quei governi degli Stati membri che non rispettano i diritti fondamentali e stanno usando la pressione politica ed economica per minacciare i media indipendenti.
    • Secondo, investire denaro e capitale politico per aiutare a rinnovare le nostre istituzioni democratiche per l'era digitale (e incoraggiare gli Stati membri a fare lo stesso). Relativamente alle notizie, questo si traduce nel sostegno ai media del settore privato nella loro transizione dalle società di media analogiche a quelle digitali, spingendo affinché i media del servizio pubblico siano realmente indipendenti dal governo e abbiano autonomia nel perseguire i loro compiti con finanziamenti adeguati e usando mezzi appropriati, fornendo supporto a giornalisti professionisti in termini di preparazione, formazione continua, riqualificazione, e protezione di base dalle interferenze compresi procedimenti legali strategici e pretestuosi, rendendo i dati pubblici apertamente disponibili per i fact-checker e altre terze parti indipendenti, e assicurandosi che le società di piattaforme che forniscono un accesso ragionevole, giusto e non discriminatorio alle infrastrutture per la libera espressione, siano protette da chi potrebbe mettergli pressione per distorcere attivamente il dibattito pubblico. Allo stesso modo, sostenere i media e i programmi di alfabetizzazione ai media per i cittadini in tutte le fasi della vita.
    • Terzo, investire in ricerche indipendenti basate su evidenze scientifiche puntuali e accessibili per informare la politica e il processo decisionale mentre combattiamo la disinformazione e rinnoviamo le nostre democrazie per l'era digitale. Fondamentalmente sappiamo molto poco sulla dimensione e la portata dei problemi della disinformazione in Europa. Se vogliamo decisioni politiche basate su prove evidenti, compresa la formulazione di politiche che tengano conto della possibile efficacia e del potenziale impatto negativo delle risposte prese in considerazione, è di fondamentale importanza avere una ricerca, da cui attingere, indipendente e basata su evidenze scientifiche. Per quanto ne sappia, fino a febbraio 2018, non c'è stato un solo studio condotto in maniera autonoma accessibile pubblicamente che abbia cercato di misurare la portata delle "fake news" e della disinformazione online in Europa – e nonostante questa carenza di evidenze, molti stanno già parlando di interventi potenzialmente molto oppressivi che rischiano di avere gravi conseguenze negative sulla libertà di espressione.
      Non facciamo politica sanitaria pubblica senza prove evidenti, e mi spaventa che stiamo sviluppando una politica che riguarda i diritti fondamentali e i media liberi senza prima mettere a punto una sorta di evidenza scientifica significativa. La Commissione europea, direttamente e attraverso gli Stati membri e gli altri soggetti interessati, può fare una differenza significativa in questo settore sostenendo e consentendo ricerche indipendenti tempestive su base quantitativa, sulla dimensione e la portata della disinformazione, nonché una valutazione indipendente, sempre basata sulle evidenze, dell'efficacia delle misure adottate dai diversi attori.
    • Quarto, incoraggiare continuamente processi con le diverse parti interessate per il perseguimento di risposte condivise ai problemi condivisi e riesaminare continuamente i progressi e mantenere alta la pressione su quegli attori che si rifiutano di assumersi la responsabilità del loro ruolo ampio e pubblico o che fanno poco per rispettarlo.

Cosa portare a casa

In poche parole, qual è il tuo messaggio principale alla Commissione europea in merito a cosa dovrebbe (o non dovrebbe) essere fatto rispetto alle "fake news" e alla disinformazione online?

  • Dobbiamo tenere a mente qual è l'obiettivo principale: rinnovare le nostre democrazie per l'era digitale che implica la protezione delle società aperte e l'evoluzione delle istituzioni che aiutano i cittadini a sfruttarle al meglio. I media digitali stanno trasformando in modo radicale le nostre democrazie, in modi vantaggiosi e allo stesso tempo inquietanti, ma dobbiamo ricordare che la principale minaccia per la democrazia rimangono i politici malintenzionati che minano i diritti fondamentali e le istituzioni solide. Per preservare le democrazie europee, dobbiamo proteggerle dagli aspiranti autocrati e da coloro che cercano di minare le istituzioni – politiche, legali e dei media – che aiutano i cittadini a tenere il potere di chiedere conto.
  • Quando rispondiamo ai problemi della disinformazione dovremmo quindi:
    (1) Essere prudenti prima di prendere in considerazione le risposte che, o attraverso un vago regolamento legislativo o attraverso una vigilanza privata politicamente autorizzata di quali contenuti consentire e quali no, rischiano di minare la libertà di espressione e il diritto di ricevere e diffondere informazioni e opinioni senza interferenze da parte delle autorità pubbliche, poiché sono tra i diritti fondamentali per i quali stiamo combattendo per proteggere
    (2) risposte circoscritte e mirate a problemi specifici di disinformazione, compresa la lotta contro gli Stati esteri che interferiscono con i nostri processi politici e la pressione sugli inserzionisti, le società tecnologiche e le società di piattaforme per sviluppare misure neutrali e trasparenti per rendere meno redditizia e meno potente l'informazione falsa e inventata e aiutare a far emergere contenuti credibili e degni di fiducia, e,
    (3) forse la cosa più importante (anche se a lungo termine e sarà un duro lavoro), investire nella reinvenzione delle istituzioni che rendono possibile il governo popolare, quando si tratta di notizie e informazioni, sostenendo i media del settore privato, i media del servizio pubblico veramente indipendenti, rendendo i dati pubblici apertamente disponibili a fact-checker indipendenti e ad altre terze parti, proteggendo quelle società di piattaforme che forniscono un accesso equo, ragionevole e non discriminatorio a infrastrutture aperte e permissive della libera espressione da chi le obbligherebbe a limitare il dibattito pubblico, e investire nell'alfabetizzazione ai media e all'informazione.
  • Le generazioni dei nostri genitori hanno costruito l'Europa in forme di società democratiche più gentili e affabili dalle rovine degli imperi, del fascismo e del comunismo. Non siamo i discendenti di uomini e donne timorosi. Se proteggiamo le nostre società aperte e rafforziamo le istituzioni che ci consentono di sfruttarle al meglio, possiamo rinnovare le nostre democrazie per l'era digitale. Non dovremmo aspirare a nulla di diverso.

Immagine in anteprima via pixabay.com

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