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“Raccontiamo la Polonia al mondo”: la propaganda nazionalista della destra al potere diffusa a pagamento sui media occidentali

7 Aprile 2021 13 min lettura

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“Raccontiamo la Polonia al mondo”: la propaganda nazionalista della destra al potere diffusa a pagamento sui media occidentali

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di Simone Benazzo (ha collaborato Fabio Turco)

Lo scorso 5 febbraio sul sito del Sole 24 Ore è apparso un editoriale del presidente polacco Andrzej Duda, esponente del partito conservatore nazionalista Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS), forza di maggioranza dell’esecutivo che governa la Polonia dal 2015.

Le posizioni presentate in questo intervento sembrano in contraddizione con quelle abitualmente espresse da Duda.

La massima carica dello Stato polacco esordisce auspicando che il prossimo decennio possa portare alla creazione di un mondo “più verde e rispettoso dei principi dello sviluppo sostenibile”, sebbene la Polonia nel 2019 sia stata l’unica tra i 27 paesi UE a non sottoscrivere l’impegno a decarbonizzare la propria economia entro il 2050 e abbia cambiato parzialmente rotta solo dopo aver subito pressioni per tutto il 2020.

Nonostante il suo partito si ponga come alfiere della difesa di un’identità nazionale polacca esclusiva e definita su basi etnico-confessionali, Duda elogia poi il modello di quella Confederazione polacco-lituana che regnò sull’Europa centro-orientale tra XVI e XVII secolo e che, secondo il presidente, fu “un precursore dell’odierna Unione Europea, una casa accogliente per numerose culture e religioni”.

Infine, anche se Varsavia si è meritata varie procedure d’infrazione per le politiche antidemocratiche perseguite negli ultimi cinque anni in ambiti come diritto all’aborto, libertà dei media e indipendenza della magistratura, Duda predica “il rispetto dei principi dello Stato di diritto, del parlamentarismo e della democrazia”.

Un editoriale anomalo, dunque: come ci è finito sul Sole 24 Ore?

La risposta è suggerita in fondo alla pagina, dove compare la dicitura “L’intervento del presidente della Repubblica di Polonia viene pubblicato in contemporanea con il mensile di opinione Wszystko Co Najważniejsze ("Tutto quello che è più importante") nell’ambito del progetto 'La decade dell’Europa centrale' realizzato con la Borsa dei Valori di Varsavia”.

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“Raccontiamo la Polonia al mondo”

Questo contributo non è apparso solo sulla stampa italiana. È stato pubblicato, tradotto, anche in altri paesi, tra cui Francia, Marocco, Messico, Indonesia e Repubblica Ceca, perché fa parte del progetto ”Raccontiamo la Polonia al mondo”. Lanciato nel settembre del 2019, questo progetto è “la più grande iniziativa mai concepita per promuovere la narrazione polacca nel mondo”, secondo i promotori.

Nei suoi sedici mesi di vita questa operazione storico-politica si è costantemente ampliata, in termini di testate aderenti, autori coinvolti, temi toccati e budget disponibili, ma modus operandi e finalità sono sempre rimasti gli stessi.

In base a quanto ricostruito dagli autori della presente analisi, tramite una rete di associazioni affiliate, l’esecutivo polacco pubblicherebbe delle serie di pubbliredazionali a pagamento su testate di altri paesi, che poi in patria verrebbero promossi come contributi richiesti spontaneamente da questi giornali. Partnership commerciali verrebbero raccontate come collaborazioni editoriali scaturite dal genuino interesse che la storia e la cultura polacche avrebbero suscitato presso i lettori stranieri - più di un miliardo quelli raggiunti finora, secondo gli organizzatori.

Il primo obiettivo di questa ambiziosa operazione sembra quello di convincere l’elettorato polacco che la controversa versione storica propugnata dal governo stia attecchendo anche all’estero: lo dimostrerebbe l’esorbitante numero di pubblicazioni. Al contempo, l’iniziativa mira a influenzare le opinioni pubbliche straniere, offrendo interpretazioni alternative non soltanto di alcuni episodi storici che hanno interessato alla Polonia, ma, indirettamente, del senso di tutta l’azione politica perseguita dalla coalizione conservatrice capeggiata dal PiS.

La prima fase del progetto (settembre del 2019 - dicembre 2020) si è focalizzata su anniversari importanti per la nazione polacca, come gli 80 anni dall’invasione nazista della Polonia (1939), i 100 anni dalla nascita di Papa Giovanni Paolo II o i 100 anni dalla Battaglia di Varsavia (1920). In occasione di queste ricorrenze i giornali partner del progetto hanno pubblicato articoli ricevuti direttamente dai promotori, dove venivano celebrati questi episodi e queste figure, ed enfatizzate alcune supposte qualità costitutive dell’ethos polacco.

In questa fase il principale sponsor è stata la Fondazione Nazionale Polacca (Polska Fundacja Narodowa, PFN). L’ente, fondato nel 2016 dal governo polacco per promuovere l’immagine della Polonia nel mondo, è già finito al centro di uno scandalo per aver corrisposto 5,5 milioni di dollari a una compagnia di PR americana affinché facesse lobbying in favore di Varsavia presso l’amministrazione USA. I fatti sono emersi nel 2019, lo stesso anno in cui è stata inaugurata l’iniziativa “Raccontiamo la Polonia al mondo”.

La seconda fase, denominata “Il decennio dell’Europa Centrale”, è partita lo scorso gennaio. Nell’intento dei fautori, dovrebbe concentrarsi meno sul passato e più sul futuro post-pandemia. Come nel caso dell’editoriale di Duda citato all’inizio, anche in questa fase gli articoli partono da ricostruzioni storiche di ampio respiro per poi concludersi - spesso in modo forzato - con appelli a investire in Polonia e nel resto dell’Europa centrale. Una novità dovuta, probabilmente, al fatto che ora anche la Borsa di Varsavia sponsorizza l’operazione.

Secondo gli esecutori del progetto, sono più di 110 i giornali e le riviste in tutto il mondo che hanno aderito all’iniziativa. In Italia, oltre al Sole 24 Ore, anche Avvenire, La Stampa e Il Messaggero.

La capillarità e la varietà della rete degli organi di informazione coinvolti rende questa operazione a metà tra marketing politico e soft power imparagonabile a qualunque progetto simile compiuto da un governo europeo negli ultimi decenni.

L’attuale dirigenza polacca mostra, infatti, di avere una visione di lungo termine e delle idee precise sul posto che la Polonia dovrebbe occupare nell’UE e nel mondo, a differenza della maggior parte dei suoi partner continentali. A prescindere da quanto successo possa effettivamente avere, l’ambizione di questa campagna geopolitica è molto più simile a quella di potenze globali come USA, Cina e Russia che di una media potenza regionale come la Polonia. Con questa iniziativa Varsavia vuole vendere un mito.

Il mito di una nazione tradita, eroica, indomita

Analizzare la prima campagna realizzata nell’ambito di “Raccontiamo la Polonia al mondo”, dedicata all’ottantesimo anniversario dell’invasione della Polonia da parte della Germania nazista (1° settembre 1939), permette di cogliere appieno la visione che muove i fautori di questa capillare offensiva storico-politica su scala globale.

A questa première hanno partecipato solo otto testate: Washington Post e Chicago Tribune (USA), Die Welt (Germania), Sunday Express (Regno Unito), Le Soir (Belgio), El Mundo (Spagna), Le Figaro e L’Opinion (Francia).

L’edizione cartacea di questi quotidiani, uscita tra il 31 agosto e il 3 settembre 2019 in base alle rispettive cadenze di pubblicazione, aveva in allegato un inserto gratuito redatto in toto dai curatori del progetto “Raccontiamo la Polonia al mondo”.

Gli inserti avevano come copertina le prime pagine delle edizioni che gli stessi giornali - se già fondati - avevano pubblicato in occasione dell’invasione della Polonia da parte della Germania nazista (primo settembre 1939), che diede inizio alla Seconda guerra mondiale. Le pagine interne presentavano una serie di commenti relativi (o ispirati) a quell’episodio storico, firmati da esponenti di primo piano del governo polacco, come il premier Mateusz Morawiecki, il presidente Andrzej Duda e il vicepremier Piotr Gliński, e da “storici di fama mondiale”, come l’inglese Roger Moorhouse e il tedesco Jochen Böhler. Un totale di ventinove autori, tutti uomini.

I contenuti di questi supplementi cartacei non sono stati riportati online e non figurano negli archivi dei giornali coinvolti. Un’assenza che suggerisce che si tratti di articoli che le testate non hanno molto interesse a diffondere. Le pubblicazioni non sono disponibili nemmeno sul sito dedicato a questa prima azione: 1939.eu. Su questa piattaforma sono archiviate le immagini di tutte le prime pagine degli inserti pubblicati, ma in tutti e otto i casi cliccando su “scarica pdf” compare il messaggio “pagina non trovata”. Inoltre, dal modo in cui sono impaginate queste immagini, non è possibile capire che si tratta di pubblicazioni a pagamento. Secondo le testate interpellate, i fascicoli originali riportavano invece in maniera visibile la dicitura “pubblicità” o “avviso”.

I ventinove saggi sono stati però caricati come articoli separati in formato digitale. Chiunque conosca la storia del Novecento europeo potrà facilmente intuire già dall’elenco di alcuni titoli i leitmotiv che hanno ispirato la serie: “La Polonia fu tradita”; “Perché non siete venuti ad aiutarci nel 1939?”; “Non ci sono alleati migliori dei polacchi”; “La Polonia fu il primo Stato a contrastare Hitler”; “I polacchi facilitarono la fine della guerra”; “Ci stiamo riprendendo solo ora dal collasso demografico del 1939”; “Il settembre del 1939 e le sue conseguenze per la Polonia”; “La Polonia bloccata per mezzo secolo”.

In breve, i tre tòpoi attorno a cui ruotano i saggi sono: il tradimento degli alleati occidentali, che non intervennero per impedire l’invasione nazista del 1939; l’eroismo della nazione polacca, che si distinse per coraggio e lealtà durante tutta la seconda guerra mondiale; i profondi danni subiti dalla Polonia a causa dell’invasione nazista e del secondo tradimento dell’Occidente: l’assegnazione al blocco sovietico, decisa alla Conferenza di Yalta del febbraio 1944. A queste devastanti conseguenze sarebbe dovuto il ritardo materiale, economico e culturale maturato dalla Polonia nei confronti dell’Europa occidentale.

In quella che al momento è l’unica analisi critica disponibile del progetto “Raccontiamo la Polonia al mondo”, uscita sul giornale investigativo polacco Oko.press il 3 settembre 2019, lo storico Piotr Osęka ha commentato così questa campagna: “la storia della Polonia presentata da PiS al mondo occidentale è stata plasmata da rancore, risentimenti, vittimismo e compiacimento. E il tutto intriso con il grottesco pathos delle accademie scolastiche”.

Si tratterebbe dunque di una narrazione vittimista legittimata dalla presenza di alcuni consulenti stranieri. Alcuni dei quali hanno peraltro scelto di omettere a loro volta il fatto che le pubblicazioni fossero a pagamento. Per esempio, sulla pagina Wikipedia dello storico Marco Patricelli si legge: “Un suo saggio per l'80° dello scoppio della Seconda guerra mondiale è stato tradotto e pubblicato sui più prestigiosi quotidiani internazionali tra i quali Washington Post, Chicago Tribune e Le Figaro, L’Opinion, Sunday Express, Le Soir ed El Pais [probabilmente qui l’estensore si confonde con El Mundo, ndr]”. Ovvero le otto testate coinvolte in questa campagna. Le note in calce alla pagina non rimandano ai siti di questi giornali, ma al sito 1939.eu.

Polonia non olet

Nel sodalizio che ha concepito e promuove questo ambizioso progetto operano soggetti diversi, ognuno con una propria funzione. L’ente esecutore, l’Istituto per i nuovi media (Instytut nowych mediów, INM), viene coadiuvato dall’Istituto per la memoria nazionale (Instytut Pamięci Narodowej, INP). I media partner principali che fanno da cassa di risonanza sono l’agenzia di stampa filogovernativa Polish Press Agency (qui un esempio) e The First News (qui un esempio), il portale in inglese creato dall’esecutivo nel 2018. Come ricordato sopra, nella prima fase i fondi sono arrivati soprattutto dalla PFN, a cui si è successivamente affiancata la Borsa di Varsavia.

L’architetto dell’iniziativa è Eryk Mistewicz, direttore dell’INM, da lui fondato nel 2013. Un professionista dal curriculum ideale per coordinare un’operazione di questa portata. Nel 2011 ha pubblicato Marketing Narrativo, una sorta di manuale di storytelling dove, tra le altre cose, si suggeriscono a leader politici modi efficaci per raccontare “la propria storia e il proprio paese”. Già l’anno precedente, Mistewicz aveva dato un’anticipazione della sua concezione di corretto storytelling, ingaggiando una polemica con l’Istituto cinematografico polacco (Polski Instytut Sztuki Filmowej, PISF), reo a suo avviso di aver finanziato la produzione di un film (Essential Killing) su una base segreta allestita dalla CIA in Polonia. Come emerso nel 2014, questa base (nome in codice “Quartz”) è realmente esistita e vi sono stati davvero detenuti e torturati alcuni terroristi, ma secondo Mistewicz l’opera fornirebbe un’immagine indegna del paese.

Solo in un’intervista rilasciata sul portale Wirtualne Media il 22 gennaio scorso, Mistewicz ha ammesso che inizialmente gli articoli prodotti nel contesto di “Raccontiamo la Polonia al mondo” erano stati pubblicati perché a pagamento. Nella stessa intervista ha però affermato che a partire dal 2020 questi contributi vengono invece “pubblicati perché c’è l’interesse delle varie redazioni”. 

Questa informazione è stata smentita dalle uniche due redazioni da noi contattate che hanno risposto, Chicago Tribune e Die Welt, secondo cui la loro collaborazione con gli esecutori del progetto è sempre rimasta un’intesa di carattere commerciale. L’ufficio stampa di Die Welt ha inoltre specificato che la redazione non è stata nemmeno coinvolta. La relazione è stata interamente gestita dal reparto marketing del gruppo Axel Springer, l’editore del quotidiano tedesco. Abbiamo interpellato Eryk Mistewicz sulla questione il 29 marzo scorso, ma ad oggi non ci ha ancora risposto.

Il fatto che redazioni straniere pubblichino, senza revisionarli, contenuti prodotti da ambienti così vicini a un esecutivo ritenuto fautore di una deriva autocratica suscita interrogativi. Soprattutto perché molte di loro rivendicano un orientamento liberale ed europeista, che le ha spinte negli anni ad assumere posizioni critiche verso l’esecutivo polacco, come successo anche allo stesso Die Welt.

Probabilmente – è la nostra ipotesi – gli uffici marketing dei giornali coinvolti non hanno compreso appieno il significato dell’operazione cui si sono prestati, trattando come un ordinario accordo commerciale qualcosa che per l’attuale intelligentsia polacca ha un significato, un valore e un peso molto diversi.

In un secondo articolo pubblicato il 2 marzo scorso su Wirtualne Media, vengono invece fornite alcune cifre. Nel 2019, l’anno in cui è stato lanciato il progetto, l’INM ha registrato ricavi per 7,57 milioni di zloty (circa 1,27 milioni di euro). Nel 2018 i ricavi totali si erano fermati a 423,300 zloty (circa 92 mila euro). Gran parte di questa differenza è derivata dal sostegno della PFN, che ha versato nelle casse dell’INM 5,87 milioni di zloty (circa 1,28 milioni di euro) per il progetto legato agli 80 anni dall’inizio della seconda guerra mondiale e ulteriori 662,200 zloty (circa 144 mila euro) allocati solo per la collaborazione con l'Opinion. Questo quotidiano francese è l’unico tra le testate coinvolte ad aver allestito una sezione ad hoc (“Spécial Pologne”) dove vengono raccolti i pubbliredazionali prodotti dall’INM. Né la redazione de l’Opinion né Mistewicz hanno risposto alle nostre domande su questo punto specifico prima della pubblicazione dell'articolo.

Una storia incontestabile tra politica e geopolitica

Che il PiS utilizzi il passato per scrivere il presente è noto. Dal suo insediamento nel 2015, le “guerre di memoria” sui fatti del Novecento in Polonia si sono fatte più aspre, contribuendo alla polarizzazione della società polacca. Uno dei temi più divisivi resta la memoria della Shoah.

Come constatato in un rapporto speciale della Reuters, molti polacchi ritengono che, concentrandosi esclusivamente sulla tragedia degli ebrei, finora l’Occidente non abbia mai compreso né riconosciuto il dramma vissuto dai polacchi e dalla Polonia, il cui territorio fu occupato, saccheggiato e devastato dalla Germania nazista per sei anni durante il conflitto mondiale. È opinione di chi scrive che questa visione non sia del tutto infondata e meriti di essere discussa a livello accademico, mediatico e politico. In quasi tutti i paesi emersi dal Patto di Varsavia esistono persone che considerano l’impostazione storiografica più diffusa in Europa occidentale, incentrata sull’unicità universale della Shoah, una forma di imperialismo culturale inadatta ad accogliere le memorie delle popolazioni rimaste nella parte orientale della cortina di ferro. 

Il PiS declina, tuttavia, questo sentimento popolare in un senso radicale e intransigente, ostacolando attivamente l'avvio di una riflessione inclusiva, pluralista e accurata sul piano storiografico. Per l’attuale esecutivo qualunque frase che connetta la nazione polacca alla Shoah è da ritenersi antipatriottica e diffamatoria.

Questa linea si è tradotta in molteplici atti finalizzati a censurare il dibattito accademico sul ruolo che la popolazione polacca ebbe nello sterminio di sei milioni di ebrei, atti spesso coordinati dalla Lega polacca contro la diffamazione, una ONG filogovernativa.

Nel 2016 le autorità giudiziarie hanno aperto un’indagine contro lo storico polacco-americano Jan Tomasz Gross, accusato di aver insultato la nazione polacca. Nel suo libro I carnefici della porta accanto. 1941: il massacro della comunità ebraica di Jedwabne in Polonia, pubblicato quindici anni prima, Gross aveva scritto che i polacchi avrebbero ucciso più ebrei che tedeschi durante l’occupazione nazista.

Nel 2018 il Senato polacco ha approvato una legge, poi parzialmente emendata, che proibiva di accusare il paese di complicità nell’Olocausto e di riferirsi ai lager nazisti in Polonia come campi “polacchi”. La versione originaria prevedeva fino a tre anni di carcere per i trasgressori.

Lo scorso febbraio, infine, ha fatto scalpore la sentenza di una corte distrettuale di Varsavia. Il tribunale ha ordinato a due accademici, Jan Grabowski e Barbara Engelking, di rimuovere una sezione del loro libro Night without End: The Fate of Jews in Selected Counties of Occupied Poland. Nell’opera i due storici sostengono che, durante la Seconda guerra mondiale, il sindaco del villaggio di Malinowo avrebbe aiutato i persecutori nazisti a scovare e quindi a uccidere alcuni ebrei che si erano nascosti in un bosco nei pressi di Malinowo.

In commento alla vicenda, pubblicato lo scorso 26 marzo sul New Yorker, Masha Gessen, autrice de Il futuro è storia, ha accusato apertamente il governo polacco di revisionismo. Varsavia ha criticato aspramente l’articolo, e soprattutto il suo sottotitolo, dove si allude alla responsabilità della “nazione” polacca - e non di singoli cittadini - nella Shoah.

Analizzando questi conflitti, ricercatori e addetti ai lavori si sono concentrati principalmente sull’utilizzo della storia come instrumentum regni da parte del PiS, limitandosi quindi alla dimensione interna. 

Per gli ultraconservatori la memoria storica è però anche un dispositivo di politica estera. Come scrivono gli studiosi David Clarke e Paweł Duber, “l’attuale governo polacco attribuisce un’estrema importanza alla memoria storica nel tentativo di convincere i partner europei della validità della sua visione della storia dell’Europa e del posto della Polonia nel progetto europeo”.

Le poche analisi incentrate sulla declinazione internazionale delle campagne memoriali concepite dal PiS non hanno mai ricordato finora il fatto che queste siano parte di una tattica perseguita in modo sistematico, non azioni estemporanee e scollegate tra loro.

Nella “Strategia di politica estera polacca 2017-2021” (pag. 24), disponibile sul sito del governo, si legge: “La promozione della Polonia come un paese innovativo e moderno, 'aperto al business', deve essere accompagnata da azioni di diplomazia storica che illustrino il contributo della Polonia alla civiltà europea (..) La diplomazia storica polacca alzerà la voce contro le falsificazioni della storia e le ‘codificazioni memoriali faziose’, siano esse causate da ignoranza, pregiudizio, dolo”.

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Più avanti, lo stesso documento specifica che Varsavia offrirà “contenuti affidabili che raccontino il contributo della Polonia alla vittoria contro la Germania nazista e il comunismo e i danni che questi due totalitarismi hanno inferto alla Polonia. (..) Confutare la tesi, diffusa quanto falsa, che la Polonia sia anche solo passivamente responsabile per l’Olocausto è un imperativo fondamentale per la politica estera polacca”.

Proprio per perseguire questi scopi nasceva, due anni più tardi, “Raccontiamo la Polonia al mondo”.

Immagine in anteprima: screenshot sito 1939.eu

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