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Nuova sentenza per Lula in Brasile: torna in politica il principale oppositore di Bolsonaro

8 Aprile 2021 5 min lettura

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Nuova sentenza per Lula in Brasile: torna in politica il principale oppositore di Bolsonaro

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di Susanna De Guio

L'ex presidente Luís Ignacio Lula Da Silva è tornato a intervenire con forza nella politica brasiliana e sta cominciando la sua campagna politica per affrontare Bolsonaro alle elezioni del 2022. Dopo essere stato inabilitato a partecipare alle ultime presidenziali nel 2018 – dove risultava ampiamente favorito nei sondaggi –, aver scontato 580 giorni in carcere e aver affrontato diversi processi, lo scorso 8 marzo Lula è stato scagionato dalla Corte Suprema, trasformandosi immediatamente nel principale ostacolo alla rielezione dell'attuale presidente reazionario di ultra destra. Nella sua conferenza stampa, tenuta dopo la sentenza nella sede del Sindacato del Lavoratori, Lula ha evidenziato le responsabilità di Bolsonaro nella disastrosa gestione della pandemia, che attualmente conta oltre 300mila morti, dichiarando che attualmente in Brasile non c'è governo e invitando il suo popolo a lottare, con la retorica che lo ha caratterizzato come il presidente più amato della storia democratica del Paese.

Due settimane dopo l'annullamento delle condanne contro Lula, il 23 marzo il Tribunale Supremo Federale ha dato un nuovo scossone allo scenario politico brasiliano. Questa volta la Corte si è pronunciata – con 3 voti favorevoli e 2 contrari – dichiarando parziale la condotta del giudice Sergio Moro nel processo a Lula per corruzione del 2018 e invalidando così la sentenza.

Il primo inaspettato verdetto annullava il risultato di quattro processi in cui Lula avrebbe ricevuto tangenti e proprietà immobiliari vincolate al pervasivo sistema di corruzione della compagnia petrolifera statale Petrobras, da cui è scaturito il maxi processo Lava Jato, in corso a partire dal 2014. In quell'occasione il giudice Edson Fachin, uno degli 11 membri della Corte Suprema, stabiliva che il tribunale di Curitiba – dove il giudice Sergio Moro dirige l'operazione Lava Jato - non aveva le facoltà per occuparsi delle cause di Lula, che sono state quindi riassegnate al tribunale federale di Brasilia. Già da quel momento, per il leader del Partito dei Lavoratori (PT) si è riaperta la possibilità a candidarsi per qualsiasi carico politico. Che cosa aggiunge dunque il secondo verdetto del 23 marzo?

“Nella sentenza precedente, la Corte non entrava nel merito delle accuse” spiega Italo Pires Aguiar, segretario generale della commissione diritti umani dell'Ordine degli Avvocati a Río de Janeiro (OAB/RJ). “Le condanne sono state annullate, ma i quattro processi sarebbero stati trasmessi al tribunale di Brasilia per un nuovo giudizio.” In sostanza, fin qui si trattava di un difetto di giurisdizione, nel verdetto di Fachin non si diceva che Lula era innocente né si metteva in discussione l'operato di Moro, e il nuovo giudice avrebbe potuto decidere se ricominciare da zero la raccolta delle prove o convalidare l'istruttoria già fatta. “In questa nuova sentenza invece la Corte ha dichiarato sospetto Sergio Moro, a causa della sua vicinanza con la difesa, con i suoi protagonisti e argomentazioni, che lo identificano come un giudice di dubbia imparzialità” continua Pires Aguiar. Questo significa che ora i processi a carico di Lula dovranno essere sicuramente riavviati dal principio, ma c'è di più.

L'analisi della condotta di Moro - divenuto un famoso personaggio pubblico con l'enorme operazione giudiziaria Lava Jato - era iniziata già alla fine del 2018, e poi era tornata al centro dell'attenzione pubblica nel giugno 2019 con le rivelazioni del periodico d'inchiesta The Intercept sulle conversazioni tra Moro e il procuratore Deltan Dallagnol. Il materiale reso pubblico mostrava come il giudice orientava e coordinava l'azione dell'equipe di ministeri pubblici, cosa che è espressamente proibita per legge.

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Tuttavia, la decisione di Fachin circa il difetto di giurisdizione implicava archiviare altre richieste presentate dalla difesa di Lula, tra cui anche quella di valutare l'imparzialità del giudice. “La sentenza che annullava le condanne di Lula è stata accolta con sorpresa dall'opinione pubblica, ma non si trattava di una mossa per salvare l'ex presidente” spiega Maria Rosaria Barbato, docente universitaria di Diritto all’Università di Mina Gerais e membro esecutivo dell'Associazione Brasiliana di Giuristi per la Democrazia. “Archiviando le altre richieste di habeas corpus, Fachin intendeva evitare di puntare il dito sul lavoro dell'operazione Lava Jato, che in questi anni ha portato alla sbarra degli imputati decine di dirigenti e figure politiche di rilievo”.

Quel che è successo subito dopo, però, è che un altro magistrato della Corte Suprema, Gilmar Mendes, ha ripreso in mano il processo iniziato contro Moro nel 2018 e ha chiesto una nuova votazione. Dei cinque voti espressi dal collegio della Corte Suprema il 22 marzo, quello decisivo è della magistrata Carmen Lucía, che nel 2018 si era schierata a favore di Moro, mentre questa volta ha riconosciuto la parzialità del suo operato. “Negli ultimi due anni, la Corte ha cominciato a giudicare più severamente gli atti dell'operazione Lava Jato, dichiarando illegali in diverse occasioni le condotte dell'accusa e persino alcune decisioni giudiziarie” spiega l'avvocato Pires Aguiar. “Tutto questo, insieme all'inchiesta di The Intercept e agli argomenti tecnici presentati dalla difesa dell'ex presidente Lula, credo che siano stati elementi decisivi nel far cambiare il parere della magistrata”.

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Sebbene Carmen Lucía  sia stata categorica sul fatto che la decisione vale solo per il processo di Lula in esame, non si può escludere che il precedente giuridico possa portare a riconsiderare gli altri suoi processi e addirittura altre sentenze emesse da Sergio Moro. Nel frattempo, il verdetto è stato impugnato dal procuratore generale della Repubblica. “Si tratta di un caso anomalo e nuovo, tuttavia per noi giuristi democratici è un giudizio definitivo poiché non c'è gerarchia tra il collegio della Corte che ha votato e la plenaria della stessa Corte che dovrebbe confermare o annullare” spiega ancora Barbato.

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In questa nuova deliberazione del 23 marzo la posta in gioco era dunque più alta, non solo per le ricadute concrete sulla situazione giudiziaria di Lula, ma anche per quel che rappresenta Sergio Moro oggi in Brasile. Oltre a far cadere l'intero processo relativo al famoso appartamento triplex sulla spiaggia di Guaruja che Lula avrebbe ricevuto come tangente dalla costruttrice OAS, la sentenza del Tribunale Supremo incrina profondamente la credibilità di Moro e la sua etica professionale come giudice. Ricordiamo ancora che l'indagine “Operação Lava Jato”, iniziata nel 2014, e l'arresto di Lula ordinato quattro anni dopo da una sentenza di Moro, impedirono all'ex presidente del Brasile di candidarsi alle presidenziali del 2018, spianando il cammino per la vittoria di Bolsonaro. Qualche mese dopo Moro lasciò la magistratura per diventare ministro della Giustizia del governo dell'attuale presidente. “Questa serie di fatti ci ha indotti a pensare a come potevano essere concatenati tra loro” argomenta Barbato “e aggiungiamo che Lula è stato assolto in altri otto processi e solo a Curitiba è stato condannato”.

Infine Sergio Moro, che ha rinunciato alla carica di ministro nell'aprile 2020 denunciando “interferenze politiche” di Bolsonaro nella gestione della giustizia, stava cominciando a costruire il proprio cammino come candidato alla presidenza, ma i più recenti sondaggi preannunciano uno scenario nuovamente polarizzato tra le figure di Bolsonaro e Lula da Silva che, sebbene non abbia dichiarato ufficialmente se si presenterà alle prossime presidenziali, ha già cominciato a esporre la sua agenda politica per il Brasile post Bolsonaro.

Immagine anteprima: Agência PT – Partido dos Trabalhadores, Creative Commons 2.0

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