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“Dove sono i nostri figli?”. Reclute russe spedite a combattere in Ucraina, la denuncia dei familiari

13 Marzo 2022 15 min lettura

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“Dove sono i nostri figli?”. Reclute russe spedite a combattere in Ucraina, la denuncia dei familiari

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Madri, nonne, sorelle, fidanzate. Voci forti ma anche impaurite che si sono moltiplicate all'indomani dell'inizio dell'attacco russo all'Ucraina il 24 febbraio. Da qualche giorno era calato un silenzio inquietante, i contatti telefonici con i propri cari si erano interrotti. Senza motivi apparenti. Figli, nipoti, fratelli, fidanzati giovanissimi mandati a combattere, catapultati nel pieno di un conflitto, di una guerra che non si sarebbe conclusa in pochi giorni.

I racconti delle donne russe con un familiare al fronte sono pieni di ansia e di preoccupazione, di dubbi e di incertezze. Ma anche di rabbia e frustrazione. Dover fare i conti con la realtà brutale di uno scontro armato che all'orizzonte non vede, per adesso, alcuna possibilità di tregua, le ha colte impreparate. Qualcuna ha perfino ironizzato, ipotizzando che le notizie trasmesse dai telegiornali fossero solo propaganda occidentale per mettere pressione. Non sarebbe successo. Non poteva accadere, si ripetevano come un mantra. Esorcizzando i propri timori di fronte al precipitare degli eventi.

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Riuscire ad avere informazioni certe sul destino dei militari inviati in Ucraina e sulle perdite dell'esercito russo è difficilissimo. Nessuna smentita, nessuna conferma dal ministero della Difesa quando interpellato. Le cifre ufficiali diramate dalle autorità russe risalgono al 2 marzo, quando è stato diffuso l'unico bollettino dall'inizio dell'invasione: 498 soldati uccisi e 1.597 feriti.

Il portavoce del ministero della Difesa, Igor Konashenkov, ha respinto le notizie di “perdite incalcolabili” tra le forze russe. È “disinformazione”, ha detto. Ha quindi assicurato la popolazione che i familiari dei militari uccisi stanno ricevendo tutta l'assistenza necessaria.

Per il Pentagono le vittime tra i soldati russi – nel periodo compreso tra il 24 febbraio e il 15 marzo – potrebbero attestarsi intorno alle 7.000, sebbene abbia precisato che si tratti di cifre non molto attendibili perché calcolate incrociando informazioni ricavate dall'analisi delle notizie date dai media, di immagini satellitari e video, e da quanto dichiarato da Russia (i cui dati tendono a essere bassi) e Ucraina (i cui dati tendono invece a essere alti).

Fatti e numeri che si contraddicono ma che sono destinati a tradursi prima o poi in nomi, volti, vite, storie di chi non tornerà più e che neanche sapeva quale destino lo stesse aspettando. Perché tra quelli che stanno combattendo c'è anche chi al fronte non immaginava proprio di arrivarci.

Da qualche giorno non riceveva più notizie dal nipote. Così Alevtina si è fatta forza in cerca di ragguagli. Nell'ultimo sms ricevuto il 23 febbraio il ragazzo – cresciuto con lei, orfano di madre da quando aveva sette anni – le ha scritto di trovarsi al confine tra Bielorussia e Ucraina, a un concerto, e che sarebbe tornato a casa presto. Alevtina sapeva che lo avevano trasferito. All'inizio di gennaio il giovane le aveva detto che sarebbe stato mandato in Bielorussia per alcune esercitazioni.

«Ho telefonato all'unità militare di riferimento e mi hanno detto che non aveva lasciato [la Russia]. Ho risposto: 'Ma state scherzando? Mi ha contattato dalla Bielorussia. Non sapete nemmeno dove vanno i vostri soldati?'. Non hanno replicato e hanno riattaccato», ha detto la donna.

Fino a qualche tempo fa il nipote di Alevtina era un coscritto, una recluta. In Russia gli uomini di età compresa tra 18 e 27 anni che non sono esonerati – per motivi di studio o perché genitori di bambini piccoli – sono chiamati a svolgere il servizio di leva per un anno. Nei primi quattro mesi è previsto un addestramento di base.

Alevtina ha spiegato a Novaya Gazeta – il giornale russo indipendente diretto da Dmitrij Muratov, premio Nobel per la pace 2021 – in un articolo pubblicato il 28 febbraio poi rimosso ma disponibile su web archive (dopo l'entrata in vigore della legge che prevede una pena fino a un massimo di quindici anni per i cittadini russi e gli stranieri che diffondono “informazioni false sulle forze armate” e che parlano di “guerra”) che membri delle truppe avevano “convinto” il nipote a firmare un contratto per arruolarsi a contratto nell'esercito, assicurandosi uno stipendio fisso e una pensione certa.

«Gli avevano offerto un contratto. Mi ha chiamato e ha detto che voleva firmarlo. Gli ho detto: 'In ogni caso, non firmare'. 'E perché?', mi ha chiesto. 'Hanno promesso di darmi un sacco di soldi, salirò di grado, imparerò. Anche perché ho già firmato'».

Il ragazzo è diventato pilota in una divisione di fanteria meccanizzata ma i suoi guadagni non gli garantiscono una stabilità economica. Lo stipendio mensile iniziale di 18.000 rubli (poco più di 150 euro, prima del crollo della valuta russa), è passato a 24.000 (200 euro). Appena sufficiente per sopravvivere in una zona rurale del paese. La nonna dice che ha dovuto pagarsi anche l'uniforme. Il guadagno non basta per sostenersi e per questo Alevtina lo aiuta.

«Nonna, sono stanco di tutto, voglio chiudere il contratto», le aveva confidato. Per qualche ragione non ha potuto farlo.

Alevtina è convinta che suo nipote non avesse idea della guerra e della possibilità di andare a combattere in Ucraina.

«Mi ha detto: 'Faremo esercitazioni su esercitazioni ma poi torneremo a casa'», una frase ripetuta dai parenti di molti soldati intervistati dal giornale indipendente russo.

Ad aiutare Alevtina a rintracciare il nipote è Elena che ha un figlio docente di lingua inglese e francese. Attualmente il ragazzo è arruolato in una brigata di fucilieri a motore con il grado di caporale.

Dopo essersi laureato ha iniziato il servizio militare.

A settembre 2021 il giovane, oggi 23enne, ha firmato un contratto di due anni. È entrato a far parte del corpo militare nonostante abbia problemi di salute.

Dopo neanche cinque mesi si è trovato in Ucraina in un'“operazione militare speciale” (come il governo russo impone che venga definita l'invasione). La donna non sa dove si trovi adesso. Se stia bene, se sia vivo.

«Mio figlio è stato ingannato, mio figlio è stato ingannato», ripete, senza darsi pace.

Dalla fine di gennaio il ragazzo si trovava con tutto il suo reparto a Bryansk, una città al confine tra Russia, Bielorussia e Ucraina, per delle esercitazioni. Il 7 febbraio era “moralmente distrutto”: gli era stato comunicato che sarebbe dovuto andare in Bielorussia per esercitazioni congiunte con le truppe del paese che sarebbero dovute terminare il 20 febbraio ma che invece si sono concluse il 16 febbraio.

«Ecco fatto, mamma, abbiamo finito, torniamo a casa» le aveva detto. Elena si era sentita sollevata. Le notizie di alcuni telegiornali su presunte operazioni militari erano quindi solo propaganda.

Ma il 16 febbraio il ragazzo e i suoi colleghi non sono rientrati alla base. Due giorni dopo avrebbero rimontato le tende per continuare le esercitazioni. Il 21 febbraio gli è stato ordinato di spostarsi al confine tra Ucraina e Bielorussia.

Il 24 febbraio, alle cinque e mezza del mattino Elena lo ha sentito per l'ultima volta. In sottofondo il rombo degli aerei e spari. «Mamma, siamo partiti, ti voglio bene. Se ti dicono che sono morto, non ci credere, verifica prima se è vero».

La sera precedente il giovane le aveva raccontato che i superiori li avevano radunati per dirgli che avevano attraversato illegalmente il confine con la Bielorussia, mentre l'ordine che avevano firmato prevedeva che non si muovessero da Bryansk. Avevano disobbedito. Da quel momento, per l'esercito, erano disertori e avevano soltanto due scelte: entrare in un “disbat” (un battaglione disciplinare per scontare la pena per aver contravvenuto agli ordini) o andare in Ucraina. Una trappola per ricattarli.

«Mamma, siamo stati traditi», ha detto il ragazzo.

«Non so più niente di mio figlio. Nessuno sa niente dei propri figli, non ci contattano».

Novaya Gazeta ha cercato tutti i riscontri possibili sulla storia di Elena in un contesto non semplice. Elena ha fornito alla testata tutta la documentazione in suo possesso. Non c'è motivo per non crederle.

Già da metà febbraio, il Comitato delle madri dei soldati – l'organizzazione non governativa nata nel 1989 per denunciare gli abusi e le violazioni dei diritti umani nel sistema militare sovietico e per assistere le famiglie di chi va a combattere – aveva iniziato a ricevere telefonate dai genitori delle reclute che svolgevano il servizio militare obbligatorio. Ripetevano tutti la stessa storia: i figli erano stati costretti a firmare per entrare nell'esercito a contratto oppure erano appena stati mandati nei territori delle unità militari al confine con l'Ucraina.

La presidente del Comitato delle madri dei soldati, Olga Larkina, ha riferito alla testata online indipendente russa Meduza che a metà febbraio la maggior parte dei coscritti era stata mandata nelle strutture militari della regione di Belgorod. Molti genitori non erano a conoscenza delle basi in cui erano stati trasferiti i propri figli o si rifiutavano di dirlo per paura di ritorsioni.

Il figlio di Maria stava svolgendo il settimo mese di servizio militare obbligatorio. Ha parlato l'ultima volta con la madre il 22 febbraio. Era arrivato in una base militare a circa 160 chilometri da Kharkiv, dopo essere stato mandato prima a Luhansk e poi a Kursk.

«Mio figlio mi ha detto che non poteva dire nulla, che era tutto intercettato e che stavano requisendo i cellulari. Ha detto “va tutto bene”, ma cosa significa “bene” quando non puoi parlare? E come può andare tutto bene quando sei in guerra? Non capisco come si possano mandare a combattere i coscritti», si lamenta Maria. «Non posso restare ad aspettare, sto malissimo. Abbiamo creato una chat di gruppo con le madri dei ragazzi che sono al fronte. Una volta una mamma ha scritto: 'Perché mandano i coscritti?'. Il giorno dopo il figlio è stato punito da un ufficiale. Come hanno fatto? Sono entrati nella chat e hanno letto? Dobbiamo fare tutto in segretezza, non si può dire nulla».

Trasferire i coscritti da una base militare all'altra è possibile. «Coinvolgere il personale militare [che sta svolgendo il servizio militare obbligatorio] in esercitazioni e in altre iniziative organizzate dal ministero della Difesa sul territorio della Federazione Russa è perfettamente legale», ha spiegato l'avvocato del Comitato delle madri dei soldati, Alexander Latynin, che ha però specificato che i coscritti che stanno svolgendo la leva da meno di quattro mesi possono prestare servizio nei territori di altri Stati, ma la loro partecipazione a qualsiasi operazione di combattimento è vietata da un decreto presidenziale.

I familiari di un altro coscritto conoscevano queste leggi. Quando il ragazzo ha telefonato per comunicare che lui e i suoi commilitoni erano stati avvertiti che si sarebbero svolte imminenti esercitazioni militari vicino a Voronezh, nessuno è rimasto sorpreso. «Il fatto che fossero stati portati in un altro posto non era strano. Era stato chiesto ad altri prima di loro. Altre persone che hanno prestato servizio hanno raccontato di essere andate a Voronezh per esercitazioni, per cui non eravamo preoccupati, pensavamo che fosse un viaggio programmato e che non ci fossero problemi», spiega Polina, sorella del giovane.

Il giorno successivo all'arrivo a Voronezh i militari sono stati inviati nella regione di Belgorod. L'ultima volta che la famiglia ha sentito il ragazzo è stata il 23 febbraio.

«Ci ha chiamato per avvertirci che dove si trovava non c'era una buona connessione Internet. Gli era stato detto che avrebbe potuto comunicare con noi. Ma poi non ha chiamato. Avevamo pensato che fosse a causa della cattiva connessione. Ma adesso è tutto chiaro», dice Polina.

La ragazza non sa se nel frattempo il fratello sia diventato un soldato a contratto ma ciò di cui è a conoscenza è che sta prestando servizio da meno di tre mesi.

Per legge, se un coscritto è disposto a entrare in guerra sotto contratto, può farlo dopo aver svolto almeno tre mesi di servizio militare. Può scegliere di farlo anche dopo un mese soltanto ma la possibilità è subordinata al tipo di formazione ricevuta.

«Le madri ci stanno raccontando che i loro figli le hanno chiamate dicendo che sono stati costretti a firmare contratti. Non è giusto costringere un coscritto a diventare un soldato.», ha spiegato Larkina.

La presidente del Comitato delle madri dei soldati ritiene che le reclute siano state costrette a firmare contro la loro volontà oppure che i documenti militari gli siano confiscati e che vi sia stato apposto un timbro a loro insaputa.

Oxana vive a Odintsovo, appena fuori dal distretto di Mosca, e sta vivendo lo stesso incubo: sa che il 23 febbraio suo figlio si trovava a 20 chilometri dal confine con l'Ucraina, che gli hanno requisito documenti militari e cellulare. Nel frattempo, però, sono arrivati altri coscritti che avevano ancora i propri cellulari. Il ragazzo è riuscito a chiamarla prestando il caricabatteria a un commilitone che in cambio gli ha permesso di telefonare. Tutto ciò che Oxana sa è che suo figlio diciannovenne si trovava vicino al confine nell'area di Kharkiv. Il suo timore è che si stia ripetendo quello che è già successo al figlio maggiore, nel 2014, quando era coscritto.

«Quando è iniziata questa situazione disastrosa con l'Ucraina, è tornato dall'esercito con il timbro sui suoi documenti. Era diventato un soldato a contratto.'Hanno appena timbrato i nostri documenti, mamma, non abbiamo firmato nulla', mi disse», ha raccontato la donna ad Haaretz.

I due figli di Oxana sono oggi entrambi al fronte.

«Mio figlio ha iniziato il servizio militare la scorsa primavera, gli restano altri cento giorni», dice, riferendosi al più giovane. «Tutta la mia famiglia materna è in Ucraina, a Leopoli. Ho detto a mio figlio più piccolo di dire che ha parenti in Ucraina. Anche il mio figlio maggiore lo ha fatto. Puoi immaginare cosa accadrebbe se i miei nipoti si trovassero da un lato e i miei figli dall'altro?» dice, in preda all'emozione. «Mia sorella ed io piangiamo da giorni. Lei lì e io qui. Come possono portarsi i nostri figli? Come?» si chiede. «Perché l'ho lasciato andare? Sono stata così sprovveduta. Perché ho creduto in questo stupido esercito?».

Il passaggio da coscritti a soldati sotto contratto è un processo lungo che comporta la compilazione di molti documenti, specifica l'avvocato Latynin. «Questa procedura richiede almeno un mese e qualche volta si protrae fino a tre o a quattro mesi. Per alcuni militari anche sei mesi», ha aggiunto. Sulle notizie fornite dalle madri secondo cui i propri figli siano stati costretti sotto pressione a firmare, la risposta di Latynin è chiara: “Quando vogliono e ne hanno davvero bisogno, alcune persone, inclusi alcuni funzionari, infrangono la legge».

Nei giorni scorsi le autorità ucraine hanno organizzato conferenze stampa a cui hanno partecipato prigionieri di guerra russi che sono stati interrogati sull’invasione. In alcuni video pubblicati sui social media sono stati mostrati militari catturati mentre contattavano i familiari in Russia. Varie foto di soldati caduti nelle mani della parte avversa sono state condivise sul web.

Amnesty International ha ricordato che i diritti dei soldati russi catturati durante l’invasione dell’Ucraina sono protetti dalla Terza Convenzione di Ginevra.

«L’articolo 13 della Terza Convenzione di Ginevra afferma espressamente che i prigionieri di guerra devono essere protetti in tutti i tempi, in particolare rispetto alla curiosità pubblica. È dovere delle autorità che li hanno posti in detenzione assicurare che i diritti dei prigionieri di guerra siano adeguatamente rispettati sin dal momento della cattura», ha dichiarato Joanne Mariner, direttrice del programma Risposta alle crisi di Amnesty International.

Come ricordato in un comunicato stampa l’articolo 13 della Convenzione di Ginevra afferma: “I prigionieri di guerra devono essere sempre trattati con umanità. Ogni azione illegale od omissione da parte della Potenza detenente che causi la morte o minacci gravemente la salute di un prigioniero di guerra sono proibite e saranno considerate gravi violazioni della presente Convenzione. In particolare, nessun prigioniero di guerra potrà essere sottoposto a mutilazioni fisiche o a esperimenti medici o scientifici di qualsiasi genere che non siano giustificati da trattamenti medici, dentistici od ospedalieri del prigioniero e non siano fatti nel suo interesse. Parimenti, i prigionieri di guerra devono essere sempre protetti, soprattutto nei confronti di atti di violenza o intimidazione e dalle offese e dalla curiosità pubblica”.

Il commento interpretativo del Comitato internazionale della Croce rossa specifica che “ogni tipo di materiale che consenta l’identificazione di prigionieri di guerra dev’essere considerato come una sottoposizione alla curiosità pubblica e dunque non può essere trasmesso, pubblicato o mandato in onda”.

Ciononostante molto materiale è stato condiviso.

Il 4 marzo sulla sua pagina Facebook, un consigliere del ministero dell'Interno ucraino, Anton Gerashchenko, ha pubblicato un elenco di nomi di circa cento soldati russi catturati. Ha esortato le madri dei militari a contattare un numero telefonico dedicato, messo a disposizione dal ministero della Difesa, per verificare se i propri figli fossero stati presi dalle forze ucraine invitandole a riprenderseli, perché glieli avrebbero restituiti.

“Madri della Russia, venite a Kiev a prendere i vostri figli”, si legge nel post. “Dopo l'inferno che hanno sopportato invadendo la nostra terra, sappiamo per certo che nessuno di loro alzerà mai più un dito contro l'Ucraina!”.

Sul portale web ucraino “Cerca il tuo” ( Ищи своих) da qualche giorno vengono pubblicati video, foto e informazioni sui soldati russi catturati e uccisi. Il sito è stato bloccato in Russia ma è possibile accedervi tramite VPN. In alternativa si può utilizzare il canale Telegram collegato, attualmente seguito da più di 814.000 iscritti. È lì che le donne russe si ritrovano sperando che i propri ragazzi siano ancora in vita. Un archivio di immagini strazianti di corpi esanimi a volte neanche riconoscibili, nomi e cognomi, date di nascita, documenti, volti spaventati di ragazzi ventenni. Il racconto crudo e feroce di una guerra che avrebbe dovuto essere risparmiata almeno a chi esperienza non ne ha o non ne ha abbastanza.

Il 5 marzo è stato pubblicato online un video amatoriale in cui si vede il governatore della regione siberiana di Kemerovo, Sergei Tsivilyov, dibattere in modo molto acceso con i cittadini di Novokuznetsk che lo accusano di aver mandato in Ucraina un'unità antisommossa della polizia locale.

Nel filmato, pubblicato per la prima volta da Radio Free Europe (RFE), si sente una donna urlare: «Hanno mentito a tutti, hanno ingannato tutti... Perché li hai mandati lì?».

«Nessuno ha mentito a nessuno», risponde Tsivilyov.

E un'altra donna aggiunge: «Non sapevano niente, sono stati mandati come carne da cannone».

Secondo una ricostruzione molto dettagliata di RFE il confronto sarebbe avvenuto il 5 febbraio nella palestra di una struttura di addestramento delle unità antisommossa della polizia. Alcuni membri sarebbero stati uccisi o catturati in Ucraina. Chi è presente all'incontro sostiene che i loro “ragazzi” fossero impreparati a compiere un'invasione e che “non fossero a conoscenza dell'obiettivo”.

Nel video Tsivilyov difende l'invasione, sostenendo che le azioni della Russia in Ucraina “non dovrebbero essere criticate”.

«Potete urlare e incolpare tutti in questo momento ma penso che, con un'operazione militare ancora in corso, non si debbano trarre conclusioni», dice Tsivilyov.

«Non dovremmo criticare. [Lo faremo] quando finirà e finirà presto», prosegue prima dell'intervento di una donna che gli replica: «[Vuoi dire] quando tutti moriranno?».

Il governatore non è responsabile della decisione di schierare l'unità che sarebbe stata presa dalla guardia nazionale del paese, una forza militare interna separata che dipende direttamente da Mosca.

Il 7 marzo il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che coscritti e riservisti non sono stati mandati a combattere in Ucraina e che il conflitto è guidato da soldati “professionisti” per soddisfare gli “obiettivi prefissati”.

«Le reclute non partecipano e non parteciperanno ai combattimenti. Non è previsto neanche l'arruolamento aggiuntivo di riservisti», ha detto Putin in un discorso televisivo in occasione della Giornata internazionale della donna l'8 marzo, rassicurando così madri, nonne, sorelle e fidanzate russe.

«Gli obiettivi prefissati sono perseguiti solo da militari professionisti. Sono sicuro che stanno garantendo sicurezza e pace al popolo russo in modo efficace», ha aggiunto.

Il giorno dopo il ministero della Difesa russo ha smentito il presidente confermando la presenza dei coscritti nel personale militare coinvolto nell'operazione in corso in Ucraina. Il portavoce del ministero, Igor Konashenkov, ha infatti detto che “alcuni coscritti” erano stati catturati dalle forze armate ucraine, aggiungendo che “quasi tutti” erano stati richiamati dal territorio ucraino.

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La notizia era già emersa il 4 marzo quando la senatrice Lyudmila Narusova ha riferito al Consiglio federale russo di aver appreso che i coscritti che erano stati costretti a firmare contratti per il servizio militare o per i quali era stato firmato un contratto a loro insaputa erano stati richiamati dalle zone di combattimento, ma che intanto di una compagnia formata da cento unità ne erano rimasti solo in quattro. La senatrice ha inoltre aggiunto di aver chiesto al ministero della Difesa russo la conferma di queste informazioni. La sua richiesta è stata respinta.

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha riferito che Putin ha ordinato all'ufficio del procuratore militare di indagare sulla presenza dei coscritti in Ucraina e di punire i funzionari che hanno consentito il loro coinvolgimento.

Una guerra di bugie e sangue.

Immagine in anteprima via Illia Ponomarenko

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