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La polizia americana, Taylor Swift e il copyright come strumento di censura

4 Luglio 2021 8 min lettura

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La polizia americana, Taylor Swift e il copyright come strumento di censura

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La sera del 25 maggio 2020 Darnella Frazier si reca col cugino di 9 anni al negozio di alimentari Cup Foods sulla trentottesima strada a Chicago. Prima di entrare nel negozio vede la polizia che trattiene un uomo di colore sul marciapiedi di fronte. La scena la colpisce, e inizia a filmarla col suo smartphone. Nel video si vede un poliziotto che blocca a terra l’uomo, tenendogli un ginocchio sul collo. Dopo poco l’uomo comincia a lamentarsi: “Non riesco a respirare”, “per favore”, “non uccidermi”, e poi “mamma”. Il video dura 10 minuti e 9 secondi, Frazier lo posterà su Facebook alle ore 1:46 del 26 maggio con la didascalia: “They killed him right in front of cup foods over south on 38th and Chicago!! No type of sympathy 💔💔#POLICEBRUTALITY”.

Il dipartimento di polizia rilascia una dichiarazione sulla morte di George Floyd, sostenendo che l’uomo sarebbe morto a seguito di problemi di salute durante un intervento della polizia. Alle 3:10 del mattino Frazier aggiunge sul suo profilo: “Problemi di salute??? Attenzione, lo hanno ucciso e la prova è chiaramente lì”. In una dichiarazione rilasciata dal suo avvocato, Frazier dice di aver registrato perché sapeva che altrimenti nessuno le avrebbe creduto.

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Il video girato dalla diciassettenne, oltre a quelli di altri cittadini, ha contribuito a smontare la falsa narrazione della polizia, consentendo di giungere alla condanna dell’ex agente di polizia Derek Chauvin, inginocchiato per 9 minuti e 29 secondi sul collo di George Floyd. La condanna di Chauvin è stata descritta in tanti modi: c’è chi ha parlato di sgretolamento del muro di omertà che copre i misfatti della polizia americana, chi ha sostenuto che si è trattato solo di scaricare l’indifendibile, additando l’unica mela marcia, ma comunque la si pensi il dato fondamentale è che il coraggio di una diciassettenne ha probabilmente cambiato la storia.

Darnella Frazier diventa testimone fondamentale per un brutale e ingiustificato omicidio, autrice di un documento giornalistico unico, che avrà un impatto a livello mondiale. Frazier riceverà una menzione speciale dal comitato del Pulitzer con la giustificazione che il video “ha stimolato le proteste contro la brutalità della polizia in tutto il mondo, evidenziando il ruolo cruciale dei cittadini nella ricerca della verità e della giustizia da parte dei giornalisti”. Inoltre riceverà il Benenson Courage Award direttamente dalla mani di Spike Lee: “Con nient'altro che un telefono cellulare e il suo coraggio, Darnella ha cambiato il corso della storia in questo paese, innescando un forte movimento che chiede la fine del razzismo sistemico e della violenza per mano della polizia. Senza la presenza di spirito e la prontezza di Darnella a rischiare la propria sicurezza, potremmo non aver mai saputo la verità sull'omicidio di George Floyd".

Lo stesso procuratore generale del Minnesota Keith Ellison ammette che il video è un “pezzo indispensabile” del caso giudiziario, aggiungendo che aveva molti dubbi che avrebbe saputo come è realmente morto Floyd se non fosse stato per quelle immagini.

Tornata il giorno dopo sul luogo del delitto Darnella Frazier dirà semplicemente: “È così traumatizzante!”.

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Generazione Z

Darnella Frazier appartiene alla generazione della tecnologia a buon mercato, che permette di registrare e documentare ciò che ci circonda, ciò che avviene intorno a noi, compreso ciò che accade a noi stessi. Per i neri americani ma anche per i latinos, la tecnologia mobile è un elemento fondamentale delle comunicazioni, così come in genere per tutte le popolazioni vulnerabili. Negli anni si sono moltiplicate le registrazioni di abusi e violenze perpetrati dalla polizia americana (ma non solo), rivelando al mondo quanto può essere profondo il terrore istituzionale. Gli smartphone hanno permesso di riformulare la narrazione che circonda i neri, mettendo in dubbio le spiegazioni di comodo, l’opinione pubblica ha gradualmente preso atto che la narrazione istituzionale ha molti, forse troppi buchi, accrescendo così il timore verso quelle stesse persone che dovrebbero garantire la pubblica incolumità.

Il destino di George Floyd è sorprendentemente simile a quello di tanti altri, da Emmett Till, linciato a 14 anni nel 1955, a Eric Garner fino a Michael Brown solo per citarne alcuni da un lungo elenco. Il primo brutale omicidio di questo tipo registrato da un cellulare è quello di Oscar Grant, nel 2009. Ma la registrazione video, che mostra un agente di polizia che spinge a terra il ventiduenne per poi sparargli senza alcun motivo, non raggiungerà il grande pubblico, perché i social media all’epoca non erano ancora così diffusi (Facebook aveva solo 150 milioni di utenti).

Mentre le aziende tecnologiche magnificano i megapixel e i multipli obiettivi dei loro prodotti, le fotocamere danno agli smartphone un nuovo scopo, diventano il modo per documentare l’ingiustizia e gli abusi, per spiegare la violenza a chi non ci crede. La Generazione Z ha affinato la sua capacità di narrazione come reporter della propria stessa esistenza. Ma senza la condivisione sui social media le registrazioni video hanno scarsissima presa sull’opinione pubblica.

È la combinazione di smartphone e social media che ha generato una vera e propria rivoluzione dando potere al pubblico, il citizen journalism che più di una volta ha permesso di ribaltare la narrazione istituzionale. È il video che, da solo, parla nella sua oggettiva e indiscutibile brutalità.

Abuso del copyright

L’accoppiata smartphone e social media sta, quindi, facendo emergere le brutalità della polizia americana. Ed è quindi paradossale che la polizia abbia trovato, forse, un rimedio all’esposizione mediatica dei propri abusi, nello sfruttamento delle norme in materia di copyright create specificamente per l'ecosistema digitale.
Da tempo alcuni poliziotti negli Usa, infatti, quando si accorgono di essere registrati dai cittadini, suonano tramite i loro smartphone canzoni di artisti famosi. In questo modo, sostengono, i video non saranno caricabili sui social media (es. Youtube), perché le piattaforme devono rimuovere video che contengono musica soggetta a copyright.

Nel febbraio 2021 l’attivista Sennet Devermont registra una conversazione con un agente riguardo un intervento particolarmente brutale della polizia di Los Angeles, l’agente inizia a riprodurre Santeria dei Sublime dal suo telefono. Pochi giorni fa il vice sceriffo della contea di Alameda, David Shelby, ammette espressamente lo scopo della musica, nel caso specifico Blank Space di Taylor Swift: “Puoi registrare tutto quello che vuoi, tanto non può essere pubblicato su YouTube”.

Il video è stato registrato dall’APTP, un’associazione che si occupa di documentare le violenze della polizia, in occasione dell’udienza contro il poliziotto che ha sparato a Steven Taylor. In particolare si vede il direttore dell’associazione, James Burch, che pone domande al vice sceriffo (che si lamentava per la presenza di uno striscione). La velocità (un paio di click) con la quale l’agente attiva la musica sembra propendere per un qualcosa di già studiato e preparato. Si tratta dell’evoluzione di una strategia? Lo scorso anno durante le proteste di Black Live Matters i ricercatori del database sulle violazioni del copyright Lumen notano vari casi di rimozioni di video per la presenza di musica di sottofondo nei video. Allora si trattava di fenomeni isolati, e adesso?

In realtà il video di Alameda è tutt’ora presente su Youtube, ma a causa delle politiche della piattaforme del web in materia di copyright è possibile che video di questo tipo siano rimossi per la presenza di musica soggetta a copyright in sottofondo.

Giuridicamente il problema riguarda il cosiddetto “uso accidentale” di opere protette, cioè se è possibile dimostrare che l’uso della canzone è puramente accidentale non sussiste violazione. Tra i fattori che entrano in gioco c’è il tempo della canzone, se ci sono tagli di non oltre 10 secondi, se la musica è difficilmente udibile (ovattata) e così via. In un caso del genere è abbastanza evidente che il video non riguarda la musica, quindi non dovrebbe essere considerata una violazione del copyright, purtroppo i filtri di caricamento delle piattaforme del web non effettuano alcuna verifica “legale” del video, ma si limitano a stabilire se c’è una corrispondenza tra la musica del video (anche se in sottofondo) e musica protetta da copyright, nel quale caso il video viene etichettato come “in violazione” e poi spetta al titolare dei diritti stabilire cosa farne. Questi potrebbe monetizzare il video (viene inserita la pubblicità e ci guadagna) oppure decidere di segnalarlo come violazione del copyright, e quindi sarebbe rimosso.

In questo modo gli agenti di polizia potrebbero assicurarsi che ciò che fanno, anche se registrato (negli Usa è legittimo registrare la polizia, purché ciò non interferisca con il loro lavoro, ma ovviamente c’è sempre il rischio di ritorsioni successive), non finisca sui social media e quindi non raggiunga l’opinione pubblica.

La prima considerazione è che il poliziotto è un pubblico ufficiale in servizio, in un’area pubblica e quindi soggetto alla verifica dei cittadini, ma ammette chiaramente di utilizzare un escamotage per sottrarsi al controllo pubblico del proprio operato. Comunque appare evidente che si tratta dell’ennesimo caso di abuso di copyright a fini di censura, per non far arrivare alla pubblica opinione delle notizie o informazioni.

Di episodi di questo tipo se ne contano molti, come il caso recente del governo tedesco che propone un’azione inibitoria al fine di far rimuovere dei video non sulla base della riservatezza dei documenti (in quanto era estremamente probabile che i documenti sarebbero stati ritenuti di interesse pubblico) ma invocando il copyright. Si tratta degli “Afghanistan Papers”, i rapporti riservati delle operazioni svolte tra il 2005 e il 2012. Secondo l’AG europeo Szpunar la protezione del copyright non è invocabile con riferimento a rapporti militari, e quindi non è possibile invocare il copyright per impedire la pubblicazione di documenti di interesse pubblico. Cioè, il copyright non è ammissibile a fini di censura. Eppure la Corte di Giustizia UE decide che è il tribunale nazionale a dover stabilire se un rapporto militare è dotato di creatività tale da poter essere definito “opera” tutelabile in base al copyright. In tal caso la libertà di espressione non sarebbe in grado di giustificarne la pubblicazione in deroga alle norme sul diritto d’autore, aprendo così la strada alla possibilità di censurare documenti di rilevante interesse per il pubblico utilizzando la normativa in materia di copyright, anche quando le norme sulla riservatezza dei documenti non consentirebbero tale censura.

Il governo tedesco prova a fermare la pubblicazione degli Afghanistan Papers invocando il copyright

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In un mondo ideale i cittadini non dovrebbero aver necessità di registrare le azioni della polizia, cioè di coloro che dovrebbero proteggerli, ma è evidente che le forze di polizia non si assumono sempre le responsabilità dei propri errori ed abusi. Per questo in una democrazia la trasparenza dell’azione dello Stato è un elemento indispensabile. Ed è assurdo che questa trasparenza possa essere compromessa per questioni di copyright. È l’ennesima prova che il copyright ha ormai da tempo superato ampiamente i suoi scopi, quelli di incoraggiare la creatività dando agli artisti un periodo limitato di diritti esclusivi, finendo per essere una scappatoia da sfruttare da parte della autorità. Il copyright serve interessi puramente economici, qui invece stiamo parlando di qualcosa di molto diverso, stiamo parlando di democrazia e trasparenza, di censura e controllo dell’informazione.

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