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La morte di George Floyd, le proteste, gli infiltrati, la violenza della polizia. Cosa sappiamo sul caso che sta infiammando gli Usa

1 Giugno 2020 27 min lettura

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La morte di George Floyd, le proteste, gli infiltrati, la violenza della polizia. Cosa sappiamo sul caso che sta infiammando gli Usa

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Condannato a 22 anni e mezzo di carcere l'ex agente di polizia che ha ucciso George Floyd

Aggiornamento 26 giugno 2021: È stato condannato a 22 anni e mezzo di carcere l'ex agente di polizia Derek Chauvin, colpevole di aver ucciso il 25 maggio 2020 l'afroamericano George Floyd.

A pronunciare la sentenza il giudice della Contea di Hennepin Peter Cahill che ha dichiarato di aver basato la sua decisione sui fatti senza lasciarsi influenzare dall'"opinione pubblica".

Qualche minuto prima Chauvin si era rivolto per la prima volta ai membri della famiglia Floyd presenti in aula porgendo le sue condoglianze.

Negli Stati Uniti raramente agenti della polizia sono accusati di omicidio mentre si trovano in servizio e le condanne sono ancora meno comuni. Secondo i dati forniti da Philip M. Stinson, un criminologo della Bowling Green State University, dal 2005 11 agenti, tra cui Chauvin, sono stati condannati per il reato di omicidio con pene che vanno da più di sei anni di carcere all'ergastolo.

Chauvin è il secondo agente di polizia a essere condannato nella storia del Minnesota.

Sebbene la giuria lo abbia ritenuto colpevole di tre capi di imputazione – omicidio di secondo grado non intenzionale, omicidio colposo di secondo grado e omicidio di terzo grado – Chauvin sconterà solo la pena relativa all'accusa più grave, l'omicidio di secondo grado non intenzionale.

Per quel tipo di reato le linee guida statali raccomandano una pena che va dagli 11 ai 12 anni di carcere per chi non ha precedenti penali.

Cahill ha però stabilito che i pubblici ministeri avevano dimostrato che nel caso di Chauvin c'erano quattro fattori aggravanti che richiedevano una condanna più dura: la particolare crudeltà del gesto, l'abuso della sua posizione di potere, l'aver agito con la partecipazione di altre tre persone e l'aver commesso il crimine in presenza di minori.

In un memorandum di 22 pagine che accompagna la sentenza, Cahill scrive che solo i primi due fattori hanno contribuito alla decisione di prevedere una pena maggiore. Chauvin ha agito con particolare crudeltà – ha scritto il giudice – provocando una morte lenta, non riuscendo a prestare aiuto, rifiutando i suggerimenti di riposizionare il signor Floyd in modo che potesse respirare e impedendo agli astanti di intervenire.

Chauvin “è rimasto oggettivamente indifferente” – si legge – nonostante “Floyd stesse implorando per la sua vita e fosse ovviamente terrorizzato dalla consapevolezza che sarebbe potuto morire”.

Dai 22 anni e mezzo previsti verranno sottratti i giorni già trascorsi in detenzione – 199 – che includono il periodo da quando Chauvin è stato incarcerato nel maggio 2020 a quando è stato rilasciato su cauzione nell'ottobre 2020 e quello immediatamente successivo alla condanna che parte dal 20 aprile. Secondo le linee guida statali, l'uomo probabilmente rimarrà in carcere meno di 15 anni, scontando il resto della pena in libertà vigilata.

Per i familiari di George Floyd si tratta di una pena insufficiente. Ciononostante sono comunque grati perché i 22 anni e mezzo di detenzione costringono Chauvin a un'assunzione di responsabilità.

La loro speranza è che l'ex agente di polizia sia condannato anche per le accuse federali a suo carico sulla morte di Floyd che allungherebbero il periodo da trascorrere in carcere.

Derek Chauvin il poliziotto che ha ucciso George Floyd è stato giudicato colpevole per tutti e tre i capi di imputazione

Aggiornamento 20 aprile 2021: Colpevole di tutti e tre capi d'accusa: omicidio di secondo grado non intenzionale, omicidio colposo di secondo grado e omicidio di terzo grado. Questo il verdetto raggiunto dopo dieci ore in camera di consiglio dai dodici componenti della giuria (sette donne e cinque uomini, sei bianchi, quattro neri, due multirazziali) per l'omicidio di George Floyd avvenuto il 25 maggio per mano dell'ex agente di polizia Derek Chauvin.

In base ai risultati dell'autopsia indipendente George Floyd è morto per asfissia

Aggiornamento 1 giugno 2020: In base ai risultati della seconda autopsia chiesta dai familiari, George Floyd è morto per “asfissia meccanica” dovuta alla pressione esercitata sul collo e sulla schiena che ha compromesso il flusso sanguigno e la respirazione. L’esame è stato condotto dalla dottoressa Allecia Wilson, patologa forense dell’Università del Michigan che ha definito la morte di Floyd, “un omicidio”, e dal dottor Michael Baden, ex primario di medicina legale a New York che nel 2014 ha svolto l'autopsia di Eric Garner, un afroamericano deceduto per strangolamento durante l’arresto e che prima di morire aveva pronunciato le stesse parole di George Floyd: “Non riesco a respirare”.

«Non è stato soltanto il ginocchio sul collo di George ad aver causato la sua morte, ma anche la pressione sulla schiena degli altri due poliziotti, che non solo hanno impedito il flusso di sangue nel cervello, ma anche quello di aria nei polmoni», ha detto Antonio Romanucci, uno degli avvocati della famiglia Floyd.

«Per George Floyd, l'ambulanza è stato il suo carro funebre», ha dichiarato Benjamin Crump, l’avvocato che guida il team legale della famiglia Floyd.

L’autopsia - ha dichiarato Baden - mostra che Floyd non soffriva di problemi di salute che hanno potuto causare la sua morte o contribuirvi.

L’esito degli esami ha così contraddetto le risultanze dell’autopsia condotta dal medico legale della Contea che escludeva che la morte fosse dovuta ad asfissia o strangolamento e che ipotizzava che il decesso fosse stato determinato da preesistenti cattive condizioni di salute.

Poco dopo l'esito dell'autopsia indipendente, l'ufficio del medico legale della Contea di Hennepin ha pubblicato un aggiornamento dei risultati degli esami effettuati in cui dichiara che George Floyd è morto “per arresto cardiopolmonare mentre era immobilizzato dalle forze dell'ordine”. Nel documento si legge, inoltre, che George Floyd soffriva di patologie cardiache e che aveva fatto uso di fentanil e metanfetamina.

Intanto domenica 31 maggio, Derek Chauvin, l'agente di polizia arrestato per la morte di George Floyd, è stato trasferito nella prigione di massima sicurezza del Minnesota in attesa dell’udienza preliminare fissata l'8 giugno.

George Perry Floyd, afroamericano, era nato nella Carolina del Nord, 46 anni fa. Ancora bambino si era trasferito a Houston, Texas, con la madre e i fratelli dove è cresciuto. Era un atleta talentuoso sia nel calcio che nel basket. Quattro o cinque anni fa, dopo essere stato in carcere, aveva deciso di riscattarsi scegliendo di vivere a Minneapolis dove - come racconta la cugina Tera Brown - era finalmente sereno. Padre di due figli, di cui una di sei anni, Gianna. Roxie Washington, madre della bambina, lo descrive come un papà affezionato. «La gente era tratta in inganno vedendolo così grande e grosso e pensava fosse sempre pronto a combattere. Ma era una persona amorevole e amava sua figlia».

Da marzo Floyd era alla ricerca di una nuova occupazione perché il ristorante dove lavorava, il Conga Latin Bistro, aveva chiuso a causa del nuovo coronavirus e la sua attività di camionista si era fermata.

Lunedì 25 maggio, alle 21.25, è stato dichiarato morto dal medico legale dell'ospedale della Contea di Hennepin, in Minnesota.

Poco più di un'ora prima era stato fermato a Minneapolis dalla polizia, ammanettato e immobilizzato. La scena, ripresa in un video da una ragazzina di 17 anni che l'ha pubblicata su Facebook, ha provocato l'indignazione della comunità, l'apertura di un'indagine dell'FBI, il licenziamento dei quattro agenti coinvolti, Derek Chauvin, J. Alexander Kueng, Thomas Lane, Tou Thao, e l'arresto di uno di loro, il 44enne Chauvin, che per otto minuti e quarantesei secondi lo ha bloccato a terra con il ginocchio uccidendolo mentre si trovava in custodia, come titola il New York Times che ha ricostruito la vicenda.

Tutto è scaturito dalla denuncia di una banconota falsa. Floyd aveva acquistato un pacchetto di sigarette in un minimarket, dove era cliente abituale, pagando con una banconota di 20 dollari. Ritenendo che fosse contraffatta, un impiegato del negozio ha chiamato alle 20.01 la polizia dopo che Floyd si era rifiutato di restituire il pacchetto di sigarette.

Successivamente alla telefonata, alle 20.08, sono arrivati due poliziotti. Floyd era seduto con altre due persone in un'auto parcheggiata nei pressi del negozio.

Come riportato nella denuncia della polizia, dopo essersi avvicinato alla macchina, uno degli agenti, Thomas Lane, ha estratto la pistola e intimato a Floyd di mostrargli le mani, tirandolo fuori dall'auto per ammanettarlo. In quel momento Floyd avrebbe opposto resistenza.

Dopo avergli messo le manette, una volta calmato, Lane lo ha portato sul marciapiede adiacente all'auto dove si trovava, lo ha fatto sedere, lo ha identificato e gli ha spiegato di averlo arrestato per "circolazione di monete contraffatte".

Quando, alle 20.14, Lane e Kueng hanno provato a farlo salire nell'auto della polizia Floyd "si è irrigidito, è caduto a terra e ha detto agli agenti di essere claustrofobico".

Nel frattempo erano arrivati, con un'altra auto, gli agenti Derek Chauvin e Tou Thao.

Nel documento della polizia si legge che i poliziotti avevano tentato varie volte di far salire Floyd sul sedile posteriore dell'auto e che l'uomo sarebbe caduto intenzionalmente, dopo aver lottato con gli agenti, mentre diceva che non sarebbe entrato in macchina e rifiutandosi di rimanere immobile.

Alcune riprese di altri video emersi nei giorni scorsi dimostrano che Floyd non ha mai reagito così come descritto dagli agenti.

Ancora in piedi, Floyd ha iniziato a ripetere di non riuscire a respirare. Alle 20.19, durante un tentativo in cui Chauvin ha cercato, insieme ad altri due agenti, di farlo entrare in macchina, Floyd è caduto con la faccia rivolta verso il basso.

Mentre un agente gli bloccava la schiena e un altro le gambe, Chauvin gli ha messo il ginocchio sinistro tra la testa e il collo. Nonostante Floyd abbia detto più volte di non riuscire a respirare, invocando la madre e pregandoli di fermarsi, gli agenti sono rimasti immobili nelle rispettive posizioni.

Alle 20.24, Floyd ha smesso di muoversi. Dopo un minuto, di respirare e parlare.

Alle 20.27 Chauvin ha sollevato il ginocchio dal collo di Floyd.

Trasportato con un'ambulanza al Centro medico, Floyd è morto dopo circa un'ora.

Il 26 maggio il medico legale della contea di Hennepin ha eseguito l'autopsia. I primi risultati hanno riportato che ”non ci sono riscontri fisici a sostegno di una diagnosi di asfissia o strangolamento” e che l'uomo soffriva di cardiopatia coronarica e ipertensione ipotizzando quindi che “gli effetti combinati dell'immobilizzazione della polizia, delle sue condizioni di salute e di potenziali sostanze tossiche nel suo sistema hanno probabilmente contribuito alla sua morte”.

Con una dichiarazione rilasciata sabato 30 maggio il team legale che rappresenta la famiglia di George Floyd, guidato dall'avvocato Benjamin Crump, ha dichiarato che un'altra autopsia verrà eseguita da un medico legale indipendente.

Come racconta BBC News, la sera prima della sua morte, Floyd aveva parlato di lavoro con uno degli amici più cari, Christopher Harris, che gli aveva consigliato di contattare un'agenzia di lavoro interinale.

Per lui la falsificazione, ha detto Harris, era inconcepibile.

«Il modo in cui è morto è assurdo», ha proseguito. «Ha implorato per la sua vita. Ha supplicato per la sua vita. Quando ti sforzi così tanto nel riporre fede in questo sistema, un sistema che sai che non è pensato per te, quando cerchi costantemente la giustizia con mezzi leciti e non puoi ottenerla, inizi a farti giustizia con le tue mani».

Quando venerdì 29 maggio Derek Chauvin è stato accusato di omicidio di terzo grado (colposo) e di omicidio di secondo grado (preterintenzionale), accuse che insieme potrebbero determinare una pena massima di 35 anni, i familiari di George Floyd hanno accolto la notizia dichiarando che si trattava di "un passo positivo, ma tardivo, verso la giustizia" e che non ritenevano le accuse adeguate.

"Ci aspettavamo un'accusa di omicidio di primo grado", riporta una dichiarazione rilasciata dall'avvocato Crump. “Vogliamo sia formulata un'accusa di omicidio di primo grado. E vogliamo che gli altri agenti siano arrestati".

"Il dolore che la comunità afroamericana prova per questo omicidio - e ciò che significa rispetto al trattamento degli afroamericani in America - è vivo e si sta diffondendo nelle strade di tutto il paese", si legge.

Nei venti anni in cui ha prestato servizio e prima di essere accusato dell'omicidio di Floyd, Derek Chauvin era già stato denunciato diciassette volte. Soltanto in un caso la denuncia si è risolta in un'azione disciplinare.

Domenica sera, replicando a una domanda di Philonise Floyd, fratello di George, che in diretta alla CNN gli ha chiesto se credesse che anche gli altri tre agenti presenti dovessero essere arrestati, il capo della polizia di Minneapolis Medaria Arradondo, dopo essersi tolto il cappello in segno di rispetto, ha detto di ritenere che tutti e quattro gli agenti coinvolti nella morte di Floyd abbiano uguale responsabilità.

«Il signor Floyd è morto nelle nostre mani per cui la considero complicità», ha dichiarato a Sara Sidner della CNN. «Silenzio e inazione, sei complice. Se soltanto un'unica voce fosse intervenuta... è quello che avrei sperato».

Proteste per la morte di George Floyd e, più in generale, contro la discriminazione razziale nella giustizia penale americana, si sono diffuse in tutta l'America a partire da martedì notte.

Manifestazioni pacifiche si sono alternate a scontri e disordini nelle principali città americane.

Decine di manifestanti si sono radunati mercoledì sera all'esterno della casa di Derek Chauvin e dell'abitazione del procuratore della contea Like Freeman per chiedere giustizia, secondo quanto riportato da Star Tribune.

I dimostranti hanno scritto a grandi lettere sulla strada del vialetto che porta al garage del poliziotto "assassino" e “un assassino vive qui” nei pressi dell'abitazione, indicandola con alcune frecce disegnate a terra.

Emittenti televisive e social media hanno diffuso immagini in cui venivano mostrate attività commerciali date alle fiamme, distrutte e saccheggiate a Minneapolis e St. Paul.

Giovedì 28 maggio, dietro richiesta del sindaco della città Jacob Frey, il governatore dello Stato del Minnesota Tim Walz ha disposto l'intervento di cinquecento unità della Guardia nazionale da dispiegare nell'area metropolitana.

Nella notte tra giovedì e venerdì la stazione di polizia del terzo distretto, nel quartiere di Longfellow, dove lavoravano gli agenti che hanno arrestato Floyd e che era stata evacuata per tutelare l'incolumità del personale, è stata data alle fiamme.

Nonostante l'obiettivo principale della Guardia nazionale fosse assicurarsi che i vigili del fuoco potessero rispondere alle chiamate svolgendo così il proprio lavoro nulla è stato fatto - come riporta l'agenzia di stampa Associated Press - per domare l'incendio che ha distrutto la stazione del terzo distretto, come confermato dall'assistente capo dei vigili del fuoco Bryan Tyner.

Gran parte della violenza di Minneapolis si è verificata proprio a Longfellow.

Tra gli edifici incendiati un fabbricato a sei piani in costruzione che prevedeva la consegna di circa duecento appartamenti a prezzi accessibili.

«Stiamo bruciando il nostro quartiere», ha detto ad Associated Press Deona Brown, una donna di 24 anni. «Qui è dove viviamo, dove facciamo acquisti e lo hanno distrutto». «Quello che ha fatto quel poliziotto è sbagliato, ma adesso ho paura», ha aggiunto Brown.

I manifestanti distruggono tutto "perché il sistema è corrotto", ha dichiarato un giovane che si è identificato col soprannome, Cash, e che ha raccontato di essere sceso in strada durante le violenze.

A Miguel Marquez della CNN che ha chiesto di rivolgere un messaggio a coloro che commettono violenze un manifestante di Minneapolis ha detto: «Se non riesci ad alzarti e a combattere la battaglia in modo positivo e vuoi essere un traditore, andare avanti e distruggere quello che stiamo cercando di fare, c'è qualcosa che non va in te. Quello che stiamo cercando di fare è difendere i diritti umani fondamentali. Non vogliamo più vivere quello che stiamo vivendo adesso. Voglio avere la possibilità di andare in un quartiere bianco e sentirmi al sicuro. Voglio avere la possibilità di non essere teso quando un poliziotto è alla guida dietro di me. Voglio avere la possibilità di essere libero e di non dover pensare a ogni passo che devo fare. Perché in fin dei conti, per loro, essere afroamericani è un crimine. Perché in fin dei conti, per loro, nascere afroamericani è un crimine. Non ne capisco il motivo perché siamo tutti esseri umani e quello che succede è disgustoso».

Venerdì mattina, al culmine degli scontri, la polizia di Stato del Minnesota ha arrestato una troupe televisiva della CNN che stava riprendendo i disordini a Minneapolis. Mentre era in diretta, il giornalista Omar Jimenez è stato ammanettato e portato via insieme a un produttore e a un fotoreporter, nonostante avesse esibito il proprio badge.

Le proteste hanno subito preso il largo in altre città degli Stati Uniti. Mercoledì dimostranti sono scesi in piazza a Los Angeles e a Memphis. Giovedì, manifestanti hanno bloccato il traffico nel centro di Denver mentre a New York hanno sfidato il divieto di assembramenti pubblici per il COVID-19 scontrandosi con la polizia.

A Louisville, in Kentucky, la polizia ha confermato che almeno sette persone erano state colpite da spari giovedì sera mentre i manifestanti chiedevano giustizia per Breonna Taylor, una donna afroamericana uccisa a marzo da colpi di arma da fuoco dalla polizia nella sua abitazione.

Sia a New York che a Louisville, i rispettivi sindaci hanno esortato i cittadini che volevano protestare a proteggersi dalla diffusione del COVID-19. Gli organizzatori delle manifestazioni di New York hanno chiesto alle persone di indossare le mascherine e di praticare il distanziamento sociale.

Nella notte tra venerdì e sabato manifestazioni e scontri sono proseguiti in almeno venti città.

Non lasciandosi intimorire dal coprifuoco, previsto a partire dalle 20.00, i manifestanti a Minneapolis non si sono fermati.

Mentre molti dimostranti hanno manifestato pacificamente, alcuni esercizi commerciali sono stati dati alle fiamme. Secondo quanto riferito dalla CNN, alcuni colpi sarebbero stati sparati contro agenti di polizia che hanno risposto con proiettili di gomma e gas lacrimogeni per disperdere la folla.

Nel corso delle manifestazioni a Detroit, un giovane di 21 anni è rimasto ucciso con colpi di arma da fuoco e quaranta persone sono state arrestate.

Ad Atlanta, una protesta iniziata pacificamente è sfociata in scontri quando alcuni dimostranti hanno rotto i vetri e poi vandalizzato il quartier generale della CNN (che si trova in un edificio in cui ha sede anche un distretto del dipartimento di polizia della città) e hanno lanciato oggetti contro la polizia.

A Washington D.C. centinaia di manifestanti si sono radunati all'esterno della Casa Bianca. Alcuni hanno rimosso le barriere temporanee che avrebbero dovuto tenerli lontani e si sono scontrati con agenti, anche dei servizi segreti, fino a tarda notte, in base a quanto riportato dal Washington Post. Sei le persone arrestate.

È inoltre emerso che, nel momento in cui gli scontri si sono intensificati, i servizi segreti hanno condotto il presidente Trump nel bunker in cui aveva trovato rifugio l'ex vicepresidente Dick Cheney l'11 settembre 2001 quando le autorità temevano che uno degli aerei dirottati da Al Qaeda si stesse dirigendo sulla Casa Bianca.

Durante le manifestazioni di venerdì sera più di cinquecento persone sono state fermate a Los Angeles (dove era stato proclamato lo stato di emergenza e chiesto l'intervento della Guardia nazionale), numerose attività sono state vandalizzate e saccheggiate e almeno quattro agenti di polizia sono rimasti feriti, secondo il Los Angeles Times.

A Boston dieci persone sono state arrestate e quattro poliziotti sono rimasti feriti. L'emittente WCVB ha riferito che le proteste - a cui hanno partecipato centinaia di manifestanti - erano in gran parte pacifiche e si sono svolte a Peters Park nel South End. Ore dopo un gruppo di dimostranti, che si era riunito fuori al quartier generale di polizia del distretto D-4 a Harrison Avenue, ha dato vita a scontri con alcuni agenti.

A San Jose, in California, manifestanti hanno temporaneamente chiuso l'autostrada 101.

Durante la quinta notte consecutiva di disordini a Minneapolis, tra sabato e domenica, i manifestanti scesi in strada hanno fatto i conti con una risposta più determinata da parte degli agenti di polizia e degli uomini della Guardia nazionale.

Intanto le manifestazioni si erano moltiplicate in tutto il paese.

Sabato notte, appena dopo l'inizio del coprifuoco alle 20.00, la polizia di Minneapolis ha iniziato ad arrestare i manifestanti e a sparare gas lacrimogeni e altri proiettili verso la folla, mentre la Guardia nazionale spegneva un'auto in fiamme gettando acqua da un elicottero.

Altri incidenti sono avvenuti nel corso della serata ma gran parte della città si è svuotata poco dopo la mezzanotte.

In molte delle più grandi città degli Stati Uniti, tra cui Chicago, Filadelfia, Los Angeles e Miami le forze di polizia sono state schierate in maniera massiccia e i governatori di almeno otto Stati, tra cui Colorado, Georgia, Kentucky, Ohio e Tennessee, hanno convocato gli uomini della Guardia nazionale nel tentativo di imporre l'ordine, spesso con scarso successo.

Decine di migliaia di persone sono scese nelle strade del paese sabato sera animando proteste che hanno avuto luogo in almeno settantacinque città.

Come scrive il Chicago Tribune, a Chicago (dove è stato imposto il coprifuoco dalle 21.00 alle 6.00) circa tremila persone hanno preso parte alle proteste. Alcune auto della polizia ed edifici sono stati vandalizzati; a Filadelfia, almeno tredici agenti di polizia sono rimasti feriti e quattordici dimostranti sono stati arrestati quando i manifestanti hanno iniziato ad appiccare il fuoco e a dare vita a scontri; a Indianapolis, secondo quanto riferito dalla polizia, tre persone sono state uccise e altre due sono rimaste ferite nel corso di varie sparatorie durante le proteste; a Los Angeles e a San Francisco, i rispettivi sindaci hanno previsto il coprifuoco, dopo che a Los Angeles, il giorno precedente, la polizia aveva arrestato più di cinquecento persone e a San Francisco i manifestanti avevano circondato l'abitazione del primo cittadino. Nelle manifestazioni svolte a Los Angeles la polizia ha usato manganelli e proiettili di gomma per disperdere la folla che ha dato alle fiamme e vandalizzato alcune auto della polizia e saccheggiato esercizi commerciali. In California il governatore Gavin Newsom ha attivato la Guardia nazionale; nella contea di Miami-Dade, in Florida, il sindaco ha disposto il coprifuoco dopo che almeno un'auto della polizia è stata data alle fiamme nei pressi del quartier generale del dipartimento di Miami. Gas lacrimogeni sono stati usati per disperdere la folla durante le manifestazioni a Jacksonville e a Orlando.

A New York, migliaia di manifestanti sono scesi in strada per il terzo giorno consecutivo. Manifestazioni si sono svolte in tutti e cinque distretti della città dove sono avvenuti scontri con la polizia, anche all'esterno della Trump Tower a Manhattan. La polizia ha risposto con manganellate e spray urticante al lancio di bottiglie e pezzi di detriti dei dimostranti a Brooklyn.

A Washington, la Guardia nazionale è stata schierata all'esterno della Casa Bianca insieme agli agenti dei servizi segreti mentre i manifestanti cantavano slogan di protesta. Incendi sono stati appiccati nel parco Lafayette, a pochi passi dalla residenza del presidente degli Stati Uniti.

All'inizio della giornata di sabato Donald Trump - che poco si è speso per cercare di calmare la situazione e che in un tweet di venerdì 29 maggio, poi "etichettato" da Twitter perché esaltava la violenza - "When the looting starts, the shooting starts" (quando cominciano i saccheggi, si comincia a sparare), ha ripreso il linguaggio usato dalle forze dell'ordine segregazioniste durante la lotta per i diritti civili negli anni '60 - aveva invitato i suoi sostenitori a radunarsi presso la Casa Bianca.

In una serie di tweet pubblicati mentre si dirigeva a Cape Canaveral, in Florida, per assistere al lancio della Crew Dragon, la capsula della compagnia spaziale privata SpaceX, Trump - come ha scritto Time - sembrava divertirsi nell'annunciare la potenziale violenza che avrebbe potuto abbattersi alla Casa Bianca, avvertendo i manifestanti che sarebbero stati accolti dai "cani più feroci" e dalle "armi più minacciose" se avessero osato violare la recinzione che protegge la proprietà.

Ciononostante il suo invito a protestare è stato raccolto dagli oppositori e non dai suoi sostenitori.

I tweet del presidente sono stati criticati dalla sindaca di Washington, Muriel Bowser, che lo ha definito "un uomo spaventato. Impaurito/solo” aggiungendo di stare dalla parte delle persone che protestavano pacificamente per la morte di George Floyd.

Ma i manifestanti hanno lanciato oggetti, tra cui bottiglie d'acqua, fuochi artificiali e mattoni, e hanno superato il blocco della polizia che ha risposto lanciando gas lacrimogeni tra la folla. Molti edifici delle strade nei pressi della Casa Bianca sono stati imbrattati da graffiti, incluso l'ingresso dell'Hay-Adams, un albergo di lusso.

Sempre nei pressi di Pennsylvania Avenue le impalcature di un cantiere, dietro l'edificio della Camera di Commercio, sono andate a fuoco.

Intorno alle 23.00, a un isolato di distanza, due auto sono state incendiate e una banca locale è stata vandalizzata. A poca distanza un'altra auto ha iniziato a prendere fuoco a causa delle fiamme divampate sugli alberi vicini.

Diciassette le persone arrestate, undici gli agenti feriti non gravemente.

Nonostante il timore di un aumento delle proteste nella notte tra sabato e domenica e sebbene fossero stati convocati migliaia di uomini della Guardia nazionale da inviare a Minneapolis, il governatore Walz ha rifiutato l'offerta del segretario della Difesa Mark Esper e del capo di stato maggiore dell'Esercito Mark Milley di schierare unità di polizia militare.

Walz ha paragonato i disordini degli ultimi giorni alle guerre che gli americani hanno combattuto all'estero e ha annunciato di aspettarne di più nella notte di sabato.

Come riportato dal New York Times funzionari in Minnesota e Washington hanno dichiarato che gruppi esterni si sarebbero infiltrati nelle proteste a Minneapolis per appiccare incendi, saccheggiare negozi e distruggere proprietà, senza sapere se si tratta di entità legate all'estrema sinistra o all'estrema destra ma, soprattutto, senza offrire prove a sostegno delle rispettive affermazioni.

In una delle conferenze stampa tenute sabato 30 maggio, Walz ha dichiarato che l'80% degli arrestati durante le proteste non risulta essere residente nello Stato. «Non sto cercando di deviare la questione in alcun modo. Non sto cercando di dire che gli abitanti del Minnesota non siano coinvolti», ha detto. Ma "la stragrande maggioranza" proviene da fuori.

Peggy Flanagan, la vice governatrice, ha attribuito i disordini a coloro che non hanno a cuore gli interessi della comunità. «Sono suprematisti bianchi. Sono anarchici. Sono persone che stanno dando alle fiamme le istituzioni che sono alla base della nostra identità», ha dichiarato.

KARE, un'emittente televisiva di Minneapolis - prosegue il Times - ha riscontrato che le affermazioni sul coinvolgimento di persone provenienti da altri Stati potrebbero non essere accurate. Da un'analisi di tutti gli arresti effettuati dalla polizia di Minneapolis per rivolte, assemblee illegali e crimini legati al furto con scasso da venerdì 29 maggio a sabato 30 maggio l'86% dei fermati ha indicato un indirizzo del Minnesota.

Sabato 30 maggio il sindaco di St. Paul, Melvin Carter, ha fatto un passo indietro rispetto a una sua precedente affermazione con cui sosteneva che "tutte le persone" arrestate venerdì 29 maggio non fossero abitanti del Minnesota. Un portavoce del sindaco ha dichiarato che il primo cittadino aveva appreso successivamente che "più della metà" degli arrestati proveniva, invece, proprio dallo Stato.

Per il presidente Trump e il procuratore generale degli Stati Uniti William Barr non ci sono dubbi sull'appartenenza dei manifestanti riconducibili all'ala dell'estrema sinistra. «Il ricordo di George Floyd è ora sfruttato da rivoltosi, saccheggiatori e anarchici», ha dichiarato Trump. «La violenza e il vandalismo sono guidati da Antifa e da altri gruppi radicali di sinistra che terrorizzano gli innocenti, distruggono i posti di lavoro, danneggiano le imprese e danno fuoco agli edifici».

«In molti luoghi sembra che la violenza sia pianificata, organizzata e guidata da gruppi estremisti anarchici e di sinistra, gruppi di estrema sinistra, usando tattiche simili all'Antifa, molti dei quali arrivano da fuori per promuovere la violenza", ha detto Barr.

Per Hannah Allam, corrispondente per la sicurezza nazionale di NPR, è un'ipotesi che potrebbe anche essere possibile se supportata, però, da evidenze attualmente inesistenti. Inoltre, Barr non specifica cosa intenda con "tattiche Antifa", un riferimento al movimento antifascista, che non è affatto un singolo gruppo.

Sabato 31 maggio, con un tweet, Trump ha comunicato che Antifa verrà considerata un'organizzazione terroristica. Non trattandosi di un'organizzazione, non avendo un leader, né ruoli di appartenenza o una struttura centralizzata definita ma essendo piuttosto un movimento vagamente definito di persone che condividono tattiche e obiettivi di protesta comuni, non è chiaro quali siano le intenzioni del presidente.

Inoltre, seppure Antifa fosse strutturata, le leggi che consentono al governo federale di classificare entità come organizzazioni terroristiche e di imporre loro sanzioni sono limitate a gruppi stranieri. Non esistono leggi sul terrorismo interno, nonostante periodicamente siano proposte.

I residenti di Minneapolis sostengono, invece, che in città esista un nucleo di anarchici bianchi.

La narrazione di agitatori esterni che creano problemi non è priva di fondamento, scrive Chris McGreal sul Guardian. I giovani bianchi vestiti di nero, che a volte sembrano non conoscere la città, sono tra i più aggressivi con la polizia. Si muovono in gruppo, chiedono giustizia per George Floyd, scrivono l'onnipresente "Fuck the police" e sono gli autori dei graffiti più politici.

Ma incolpare gli agitatori ideologici è anche politicamente conveniente, secondo McGreal, non da ultimo perché Walz si è trovato in forte imbarazzo per il fallimento della polizia e della Guardia nazionale nel far rispettare un coprifuoco che, per lui, avrebbe messo fine alla violenza.

Ma quella narrazione non è neanche completamente vera.

Un gran numero di persone che attaccano gli edifici e che saccheggiano le attività sono abitanti della città e sembrano intenzionati a voler portare a casa ciò che prendono e a sfogare la propria rabbia distruggendo le vetrine.

I manifestanti, spiega McGreal, sono divisi in gruppi. Ci sono i giovani bianchi che si muovono insieme e spesso indossano zaini. La popolazione locale, di cui molti afroamericani ma anche bianchi e latini, che protesta per chiedere giustizia per George Floyd e in particolare l'arresto di tutti gli agenti coinvolti nella sua morte. E poi ci sono gruppi di uomini principalmente giovani, sia bianchi che neri, che guidano i saccheggi. A volte protestano tutti insieme.

In un articolo di approfondimento pubblicato su CNN Business Donie O'Sullivan si sofferma sulle voci che ipotizzano un'eventuale responsabilità dei russi che si starebbero mobilitando online per alimentare tensioni e fomentare violenza.

È lo stesso sindaco di Minneapolis, in un tweet, a commentare “Ci troviamo ad affrontare adesso suprematisti bianchi, membri della criminalità organizzata, istigatori che non sono dello Stato e forse anche attori stranieri per distruggere e destabilizzare la nostra città e la nostra regione”.

O'Sullivan non ne esclude la possibilità data la facilità con cui si accede ai social, si crea un account o un gruppo anonimo che sembrino reali e si diffonde disinformazione.

Nonostante sia un'ipotesi plausibile, ciò che invece è inimmaginabile è riprodurre la profondità e la portata del sentimento che sta provando l'America intera in questo momento.

Attraverso le indagini sugli sforzi messi in campo dal Cremlino per interferire nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 abbiamo appreso - prosegue O'Sullivan - che la Russia per anni ha sostenuto (e probabilmente sta ancora sostenendo) un'elaborata campagna di disinformazione attraverso una serie di pagine Facebook e di account Twitter progettati per sembrare che siano gestiti da attivisti americani e utilizzati per alimentare le tensioni nella società americana.

Ma probabilmente il più grande risultato ottenuto dalla Russia è la paranoia instillata nella società americana. Puntualmente, infatti, adesso gli americani accusano persone e gruppi sui social che hanno opinioni divergenti di essere troll o bot russi.

Queste accuse, spesso mosse senza prove, rischiano di distrarre e allontanare dalla sostanza delle questioni.

È effettivamente possibile che nei prossimi giorni, settimane e mesi scopriremo che pagine Facebook e account Twitter che hanno incoraggiato i disordini siano effettivamente collegati alla Russia, così come è altrettanto probabile che verremo a conoscenza che alcuni account che hanno seminato confusione e incoraggiato la violenza sono gestiti da persone che in America agiscono in malafede, come i suprematisti bianchi e altri oppositori del movimento Black Lives Matter che potrebbero cogliere qualche beneficio per la loro causa minando proteste legittime.

Ingerenze di questo tipo sono già avvenute, proprio in Minnesota, quando scoppiò il caso di Philando Castile, afroamericano, ucciso dalla polizia a Minneapolis. Si scopri, infatti, che i russi gestivano una pagina falsa del gruppo “Black Lives Matter” per alimentare rabbia e creare confusione tra i veri manifestanti americani. La pagina aveva centinaia di migliaia di follower e come per tutte le pagine Facebook non era chiaro quanti fossero reali, quanti americani, quanti profili fossero falsi o pagati per fingere di essere qualcuno.

Ma le proteste, allora come adesso, erano vere. Per quanto la Russia abbia cercato di sfruttare la situazione a proprio vantaggio, i sentimenti di frustrazione e di rabbia provati dagli americani erano veri.

Questo aspetto, per O'Sullivan, è un punto cruciale da non dimenticare, più importante di tutto il resto.

La discriminazione razziale è pervasiva nella giustizia penale americana e si manifesta in tutte le fasi: dall'arresto al processo, dalla condanna alla carcerazione. L'omicidio di George Floyd è, purtroppo, solo un ennesimo esempio di come lo Stato eserciti il proprio potere sugli afroamericani. Questo è quello che le persone che protestano per la sua morte vogliono cambiare.

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A testimonianza di ciò, in un articolo pubblicato nel 2018 dal Washington Post, Radley Balko ha elencato una serie di studi svolti da varie istituzioni che lo hanno aiutato a dimostrare quanto il sistema di giustizia penale sia di parte nei confronti dei cittadini afroamericani. Di seguito alcune delle risultanze che sono emerse:

    • Gli afroamericani hanno circa il doppio delle probabilità rispetto ai bianchi di essere fermati dalle forze dell'ordine a un posto di blocco.
    • Gli automobilisti afroamericani e latini hanno molte più probabilità di essere controllati una volta che sono fermati dalla polizia.
    • Gli omicidi dei bianchi hanno maggiori probabilità che si trovi il colpevole rispetto a quelli in cui le vittime sono afroamericani.
    • I bianchi rappresentano meno della metà delle vittime di omicidio in America, eppure l'80% dei condannati a morte ha ucciso una persona bianca.
    • Gli afroamericani hanno molte più probabilità di essere arrestati e accusati per reati di droga, nonostante non vi siano disparità significative nel modo in cui questi cittadini usino effettivamente i narcotici.
    • I potenziali giurati afroamericani hanno molte più probabilità di essere scartati dai pubblici ministeri rispetto ai potenziali giurati bianchi.
    • Quando afroamericani e bianchi sono condannati per lo stesso crimine, gli afroamericani ricevono una pena detentiva più lunga del 20%.

Per questi motivi, nonostante possa esserci chi approfitta di una situazione in subbuglio inquinandola per scopi diversi, le manifestazioni e le proteste, come le preoccupazioni dei dimostranti, sono autentiche, concrete, serie ed è necessario non distrarsi dal cuore della questione che resta la discriminazione razziale che ancora persiste nel sistema di giustizia penale americano, che tutt'oggi non solo riserva un trattamento diverso in base al colore della pelle ma che continua a uccidere.

immagine in anteprima via Kareem Abdul-Jabbal

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