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Jorit e Putin: il comico e l’osceno

14 Marzo 2024 14 min lettura

Jorit e Putin: il comico e l’osceno

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16 min lettura

Il 16 febbraio scorso veniva data la notizia della morte dell’attivista russo Alexey Navalny. Considerato il principale oppositore di Vladimir Putin, Navalny è morto in un carcere di massima sicurezza in Siberia. Della sua morte, le cui circostanze non sono ancora chiare, il Premio Nobel per la Pace 2021 Dimitri Muratov, direttore di Novaya Gazeta, ha parlato in termini di “omicidio” connesso con gli abusi e le torture cui è stato sottoposto durante la carcerazione.

Dopo una sorta di braccio di ferro con la madre di Navalny, il Cremlino ha consegnato alla famiglia la salma dell’attivista. Migliaia di persone hanno sfilato per rendergli omaggio il primo marzo, trasformando la cerimonia in un atto di resistenza contro il regime. Successivamente, la polizia ha usato video e foto circolate in rete, o i filmati delle telecamere di sicurezza, per identificare e arrestare partecipanti.

Pochi giorni prima, il 27 febbraio, un altro Premio Nobel per la Pace, Oleg Orlov è stato condannato a due anni e mezzo di colonia penale per aver “gettato discredito” sull’esercito russo. 70 anni, Orlov è co-presidente di Memorial, associazione per la difesa dei diritti umani. 

Il 6 marzo a Odessa, in Ucraina, un attacco russo nell’area portuale della città ha ucciso cinque persone. Nella città si stava svolgendo un incontro tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il presidente greco Kyriakos Mitsotakis. Una settimana prima, sempre a Odessa, un attacco di droni russi ha colpito un quartiere residenziale: 12 i morti, tra cui due bambini. 

Più o meno negli stessi giorni, durante il Festival Mondiale della Gioventù a Sochi, in Russia, lo street artist Ciro Cerullo, in arte Jorit, partecipava all’evento con un gruppo di italiani di cui facevano parte tra gli altri Andrea Lucidi, sedicente “giornalista indipendente in Russia e Donbass”, Ornella Muti e Naike Rivelli. A Sochi Jorit aveva in precedenza realizzato un murale raffigurante l’attrice - “molto popolare in Russia”, come riporta l’ANSA.

Durante l’evento a Sochi, Jorit è intervenuto per chiedere al presidente russo Vladimir Putin di fare una foto insieme: “Volevo chiederle un favore se possibile, una foto con lei per mostrare in Italia che lei è umano come tutti. La propaganda che stanno diffondendo in giro non è vera. Noi siamo tutti umani, siamo tutti parte della human tribe”. Putin ha acconsentito, e la notizia della foto ha raggiunto la stampa. L’episodio è avvenuto a poche settimane dal dialogo tra la studentessa italiana Irene Cecchini e il presidente Putin, anch’esso durante un evento pubblico.

Dato il riferimento alla “human tribe”, concetto centrale nell’arte di Jorit, e dato il contesto, possiamo sgombrare il campo da due argomenti di comodo che solitamente circolano quando si parla dell’artista napoletano e dei suoi rapporti con il regime di Putin. Non c’è da separare l’arte e l’artista, poiché proprio quest’ultimo suggerisce una piena contiguità o sovrapposizione. Non c’è da invocare la libertà di espressione, nel momento in cui per nessuna ragione al mondo una persona sarebbe potuta andare su quel palco e per esempio parlare di “invasione” o usare espressioni come “massacro di Bucha”. C’è chi è in prigione per averlo fatto, come Ilya Yashin o Sasha Skochilenko. È troppo lungo l’elenco di cadaveri che il regime di Putin si è lasciato appresso negli anni, o di persone costrette a fuggire per mettersi in salvo, perché si prendano sul serio certi argomenti. Come suggeriva la giornalista Amalia De Simone, figuriamoci se uno Jorit potrebbe fare un murale di Anna Politkovskaja a Mosca. 

C’è invece da prendere atto che, nel momento in cui ci si compromette con un regime, si smette di essere artisti, e si inizia a essere qualcos’altro. Qualcosa che è al tempo stesso comico e osceno, e di cui dovremmo seriamente preoccuparci.

La commedia fuori luogo di Cerullo

Celebrare l’umanità del repressore al culmine della sua brutalità. Dipingere nella Mariupol occupata, spacciando una bambina australiana per civile delle cosiddette “repubbliche separatiste”, e attribuendo le bombe dell’invasore alla NATO, mentre si gioisce per la “liberazione” di una città devastata e sotto occupazione. Elevare a baluardo un regime in cui le associazioni per i diritti umani sono praticamente impossibilitate a operare.

Queste inversioni a 180° della realtà sono prima di tutto dei rovesciamenti da commedia, che impongono un lieto fine, una consolazione, là dove altri possono vedere drammi e tragedie. Da questo punto di vista, Jorit e le sue pose anti-sistema sono tratti da maschera. Più che a un Pulcinella, siamo per l’appunto di fronte a un Cerullo. Se la maschera più tipica della tradizione napoletana gioca sul rapporto servo-padrone, il Cerullo incarna quello tra despota-suddito. Un siparietto comico che irrompe tra gli atti di una tragedia.

Edipo sta per accecarsi dopo aver finalmente compreso gli orrori commessi? Entra in scena Cerullo per decantargli la bellezza del creato, così come si palesa agli occhi. Amleto medita vendetta per la morte del padre? Cerullo gli si accosta per condividere aneddoti sulla propria famiglia, in particolare sullo zio di Posillipo, quella gran sagoma. I senatori cospirano cercando di capire come liberarsi di Caligola il despota folle? Cerullo li interrompe perché trova giusto raccontare l’uomo, il poeta; troppo facile disumanizzare i tiranni. 

Non esiste tirannia o tragedia, per il Cerullo, se non lontano dalla tragedia stessa, se non come benaltrismo: non si ammalano anche a Sparta? Non sono corrotti i costumi dei persiani? Per Cerullo i delitti sono degli altri, oppure di tutti e quindi di nessuno. Così, rovesciando ogni valore, Cerullo può amare il tiranno e chiamarlo rivoluzionario, dare del benefattore all’assassino; prendere la colpa e farne virtù, bollare come vizio la legge morale. Chiamare “libero” il popolo sotto occupazione. Gli dei, il fato? Chi può dire di averli mai visti davvero all’opera, suvvia.

“Putin gode di consensi enormi in Russia. Del resto le ultime elezioni lo hanno mostrato plasticamente. Esistono dubbi rispetto alla trasparenza democratica dei momenti elettorali?”. Così dichiara Cerullo alla Stampa, a pochi giorni dalla quinta elezione di Putin a presidente, in una competizione elettorale che è a sua volta una farsa, una performance. Dove si cercano forme di libera scelta nella disobbedienza, nel boicottaggio. Cioè nel sabotaggio della performance elettorale. 

Se una risposta simile non suona ridicola, è perché la totalità di fatti rilevanti che accadono è ben più vasta dei siparietti di Cerullo e delle interviste facilone. In quella vastità molto spazio è preso dalla cognizione di macerie, fosse comuni, deportazioni e altri orrori; da come strategicamente si voglia sabotare questa cognizione attraverso suoni di fanfare, cerimonie, slogan urlati. O con l'arte.

L’oscena manipolazione del tragico

Se ci mettiamo dal punto di vista di un cittadino di una città occupata, o di un regime, un Cerullo partecipa al kitsch totalitario, all’imposizione dall’alto di un sentimento che non può essere avversato. I buoni sentimenti (La pace! La liberazione! La grande tribù dell’umanità!) vanno in scena di fronte a un pubblico che non può dissentire. Troppi fucili, troppi centri di detenzione, troppi aneddoti di voli dalla finestra, o indigestioni improvvise. Il costo per il dissenso non è la sanzione sociale, l’impiccio di vedersi saltare un lavoro, o la telefonata mafiosetta, la convocazione in questura che sa di abuso, le noie legali. Il costo per il dissenso è pagato in anticipo con la perdita dell’incolumità fisica, propria o di chi ci sta vicino. Con la paura di essere prelevati nel cuore della notte, o mentre si è per strada, e fatti sparire nel nulla. 

Quando questa paura non riguarda solo categorie marginalizzate, e quindi le più deprecabili ingiustizie di una democrazia liberale, ma è la condizione comune a un qualunque cittadino, allora si è passati quel confine oltre il quale c’è un regime, e si può arrivare oltre, fino al totalitarismo. Dietro la maschera ne è consapevole lo stesso Jorit, poiché i discorsi sulla “pace” sono rivolti al pubblico italiano, non alle autorità o ai media russi. Questo perché il pubblico russo è abituato a sentir parlare di ucraini come di “nazisti”, come qualcosa che non esiste davvero. Sono russi con una “malattia mentale” che fa credere loro di essere ucraini,  o persino “satanisti”.

La rimozione della tragedia è nei fatti, se pensiamo che il murale pro-cremlino di Jorit segue la cancellazione di un altro murale, realizzato da un artista ucraino. Come ricordava la scorsa estate Leonardo Bianchi, infatti, 

Prima dell’invasione esisteva già un murales dedicato a una bambina ucraina di Mariupol: Milana Abdurashytova. Nel gennaio del 2015 era stata colpita da un attacco missilistico delle forze separatiste filorusse, perdendo la madre e una gamba. Tre anni dopo, per ricordare la sua vicenda, lo street artist Sasha Korban le ha dedicato un murale sulla facciata di un palazzo su Prospekt Myru. Tuttavia, dopo l’occupazione i russi hanno coperto l’opera. Per l’amministrazione ucraina – e dunque legittima – di Mariupol, gli occupanti “stanno cercando di eliminare la tragedia del 2015 dalla memoria dei residenti della città”.

Se può esistere un pensiero creativo e libero nei territori occupati, se può esistere un arte come rivolta in un contesto del genere, il suo obiettivo dovrebbe essere ciò che sta sotto la suola dello stivale del regime, e non la decorazione dello stivale. Il fango, il sangue, il fiore calpestati dalla marcia delle truppe. Se c’è una carica rivoluzionaria, è nell’iconografia di movimenti come Zlaja Mavka, non nei volti raffigurati da un pittamuri che nemmeno potrebbe stare nei territori occupati. O che, nell’operare in un paese sottoposto a sanzioni, si trova a dover rendere conto di aspetti pratici. Chi paga?

Qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci

Dopo la foto con Putin, ci sono state reazioni politiche, e anche accuse di possibili pagamenti ricevuti. L’europarlamentare Pina Picierno è stata esplicita su X/Twitter, muovendosi immediatamente sia presso le istituzioni europee, sia invitando le amministrazioni italiane a non finanziare più Jorit: “Ho chiesto alla Commissione Europea e al Consiglio dell’Unione  Europea di inserire Jorit nella lista degli individui sottoposti a sanzioni”. Nel farlo ha riportato all’attenzione un dettaglio che ogni tanto sfugge al pubblico italiano: Putin attualmente è ricercato dalla Corte Penale Internazionale per deportazione e trasferimento forzato di minori ucraini. 

Picierno ha ribadito il messaggio anche dopo le tempestive difese d’ufficio di Jorit da parte di Marco Travaglio e di figure come Alessandro Orsini:

Il Parlamento europeo dal 2020 ha istituito ben due commissioni speciali sulle interferenze straniere in cui sono stati indagate e riconosciute le interferenze russe, basate spesso sul finanziamento di influencer e personaggi noti in Europa per diffondere le fake news del Cremlino. L'Unione europea sanziona, non da oggi, aziende e individui, anche cittadini europei, che su mandato del Cremlino diffondono propaganda e fake news di Putin.

Alcuni esempi? Margarita Simonovna Simony an o Vladimir Roudolfovitch Soloviev, o Maria Vladimirovna Zakharova e nonché cittadini europei, tra cui Jozef Hambálek e Gabriel Temin. L’incontro a Sochi fa sorgere innumerevoli interrogativi sul legame tra Jorit e l’establishment russo: dalle modalità dell’invito fino alla domanda posta durante l’incontro direttamente a Putin - possibilità preclusa alle maggiori testate giornalistiche -, tutti quesiti che fanno presumere la messa in scena di una farsa orchestrata da Mosca, in piena violazione delle sanzioni UE.

A queste dichiarazioni si accompagna l’articolo di Massimiliano Coccia su Linkiesta, secondo cui sarebbe stato pagato un cachet “tramite una azienda controllata dal ministero dell’Edilizia russo”. Jorit dal suo profilo Instagram ha smentito la notizia, ha diffidato tramite avvocato Linkiesta (e Open, che aveva citato l’articolo) dichiando che “non ha mai percepito neanche un centesimo dal Governo della Federazione russa” e ha annunciato querela. Ma il caso è arrivato anche in Parlamento con l’interrogazione del senatore Antonio Iannone (Fratelli d'Italia) al ministro della Cultura Giuliano Sangiuliano, anticipata da ADNKronos. Iannone cita l’articolo di Coccia, e chiede di far luce sui finanziamenti che la Fondazione Jorit riceve dalla Regione Campania. 

Altri politici hanno invece mostrato di non aver colto le potenziali implicazioni del caso. Tra questi, segnaliamo - non senza amarezza - Ilaria Cucchi (Alleanza Verdi-Sinistra), cui Jorit aveva dedicato un murale a Napoli nel 2018. “A chi mi chiede un commento sul suo selfie con Putin non so cosa rispondere. Quell’immagine è per me quel che conta e conterà per sempre. Mi dispiace, sinceramente, per quel selfie. Io non lo avrei mai fatto perché Putin, per il mio modesto parere, va considerato per le azioni che ha compiuto. Senza se e senza ma”, ha scritto su Facebook la senatrice, di fatto rinunciando a intraprendere qualunque iniziativa rispetto al caso.

La vicesindaca di Avellino, ha invece rivendicato la scelta di finanziare le opere dell’artista: “Non conoscendo le motivazioni che hanno portato Jorit in Russia, preferiamo restare fuori dalle facili strumentalizzazioni e attendiamo l'artista in città per godere della sua arte senza confini”. Il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che si trova a dover salvare il murale di Maradona realizzato da Jorit, ha precisato: "è una questione che interessa ai napoletani e non a Putin."

Questa incapacità di leggere politicamente il caso nelle sue implicazioni - a livello internazionale, umano, e nei confronti della comunità ucraina, o dei russi che vivono in Italia e sono stati costretti a fuggire dal paese - è naturalmente parte del problema. Se la principale preoccupazione è affettiva e personale, o legata al rischio di "strumentalizzazioni", c’è prima di tutto uno scarso spirito di servizio verso la comunità che ci si è impegnati a servire. Parallela a questa abdicazione sono intanto arrivate le prime forme di contestazione: gli sfregi delle opere.

Il caso Jorit espone la vulnerabilità del nostro sistema all’influenza del Cremlino

Il fatto che il caso Jorit sia esploso all’atto pratico dopo la foto con Putin evidenza prima di tutto dei ritardi e delle disattenzioni. Come scrive su Fanpage Antonio Musella:


Le attività di Jorit in Russia non sono affatto recenti, e la partecipazione dell'artista napoletano alle iniziative del Cremlino è stata assai frequente negli ultimi anni. Iniziative pubbliche, bandi di enti del Cremlino, ma anche discorsi e video in cui si lanciano messaggi tutt'altro che di pace [...]. Jorit ha già realizzato diversi murales in Russia. Già dal 2020 l'artista italiano ha iniziato a lavorarci, con il murales di Yuri Gagarin a Mosca, prima dell'invasione russa dell'Ucraina. Poi ha continuato realizzando diverse opere ed altre ne sarebbero ancora in cantiere. La più nota è quella del volto "tarocco" della bambina di Mariupol, città ucraina occupata dai russi. [...] Tutte queste opere non si capisce se sono state fatte con fondi pubblici o meno per un artista il cui valore commerciale sui mercati d'arte è tutt'altro che marginale.

Più dei dibattiti, avremmo bisogno di inchieste giornalistiche capillari e di istituzioni che si mettono in moto con tempismo ed efficacia. Il problema non è tanto lo street artist, quanto la guerra ibrida e le strategie di propaganda del Cremlino.

Lo dimostrano le inchieste su uomini come Igor Lopatonok, produttore che ha collaborato anche con Oliver Stone, quest’ultimo autore di lavori fin troppo benevoli nei confronti di Putin. Secondo l’Organized Crime and Corruption Reporting Project Lopatonok progetta e si fa pagare per documentari di propaganda che ripuliscono la reputazione di dittatori (come  Lukashenko, Putin e Aliyev). C’è inoltre il caso di Hubert Seipel, influente giornalista tedesco che ha ricevuto 600mila euro off-shore da compagnie legate a un oligarca del Cremlino. O, venendo a noi, l’inchiesta sull’incontro avvenuto al Metropol di Mosca per un presunto finanziamento alla Lega, così come quella di IRPI Media sull’International Agency for Current Policy. C’è un indotto che prospera e vive all’ombra della verticale del potere putiniano, e che dopo il febbraio 2022 ha dovuto farsi più creativo per aggirare leggi e sanzioni. 

Anche la facilità con cui si diffondono bufale e distorsioni dovrebbe farci correre ai ripari. Di recente, si è discusso di un’intervista del Papa alla TV svizzera, di cui è stata rilasciata dalle agenzie un’anticipazione, relativa all’opportunità per l’Ucraina di alzare “bandiera bianca”. Jorit ne ha approfittato per diffondere su Instagram un post con la foto del Papa che riceve una sua opera, con un testo un po' furbetto che sembra far intendere un incontro avvenuto proprio in quei giorni. Nel testo è presente anche un appello al “popolo cattolico italiano”, l’invito a unirsi “con quello laico e progressista affinché si crei un fronte unitario contro un mondo sempre più nelle mani di estremisti guerrafondai e incoscienti”.

Sulla base di quel post, per alcune ore, il sito del TgLa7 ha dato notizia di un incontro tra il Papa e Jorit. Come ricostruito dal giornalista Nello Scavo, l’incontro non è mai avvenuto e quella foto risale al novembre 2023. Il quadro è stato un dono tra i molti ricevuti, all’interno di un incontro con i Rettori dei Santuari. 

L’effetto di una simile approssimazione mediatica è comunque stato ottenuto: aver rafforzato l’idea che Jorit la pensi come il Papa, rendendo più complicato criticare il primo. Più o meno negli stessi giorni, però, sempre Antonio Musella mostrava come l’equivalenza fosse piuttosto dubbia, andando a ripescare un video in cui l’artista napoletano costruisce reti mimetiche militari, le promesse di un'opera sugli “eroi del Donbas”, o la partecipazione ad attività di “rieducazione” nei territori occupati. Qualcosa che né gli uomini di pace né i Papi di solito fanno, per capirsi. Intanto, sia Musella che un altro giornalista di Fanpage che si è occupato di Jorit, Saverio Tommasi, sono finiti nel mirino dei CARC di Napoli

Se insomma, il “filoputinismo” appare poco più di un dispositivo retorico nel dibattito pubblico, persino usato in chiave vittimista (“ah, adesso sarei un filoputiniano? Siamo alle liste di proscrizione”), c’è sotto i nostri occhi un bubbone così esteso che in troppi sembrano aver imparato a conviverci, a pensare che sia un problema di altri. Il Financial Times a febbraio parlava di una “offensiva di propaganda di guerra” rilasciata nel nostro paese, a proposito del film Il testimone. Un lungometraggio russo sull’invasione dell’Ucraina che tratteggia gli invasi né più né meno come dei nazisti, utile a veicolare le tesi del Cremlino. Da noi le amministrazioni che offrono locali o patrocini a certe iniziative raramente finiscono sulla cronaca nazionale, e le proteste sono soprattutto da parte della comunità ucraina

In generale, dovremmo far valere una regola molto semplice: se è lecito avere un'opinione stupida o scellerata, benché sia un esercizio molto misero della libertà di espressione, è doveroso non compromettersi con chi ha le mani sporche di sangue. 

È anche doveroso capire che i destinatari della foto di Sochi e di messaggi analoghi sono anche i cittadini europei e italiani, sui cui aiuti l’Ucraina dipende. Mentre l’immaginario evocato da Jorit (il pacifismo, la rivoluzione, la critica al modello occidentale) ha due funzioni. La prima è di paludare il messaggio effettivo, poiché altrimenti resterebbe il nudo sostegno a un regime e al suo progetto di invasione imperialista. La seconda è di mobilitare una base di consenso da porre come schermo tra sé e le accuse, per fare massa critica e non rispondere del proprio operato.

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Dopo la foto di Sochi, grattata la superficie e distolta l’attenzione dai proclami e dalla cazzimma, resta una sostanza nuda e semplice: Ciro Cerullo è un imprenditore che si fa le foto con i dittatori e realizza opere di propaganda (il Times parla di “murale pro-Cremlino”). Di fronte a questa nuda verità, la difesa che imbastisce consiste nel contrapporre il suo bacio a quelli di Biden, Meloni e Netanyahu, o a tirate sullo snobismo dell’Occidente. Una coscienza politica fuori tempo massimo per le occupazioni liceali; ma almeno chi occupa di solito ha qualche buona ragione. 

Nonostante ciò, pensare a una politica che sappia distanziarsi in modo costruttivo da Jorit e dal valore che ormai hanno assunto le sue opere, sembra addirittura qualcosa di esagerato. Comprendere che il valore di quelle opere è mutato per forza di cose, ricordare che la comunità ucraina in Italia potrebbe avere qualcosa da dire e proporre al riguardo, è una sensibilità che non mi pare così presente nel dibattito pubblico. Magari, per dire, si potrebbero raffigurare nelle città italiane artisti ucraini uccisi dall’esercito russo, come per esempio Victoria Amelina; o prigionieri di guerra come l’antifascista Maksym Butkevych. Oppure organizzare quante più proiezioni possibile del documentario 20 giorni a Mariupol, che racconta cosa è stato davvero l’assedio della città ucraina. Trovare nuovi simboli che spezzino una narrazione collaborazionista, portando l’attenzione su tutte quelle forme di resistenza volutamente ignorate. 

(Immagine in anteprima: via YouTube)

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