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In migliaia ai funerali di Navalny: un atto di resistenza contro Putin

1 Marzo 2024 6 min lettura

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In migliaia ai funerali di Navalny: un atto di resistenza contro Putin

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“L’ultimo saluto a Navalny si è comunque trasformato in una manifestazione politica: la gente inizialmente ha gridato solo «Navalny, Navalny», ma poi non si è trattenuta e ha iniziato a urlare accuse false all’indirizzo del presidente Putin” – forse nemmeno tanto paradossalmente è stato Sergei Markov, politologo vicinissimo al Cremlino e volto noto delle trasmissioni televisive russe, a dare la caratterizzazione più precisa dei funerali di Alexey Navalny, sepolto oggi a Mosca al cimitero di Borisovo, accompagnato da migliaia di persone: c’è chi dice cinquantamila, chi centomila, cifre impossibili da verificare per la natura stessa dell’evento e per le restrizioni imposte ai partecipanti, costretti a mettersi in fila per chilometri prima nei pressi della chiesa e poi verso il cimitero.

L’organizzazione delle esequie fino all’ultimo è restata in sospeso per le forti pressioni delle autorità, e solo dopo numerosi rifiuti si è riusciti a trovare un luogo per la messa funebre, in una piccola chiesa del quartiere dove viveva il politico, e un posto nel cimitero non lontano da lì, rifiutando i tentativi di seppellirlo in un altro luogo ben più distante e mal collegato. A Marino, invece, dove abitavano i Navalny prima della bufera che li ha travolti, la partecipazione è stata significativa, tanto da far terminare i fiori nei chioschi e nei negozi in zona, presi da tante persone per portarli quanto più vicino possibile alla bara, spesso lasciandoli legati alle transenne, diventate da ostacoli alla folla memoriali improvvisati.

Se all’inizio della mattinata in coda si restava in silenzio, senza dir nulla, forse anche perché stupiti dopo giorni di minacce di ogni genere sui posti di lavoro e nei luoghi di studio, si è poi preso coraggio: migliaia di voci hanno iniziato con lo scandire “Navalny!” appena è arrivato il feretro in chiesa, per poi passare a slogan che spiegano cosa intendevano nell’invocare il nome del politico morto due settimane fa: “La Russia sarà libera” “Per la Russia senza Putin” e, ancor più forti, “Putin è un assassino” e “No alla guerra”.

La massiccia presenza delle forze di polizia, con persino uomini armati appostati sui tetti degli altissimi condomini di Marino, le colonne di cellulari e di automezzi pronti ad intervenire, ebbene, tutto questo è sembrato scomparire sotto il cielo lattaginoso a Mosca, come se la repressione non esistesse, offuscata da un altro grido, “libertà per i prigionieri politici”, partito prima con un sussurro e poi ripetuto sempre più forte. Anni di manifestazioni disperse al concentramento, di retate nelle stazioni delle metropolitane di Mosca e di San Pietroburgo, di strade bloccate e di inseguimenti degli Omon, i celerini russi, sembrano sparire nella determinazione di tantissimi, di età differenti, recatisi a rendere l’ultimo omaggio al prigioniero Navalny.

Chi era fuori dalla chiesa ha seguito solo parzialmente la cerimonia attraverso la diretta su YouTube organizzata dalla Komanda Navalnogo, la Squadra di Navalny, spesso rallentata dai blocchi alle connessioni 4G nel quartiere, ma quando Liudmila Navalnaya, madre del politico, si è avvicinata al corpo del figlio, ricomposto in un vestito blu e il volto di quel colorito irreale che ha la morte, ha baciato e lasciato un’icona nella bara, è come se tutta la gente lì fuori fosse lì ad abbracciarla, assieme al pope dai lunghi capelli e dalla barba folta e al marito Anatoly, lo sguardo vuoto fisso al di là del feretro. Delle rose lanciate in aria hanno salutato la bara caricata sul carro funebre, un furgoncino nero somigliante a quelli del Comitato Investigativo della Federazione Russa ma senza la striscia rossa, e il percorso fino al cimitero è diventato un itinerario della memoria, tra mazzetti di fiori e fotografie, lettere, cartoline, attaccate ai pali o piantate nella neve sporca ai bordi dei marciapiedi.

Compatta, seppur senza nessuna organizzazione, senza reazioni alle grida di alcuni provocatori che invitavano a marciare sul Cremlino, una comunità di russe e russi contrari a tutto quello che oggi è il sistema di potere del proprio paese ha camminato per riuscire ad arrivare in tempo per le 17:00, quando i cancelli del cimitero si sarebbero chiusi, cosa poi non avvenuta: tante persone hanno posato un pugno di terra nella fossa che ha accolto la bara. Attorno al perimetro anche qui fiori e biglietti hanno fatto sentire la presenza di un settore importante della società russa, ritenuto, spesso ingiustamente e senza tener conto del livello raggiunto dalla repressione, ininfluente e incapace di farsi sentire.

L’ultimo viaggio di Navalny è diventato un atto politico, ha ragione Markov, e non era imprevedibile come risultato, quel che al momento appare inconsueto rispetto al recentissimo passato è il numero di arresti ancora minimo a Mosca, due, mentre a Novosibirsk sono diciotto le persone fermate per aver lasciato dei fiori al monumento alle vittime delle repressioni politiche del periodo sovietico, dieci a Ekaterinburg così come a Voronezh. Non è chiaro se si tratti di una scelta voluta o meno, alla luce anche delle dichiarazioni del portavoce di Putin Dmitry Peskov alla stampa, in cui ha sottolineato come il Cremlino non abbia nulla da dire alla famiglia di Navalny, invitando però i cittadini a non commettere reati partecipando a manifestazioni non autorizzate.

Solo che i funerali sono un momento particolare, perché comune al nostro destino, e possono assumere caratteristiche politiche a seconda del contesto e della partecipazione, ancor di più quando nella Russia di oggi da anni non vi è la possibilità di ottenere autorizzazioni a scender in piazza per manifestare il proprio dissenso nei confronti del potere, e in questo modo momenti diversi diventano occasione per esprimersi, dalle file per la raccolta firme in sostegno alla candidatura (poi non accettata) di Boris Nadezhdin alle deposizioni di fiori ai monumenti ai caduti in guerra o alle vittime del Terrore staliniano. C’è una differenza, però: il corteo funebre di oggi non è stato in silenzio, e con il passar delle ore (mentre scriviamo ancora tanta gente è attorno e nel cimitero, aperto oltre l’orario di chiusura) aumenta la frequenza degli slogan, alcuni dei quali, come “fate tornare i soldati a casa” e “gli ucraini sono brave persone”, non erano mai stati accennati prima, sintomo di un legame orizzontale, ancora tenue e agli inizi, stretto in questa giornata.

A far da contrasto alle immagini di oggi vi è il discorso tenuto da Vladimir Putin ieri 29 febbraio all’Assemblea federale, ovvero Duma e Consiglio di Stato convocati in seduta comune. Nella lunga relazione, durata due ore e sei minuti, il presidente ha dedicato ampio spazio, come prevedibile, alle sorti del fronte e della guerra, di cui fornisce un quadro ottimistico, rinfrancato anche dalla conquista di Avdiivka e dalla situazione di impasse generale per l’Ucraina, caratterizzata anche dal recente cambio ai vertici delle forze armate.

Non una novità nei messaggi di Putin degli ultimi mesi, come non lo sono aver ribadito lo stato d’allerta delle testate nucleari e le accuse all’Occidente, quel che però ha valore rispetto a quanto registrato oggi dai funerali di Navalny sono le ulteriori misure adottate in sostegno ai combattenti, annunciate con parole dal tono populista, in cui si contrappone la vecchia “élite”, accusata di “essersi riempita le tasche negli anni Novanta” a coloro impegnati in guerra. Un tema più volte sollevato dall’autunno del 2023, e diventato centrale nella campagna elettorale, vista come passaggio necessario per la realizzazione della promessa di poter consolidare una nuova classe dirigente; l’annuncio del lancio di un nuovo programma, Vremia geroev (Il tempo degli eroi), dall’avvio immediato serve, secondo il presidente, a garantire un futuro a soldati (e ex) nelle amministrazioni di ogni ordine e livello, con posizioni direttive.

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Si tratta di una ulteriore spinta alla militarizzazione della vita del paese, e che cozza con una realtà fatta di un costante aumento dei crimini come conseguenza della guerra e della liberazione degli ex detenuti inviati al fronte, con un messaggio chiaro a tutto il paese su come sia esclusa qualsiasi ritorno a breve alla normalità; in più la creazione di un nuovo gruppo sociale contrapposto alla “casta”, per citare le parole di Putin durante l’annuncio dell’avvio di Vremia geroev, appare un tentativo di creare una base di sostegno legata al regime anche per il futuro.

Il conflitto in Ucraina ha polarizzato, come più volte analizzato, la società russa e continuerà a farlo per la natura totalizzante che ha assunto nel discorso pubblico. La durissima repressione che ha colpito quel settore della popolazione russa contrario alla “operazione speciale militare” ha reso pericolosa ogni minima espressione di opposizione, condannando al carcere, all’esilio o al silenzio milioni di cittadini. Una coltre fatta di paure, celle, denunce, pene esemplari che però sembra aver visto uno squarcio nelle migliaia di voci presenti all’ultimo saluto per Alexey Navalny, ancora adesso in fila al cimitero, a illuminare l’oscurità con le torce degli smartphone.

Immagine in anteprima: frame video Telegram

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