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Germania, l’esplosione dei Verdi vero argine all’estrema destra

15 Ottobre 2018 5 min lettura

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Germania, l’esplosione dei Verdi vero argine all’estrema destra

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di Alessandro Alviani

«In una constellazione rosso-verde deve essere chiaro: il più grande è il cuoco, il più piccolo il cameriere». È il 1997, la campagna elettorale che lo porterà alla cancelleria non è ancora iniziata e Gerhard Schröder, durante un colloquio con Joschka Fischer, mette in chiaro così i futuri rapporti di forza tra la Spd e i Verdi. Sono passati 21 anni da quella frase, entrata nella storia della politica tedesca, e la situazione si è ribaltata: nella Germania tardo-merkeliana i Verdi hanno staccato nettamente i socialdemocratici. L'ultima conferma di questo trend, che si va profilando da settimane a livello nazionale, è arrivata domenica dalle regionali in Baviera: secondo i risultati provvisori, i Verdi hanno raccolto il 17,5% dei voti (+8,9%), diventando il secondo partito, mentre la Spd è scesa al 9,7% (-10,9%) ed è stata superata anche dalla AfD (10,2%). La Csu, che in Baviera ha quasi sempre conquistato in passato la maggioranza assoluta, è crollata al 37,2% (-10,5%).

A livello nazionale, i sondaggi restituiscono un quadro molto simile: secondo l'ultima rilevazione dell'istituto Infratest dimap, diffusa giovedì 11 ottobre, se domenica si fosse votato anche per il Bundestag i Verdi avrebbero toccato il 17%, superando di due punti la Spd e rivelandosi secondo partito dietro la Cdu/Csu, scesa al 26%. E in Assia, dove si vota tra due settimane per le regionali, si registrano valori identici.

La crescita della formazione ecologista, che alle elezioni politiche di un anno fa aveva raccolto appena l'8,9% dei consensi, si spiega con varie ragioni e la Baviera ne riassume almeno tre: una piattaforma programmatica solidale, europeista e anti-populista, un'azione politica pragmatica e il ringiovanimento della propria classe dirigente. A ciò va aggiunto necessariamente un quarto, decisivo elemento: le difficoltà della Spd.

Argine ai populisti

Per chi è immune dalla propaganda populista, anti-Ue e anti-immigrati della AfD, la vera alternativa in questo momento sono i Verdi. La formazione che fu di Joschka Fischer si fa portavoce di una posizione apertamente europeista e, sulla questione dei migranti, incarna una linea solidale e liberale: no al riconoscimento degli Stati del Maghreb come “Paesi di origine sicuri“, no alla criminalizzazione delle Ong, sì a un sistema europeo di salvataggi nel Mediterraneo e a un nuovo meccanismo europeo sul diritto d'asilo.

Nella sostanza non si tratta di posizioni diverse da quelle della Spd. I Verdi sono riusciti però a darsi un profilo chiaro e nettamente riconoscibile, a differenza dei socialdemocratici, che danno l'impressione di essere imbrigliati nella Grande coalizione: stretti nello scontro interno tra la Cdu e la Csu sulla questione dei migranti, appaiono privi di una propria identità politica. E, a differenza dell'ultima legislatura – si pensi solo all'introduzione del salario minimo – stavolta la Spd non è ancora riuscita a imporre propri accenti nell'agenda di un governo che si trascina stancamente da una crisi all'altra.

Classe dirigente

Giovani, nuovi, dinamici. Tanto in Baviera, quanto a livello nazionale, i Verdi hanno ringiovanito con successo la propria classe dirigente. E, allo stesso tempo, sembrano essersi lasciati alle spalle le tradizionali divisioni interne tra le due correnti - fondamentalisti e realisti – che hanno segnato per anni le dinamiche interne del partito.

A livello nazionale, da gennaio la formazione ecologista ha un nuovo duo al comando: Robert Habeck, 49 anni, scrittore con un dottorato in filosofia in tasca, si contraddistingue per uno spiccato talento retorico, un forte carisma e un'elevata dose di pragmatismo e viene considerato il vero astro nascente del partito, o, per dirla con lo Spiegel, il “Trudeau verde“; Annalena Baerbock, 37 anni e un master in Public International Law alla London School of Economics, si è dimostrata finora molto abile nell'insistere su un un tema chiave in Germania, quello della coesione sociale, un ambito occupato un tempo saldamente dalla Spd. E anche in Baviera il boom è stato trainato da due politici che incarnano il ricambio generazionale: Ludwig Hartmann, 40 anni, un esperto di questioni ambientali, e Katharina Schulze, 33 anni, che vanta in passato uno stage presso i Democratici statunitensi e oggi, oltre alla lotta contro l'estremismo di destra, vanta tra i suoi cavalli di battaglia un tema tradizionalmente appannaggio dei conservatori, quale la sicurezza interna. Il suo slogan sembra essere preso in prestito da Winfried Kretschmann, il primo Verde a conquistare la guida di un governo regionale in Germania, nel vicino Baden-Württemberg: “Salvare il mondo pragmaticamente“.

Pragmatismo politico

La linea dura sui migranti imboccata dalla Csu non ha pagato. Secondo i primi dati sui flussi elettorali, la Csu ha ceduto 180mila voti alla AfD e altrettanti ai Verdi. Segno che gli elettori che chiedevano posizioni più intransigenti hanno preferito i populisti di Alternativa per la Germania. Mentre quelli che, in un Land tradizionalmente cristiano come la Baviera, hanno guardato con malumore all'irrigidimento dei toni sui migranti, si sono avvicinati ai Verdi. I quali, in termini assoluti, hanno sottratto voti soprattutto agli ex sostenitori della Spd (210mila).

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Scorrendo le motivazioni di voto rilevate da Ard, si scopre che le politiche sui migranti sono state indicate come “molto importanti“ soltanto dal 33% degli elettori, poco in confronto a temi come “Scuola e formazione“ (52%), “Spazi abitativi a prezzi accessibili“ (51%) e “Politiche ambientali“ (49%). Inoltre, la formazione ambientalista è riuscita a costruirsi una forte posizione su un tema che qui ha una lunga tradizione, è stato associato per decenni alla Csu e gioca un ruolo importante nelle aree rurali e tra l'elettorato conservatore: l'amore per la patria, inteso come legame con la natura e difesa di paesaggi naturali incontaminati, visti come quintessenza della propria identità. I Verdi hanno compreso meglio degli altri partiti la paura della distruzione della natura – e, in ultima istanza, della propria identità – di fronte a una cementificazione che qui avanza a ritmi più elevati che in altri Länder: in Baviera nel 2016 ogni giorno 10 ettari di terreni sono stati trasformati in aree deputate al traffico o agli insediamenti abitativi o industriali. Ludwig Hartmann, candidato di punta dei Verdi alle regionali insieme a Katharina Schulze, è il portavoce di “Betonflut eindämmen“ (“Fermare l'ondata di cemento“), un'iniziativa trasversale che ha provato – senza successo, per via dello stop della Corte costituzionale bavarese – a organizzare un referendum che limitasse a 5 ettari al giorno la cementificazione. Un tema, questo, che fa presa soprattutto su un elettorato conservatore che, per la prima volta, ha iniziato a guardare con interesse ai Verdi.

Il suo pragmatismo regala inoltre al partito ecologista una posizione di vantaggio in un panorama partitico sempre più frammentato come quello tedesco, in cui le tradizionali alleanze a due sono sempre più rare. Attualmente, a livello regionale, i Verdi governano in nove regioni, con geometrie variabili: si va da alleanze con Spd e Linke (come nella città-Stato di Berlino) a coalizioni “Giamaica“ con Cdu e Fdp (Schleswig-Holstein), passando per intese a due con la Cdu (come in Baden-Württemberg) o con la Spd (ad esempio ad Amburgo), fino alle più esotiche coalizioni “Kenya“ (con Cdu e Spd, in Sassonia-Anhalt) e “Semaforo“ (con Spd e Fdp, in Sassonia-Anhalt). E, sul piano nazionale, i Verdi non hanno risentito negativamente del fallimento delle trattative avviate con la Cdu/Csu e i liberali della Fdp dopo le politiche di un anno fa per la formazione di un governo, poi saltate per il no della Fdp.

Foto in anteprima via Deutsche Presse Agentur

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