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“All’ombra dell’Olocausto”: la Germania e il supporto incondizionato a Israele

30 Dicembre 2023 8 min lettura

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“All’ombra dell’Olocausto”: la Germania e il supporto incondizionato a Israele

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Il 16 dicembre scorso, lə giornalista russo-americanə Masha Gessen avrebbe dovuto ricevere il Premio Hannah Arendt, importante riconoscimento internazionale che “celebra le persone che individuano aspetti critici e inediti dell’attualità politica e che non temono di prendere posizione pubblicamente in dibattiti su temi controversi”. La cerimonia di premiazione è stata tuttavia posticipata di qualche giorno, e si è svolta in una sede diversa rispetto a quella consueta.

Gessen, che si identifica come persona transgender non binariə (e usa in inglese i pronomi they/them), è ebreə, e negli anni ‘40 alcuni membri della sua famiglia sono stati vittime dell’Olocausto. Nel 2013 Gessen ha lasciato la Russia e si è trasferitə negli Stati Uniti, a seguito dell’inasprimento delle leggi contro le persone LGBTQ+.

https://www.valigiablu.it/masha-gessen-giornalista-russia-ricercati/

Come giornalista e autorə, Gessen ha sempre avuto posizione critiche verso Vladimir Putin e il suo regime, così come verso quei politici con tratti da autocrate, ad esempio Donald Trump. Tuttavia, l’assegnazione del Premio Arendt a Gessen è stata oggetto di dure contestazioni, tanto che a ridosso della cerimonia di premiazione si è diffusa la notizia che il Premio fosse stato cancellato. Ne è nato così un caso internazionale, con al centro i problemi della libertà di espressione in Germania, della memoria storica e del conflitto tra Israele e Hamas. 

Le contestazioni all’articolo di Masha Gessen per il New Yorker

Pochi giorni prima della cerimonia, in origine prevista per venerdì 15 dicembre, la Heinrich Böll Foundation (HBS), politicamente affiliata ai tedeschi Verdi, ha ritirato il patrocinio al premio. Il municipio di Brema, città in cui si svolge la cerimonia di premiazione, ha invece ritirato la disponibilità della sala. In un secondo momento la fondazione ha confermato l’assegnazione del premio e l’importo previsto (10mila euro).

La decisione della Heinrich Böll Foundation e del municipio è arrivata dopo le pressioni della Deutsch-Israelische Gesellschaft (la Società Tedesco-Israeliana) di Brema. In una lettera aperta, la DIS aveva infatti sostenuto come il pensiero di Gessen fosse “in netto contrasto con quello di Hannah Arendt”, e come la decisione di premiarlə fosse d’ostacolo “alla necessaria risolutezza contro il crescente antisemitismo”. 

Alla base della lettera della DIS c'è l’articolo che Gessen ha scritto per il New Yorker, uscito il 9 dicembre, dal titolo In the shadow of the Holocaust (“All’ombra dell’Olocausto”). Dell’articolo in questione la Deutsch-Israelische Gesellschaft ha criticato in particolare il paragone tra la situazione di Gaza e i ghetti ebraici in Est Europa durante l’occupazione nazista. Così scrive Gessen:

Negli ultimi diciassette anni, Gaza è stata un agglomerato sovrapopolato, impoverito e recintato, dove solo una piccola parte della popolazione ha avuto il diritto di uscire, anche solo per un breve periodo di tempo: in altre parole, un ghetto. Non come il ghetto ebraico di Venezia o un ghetto di una città americana, ma come un ghetto ebraico in un paese dell'Europa orientale occupato dalla Germania nazista. Nei due mesi successivi all'attacco di Hamas contro Israele, tutti  gli abitanti di Gaza hanno sofferto per l'assalto pressoché ininterrotto delle forze israeliane. Migliaia di persone sono morte. In media, a Gaza viene ucciso un bambino ogni dieci minuti. Le bombe israeliane hanno colpito ospedali, reparti di maternità e ambulanze. a Gaza otto persone su dieci sono ormai senza casa: si spostano da un posto all'altro, senza mai riuscire a mettersi in salvo.

Il termine "prigione a cielo aperto" sembra essere stato coniato nel 2010 da David Cameron, il ministro degli Esteri britannico che allora era primo ministro. [...] Ma come nei ghetti ebraici dell'Europa occupata, non ci sono guardie carcerarie: Gaza non è sorvegliata dagli occupanti, ma da una forza locale. Presumibilmente, il termine più appropriato, per l'appunto "ghetto", verrebbe stigmatizzato per il paragone tra la situazione dei palestinesi a Gaza e degli ebrei ghettizzati. Ma ci darebbe anche il linguaggio per descrivere ciò che sta accadendo a Gaza ora. È in corso la dissoluzione del ghetto.

I nazisti sostenevano che i ghetti erano necessari per proteggere i non ebrei dalle malattie diffuse dagli ebrei. Israele ha sostenuto che l'isolamento di Gaza, come il muro in Cisgiordania, è necessario per proteggere gli israeliani dagli attacchi terroristici compiuti dai palestinesi. La rivendicazione nazista non aveva alcun fondamento nella realtà, mentre quella israeliana deriva da atti di violenza effettivi e ripetuti. Si tratta di differenze essenziali. Tuttavia, entrambe le rivendicazioni propongono che un'autorità occupante possa scegliere di isolare, immiserire e, ora, mettere mortalmente in pericolo un'intera popolazione in nome della protezione della propria.

Nell’articolo, in pratica un saggio breve, Gessen si è concentratə sulla cultura della memoria dell’Olocausto nella stessa Germania. Secondo Gessen, infatti, in Germania la colpa per le persecuzioni compiute contro gli ebrei si sovrappone facilmente a qualunque critica verso Israele. Ciò sta creando da molto tempo un clima di censura, o persino situazioni paradossali. Al riguardo Gessen cita una risoluzione per condannare il movimento di boicottaggio a Israele (BDS), approvata nel 2019. La risoluzione è arrivata in seguito a una proposta del partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD), spesso al centro di polemiche per dichiarazioni antisemite dei suoi esponenti, o per ammiccamenti all’epoca nazista. Presi in mezzo tra la prospettiva di appoggiare un’iniziativa dell’AfD e il passare per antisemiti, i parlamentari tedeschi hanno così approvato una propria risoluzione, che collega il BDS  “al periodo più cupo della storia tedesca”.

Un altro aspetto dell’articolo da sottolineare ai fini delle polemiche esplose, è l’esplicita citazione che Gessen fa di Hannah Arendt. Gessen infatti ricorda come nel 1948 scrisse una lettera aperta in cui condannava il Partito della Libertà (Tnuat Haherut), un partito israeliano che secondo la filosofa “nei metodi, nell’organizzazione e nei suoi principi politici ricorda il partito nazista e quello fascista”. 

La lettera di Arendt fu scritta in occasione della visita negli Stati Uniti del leader del Partito della Libertà, Menachem Begin. Quella lettera, ricorda Gessen, fu firmata anche da Albert Einstein. “Trent’anni dopo”, scrive Gessen, “Begin diventò primo ministro d’Israele”.

Gessen ha anche illustrato i problemi nell'adottare la definizione di antisemitismo della International Holocaust Remembrance Alliance, in cui i tropi antisemiti classici e i discorsi d'odio contro gli ebrei sono messi insieme a critiche verso Israele. L'implementazione di un'accezione così estesa è avvenuta negli ultimi anni anche in Germania. Nei casi limite, intellettuali ebrei sono presi di mira per posizioni critiche contro Israele:

Oggi ci sono decine di commissari per l'antisemitismo in tutta la Germania. Non esiste un'unica descrizione delle mansioni o un quadro giuridico per il loro lavoro, ma gran parte di esso sembra consistere nel denigrare pubblicamente coloro che considerano antisemiti, spesso per aver "sminuito l'unicità l'Olocausto" o per aver criticato Israele. Quasi nessuno di questi commissari è ebreo. Anzi, la percentuale di ebrei tra i loro bersagli è certamente più alta. Tra questi, il sociologo tedesco-israeliano Moshe Zuckermann, preso di mira per aver sostenuto il movimento BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, ovvero il movimento di boicottaggio a Israele, NdT], e il fotografo ebreo sudafricano Adam Broomberg.

Come riferito a Gessen dall'artista Candice Breitz, che vive a Berlino, c'è ormai una sorta di maccartismo in atto da parte delle istituzioni pubbliche che finanziano eventi, e da cui dunque il settore dell'arte e della cultura dipende. "Ogni volta che vogliamo invitare qualcuno a un evento viene fatta una ricerca su Google mettendo il nome dell'ospite e parole come 'BDS.', 'Israele', 'apartheid'".

La reazione di Gessen e il suo discorso durante la premiazione

Dopo la decisione della fondazione e del Municipio di Brema, Gessen ha concesso varie interviste a commento dell’accaduto. Una delle interviste è stata rilasciata alla giornalista del Washington Post Laura Wagner. Gessen ha dichiarato di aver saputo del patrocinio ritirato tramite un messaggio dell’Istituto Hannah Arendt, ma di non essere statə coltə di sorpresa dalla decisione, che ritiene anzi coerente con un certo clima presente in Germania e descritto nel suo articolo per il New Yorker:

Quando ero a Berlino per scrivere l’articolo, ho accennato - per scherzo, ma fino a un certo punto - ad alcuni amici che forse mi avrebbero revocato il Premio Hannah Arendt per quel motivo. Mi hanno assicurato che non era possibile, così ho avuto fiducia del loro intuito. Anche le persone che conosco in Germania e che hanno avuto a che fare con questo problema in modo continuativo negli ultimi anni sono scioccate dalla follia di questa situazione: le persone vengono silenziate, gli ebrei vengono denunciati come antisemiti per aver criticato le politiche israeliane, e così via.

Nell’intervista, Gessen ribadisce anche quello che ritiene uno degli aspetti critici di questo clima, legato all’unicità attribuita all’Olocausto. Se il “mai più” di fronte all’orrore della Shoah non ammette paragoni di alcun tipo, in particolare con eventi contemporanei, allora viene meno la possibilità di imparare dalla Storia.

“Non siamo più intelligenti o migliori o più morali delle persone che vivevano 100 anni fa” dice Gessen nell’intervista. “L'unica cosa che abbiamo noi e che loro non avevano è la consapevolezza che l'Olocausto era e rimane possibile. È una lezione, non particolarmente complicata”. Circa la situazione a Gaza, rispondendo a una domanda specifica di Wagner Gessen ha detto di non essere convintə sia un corso un genocidio. “Penso che ‘pulizia etnica’ descriva correttamente quanto sta accadendo. Ma, in ogni caso, stanno avvenendo dei crimini contro l’umanità”.

Durante il discorso della premiazione, Gessen ha insistito proprio sull’importanza di poter fare paragoni, e quindi anche sulla libertà che va concessa agli intellettuali di riferirsi ai ghetti nazisti. “Compariamo per apprendere. Così infatti comprendiamo il mondo. Un colore è tale solo insieme ad altri colori. Una forma è tale solo se è distinguibile da altre forme. Un sentimento è tale solo se hai avuto esperienza di altri sentimenti”. Continua Gessen:

Eppure c’è una regola - di certo non un'esclusiva della Germania - secondo cui non si possono fare paragoni con l'Olocausto. C'è un paradosso: immaginiamo l'Olocausto nei minimi dettagli, ma lo concepiamo come fondamentalmente inimmaginabile. È un tipo di male che non possiamo comprendere. Ma tutto ciò che accade nel presente è, per definizione, immaginabile. Possiamo vederlo. Persino i bambini separati dai loro genitori al confine con gli Stati Uniti e messi in detenzione sono immaginabili una volta che vediamo le loro immagini sui nostri schermi e sentiamo le loro voci nelle registrazioni audio. Così, quando nel 2019 la deputata Alexandria Ocasio Cortez ha usato le parole "campi di concentramento" per descrivere le strutture di detenzione dei migranti, questo paragone ha attirato critiche, tra le altre ragioni, perché metteva l'immaginabile - una pratica regolare del governo statunitense - accanto all'inimmaginabile. Tutto ciò che è immaginabile per il fatto stesso di essere visto, sentito, testimoniato, ci sembra incomparabile con l'Olocausto.

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Alcune delle frasi utilizzate per precludere la possibilità di paragonare qualcosa all'Olocausto sono "banalizzazione dell'Olocausto", "relativizzazione dell'Olocausto" e, paradossalmente, anche "universalizzazione dell'Olocausto". Queste frasi, che ribadiscono la singolarità dell'Olocausto, hanno una relazione con la frase "Mai più". Ho riflettuto molto su questa frase, tra l'altro per la strana variante "Mai più è ora", che mi dicono abbia poco senso sia in tedesco che in inglese. Mi sembra una specie di incantesimo. Ma "mai più" è un progetto politico. È un'aspirazione - sempre - non lo stato delle cose così come sono. Forse è per questo che l'accostamento alla parola "ora" mi disturba tanto.

Gessen ha poi ricordato il concetto che la stessa Hannah Arendt aveva di politica. “Per lei era uno spazio in cui cercare di capire come vivere insieme in questo mondo. Uno spazio di discussione, pensiero e creazione di nuove possibilità. Dopo l’Olocausto, è uno spazio in cui capire come vivere insieme in questo mondo senza ripetere l'Olocausto”.

Immagine in anteprima via lithub.com

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