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Cosa significa il riconoscimento dello Stato palestinese da parte di Spagna, Norvegia e Irlanda

27 Maggio 2024 8 min lettura

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Cosa significa il riconoscimento dello Stato palestinese da parte di Spagna, Norvegia e Irlanda

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Spagna, Norvegia e Irlanda hanno dichiarato l’intenzione congiunta di riconoscere formalmente lo Stato della Palestina a partire dal 28 maggio 2024. Come prevedibile, la mossa ha provocato un turbinio di reazioni politiche.

Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha dichiarato che non si tratta di un atto a favore di Hamas o contro la popolazione ebraica, ma di un tentativo per favorire i processi di pace. Mentre la ministra del lavoro Yolanda Diaz ha scatenato alcune polemiche per l’utilizzo del contestato slogan “la Palestina sarà libera dal fiume al mare”. Il Ministro degli esteri norvegese ha lasciato intendere che si tratta di una mossa parzialmente motivata dalle politiche di Netanyahu nel conflitto di Gaza, mentre tutti i principali leader dei tre Stati coinvolti hanno concordato nel ritenere questa iniziativa come un passo necessario per rafforzare gli sforzi negoziali per una risoluzione del conflitto attraverso una soluzione a due Stati. 

Il primo ministro Netanyahu ha reagito veementemente, denunciando come questa iniziativa sia un effettivo premio per gli attacchi terroristici del 7 ottobre, mentre il ministro degli esteri israeliano ha richiamato gli ambasciatori israeliani in Spagna, Norvegia e Irlanda per consultazioni e annunciato di voler fermare le operazioni di assistenza del consolato spagnolo ai cittadini palestinesi.

Con Spagna, Norvegia e Irlanda sono attualmente 147 gli Stati che riconoscono la Palestina. Si tratta di un numero molto elevato, più dei due terzi dei membri delle Nazioni Unite (193). Ma quale significato hanno questi atti di riconoscimento? Quali effetti producono nel diritto internazionale ed è vero che uno Stato per esistere “deve farsi riconoscere”?

La Palestina ha davvero bisogno di essere “riconosciuta”?

Per rispondere in maniera molto breve, uno Stato non ha bisogno di essere riconosciuto per esistere. Iniziamo col dire che tecnicamente il riconoscimento è un atto unilaterale che produce effetti limitatamente al rapporto che intercorre tra chi riconosce e chi è riconosciuto. Sarebbe incongruo che uno Stato che non abbia effettuato il riconoscimento sia vincolato dalla volontà di un altro Stato. Così come sarebbe incongruo d’altra parte che uno Stato possa semplicemente decidere di negare l’esistenza a un altro mancando di riconoscerlo.

Le teorie soggettivistiche della statualità, secondo cui per essere ammesso al “club degli Stati” dovevi essere accettato da chi faceva già parte di quel club, sono nate quando la comunità internazionale degli Stati era molto più ridotta rispetto alle dimensioni attuali (basti pensare che la Società delle Nazioni, antenato delle moderne Nazioni Unite, contava qualcosa come 60 Stati, mentre attualmente i membri dell’ONU risultano moltiplicati di oltre tre volte) e pertanto sono oggi obsolete.

Ad oggi, è più comune sostenere che affinché un’entità territoriale sia considerabile come uno Stato c’è bisogno che questa entità… si comporti come tale. La Convenzione di Montevideo elenca quelli che sono tradizionalmente riconosciuti come gli elementi caratterizzanti di uno Stato: popolazione, territorio, governo e capacità di entrare in relazioni con altri Stati (Art. 1). Intuitivamente, dunque, uno Stato per comportarsi come tale deve poter esercitare un governo effettivo su una comunità territoriale con la capacità di rappresentare quella comunità sul piano esterno. Questo è effettivamente l’unico criterio ad oggi accettato perché uno Stato possa dirsi tale. La presenza, o l’assenza, di atti di riconoscimento non va dunque ad inficiare l’esistenza obiettiva di uno Stato. Il Kosovo, ad esempio, continua a non essere riconosciuto da molti Stati, inclusi alcuni membri dell’Unione Europea, tra cui la Spagna per l’appunto, ma questo non impedisce alle autorità di Pristina di esercitare il controllo sul proprio territorio e di entrare in accordi di cooperazione con numerosi Stati. La cooperazione e la normalizzazione dei rapporti tra Kosovo e Unione Europea è ad esempio molto attiva.

Ciò non significa che uno Stato debba necessariamente soddisfare i criteri elencati dalla Convenzione di Montevideo in maniera simultanea e cumulativa. I criteri della Convenzione di Montevideo vanno presi cum grano salis, perché la Convenzione è del 1933, quasi 100 anni fa, e perché essenzialmente nel diritto internazionale nulla è scritto su pietra in maniera immutabile. Può dunque essere che la realtà delle relazioni internazionali sia cambiata col tempo e che i criteri siano cambiati con essa.

È impossibile individuare con esatta certezza, in un ordinamento essenzialmente anarchico come è quello del diritto internazionale, il momento in cui uno Stato inizia e finisce di “comportarsi da Stato”. Ci sono situazioni in cui Stati sono stati considerati tale anche in assenza di alcuni requisiti, come quello del territorio. Durante la Seconda guerra mondiale, si consideravano Stati, e dunque abilitati a esercitare le prerogative che il diritto internazionale assegna ad essi, anche i cosiddetti “governi in esilio” che avevano trovato rifugio dall’occupazione nazista in altri territori. Si considerano ancora oggi Stati i cosiddetti “Stati falliti”, ossia Stati che hanno perso l’effettività di governo sul proprio territorio (tra cui il Sud Sudan, considerato l’ultimo Stato “effettivamente nato”). Si considereranno Stati, con tutta probabilità, anche i piccoli stati insulari che perderanno porzioni significativi del proprio territorio a causa dell’innalzamento del livello del mare. 

Ogni tentativo di esaminare in modo analitico e obiettivo se uno Stato soddisfi chiaramente e inequivocabilmente i criteri della statualità è destinato inevitabilmente a fallire, scontrandosi con la fluidità della realtà delle relazioni internazionali. Per questo non può escludersi che la Palestina non possa essere considerata uno Stato anche in assenza dei criteri menzionati per la statualità. Quello che invece deve essere escluso è che il riconoscimento sia una condizione imprescindibile a questo scopo.

Che efficacia ha il riconoscimento della Palestina per il diritto internazionale?

Che efficacia hanno allora gli atti di riconoscimento di Spagna, Norvegia e Irlanda e perché così tanti Stati si sono adoperati per riconoscere la Palestina nel tempo?

Dal punto di vista giuridico, il riconoscimento può rappresentare un indizio di statualità. Si tratta infatti di un accertamento, quantomeno parziale, della personalità giuridica internazionale di un ente. Non essendoci nel diritto internazionale un’alternativa – ossia un organo sovraordinato rispetto agli Stati che accerti in maniera obiettiva e accentrata chi è Stato e chi no – molto spesso questo è l’unico mezzo disponibile per poter accertare se un’entità sia diventata uno Stato. Per quel che riguarda la Palestina, se tre indizi fanno una prova, 147 indizi concordi è un numero che non può essere tralasciato con leggerezza.

Se non producono immediati effetti giuridici, tuttavia, gli atti di riconoscimento hanno una profonda valenza politica. Servono in altre parole a dar corpo all’intenzione dello Stato di riconoscere quell’entità come un valido interlocutore nelle relazioni internazionali. Gli Stati si riconoscono sia per dare certezza alle loro relazioni, sia per influenzare e indirizzare il processo di formazione di nuovi Stati. Il riconoscimento può influenzare in primis lo Stato nascente che, verosimilmente, per farsi accettare come tale dai suoi pari, tenterà di allinearsi ai loro valori condivisi. In secundis, il riconoscimento può influenzare tutti gli Stati che siano in controversia riguardo la formazione di un nuovo Stato. Per esempio, in merito al conflitto palestinese, il riconoscimento della Palestina come stato segnala agli Stati coinvolti, e in particolare ad Israele la necessità che si addivenga ad una risoluzione che tenga conto di questo riconoscimento.

Inoltre, il riconoscimento ha profondi effetti pratici, perché normalizza le relazioni con gli altri Stati della comunità internazionale. Uno Stato non riconosciuto difficilmente può stringere accordi con altri Stati, relazioni diplomatiche, o partecipare della vita delle organizzazioni internazionali, che influiscono su aspetti talvolta decisivi della vita dei paesi.

Che effetti avrà il riconoscimento della Palestina sul conflitto in corso?

Non sono da tralasciare in ogni caso i profondi effetti che il riconoscimento di Spagna, Irlanda e Norvegia può produrre per le relazioni geopolitiche europee. Il significato di questa iniziativa è infatti altamente simbolico per gli attori coinvolti nel processo. Ancorché non si tratta del primo Stato dell’Europa occidentale a riconoscere la Palestina (la Svezia aveva proceduto nel 2014), è la prima mossa diplomatica concertata a livello europeo, il che potrebbe segnalare l’intenzione nascente del blocco occidentale di prendere una posizione condivisa sul tema (Malta e Slovenia hanno ad esempio già segnalato a marzo di considerare l’ipotesi) e esercitare una maggiore pressione sulla politica israeliana.

La Spagna, soprattutto, è tradizionalmente restia a riconoscere le istanze indipendentistiche di altri paesi (ad esempio non ha mai dichiarato di voler riconoscere le istanze indipendentistiche del Kosovo), perché simili istanze potrebbero essere fatte valere dalla Catalogna. Pertanto, la decisione di prendere una posizione su queste questioni è estremamente significativa, considerando le delicate ripercussioni che potrebbe avere sulla politica interna.

Anche la partecipazione della Norvegia è rilevante per lo storico coinvolgimento del paese nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese (i negoziati in cui Israele ha riconosciuto per la prima volta l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina come interlocutore legittimo sono avvenuti ad Oslo). In questo contesto, il ministro degli Esteri norvegese ha spiegato che il paese, se prima riteneva che il riconoscimento dovesse essere il risultato del procedimento di negoziazione delle parti, adesso ritiene che al contrario sia il riconoscimento a dover dare impulso e rafforzare il processo di negoziazione (“We used to think that recognition would come at the end of a process, now we have realized that recognition should come as an impetus, as a strengthening of a process”).

Non è da escludere che il riconoscimento della Palestina possa avere degli effetti più ampi per il conflitto in corso. Si tratta infatti di una iniziativa che potrebbe dare nuovo impulso e credibilità alle istituzioni palestinesi a danno della legittimazione interna di Hamas. È quindi un'iniziativa che, contrariamente a quanto affermato dagli ufficiali israeliani, non premia gli attacchi del 7 ottobre, ma mira a creare le condizioni per superare la situazione politica che ha portato a quella tragedia.

Ma quindi la Palestina è uno Stato o no?

È impossibile rispondere con assoluta certezza a questa domanda. Possiamo soltanto limitarci ad annotare gli “indizi” di cui parlavamo. Ad oggi, la Palestina difficilmente può dirsi abilitata a esercitare il governo effettivo sul proprio territorio, complice anche le politiche israeliane di occupazione. Tuttavia, la Palestina ha acquisito un certo livello di accreditamento a livello internazionale.

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Oltre a essere riconosciuta da un numero amplissimo di Stati, la Palestina figura ad oggi tra gli Stati osservatori non-membri delle Nazioni Unite, che possono partecipare ai lavori dell’Assemblea generale ma non hanno i diritti dei paesi membri. Ha parzialmente accettato la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia e ha promosso un ricorso contro gli Stati Uniti per la violazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961 (soltanto gli Stati possono accedere la giurisdizione della Corte, ma la Corte non si è ancora pronunciata sulla ricevibilità del ricorso). È accreditata presso alcune organizzazioni internazionali, tra cui Lega Araba e l’UNESCO, ed è Stato osservatore di altri. Fa parte dello Statuto della Corte penale internazionale, che nel 2021 ha confermato la sua qualifica di Stato ai soli fini di applicazione dello Statuto. Mantiene relazioni diplomatiche e commerciali con più di 120 paesi. Tra queste, figura anche un trattato di libero scambio con l’Unione Europea. La sua capacità di intrattenere relazioni internazionali è anche certificata dalla sua partecipazioni a convenzioni internazionali, tra cui le Convenzioni di Ginevra sul diritto umanitario e la Convenzione contro il genocidio. 

È difficile ignorare tutti questi indizi. Tuttavia, è anche impossibile pensare di poter risolvere la questione della statualità della Palestina prescindendo da un negoziato con Israele che normalizzi i rapporti tra i paesi e definisca conclusivamente la questione del suo status territoriale. Il riconoscimento può rappresentare un impulso in questo senso, ma non certamente la soluzione.

Immagine in anteprima: Montecruz Foto, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

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