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Donne, aborto, gender pay gap, diritti LGBTQIA+: le proposte dei partiti sono superficiali, generiche, se non del tutto oscurantiste

1 Settembre 2022 14 min lettura

Donne, aborto, gender pay gap, diritti LGBTQIA+: le proposte dei partiti sono superficiali, generiche, se non del tutto oscurantiste

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Mentre la campagna elettorale prosegue, si fanno le prime ipotesi su come potrebbero cambiare le cose a seconda dei partiti che andranno al governo. I diritti riproduttivi e le questioni di genere sono tra i temi più discussi, sia perché i partiti e le coalizioni hanno posizioni molto diverse se non contrapposte, sia perché negli ultimi anni è diventato sempre più chiaro come i diritti conquistati non possano essere dati per scontati. Alcuni partiti hanno inserito nei loro programmi elettorali riferimenti specifici a leggi che intendono approvare una volta al Governo, altri sono rimasti sul generico, altri ancora hanno dato una loro interpretazione ai problemi.

Pur sapendo che i programmi elettorali non sempre si trasformano in leggi concrete, resta comunque interessante capire come i principali partiti politici si pongono in relazione alle questioni di genere.

Violenza di genere

Secondo un report pubblicato dal Viminale, dall’1 agosto 2021 al 31 luglio 2022 in Italia sono state uccise 125 donne, un numero in aumento rispetto all’anno precedente, e ci sono state 15.817 denunce per stalking. Comprendere come i partiti politici intendano affrontare il problema della violenza di genere è quindi più che mai urgente. Il Partito Democratico propone di “rafforzare i percorsi di fuoriuscita dalla violenza”, potenziando le reti e i centri anti-violenza e introducendo regole “per una più compiuta attuazione della Convenzione di Istanbul”, che prevede una serie di misure per prevenire e contrastare la violenza di genere.

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Azione e Italia Viva promettono un aumento del numero dei centri antiviolenza per “raggiungere i target europei”, specificando che bisognerebbe passare dai 300 attuali ai 6.000 CAV presenti sul territorio italiano. Oltre a questo i due partiti promettono altre misure come il “rafforzamento” del reddito di libertà per le donne in case rifugio, orientamento lavorativo all’interno dei centri antiviolenza, supporto psicologico per figli minori e l’approvazione del pacchetto anti-violenza del Governo Draghi.

Come spiega però a Valigia Blu Antonella Veltri, Presidente D.i.Re - Donne in Rete contro la violenza: “Fare crescere il numero dei centri può rappresentare un valore aggiunto se si è capaci e se si mette a disposizione delle donne che vanno sostenute pratiche di relazione tra donne che i nostri centri mettono in atto con esperienza ormai navigata. Le donne non hanno bisogno di assistenza e di carità e fare nascere nuovi centri senza l’adeguata formazione non avrebbe senso perché non porterebbe sulla strada della libertà delle donne dalla violenza”. Piuttosto, dice Veltri, i centri antiviolenza hanno bisogno “di maggiori risorse e soprattutto di continuità di finanziamento”, anche perché “orientamento lavorativo e supporto psicologico fanno già parte delle azioni che le operatrici dei centri antiviolenza offrono alle donne accolte: servirebbero i fondi per poterli garantire su tutto il territorio nazionale”.

Il Movimento 5 Stelle invece inserisce la violenza di genere nel capitolo “Dalla parte della legalità: contro corruzione, criminalità organizzata e narcomafie”, generando un effetto piuttosto grottesco. Qui il movimento guidato da Giuseppe Conte promette interventi generici e poco chiari, come “la formazione degli operatori”, senza specificare se si stia parlando delle operatrici dei centri antiviolenza e del tipo di formazione che si pensa di fornire, “l’obbligatorietà e l’implementazione dei braccialetti elettronici e percorsi di recupero per i soggetti maltrattanti”, oltre a una non precisata “riforma della disciplina degli affidi”.

Per quanto riguarda la coalizione di destra, composta da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati, la violenza di genere è affrontata nella sezione “Sicurezza e contrasto all'immigrazione illegale”, con un chiaro tentativo di continuare a usare il corpo delle donne per contrastare politiche di accoglienza e generare allarmismi su una presunta “emergenza immigrazione”. Il caso della donna ucraina violentata ad agosto a Piacenza da un uomo originario della Guinea è diventato ad esempio uno strumento per la campagna elettorale di Fratelli d’Italia e Lega. Giorgia Meloni, che ha condiviso il video dello stupro seppure non mostrando i volti ma mantenendone l’audio, ha commentato la vicenda scrivendo sui social: “Non si può rimanere in silenzio davanti a questo atroce episodio di violenza sessuale ai danni di una donna ucraina compiuto di giorno a Piacenza da un richiedente asilo”. Matteo Salvini ha invece detto che “difendere i confini e gli italiani” sarà per lui un “dovere” e ha promesso “10.000 poliziotti e carabinieri in più nel 2023, più telecamere accese e blocco degli sbarchi clandestini”, stressando nuovamente il concetto per cui la violenza di genere sia un problema di sicurezza e una conseguenza dell’immigrazione.

Eppure, i dati suggeriscono tutt’altro: secondo quanto riportato dall’Istat, ad esempio, le forme di violenza più gravi sono commesse da persone conosciute e in ambito familiare. Lo stesso si può dire per i femminicidi, dal momento che il 92,2% delle donne uccise nel 2020 è morta per mano di una persona conosciuta: il 51,7% è stata uccisa dal partner attuale, il 25,9% da un familiare, l’8,6% da una persona che conosceva, il 6% dall’ex partner.

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Come spiega però ancora Antonella Veltri, la violenza di genere “viene considerata un tema emergenziale, quando ormai riconosciuto, forse solo a parole, un argomento strutturale, culturale e trasversale. Manca, purtroppo, il pieno riconoscimento della natura della violenza maschile alle donne, manca la consapevolezza e la volontà politica di quello che serve per contrastarla”.

Aborto

La coalizione di destra poi non ha inserito alcun riferimento all’interruzione volontaria di gravidanza nel suo programma “Per l’Italia”, ma le posizioni dei suoi partiti sono piuttosto note. Di recente, The Guardian ha pubblicato un articolo che analizza il caso della Regione Marche guidata da Fratelli d’Italia e in cui accedere all’interruzione di gravidanza è estremamente difficile. Qui infatti non è stato recepito l’aggiornamento delle linee guida sull’aborto farmacologico pubblicato dal Ministero della Salute nell’agosto 2020 e che prevede che il servizio venga garantito negli ospedali e nei consultori, elimina la necessità di ricovero ed estende la possibilità di accedere all’aborto farmacologico fino alla nona settimana di gravidanza, come già indicato dal farmaco. La Regione Marche, definita come un “laboratorio” per le politiche del partito guidato da Giorgia Meloni, non è un caso isolato. Anche nell’Abruzzo di Fratelli d’Italia nel 2021, ad esempio, è stata inviata una circolare con una “forte raccomandazione alle Asl regionali affinché l’interruzione farmacologica di gravidanza” venga “effettuata preferibilmente in ambito ospedaliero e non presso i consultori familiari”.

Durante la sua campagna elettorale nel 2019 in Umbria, invece, l’attuale Presidente Donatella Tesei (Lega) aveva firmato il Manifesto valoriale per le elezioni del consiglio regionale dell’Umbria 2019, firmato e promosso da associazioni antiabortiste, in cui si legge che “La Regione sostiene la famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna” e “la vita, dal concepimento fino alla morte naturale”. Proprio il ruolo delle associazioni antiabortiste in Italia, il loro potere politico e i rapporti con i due partiti di estrema destra Fratelli d’Italia e Lega sono stati a lungo oggetto di indagini, rivelando un’influenza e una capacità di pressione politica per nulla marginali.

Meloni ha poi definito vergognose le nuove linee guida sull’aborto farmacologico che il Ministero della Salute ha pubblicato con il consenso del Consiglio superiore di sanità e che piuttosto cancellano limiti che il farmaco non prevede e che erano stati introdotti autonomamente dall’Italia. Una posizione non dissimile è quella espressa da Matteo Salvini in un suo discorso al Senato. In quella occasione, il leader della Lega ha infatti detto: "Noi siamo per la difesa della vita sempre e comunque, e per noi l'Italia del futuro, il nostro modello sono i centri di aiuto alla vita, non le pillole abortive regalate per strada a chiunque".

Nonostante gli esponenti dei partiti di destra ed estrema destra abbiano sostenuto in varie sedi di non voler toccare la legge 194, non è così improbabile dunque che l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza venga ostacolato e limitato quanto più possibile, anche attraverso l’applicazione della legge stessa. Meloni ad esempio di recente ha dichiarato: “Continueremo semplicemente a chiedere e a operare perché venga applicata la prima parte della 194, relativa alla prevenzione, e per dare alle donne che lo volessero una possibilità di scelta diversa da quella - troppo spesso obbligata - dell'aborto". Lo stesso concetto è ripetuto nel programma di Fratelli d’Italia, che promette “piena applicazione della Legge 194 del 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza, a partire dalla prevenzione” e l’“istituzione di un fondo per aiutare le donne sole e in difficoltà economica a portare a termine la gravidanza”. Anche nel programma della Lega si parla della legge 194 in questi termini, così come del ruolo delle associazioni antiabortiste. Infatti il partito guidato da Salvini promette una rifondazione dei consultori attraverso il PNRR, che definisce come “l’occasione per attuare l’art. 2 della 194/78 in tema di effettiva promozione della Vita, anche coinvolgendo le realtà no profit impegnate su questo fronte”.

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L’Alleanza Verdi Sinistra, nata da Europa Verde e Sinistra Italiana e che fa parte della coalizione di centrosinistra, sostiene nel suo programma di voler “difendere la legge che consente l’interruzione volontaria di gravidanza e soprattutto la sua possibile e corretta applicazione in tutte le nostre città”, obiettivo non scontato considerando che in Italia il 64,6% dei ginecologi è obiettore di coscienza e, sulla base di dati raccolti tra agosto 2021 e aprile 2022, in 11 Regioni risultava presente almeno un ospedale con il 100% di obiettori.

Nel programma pubblicato dal PD si legge che, per raggiungere l’obiettivo della parità di genere, verrà anche garantito “il pieno riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne, garantendo l’applicazione della legge 194/1978 in ogni sua parte sull’intero territorio nazionale e rafforzando la rete di consultori”, oltre al supporto post-partum e alla “presa in carico delle malattie croniche e invalidanti femminili come endometriosi o vulvodinia”. Il leader del Partito Democratico Enrico Letta ha anche definito “inquietante” la situazione delle Marche e che la legge 194 “va applicata in tutti i suoi aspetti”. Non si parla invece di IVG nel programma del Movimento 5 Stelle, il cui leader Giuseppe Conte si era espresso sull’eliminazione del diritto all’aborto a livello federale negli Stati Uniti, considerandola “allarmante” e aggiungendo: “In Italia la legge 194 garantisce, ormai dal 1978, questa facoltà, offrendo una soluzione equilibrata. Non permetteremo che venga posta in discussione. Non consentiremo un ritorno al passato”.

Lavoro, natalità e gender pay gap

Mentre anche Azione e Italia Viva non fanno alcun cenno all’interruzione volontaria di gravidanza, molto insistono invece sul sostegno alla natalità, l’attuazione del Family Act e l’introduzione di misure “che riducano i costi per favorire il rientro a lavoro dopo la maternità e ridurre i costi sostenuti dalle imprese”. Tra queste, i due partiti citano un sostegno al reddito post-maternità, un sostegno alle imprese per coprire le spese di sostituzione di maternità, una riforma dei congedi parentali, che porterebbe ad esempio il congedo obbligatorio di paternità da 10 giorni a 1 mese, “modalità flessibili della gestione dei congedi parentali”, e forme di premialità in caso di distribuzione equa tra i genitori dei congedi parentali.

Seppure in maniera più generica rispetto alle proposte di Azione e Italia Viva, anche la coalizione di destra dedica ampio spazio al tema. Il capitolo “Sostegno alla famiglia e alla natalità” infatti propone “politiche di conciliazione lavoro-famiglia per madri e padri”, “piano di sostegno alla natalità, prevedendo anche asili nido gratuiti, asili nido aziendali, ludoteche” e “sostegno ai genitori separati o divorziati in difficoltà economica”. Il tema dei genitori separati e in particolar modo dei padri separati è molto caro alla Lega e soprattutto a Simone Pillon che nel 2018 aveva presentato un disegno di legge sull’affido condiviso dei figli, molto contestato soprattutto dai movimenti femministi e dai centri antiviolenza, che mettevano in evidenza come il DDL Pillon avrebbe messo a rischio le donne in relazioni abusanti e violente e i loro figli. La Lega però è tornata sul tema e nel suo programma sostiene che in caso di separazioni e divorzi “è fondamentale la realizzazione del principio di bigenitorialità, affinché nessun figlio possa diventare ‘orfano di genitore in vita’”.

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Sempre nel suo programma, la Lega afferma anche di essere “in prima linea per la famiglia”. Secondo Matteo Salvini, “la legge più avanzata in Europa” per la famiglia “è quella che vige in Ungheria”. Molti sono gli incentivi proposti e messi in atto da Viktor Orban proprio per incrementare la natalità nel paese e, come Orban stesso ha dichiarato, “difendere il futuro dell’Ungheria senza dipendere dall’immigrazione”. Secondo un report pubblicato dall’organo di controllo finanziario ed economico del Parlamento ungherese, una minaccia alla natalità è però anche rappresentata dal sempre maggior numero di donne che studiano e si laureano: il tempo dedicato allo studio infatti, dice il report, comporta un ritardo nella ricerca del partner e dunque una diminuzione della fertilità.

Tra le varie proposte fatte invece dall’Alleanza Verdi e Sinistra, ci sono il “congedo di maternità obbligatorio retribuito al 100% per almeno 2 mesi prima” e 6 “dalla data del parto” oltre al congedo paterno “che non sia alternativo a quello della madre e per una maggiore durata rispetto ad oggi”. Molto generiche risultano anche le proposte del programma del Partito Democratico che afferma che verranno promosse “politiche di sostegno per la famiglia, anche per affrontare il problema della povertà infantile, della denatalità e dell’inverno demografico”, e che si impegnerà a “migliorare ulteriormente l’Assegno unico e universale per i figli a carico”. Una proposta più concreta è quella sulla co-genitorialità, per cui il PD promette di “introdurre totale parità nei congedi di maternità e paternità e un nuovo congedo parentale” paritario.

L’equiparazione dei tempi di congedo di paternità e maternità è presente anche nel programma del Movimento 5 Stelle, nello stesso capitolo dedicato alla parità salariale e alle misure definite “dalla parte delle donne”. Tra queste, il Movimento 5 Stelle propone anche la “pensione anticipata per le mamme lavoratrici”. In un tweet, il Movimento 5 Stelle spiega che “le mamme potranno uscire prima dal lavoro grazie a un bonus maturato per ogni figlio avuto”. 

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Come si legge però in un report pubblicato dall’Ispettorato del Lavoro, i problemi cominciano ben prima che le madri raggiungano una eventuale età pensionabile: esiste, si legge nel report, “una relazione tra la diminuzione degli indicatori relativi alla partecipazione e all’occupazione in coincidenza della maternità e in relazione al numero dei figli. In presenza di figli la partecipazione maschile aumenta e quella femminile si riduce” e la motivazione fornita in caso di dimissioni è per il 70% dei casi la difficoltà “di conciliazione tra lavoro e funzione di cura” per le madri, contro il 7,5% del totale dei padri.

Nello stesso capitolo in cui si parla di congedi di maternità e pensioni anticipate per le madri, il Movimento 5 stelle inserisce anche altre proposte definite come “dalla parte delle donne”. Tra queste ci sono “sgravi per l’assunzione delle donne in gravidanza”, “rafforzamento del fondo per l’imprenditoria” e la “parità salariale”. Se il sostegno all’imprenditoria femminile è presente in maniera trasversale da destra a sinistra, nel programma politico della coalizione di destra non vi è alcun riferimento al gender pay gap, presente invece nei programmi di Lega e Fratelli d’Italia. D’altro canto, ad aprile la delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento Europeo composta interamente da uomini ha votato contro la proposta per contrastare il divario retributivo di genere e promuovere la trasparenza dei salari nelle aziende con almeno cinquanta dipendenti, motivando poi questa scelta dicendo che “la sinistra aveva infarcito” il mandato negoziale “di riferimenti all’ideologia gender, con il rischio di colpire i diritti delle donne”.

Comunità LGBTQIA+

Che l’ideologia gender sia un’ossessione delle destre è cosa nota, ed è anche una delle strade maggiormente battute per opporsi al DDL Zan. Nessun accenno viene fatto alla comunità LGBTQIA+ nel programma della coalizione di destra, che quando parla di famiglia comunque fa sempre riferimento a madri e padri. Nonostante nel 2021 siano stati riportati dai mass media 126 episodi di odio omolesbobitransfobico e l’Italia sia al 33esimo posto su 49 Paesi della classifica Ilga Europe sulla situazione dei diritti umani della comunità LGBTQIA+, secondo il partito guidato da Giorgia Meloni l’Italia non ha bisogno di una legge che tuteli la comunità LGBTQIA+. Per Matteo Salvini invece il DDL Zan era una “follia” perché “tirava in ballo i bambini” e avrebbe portato il “gender” nelle scuole.

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La vicinanza dei partiti di Lega e Fratelli d’Italia alle associazioni antiabortiste e contro i diritti delle persone LGBTQIA+ così come alle posizioni di paesi come l’Ungheria e la Polonia, che portano avanti campagne contro la cosiddetta “promozione dell’omosessualità”, rendono plausibile la possibilità che non solo non vengano approvate nuove leggi a tutela della comunità, ma che ci possa essere un’involuzione di un contesto sociale già precario. Meloni ad esempio ha così commentato la legge ungherese contro la comunità LGBTQIA+ ampiamente contestata da varie organizzazioni che si occupano di diritti umani: “Con toni che io non userei mai e che possono non piacere, dice una cosa semplice; non si fa propaganda gender nelle scuole, soprattutto se a farla sono associazioni che non sono riconosciute dal sistema formativo ungherese. Da qui a dire che è una legge omofoba ce ne passa”. La legge ungherese, nata per inasprire le azioni contro la pedofilia, vieta la “rappresentazione e promozione dell’identità di genere diversa dal sesso assegnato alla nascita” e “dell’omosessualità” rivolte ai minori di 18 anni, comprese ad esempio le pubblicità. Come ha detto Neela Ghoshal dell’organizzazione che si occupa di diritti umani Human Rights Watch: “Il partito che governa l’Ungheria sta cinicamente sviluppando una narrazione di ‘protezione dei bambini’ per calpestare i diritti e provare a rendere invisibili” le persone LGBTQIA+.

Per quanto riguarda il programma di Azione e Italia Viva, il capitolo sui diritti si apre sostenendo che “la garanzia e l’espansione dei diritti civili e dello Stato di diritto in una società aperta è lo spartiacque tra il mondo libero e democratico e il mondo chiuso e illiberale, e definisce più di ogni altra cosa l’identità comune europea”. E i due partiti proseguono dicendo che “è necessario approvare quanto prima una legge contro l’omotransfobia”, oltre a “istituire l’Autorità Nazionale Indipendente per la Tutela dei Diritti Umani, e adottare iniziative di prevenzione e contrasto di ogni linguaggio d’odio”. Italia Viva però è anche considerato il soggetto politico che ha contribuito a ostacolare l’approvazione del DDL Zan, proponendo modifiche e variazioni a un disegno di legge che già di per sé rappresentava un compromesso.

La bocciatura del DDL Zan è stata definita come un fallimento di tutta la classe politica, sinistra compresa. In reazione a quella che viene definita come la strada della “rassegnazione” e alle “troppe leggi” che “negli ultimi 20 anni sono naufragate per mano di chi ha tradito il mandato elettorale”, diverse associazioni LGBTQIA+ italiane hanno lanciato in questi giorni “La strada dei diritti”, una piattaforma programmatica in cui si chiede alla politica tutta di impegnarsi e agire per tutelare la comunità. Nel comunicato di lancio si legge: “Non è più il tempo della timidezza, né dell’indecisione programmatica che strizza l’occhio ai pregiudizi. Ora ci troviamo qui, al bivio. Per non tornare indietro, come stanno facendo Stati Uniti in materia di aborto e Russia con l’inasprimento della legge ‘anti-lgbt’, serve una proposta chiara, che dia gli stessi diritti a chi non li ha”. Tra le rivendicazioni, le associazioni chiedono il riconoscimento dell’identità di genere, l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, il matrimonio egualitario e una legge che tuteli la comunità dall’odio omolesbobitransfobico.

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Il matrimonio egualitario e l’approvazione del DDL Zan sono presenti nel programma del Partito Democratico, mentre l’Alleanza Verdi e Sinistra chiede anche l’adozione per le coppie non eterosessuali, una legge contro le terapie di conversione e una legge che “vieti gli interventi chirurgici e le procedure non necessarie dal punto di vista medico sui bambini e le bambine intersex”.

Salvo pochissime eccezioni (come alcune proposte del centrosinistra su violenza di genere, aborto e diritti LGBTQIA+), e al netto delle contraddizioni interne dei singoli partiti e delle coalizioni ampie che potrebbero implicare un ridimensionamento delle proposte fatte in fase di campagna elettorale, ciò che emerge guardando alle sole tematiche di genere è un quadro sconfortante, fatto perlopiù di proposte superficiali, generiche e che, nel caso di Fratelli d'Italia e Lega, evocano esperienze del tutto oscurantiste.

Immagine in anteprima: Camelia.boban, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

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