Post

Mantenimento, affido, genitorialità: cosa prevede il disegno di legge Pillon e quali sono le sue criticità

22 Settembre 2018 19 min lettura

author:

Mantenimento, affido, genitorialità: cosa prevede il disegno di legge Pillon e quali sono le sue criticità

Iscriviti alla nostra Newsletter

19 min lettura

Lo scorso 10 settembre è arrivato in Commissione Giustizia al Senato il disegno di legge 735, a prima firma del senatore della Lega Simone Pillon sull'affido condiviso dei figli e il loro mantenimento. Il testo vuole riformare la legge approvata nel 2006, che ha introdotto il principio per cui, in caso di separazione, l'affidamento dei figli minori sia disposto a favore di entrambi i genitori, salvo i casi in cui questo possa essere dannoso per i bambini.

Il ddl Pillon introduce la mediazione obbligatoria per separazioni e divorzi nel caso in cui ci siano figli minorenni, una divisione esattamente a metà del tempo passato con l’uno o l’altro genitore così come dei costi di mantenimento. Una norma, ha spiegato il senatore durante una conferenza stampa, che mira a garantire «il diritto dei figli di ricevere cura e assistenza da entrambi i genitori, trascorrendo con ciascuno di essi quanto più tempo possibile, e realizzando così il principio della bigenitorialità perfetta». Secondo Pillon, infatti, la norma del 2006 sull’affido condiviso è rimasta solo sulla carta, e nel 90% dei casi «ci si ritrova di fronte a un affido che nei fatti è ancora esclusivo» soprattutto a carico delle madri, «mentre i padri vengono relegati al ruolo di "genitore della domenica" o "papà-bancomat", quando non vengono addirittura esclusi» dalla vita dei figli.

Ed è proprio nelle associazioni di padri separati e divorziati che il disegno di legge ha trovato i maggiori favori (pur specificando che dovrà essere perfezionata nell'iter in Parlamento), mentre ha scatenato forti e numerose critiche da parte di centri anti violenza e associazioni a tutela dei minori, nonché da parte di legali e psicologi secondo in quali la proposta non farebbe l’interesse dei bambini e potrebbe essere dannosa per le donne che vivono una relazione violenta e per i loro figli.

L’Iter parlamentare del ddl

Il ddl Pillon è stato assegnato ad agosto alla Seconda Commissione Giustizia del Senato in sede redigente: ciò significa che sarà la commissione a esaminare e a deliberare sui singoli articoli e poi il disegno di legge sarà sottoposto all’Aula solo per la votazione finale, senza che questa possa proporre modifiche. Le audizioni inizieranno la prossima settimana o la prima di ottobre, e nonostante i promotori avessero preventivato un’approvazione prima di Natale, i tempi saranno sicuramente più lunghi.

Largamente sostenuto dalla Lega, il ddl è stato cofirmato anche da quattro senatrici e da un senatore del Movimento 5 Stelle. Il capogruppo del M5S al Senato, Stefano Patuanelli, però, ha fatto sapere con una nota che “sul disegno di legge del senatore Pillon in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità è in corso un confronto all'interno della maggioranza, ci sono alcuni aspetti che secondo noi meritano un approfondimento. Arriveremo in breve tempo a un pieno accordo sul testo e andremo avanti con determinazione”.

Nel frattempo altre forze politiche hanno chiesto di fermare il ddl, tra cui diversi esponenti del Partito democratico. Mara Carfagna di Forza Italia, evidenziando alcune criticità, ha chiesto che il testo venga perfezionato.

Cosa prevede il ddl Pillon

Il ddl, si legge nella premessa, riprende i punti programmatici sul diritto di famiglia inseriti nel contratto di governo firmato da Lega e Movimento 5 Stelle: “mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui siano coinvolti i figli minorenni, equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari, mantenimento in forma diretta senza automatismi e contrasto dell'alienazione genitoriale”. Lo scopo sarebbe quello di andare “verso una progressiva de-giurisdizionalizzazione” per rimettere “al centro la famiglia e i genitori soprattutto restituendo in ogni occasione possibile ai genitori il diritto di decidere sul futuro dei loro figli”.

• La mediazione obbligatoria

L’articolo 7 del disegno di legge dispone che una coppia con figli minorenni che voglia separarsi debba per legge (“pena l’improcedibilità”) “iniziare un percorso di mediazione familiare”. Questo perché, secondo Pillon, «il ddl nasce dall’esigenza imprescindibile di fare in modo che il conflitto familiare non arrivi in tribunale, cercando di fare in modo che papà e mamme possano raggiungere un accordo sulla gestione dei minori prima di arrivare in Tribunale».

Il primo incontro con il mediatore è gratuito, mentre quelli seguenti sono a pagamento secondo tariffe stabilite dal Ministero della Giustizia. In ogni caso, in qualunque momento sorgano conflitti, il giudice “invita nuovamente i genitori a intraprendere un percorso di mediazione familiare per la risoluzione condivisa delle controversie” riguardanti l’affidamento dei figli o il piano genitoriale. Quest’ultimo va concordato tra i due genitori e contiene, si legge nel ddl, elementi come “luoghi abitualmente frequentati dai figli”, “eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e formative“, “vacanze normalmente godute” e altri capitoli di spesa. Il piano serve affinché «i bambini non siano più costretti a scegliere tra mamma e papà e che non lasci ombre ed incomprensioni nell'educazione dei minori, irrinunciabile compito di entrambi i genitori e diritto dei minori», ha spiegato il senatore.

• La divisione a metà del tempo trascorso con i figli

Nel ddl è previsto che “indipendentemente dai rapporti intercorrenti tra i due genitori”, il tempo trascorso con i figli minori debba essere equamente diviso. Secondo Pillon la riforma è stata infatti pensata per i «tantissimi genitori distrutti dal fatto di vedere il proprio figlio al massimo due o tre ore al mese».

Il figlio minore, nel proprio esclusivo interesse morale e materiale, ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e con la madre, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali, con paritetica assunzione di responsabilità e di impegni e con pari opportunità. Ha anche il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale.

Questo significa che, a meno che non ci siano diversi accordi tra le parti, il figlio dovrà trascorrere almeno 12 giorni al mese con ciascun genitore, “compresi i pernottamenti”, salvo comprovato e “motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica”. I figli avranno dunque un “doppio domicilio” nelle abitazioni di ciascun genitore, dove ricevere comunicazioni scolastiche, sanitarie o amministrative. Il senso della doppia abitazione, ha detto Pillon a La Stampa, è che non si può «sacrificare un genitore sull’altare dell’habitat del figlio. Certo, per un figlio è meglio una casa sola con entrambi i genitori. Ma se questo non è possibile, è meno male alternare le case che perdere un genitore, che alla fine è quasi sempre il padre».

• L’abolizione dell’assegno di mantenimento

Anche le spese dovrebbero essere ripartite equamente secondo il disegno di legge, che elimina l’assegno di mantenimento per il genitore presso cui il figlio risiede e lo sostituisce con il “mantenimento diretto le cui modalità devono essere indicate nel “piano genitoriale”, sia per quanto riguarda le spese ordinarie che quelle straordinarie. A ciascuno dei due coniugi, prosegue il ddl, saranno quindi attribuiti “specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al proprio reddito”. In mancanza di accordo decide il giudice. Sostanzialmente ogni genitore manterrà il figlio per il tempo in cui gli viene affidato.

Intervistato dall’Agi, Pillon ha precisato che «il mantenimento non sarà fifty-fifty: il genitore che guadagnerà di più contribuirà di più». D’ora in avanti, ha aggiunto, ogni genitore «saprà che ogni euro sarà speso per il figlio e non per l'ex coniuge», il che «non significa che sparirà l'assegno di mantenimento per l'ex coniuge ma solo che le spese per il minore saranno pagate direttamente».

• L’indennizzo per il genitore che lascia all’altro la casa di proprietà

Il giudice può stabilire “nell’interesse dei figli minori che questi mantengano la residenza nella casa familiare, indicando in caso di disaccordo quale dei due genitori può continuare a risiedervi”. In questo caso il genitore, che lascia la casa di proprietà, avrà diritto a ricevere dall’altro “un indennizzo pari al canone di locazione computato sulla base dei correnti prezzi di mercato”.

• L’alienazione parentale e le “false denunce per violenza”

Infine il ddl si propone di contrastare la cosiddetta “alienazione parentale” (termine che indica un allontanamento del figlio da uno dei due genitori volontariamente messo in atto dall’altro). Agli articoli 17 e 18, infatti, è previsto che qualora il figlio rifiuti il rapporto con uno dei genitori o con un altro familiare, il giudice possa limitare o sospendere la responsabilità genitoriale dell’altro genitore – pur in assenza di evidenti condotte – nel presupposto che ci sia stata una manipolazione del minore. Quest’ultimo può anche essere messo provvisoriamente in una casa famiglia “previa redazione da parte dei servizi sociali o degli operatori della struttura di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore”.

Inoltre, così come spiegato da Pillon alla conferenza stampa di presentazione del ddl, l’articolo 9 prevede che «i tentativi di alienazione, le false denunce e i tentativi di condizionamento psicologico del minore saranno punite nei casi più gravi con il risarcimento del danno e la perdita della responsabilità genitoriale».

In un’intervista a Vanity Fair il senatore ha dichiarato di voler «punire tanto la violenza quanto le false accuse di violenza», intendendo con questo termine quelle accuse fatte strumentalmente, usate come minaccia per ottenere la custodia del figlio e alienarlo dal partner (…) Se uno o una va a fare una denuncia falsa, calunniando il compagno, sarà trattato come un partner che fa violenza. Dovrà risarcire il danno e perderà la responsabilità genitoriale».

La questione dell’affido condiviso e le critiche al ddl

Diverse associazioni ed esperti di diritto si sono scagliati contro il disegno di legge, evidenziandone numerosi aspetti critici e potenzialmente nocivi per la tutela dei diritti dei minori o delle donne specialmente in situazioni di abusi e violenza. L’avvocata Anna Maria Bernardini De Pace, ad esempio, ha definito il ddl una proposta maschilista, che rischia nei fatti di rivelarsi “un disastro”, mentre Gian Ettore Gassani, legale e presidente dell’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani (AMI), non salva nulla di una riforma che «usa la genitorialità per fare la rivoluzione copernicana del diritto di famiglia». Per le esperte della Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate Onlus di Milano (Cadmi), questa proposta "ci porta indietro di 50 anni, e non è retorica. L’obiettivo non espresso, ma comunque evidente, è quello di rendere talmente complicata la strada per la separazione da far rinunciare tutte e tutti con evidente danno alla libertà di ognuno".

La premessa al ddl Pillon definisce la legge sull’affido condiviso del 2006 “un fallimento”: “L’Italia rimane uno degli ultimi paesi del mondo industrializzato per quanto riguarda la cogenitorialità delle coppie separate” visto che nel nostro paese “l'affido materialmente condiviso (considerando tale una situazione nella quale il minore trascorre almeno il 30 per cento del tempo presso il genitore meno coinvolto) riguarda il 3-4%, tasso fra i più bassi al mondo”. Nel testo si fanno paragoni con paesi come la Svezia, il Belgio o il Quebec, dove invece questo principio è pienamente rispettato.

In realtà, fa notare Chiara Brusini sul Fatto Quotidiano, anche se “i bambini nella maggior parte dei casi continuano a trascorrere più tempo con le madri”, stando all’ultimo report dell'Istat su separazioni e divorzi, la legge del 2006 ha avuto degli effetti: se nel 2005 la percentuale di minori affidati esclusivamente alla madre superava l’80%, nel 2015 la stima è scesa all’8,9%, mentre in circa l’89% delle separazioni è stato riconosciuto l’affido condiviso.

Per quanto riguarda l’assegnazione della casa coniugale è vero che nel 69% dei casi quando c’è un figlio minore va all’ex moglie e che il 94% delle separazioni con assegno di mantenimento sia corrisposto dal padre. «I padri nel 90% dei casi escono dalla casa coniugale, e ciò li pone in un grande disagio. Ma certo non è una soluzione pensare di risolvere la situazione rovesciando le parti», afferma il legale matrimonialista Cesare Rimini, secondo cui «è una follia considerare che ci sia la possibilità di fare i divorzi e le separazioni con una formuletta prestampata», o «ritenere di formalizzare a priori che il tempo è metà per uno. Bisogna valutare caso per caso».

Anche per l’avvocato Alessandro Simoni, intervistato da Radio Popolare, «la proposta di legge parte da un punto corretto: non sempre si è applicato il principio della bigenitorialità anche dopo l’intervento della legge sull’affido condiviso del 2006». Il problema è che «la risposta che viene data è completamente sbagliata, proprio perché non si rispettano le singole storie familiari. Ed è una legge che in alcuni tratti sembra voler essere vagamente punitiva nei confronti delle mamme».

Un elemento completamente assente dal disegno di legge è la considerazione del contesto sociale e culturale: ad esempio, se in Svezia – paese citato nelle premessa al ddl Pillon come modello – la parità di genere sul lavoro è realmente praticata, in Italia siamo ben lontani da questo risultato.

Secondo l’ultimo rapporto dell’European Trade Union Institute, con un divario occupazionale di genere al 18% il nostro paese si trova al penultimo posto tra i paesi dell’Unione europea (all’ultimo posto c’è Malta). La “Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri” pubblicata dall’Ispettorato nazionale del lavoro ha rilevato che nel 2016 le madri che hanno rinunciato al proprio impiego dopo una gravidanza sono state 29.879, di cui 24.618 per motivi familiari (l'82,4%). Le principali cause di licenziamento secondo quanto dichiarato dalle interessato sono state l’impossibilità di usufruire degli asili nido a causa dell’assenza di post, la difficoltà nel conciliare il lavoro e la famiglia, una distanza eccessiva tra il luogo di lavoro e quello di residenza a causa dello spostamento di uno dei due, la mancata concessione di orari flessibili e contratti part time. Nello stesso anno i padri che hanno lasciato il lavoro dopo la nascita di un figlio sono stati 7.859, la maggior parte dei quali (5.609) perché ha deciso di lavorare per altre aziende.

Come riporta Pagella Politica, citando il report "Madri sole con figli minori" dell’Istat, “circa una madre single su tre non lavora, mentre per le madri in coppia il rapporto corrisponde a meno di una madre su due”: nel 2016 sul totale delle madri sole (separate, nubili o vedove) quelle non occupate e, quindi disoccupate o inattive, corrispondevano al 36,2%, mentre le madri in coppia, invece, la percentuale era assai più alta, del 45,1%. Le condizioni più critiche si registrano nel Sud Italia, dove le madri sole a rischio povertà o esclusione sociale corrispondono al 58% contro il 32,2% del Nord.

Anche per questa ragione, legali e associazioni contestano l’abolizione dell’assegno di mantenimento, che è un concetto, secondo l’avvocato Gassani dell’AMI, «totalmente sbagliato», considerato che, ad esempio, «il 45 per cento delle donne nel Sud del nostro Paese non ha un lavoro: cosa devono fare se si separano e hanno pure un figlio?».

A La Stampa Manuela Ulivi, avvocata divorzista da quasi 30 anni e presidente della Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano (Cadmi), spiega che «il mantenimento diretto fa passare l’idea che ogni genitore possa dare al figlio pari tenore di vita. Ma sappiamo bene che non è vero: sono le donne a lasciare il lavoro quando nasce un figlio, sono loro che vengono penalizzate nel fare carriera e sono sempre loro a guadagnare di meno. Una mamma difficilmente riuscirà a dare al figlio lo stesso stile di vita che gli garantisce il padre. E cosa succede se non lo fa? Che rischia di perdere l’affidamento». Ulivi aggiunge anche che «molte donne non percepiscono neanche l’assegno di mantenimento per se stesse per una questione di dignità personale e perché preferiscono che l’ex marito dia i soldi per i figli. Togliere loro l’assegno per la prole e obbligarle così a chiederne uno per sé stesse vuol dire distruggere tutto quello che si è fatto in questi anni». Senza contare che, nel caso di relazioni violente, è frequente che le donne non lavorino per espressa volontà del partner.

I rischi per le vittime di violenza

Queste circostanze, unite al costo della mediazione e all’obbligo per il coniuge cui è stata assegnata la casa coniugale di corrispondere una sorta di canone d’affitto all’altro, rendono una causa di separazione particolarmente gravosa da un punto di vista economico. Tanto da poter rinunciare a farla, con esiti che possono essere pericolosissimi se si considera che nell’esperienza dei centri anti violenza sono le donne a prendere l’iniziativa di interrompere la relazione, specialmente nei casi di abuso.

“Prima ancora di ricorrere alla giustizia penale, le donne optano per la separazione o l’interruzione della convivenza more uxorio e chiedono la regolamentazione dell’affidamento, intraprendendo il percorso penale per lo più quando le violenze continuano anche dopo la richiesta di separazione giungendo a mettere a rischio il benessere e finanche la vita dei figli stessi. Si consideri che le donne e i figli vengono uccise per mano dei mariti/compagni/padri proprio in pendenza della separazione o in occasione delle visite genitoriali”, scrive l’avvocata Teresa Manente, responsabile ufficio legale della ong Differenza Donna.

Il network D.i.Re, che raccoglie al suo interno circa 80 centri anti violenza in tutta Italia, ha lanciato una manifestazione a Roma il 10 novembre e una petizione online che in pochi giorni ha raccolto oltre 65mila adesioni per il ritiro del ddl Pillon. Un disegno “decontestualizzato”, che non tiene conto “di cosa accade nei tribunali, nei territori e soprattutto tra le mura domestiche” e che ignora completamente “la pervasività e l’insistenza della violenza maschile che determina in maniera molto significativa le richieste di separazioni e genera le situazioni di maggiori tensioni nell’affidamento dei figli che diventano per i padri oggetto di contesa e strumento per continuare ad esercitare potere e controllo sulle madri”.

✍ FIRMATE E DIFFONDETE!! Il disegno di legge Pillon va ritiratoIl Ddl Pillon su separazione e affido è una pericoloso...

Pubblicato da D.i.Re Donne in Rete contro la violenza su Giovedì 6 settembre 2018

Il ddl, prosegue l’appello, “se approvato, comporterebbe per una gran parte delle donne, in particolare per quelle con minori opportunità e risorse economiche, l’impossibilità di fatto a chiedere la separazione e a mettere fine a relazioni violente determinando il permanere in situazioni di pregiudizio e di rischio in aperta contraddizione con l’attenzione alla sicurezza tanto centrale per questo governo”.

Un punto critico è rappresentato dall’introduzione dell’obbligo nel caso di separazioni con figli minori del ricorso alla figura del mediatore familiare (categoria a cui peraltro il senatore Pillon appartiene dal 2013).

L'istituto della mediazione, però, osserva l’avvocata Ulivi di Cadmi «dovrebbe essere facoltativo. Inoltre [nel ddl] il mediatore entra in ballo indipendentemente che ci sia stata o meno violenza. È chiaro che se nella coppia c’è stata violenza da parte dell’uomo, quando la donna vorrà separarsene, sarà maggiormente in pericolo. L’esperienza insegna che non si può condividere con il maltrattante neppure l’informazione di avere deciso di chiudere il rapporto, perché quello è il momento in cui la violenza arriva all’apice. L’obbligo di mediazione impone alla donna non solo di dirlo, ma anche di discuterlo con il maltrattante».

Tra l'altro, si legge in un'analisi fatta dalle esperte di Cadmi su La27esima Ora "l'obbligo aumenta i tempi per interrompere una convivenza – cosa che in molti casi di violenza risulta fatale – con la conseguenza che la donna che subisce violenza potrebbe essere obbligata a rimanere nella relazione di coppia fino alla maggiore età del figlio". Non a caso la Convenzione di Istanbul vieta espressamente “il ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, incluse la mediazione e la conciliazione” nel caso in cui ci sia stata violenza.

Secondo l’avvocata Maddalena Di Girolamo, dell'associazione "Centro donna Lilith" che gestisce un Centro antiviolenza a Latina, peraltro, «anche nei casi in cui nelle coppie in via di separazione non c'è violenza e il giudice dispone la mediazione, gran parte degli uomini non la accetta». Nel caso delle donne maltrattate, «anche psicologicamente, che decidono di separarsi dagli uomini che le vessano, la mediazione non funziona. La donna che ha subito violenza deve elaborare l'esperienza stando da sola, così come i bambini hanno bisogno di una elaborazione separata, fermo restando che potranno vedere il padre in incontri protetti».

La mediazione comporterebbe anche un aumento dei costi, non essendo prevista assistenza con patrocinio. In generale, è tutto il progetto di legge che porta "un aumento potenziale del contenzioso e dei tempi di contrasto, allungati dalla mediazione obbligatoria prima, e dal giudizio poi, con una lievitazione dei costi che potrà meglio sostenere il genitore economicamente più forte. Questo metterà in ginocchio chi ha meno risorse economiche, dando origine ad un’ingiustizia sociale evidente", scrivono le esperte di Cadmi.

Un’altra questione riguarda gli articoli che disciplinano il caso in cui il figlio o la figlia si rifiutino di avere rapporti con uno dei genitori. Per il ddl Pillon questa eventualità ricadrebbe nella casistica dell’“alienazione parentale” con la possibilità per il giudice di limitare o sospendere la potestà genitoriale dell’altro o addirittura far finire il minore in comunità. Il presupposto su cui si basa questa norma è che ci sia un genitore che psicologicamente influenza i figli per metterli contro l’altro, anche tirando in ballo false violenze.

Con questa norma di fatto si introduce nell’ordinamento italiano la PAS (Parental Alienation Syndrome): è una sindrome di cui soffrirebbero i bambini che nel caso di separazioni si rifiutano e si dichiarano impauriti di incontrare un genitore perché traviati volontariamente dall’altro.

Nonostante la teoria della PAS non abbia alcun riconoscimento scientifico ufficiale, l’alienazione parentale figura spesso nelle prassi dei tribunali italiani. Secondo il magistrato Fabio Roia, presidente di Sezione del Tribunale di Milano e autore del saggio "Crimini contro le donne, politiche, leggi e buone pratiche", però si tratta di una «sorta di moda». Intervistato da LetteraDonna, Roia spiega che «di fronte al rifiuto di un bambino di incontrare un genitore, di solito il padre, molti giudici tendono a dire che la madre ne manipola in qualche modo l’emotività. Ma questo rifiuto del figlio normalmente accade quando è stato spettatore di una violenza assistita che gli ha ovviamente procurato dei traumi e delle sofferenze. La sua è una naturale richiesta di tutela». Per il magistrato, tra l'altro, l’incidenza di denunce false è bassissima.

Le esperte di Cadmi notano che inoltre il ddl Pillon "stravolge il senso della normativa approvata già nel 2001 su istanza dei centri antiviolenza per intervenire con misure cautelari nel momento di maggior pericolo per la donna. Con questo ddl, se la donna osa denunciare condotte maltrattanti e chiedere l’allontanamento di chi agisce violenza, rischia di essere accusata di provocare 'grave pregiudizio ai diritti relazionali del figlio minore e degli altri familiari', con la conseguenza di scoraggiare ancora di più qualsiasi iniziativa di richiesta di intervento dell’autorità giudiziaria al fine di uscire dalla violenza". Il rifiuto dei minori "vittime di violenza diretta o assistita di vedere o rimanere con il genitore violento può essere considerato frutto di condizionamento da parte dell’altro genitore, vittima a sua volta di violenza. Non viene punito il maltrattante, ma la vittima e i minori".

Il risultato dell’approvazione del ddl sarebbe dunque quello di ridurre al silenzio madri e figli che hanno subito violenza. Come scrive l’avvocata Manente di Differenza Donna, infatti, con le nuove norme “la violenza è destinata a rimanere occultata dalla infinita serie di trappole di cui è disseminato l’impianto normativo del ddl 735, al quale danno man forte gli altri disegni di legge in esame: ogni tentativo di prendere parola da parte delle donne per difendere sé e i figli da un partner e padre maltrattante è inibito dal rischio di censure fondate su falsificazioni e pregiudizi sessisti che sempre di più marchiano le donne che osano ribellarsi al comportamento paterno e che vengono accusate come calunniatrici, madri ‘malevole’ e alienanti della figura paterna”.

Il modello di “bigenitorialità perfetta” del ddl Pillon, tra l’altro, porta con sé un altro rischio per i minori in relazioni violente, e cioè quello di essere costretti a frequentare il genitore abusante. Nonostante nel disegno di legge sia previsto che l’affidamento condiviso sarebbe escluso per quei genitori che commettono violenze, come fa notare Nadia Somma sul Fatto Quotidiano, il testo “omette di dire che l’esclusione arriverebbe dopo tre gradi di giudizio e sentenza passata in giudicato, ovvero 4-5 anni. Nel frattempo che ne sarebbe di tutti quei protocolli a tutela dei bambini: visite vigilate, verifiche sulle capacità genitoriali, sospensione della frequentazione del genitore violento nei casi più a rischio, ecc.? Il bambino dovrebbe frequentare comunque il genitore che ha commesso violenza”. Questo provvedimento, aggiunge, “mira a sottrarre la famiglia alla giurisdizione e spinge verso il ritorno all’orrida tradizione che tra vizi privati e pubbliche virtù, lavava i panni sporchi in famiglia. E qualora un genitore perdesse l’affidamento per violenza potrebbe avere il diritto di stare col figlio, così prevede il ddl”.

C'è poi la questione della redazione del "piano genitoriale". Questi accordi, spiegano le esperte di Cadmi, impongono una discussione "riguardante ogni aspetto di vita del figlio (luoghi, persone frequentate, scuola, attività, vacanze, ecc…)", nel "momento peggiore della storia di una coppia". Questo progetto di legge non solo "fa aumentare le ragioni di scontro tra genitori, ancor peggio nei casi in cui viene agita violenza", ma comporta "la necessità di continue modifiche in base alla crescita del minore, con conseguenti potenziali scontri".

L’opposizione dei movimenti a tutela dei minori

Nonostante il senatore Pillon abbia più volte detto che questo ddl è «nell’interesse dei figli», anche diverse associazioni a tutela dei minori si sono espresse con preoccupazione nei confronti della proposta di riforma. Per l’Unione Camere Minorili, ad esempio, il disegno “a parole” vorrebbe “garantire la persona minore”, mentre “rappresenta ed afferma in ogni articolo il punto di vista dell’adulto in termini economici e patrimoniali”, facendo passare l’idea di bambini divisi “esattamente a metà come un qualsiasi oggetto e/o mobile della casa familiare”.

Anche il Coordinamento italiano per i servizi maltrattamento all’infanzia (Cismai) ha espresso “viva preoccupazione” per il ddl 735, “fortemente orientato a tutelare gli interessi degli adulti a discapito di quelli dei bambini”. Secondo la presidente Gloria Soavi, “la divisione a metà del tempo e la doppia residenza dei figli ledono fortemente il diritto dei minori alla stabilità, alla continuità e alla protezione, per quanto possibile, dalle scissioni e dalle lacerazioni che inevitabilmente le separazioni portano nella vita delle famiglie”. In questo modo, aggiunge, si “teorizza la possibilità applicativa della divisione a metà di un figlio, ma questo significa considerare i minori alla stregua di beni materiali. Appare molto grave che a teorizzare questa divisione sia proprio lo Stato che dovrebbe essere, invece, il primo garante della protezione dei bambini”. Quanto invece alle situazioni in cui il figlio manifesta il rifiuto di vedere un genitore e si prevedono in ogni caso sanzioni all’altro genitore, Soavi ritiene che appaia “altamente lesivo dei diritti del minore supporre che il suo rifiuto di incontrare un genitore sia comunque da imputare al condizionamento dell’altro. Il minore ha il diritto di rifiutarsi di mantenere un rapporto con un genitore che sia in vario modo inadeguato o lo abbia esposto a situazioni di violenza domestica”.

Critiche sono arrivate anche dal Forum delle Associazioni Famigliari (nel cui consiglio direttivo peraltro fu eletto nel 2012 lo stesso Pillon), secondo cui il ddl pur “mosso da principi condivisibili: consentire a entrambi i genitori di essere presenti nella vita dei figli anche dopo una separazione, evitando di ridurre uno dei due in povertà”, appare “gravemente fragile, perché crea un non meglio specificato diritto individuale alla genitorialità che rende i bambini oggetto dei diritti dei genitori”. Inoltre, “le disposizioni proposte tolgono al giudice ogni discrezionalità di giudizio e impongono a coppie che già sono in difficoltà per ragioni diversissime tra loro, un percorso pressoché obbligato e univoco, non tenendo conto dell’unicità che contraddistingue la relazione tra coniugi”.

Iscriviti alla nostra Newsletter


Come revocare il consenso: Puoi revocare il consenso all’invio della newsletter in ogni momento, utilizzando l’apposito link di cancellazione nella email o scrivendo a info@valigiablu.it. Per maggiori informazioni leggi l’informativa privacy su www.valigiablu.it.

Il Movimento per l’infanzia, invece, ha chiesto con un comunicato stampa “l’immediato ritiro” di un ddl definito “orribile, incivile e impresentabile perché è un vero e proprio attentato ai diritti dei bambini e delle donne”.

Il disegno di legge Pillon, infine, parla esplicitamente di “mamma” e “papà”, escludendo e ignorando completamente quindi le famiglie con due madri o due padri.

Immagine in anteprima via YouTube

Segnala un errore