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Esperti UE contro l’inclusione di gas e nucleare tra le fonti energetiche pulite: “Rischierebbe di compromettere gli obiettivi climatici dell’Unione Europea”

24 Gennaio 2022 8 min lettura

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Esperti UE contro l’inclusione di gas e nucleare tra le fonti energetiche pulite: “Rischierebbe di compromettere gli obiettivi climatici dell’Unione Europea”

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Un gruppo di esperti già sentiti dall’Unione Europea per delineare la cosiddetta tassonomia verde (la lista in cui rientrano gli strumenti energetici e finanziari classificati come sostenibili) ha bocciato l’ipotesi di inserire il gas e il nucleare tra le fonti energetiche “pulite”.

Dopo lunghe negoziazioni, la Commissione Europea aveva infatti deciso di inserire nucleare e gas nella bozza di tassonomia verde e aperto il documento alla valutazione degli esperti degli Stati UE, prima di adottarlo formalmente e sottoporlo al voto di Parlamento e Consiglio. Un processo che dovrebbe concludersi nell’arco di 4 - 6 mesi.

Secondo la bozza della tassonomia verde, l’energia nucleare può essere considerata una fonte sostenibile a patto che i paesi che ospitano le centrali garantiscano che non causino “un danno significativo” all'ambiente, compreso lo smaltimento sicuro delle scorie nucleari. A queste condizioni la costruzione di nuove centrali nucleari sarà considerata “green” almeno fino al 2045. Il gas naturale può essere considerato sostenibile per un periodo di tempo e a condizione che la Co2 emessa non superi i 270 grammi per Kilowattora generato e i nuovi investimenti riguardino progetti per rimpiazzare carbone e petrolio.

Gli esperti sentiti dall'UE hanno contestato proprio questi criteri di ammissibilità delle due fonti energetiche e hanno chiesto alla Commissione Europea “modifiche sostanziali” alla tassonomia perché così com’è “non sarebbe idonea” per la classificazione dei prodotti di finanza sostenibile e rischierebbe di compromettere gli obiettivi climatici dell’UE, scrive il Financial Times che ha potuto visionare una bozza del documento presentato a Bruxelles. 

Il nucleare – secondo gli esperti – non rispetterebbe il principio del “non arrecare danni significativi” mentre il gas, pur producendo minori emissioni del carbone, non può essere considerato sostenibile e in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015 a meno che non si stabilisca un tetto massimo di emissioni a 100 grammi di Co2 equivalenti per Kilowattora. Decisamente al di sotto dei limiti stabiliti nella bozza di tassonomia proposta dalla Commissione.

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Cosa accadrà ora? Il parere degli esperti non farà altro che aumentare la pressione sulla Commissione Europea che punta ad approvare il testo definitivo entro fine gennaio in un contesto molto teso per la crisi del gas e il rincaro delle bollette. Sempre in questi giorni, i ministri dell'Ambiente dell’UE si sono riuniti in Francia per discutere di una possibile tassa sul carbonio alle frontiere. “Una coalizione di dieci Stati membri, guidata dalla Svezia, ha scritto alla presidenza francese del Consiglio dell'UE e alla Commissione Europea per chiedere di rinviare ogni decisione sulla definizione dei criteri di sostenibilità per la bioenergia, sostenendo che è troppo presto per farlo”, riferisce EurActiv. Le partite aperte contemporaneamente sull’energia sono tante, dunque.

Il parere degli esperti potrebbe ridare linfa ai paesi anti-nuclearisti – Austria e Lussemburgo in testa che hanno dichiarato di voler citare in giudizio la Commissione presso la Corte di giustizia europea se la tassonomia verrà approvata nella sua forma attuale – agli attivisti per il clima, ai verdi tedeschi e austriaci che si sono espressi contro l’inclusione di gas e nucleare nella lista delle fonti sostenibili. 

Il 21 gennaio il Gruppo dei Socialisti e dei Democratici presso il Parlamento Europeo ha inviato una lettera alla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e alla  Commissaria europea per la stabilità finanziaria, i servizi finanziari e l'unione dei mercati dei capitali, Mairead McGuinness, per esprimere la loro opposizione all’attuale versione della tassonomia. “Pur riconoscendo il ruolo svolto dal gas e dal nucleare per soddisfare il fabbisogno energetico che consenta la transizione verso un’Unione Europea climaticamente neutra, riteniamo che la tassonomia verde debba essere il ‘gold standard’ globale per la finanza sostenibile e aprire la strada all’allineamento dell'UE all'accordo di Parigi. L'atto delegato complementare proposto non soddisfa entrambi gli obiettivi”, si legge nella lettera. Socialisti e Democratici propongono invece di “creare una categoria ‘ambra’ separata per gas e nucleare”, riconoscendo così il loro contributo “alla transizione verso obiettivi di sostenibilità senza essere esse stesse energie sostenibili”.

Tuttavia, secondo Financial Times e Politico, la strada sembra essere già tracciata perché per poter respingere la versione attuale della tassonomia è necessaria una maggioranza di almeno il 72% dei paesi membri che rappresentano il 65% della popolazione UE. Non c’è un numero sufficiente di paesi in grado di raggiungere queste percentuali.

Cile, esperta del gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite nominata ministro dell’Ambiente

La climatologa Maisa Royas, consulente scientifica di diversi governi per le azioni sul clima e tra gli autori dell’ultimo rapporto del gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite è la nuova ministra dell’Ambiente del Cile.

Nel 2017 è stata nominata rappresentante della Presidenza nella Commissione permanente sui cambiamenti climatici dall’allora governo guidato da Michelle Bachelet, mentre per l’ultimo governo è stata consulente per la stesura della legge quadro sui cambiamenti climatici. Rojas ha svolto ricerche sul paleoclima, sui cambiamenti climatici regionali e sulla valutazione dei suoi impatti sull’agricoltura e sulle risorse idriche.

La nomina di Rojas a ministro dell’Ambiente è stata accolta favorevolmente in ambito scientifico e politico internazionale. Secondo Ximena Póo, ricercatrice in studi latinoamericani presso l’Università del Cile, la formazione e l’approccio politico di Rojas coniugano ambiente e sviluppo sociale nella consapevolezza che la crisi climatica colpisce più duramente chi è già in difficoltà.

“Dobbiamo affrontare alcuni problemi molto complessi del XXI secolo. E le nostre istituzioni sono, per molti aspetti, impreparate”, aveva detto alcune settimane fa Rojas al New York Times, a proposito delle sfide che avrebbe dovuto raccogliere il nuovo governo guidato da Gabriel Boric e la nuova Costituzione in fase di riscrittura da parte della Convenzione

Il Cile è attualmente al centro degli interessi delle compagnie minerarie (desiderose di incrementare la produzione con l’aumento della domanda e dei prezzi) e dei politici locali (che considerano l’attività mineraria cruciale per la prosperità del paese) per l’estrazione del litio, di cui è il secondo produttore al mondo. La nuova Costituzione dovrà fornire gli strumenti per trovare soluzioni al degrado ambientale, affrontare gli impatti della crisi climatica e garantire la ridistribuzione di diritti e profitti. 

Ma, un mese prima del ballottaggio delle ultime elezioni presidenziali, l’ex presidente Piñera ha lanciato una gara di appalto per la concessione ai privati di licenze relative alla produzione di 400mila tonnellate di litio, divise in cinque quote. Andando contro, scrive Claudia Fanti su Il Manifesto, “gran parte della società civile, le resistenze dei parlamentari dell’opposizione, i ricorsi in tribunale, l’obbligo di consulta preventiva dei popoli indigeni residenti nell’area, la discussione in corso nella Convenzione costituzionale e la richiesta di Gabriel Boric di sospendere la gara d’appalto per lasciare che fosse il nuovo governo a occuparsi della questione”. L’intenzione di Boric era, invece, “quella di creare un’impresa statale per l’estrazione e l’industrializzazione del litio”.

Per la prima volta trovate nanoplastiche nelle regioni polari. Ancora sconosciuti gli effetti sulla salute umana

Uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Research ha rilevato la presenza di nanoplastiche in entrambe le regioni polari. Le nanoparticelle sono molto leggere e si pensa che arrivino in Groenlandia dai venti provenienti dalle città del Nord America e dell'Asia. Mentre, per quanto riguarda l’Antartide, è probabile che le nanoplastiche siano state trasportate dalle correnti oceaniche.

L’analisi di un nucleo della calotta glaciale della Groenlandia ha mostrato la presenza di nanoplastiche da almeno 50 anni. Metà proviene da sacchetti e imballaggi di plastica monouso, un quarto dagli pneumatici dei veicoli, un quinto da bottiglie e vestiti. In Antartide, invece, oltre alle plastiche da imballaggio e sacchetti monouso, buona parte delle nanoplastiche proviene da tubi e contenitori per alimenti.

Dalla vetta dell’Everest fino agli oceani più profondi, “abbiamo rilevato nanoplastiche negli angoli più remoti della Terra”, ha detto al Guardian Dušan Materić, dell'Università di Utrecht nei Paesi Bassi, a capo del team che ha condotto le ricerche. Precedenti studi hanno trovato nanoparticelle di plastica nei fiumi del Regno Unito, nell'acqua del mare del Nord Atlantico, nei laghi in Siberia e nella neve nelle Alpi austriache. 

Nuove ricerche sono state avviate per misurare l’impatto dell’inquinamento da plastica sulla salute attraverso l’osservazione della presenza di microplastiche nei polmoni di pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e asma. Una ricerca condotta dalla dottoressa Fay Couceiro, dell’Università di Portsmouth, nel Regno Unito, ha suggerito che le persone potrebbero arrivare a respirare tra le 2.000 e le 7.000 microplastiche al giorno nelle loro abitazioni. Potenzialmente fino 1,8 milioni di microplastiche ogni anno. 

Un impianto Shell di cattura e stoccaggio del carbonio produce più emissioni di quante ne cattura

Secondo un rapporto di Global Witness, l’impianto di cattura e stoccaggio del carbonio Quest di Shell, nell’Alberta, in Canada, sta emettendo più gas serra di quanti ne sta catturando. Tra il 2015 e il 2019 l’impianto ha catturato 5 milioni di tonnellate di anidride carbonica dall’idrogeno prodotto nel suo complesso di Scotford (dove viene raffinato il petrolio dalle sabbie bituminose dell’Alberta), ma nello stesso lasso di tempo ha emesso 7,5 milioni di tonnellate di gas serra, tra cui il metano, che ha un potere di riscaldamento 80 volte superiore al carbonio nei suoi primi 20 anni nell’atmosfera.

Contattata da Vice, Shell non ha commentato il rapporto limitandosi a dire che “Quest è un impianto pilota e che con le sei milioni di tonnellate di carbonio catturate ha superato le aspettative dell’azienda”. 

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L’impianto canadese ha ispirato un progetto simile in Norvegia e un altro simile sempre nell’Alberta, ma sono in tanti gli esperti che ritengono la tecnologia di cattura del carbonio, in particolare nel petrolio e nel gas, come uno investimento pubblico poco fruttuoso ed efficace nel ridurre drasticamente le emissioni. Recentemente, la Germania ha annunciato che sovvenzionerà solo idrogeno verde, a bassissimo o praticamente nullo tenore di carbonio, prodotto da elettrolisi dell’acqua, e non sosterrà impianti che producono il cosiddetto idrogeno blu, prodotto dal metano tramite la separazione e il sequestro della Coin impianti come Quest.

​​Lo Stato dell’Australia Meridionale ha fornito elettricità per circa una settimana esclusivamente da fonti rinnovabili

L'Australia Meridionale ha fornito in media poco più del 100% dell'elettricità di cui aveva bisogno da energia rinnovabile per 6 giorni e mezzo nella settimana tra il 22 e il 29 dicembre 2021. Un record per lo Stato e forse per reti energetiche comparabili in tutto il mondo. 

Finora non si era andati oltre i tre giorni di fornitura di energia, spiega Geoff Eldridge, un analista energetico che gestisce il sito Web NEMlog.com.au, che monitora il mercato nazionale dell'energia degli Stati della costa orientale dell'Australia e l'Australia Meridionale.

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La sua analisi mostra che per i sei giorni individuati, lo Stato ha prodotto in media il 101% dell'energia di cui aveva bisogno da parchi eolici, solari e solari sui tetti, con solo una frazione dell'energia utilizzata dallo Stato prelevata dal gas, al fine di mantenere la stabilità della rete elettrica.

Immagine in anteprima via zerowastecountdownpodcast

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