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Crisi Russia e Ucraina, cosa sta succedendo al di là delle semplificazioni

24 Gennaio 2022 8 min lettura

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Crisi Russia e Ucraina, cosa sta succedendo al di là delle semplificazioni

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di Oleksiy Bondarenko*

Di Russia si parla spesso per stereotipi con immancabile focus sul suo presidente, Vladimir Putin, o lo ‘zar’ come viene spesso definito dalla stampa. Immancabile anche il riferimento alle sue presunte intenzioni (ricostituire l’Unione Sovietica), alla sua nostalgia per il passato imperiale e al suo essere un ex agente dei servizi segreti come segno distintivo della sua intrinseca malevolenza. Il difetto di molte analisi della politica estera russa è anche frutto di questa semplificazione di dinamiche complesse e spesso contraddittorie, oltre all’inevitabile pregiudizio cognitivo di chi scrive. Le ultime settimane sono state caratterizzate infatti da una crescente serie di speculazioni circa l’imminente invasione russa dell’Ucraina, fatte filtrare spesso da fonti vicine all’amministrazione americana e basate su dati di dubbia natura, che hanno alimentato un clima di tensione spesso irrazionale. Ieri, ad esempio, il Regno Unito ha fatto filtrare la notizia che la Russia starebbe tramando per mettere in Ucraina un presidente pro-Russia, ma senza fornire evidenze. La notizia è stata smentita dal Cremlino e bollata come disinformazione. Questa visione stereotipata e semplificata restituisce un’immagine parziale e distorta non solo dei fatti che caratterizzano l’acutizzarsi della crisi tra Russia e Ucraina, quanto delle origini, complessità e problematiche delle quali l’attuale conflitto è sintomo.

Cosa sta succedendo?

L’acutizzarsi della crisi tra Russia e Ucraina e la postura di Mosca che appare sempre più minacciosa, è solo l’episodio più recente di un conflitto, quello in Donbass (regione nella parte orientale dell’Ucraina) che va avanti da quasi otto anni, ma che affonda le proprie radici nel più ampio quadro di relazioni tra Mosca e Washington. Secondo le fonti provenienti inizialmente dall’intelligence americana e poi confermate dalle immagini satellitari a partire da fine ottobre la Russia avrebbe mobilitato circa 100.000 soldati, dislocati, insieme ad armamenti di vario tipo, lungo i confini con l’Ucraina. Le continue voci di una possibile invasione, fatte circolare dagli stessi servizi americani, non hanno per ora avuto riscontro ma hanno contribuito ad innalzare ulteriormente la tensione tra Mosca, Kiev e gli alleati occidentali. Mentre l’Ucraina ha mobilitato sin da subito nuove truppe lungo il confine con la Bielorussia, la Russia dal canto suo ha condotto una serie di esercitazioni militari nel Mar Nero, pianificandone altre per febbraio congiuntamente alla Bielorussia, paese che non confina solo con l’Ucraina, ma anche con Polonia, Lituania e Lettonia, quest’ultimi membri della NATO.

Il Cremlino ha continuato a giustificare il riorientamento di truppe e mezzi verso il suo confine occidentale come una mossa difensiva, la risposta all’avvicinamento dell’Alleanza Atlantica verso i propri confini e il crescente sostegno politico e militare da parte degli Stati Uniti e partner europei nei confronti di Kiev. Infatti, la nuova amministrazione Biden (a giugno) aveva autorizzato un nuovo pacchetto di aiuti pari a 150 milioni di dollari che comprende, tra le altre cose, il dispiegamento di personale militare per l’addestramento delle truppe ucraine. Durante la visita del Ministro della Difesa americano a Kiev in ottobre, invece, Washington aveva rimarcato il fermo sostegno all’ingresso dell’Ucraina nelle strutture della NATO, un tasto da sempre dolente per Mosca. Non a caso, proprio a ottobre la Russia aveva già sospeso la sua missione di rappresentanza presso la NATO, ultimo canale di dialogo rimasto in piedi dopo la sospensione della cooperazione nel 2014 in seguito all’annessione della Crimea. Con il recente innalzamento della temperatura, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno solo accelerato la loro fornitura di armi e mezzi all’Ucraina, promettendo al contempo dure sanzioni in caso di invasione.

Le cause di quello che sembra un circolo vizioso fatto di accuse e di minacce reciproche sono molteplici e intrecciate tra loro. Da una parte vi è lo stallo del processo negoziale volto a risolvere l’attuale conflitto in Donbass, mentre dall’altra nel mirino ci sono le relazioni tra Russia e Stati Uniti e una più ampia riconfigurazione del ruolo della NATO sul continente europeo. Il tutto inserito in una spirale di crescente sfiducia nella quale i negoziati stanno andando avanti senza portare, per ora, risultati tangibili.

Il problema del conflitto in Donbass

Una delle cause della crescente tensione tra Russia e Ucraina va ricercata nello stallo che ha caratterizzato il processo negoziale relativo al conflitto nella regione orientale dell’Ucraina, il Donbass. Anche se la Russia ha sempre negato il proprio coinvolgimento e, ufficialmente, non è una delle parti belligeranti, il suo intervento e il sostegno militare ed economico alle autoproclamante repubbliche separatiste è stata una variabile fondamentale nel conflitto in atto dal 2014. Mosca, inoltre, insieme a Kiev, Berlino e Parigi, rimane il principale attore sul tavolo negoziale (il cosiddetto processo di Minsk) nonché il ‘rappresentante’ delle regioni separatiste. La finestra di opportunità che sembrava aprirsi dopo l’elezione di Volodymyr Zelensky come nuovo presidente ucraino, considerato dal Cremlino come una figura più malleabile, si è però ben presto chiusa. La Russia continua a insistere su un rigoroso rispetto degli accordi di Minsk siglati nel 2015 che prevedono la concessione di uno status speciale alle regioni separatiste, le elezioni locali e, solo dopo, il ritorno del controllo di Kiev sul confine tra Ucraina e Russia. Posizione questa che appare inaccettabile per il presidente ucraino che ha vincolato ogni apertura al ristabilimento del controllo sul confine.

A scompigliare le carte sul tavolo ci hanno pensato anche le mutevoli dinamiche della politica ucraina. In due anni da presidente Zelensky ha dissipato buona parte del suo capitale politico, finendo per distanziarsi dalla parziale apertura nei confronti di Mosca sulla quale aveva impostato la campagna elettorale nel 2019. Ripercorrendo le orme del suo predecessore, per recuperare consensi interni Zelensky ha così virato sul fronte nazionalista interno e sul consueto sostegno delle potenze occidentali. La nuova dottrina strategica, approvata a inizio 2021, infatti, si focalizza “sull’aggressione russa” riproponendo le aspirazioni dell’ingresso nella NATO come il perno centrale della politica estera e militare. Un cambio di strategia piuttosto evidente per il presidente ucraino che della pace in Donbass - anche a costo di rinunce dolorose - aveva fatto inizialmente il perno programmatico del suo mandato.

La questione NATO e i rapporti USA-Russia

Più in generale però, l’attuale crisi è anche il sintomo della globale instabilità del sistema internazionale causato dal lento declino del momento unipolare guidato dagli Stati Uniti. Potrebbe essere proprio questa una delle possibili chiavi di lettura per interpretare l’attuale assertività di Mosca lungo il confine ucraino. A metà dicembre, infatti, il Cremlino ha pubblicato una serie di richieste indirizzate a Stati Uniti e NATO. Si parla, tra le altre cose, del ritiro delle truppe NATO dai paesi che si sono uniti all’alleanza dopo il 1997 (leggasi Europa dell’est) e di una rinuncia ufficiale a ogni ulteriore espansione (leggasi Ucraina e Georgia). Richieste che a prima vista possono sembrare irrazionali, provocatorie e inaccettabili, ma che in verità affondano le radici in tre decenni di errori e malintesi nei rapporti tra Stati Uniti e Russia.

Come sottolineato dalla storica americana Mary Elise Sarotte in un suo recente libro (“Not One Inch: America, Russia, and the Making of the Cold War Stalemate”), sin dalla seconda metà degli anni ‘90 l’élite politica russa ha condiviso un senso di ‘tradimento’ da parte degli Stati Uniti. Il motivo è da ricercare nelle promesse fatte all’alba della fine della guerra fredda, volte a rassicurare la leadership russa e sovietica che il crollo della cortina di ferro non avrebbe portato all’espansione della NATO verso est. Promesse che non sono mai state messe per iscritto, quindi ufficialmente mai esistite, ma il retaggio delle quali ha contribuito ad accrescere, anche se spesso in maniera irrazionale, il senso di minaccia e accerchiamento da parte della leadership russa. Sul tavolo oggi non c’è quindi solo la situazione lungo il confine tra Russia e Ucraina, ma anche le numerose divergenze sull’asse Mosca-Washington. La Russia, infatti, porta in dote un senso di esclusione dovuto al fatto che i contorni della sicurezza europea e del ruolo della NATO sul continente dopo la fine della guerra fredda siano stati definiti senza la sua partecipazione e, come dicono al Cremlino, senza tenere in considerazione i suoi interessi strategici.

Diplomazia coercitiva e il "trilemma" impossibile

Quello che vediamo oggi è quindi un esercizio di ‘diplomazia coercitiva’ da parte di Mosca, con l’utilizzo della pressione militare per costringere gli americani al dialogo e per poter alzare la posta al tavolo negoziale. Una tattica non nuova, visto che già lo scorso aprile le truppe russe lungo il confine con l’Ucraina avevano costretto il presidente americano, Joe Biden, a organizzare un incontro ufficiale con la controparte russa, aprendo uno spiraglio di dialogo su temi come cybersecurity, rapporti strategici e il conflitto in Donbass. Questa volta però la posta in gioco sembra molto più alta, visto che le richieste di Mosca puntano a una revisione massiccia dell’architettura europea in materia di sicurezza.

Non a caso, quelle appena trascorse sono state un paio di settimane diplomatiche molto intense. Una partita difficile resa ancora più complessa dal fatto che Mosca giochi tenendo una pistola in mano. Nel giro di pochi giorni i rappresentanti di Stati Uniti e Russia si sono prima incontrati a Ginevra, tenendo poi il vertice Russia-NATO a Vienna. Il tutto è finito con il meeting del 21 gennaio tra Sergei Lavrov - il ministro degli esteri russo - e Antony Blinken - la controparte americana - che entrambi hanno definito come un incontro ‘franco’ ma che non ha portato a nessun reale passo avanti. La Russia continua ad aspettare una risposta ufficiale da parte della NATO alle proposte avanzate lo scorso dicembre, mentre i vertici dell’Alleanza hanno più volte ripetuto che né il ritorno alla realtà pre-1997, né uno stop ufficiale ad un futuro allargamento sono punti sui quali ci sia margine di dialogo. La situazione di stallo sembra infatti la riproposizione del classico ‘trilemma impossibile’. Una situazione in cui il successo negoziale non può essere raggiunto soddisfacendo gli interessi minimi di tutte e tre parti coinvolte, la Russia, Stati Uniti (e alleati europei) e l’Ucraina.

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Per tutta una serie di motivi e fatti oggettivi, quindi, l’invasione dell’Ucraina per ora non sembra tra le reali intenzioni del Cremlino. La strategia della ‘diplomazia coercitiva’ non può però funzionare ancora a lungo. Il rischio è quello di alzare la tensione oltre al punto di rottura, alimentando scelte non razionali da ambo le parti e trasformando una crisi in un vero e proprio conflitto. La soluzione diplomatica rimane ancora un’opzione possibile e di certo auspicabile, magari virando il dialogo su punti a prima vista secondari, come un accordo per limitare le esercitazioni militari condotte da ambo le parti in Europa dell’est o la limitazione del dispiegamento di missili a breve e media gittata sul continente. Il tempo però comincia a stringere, anche se molte cose saranno presto più chiare. Fonti del Dipartimento di Stato statunitense avrebbero raccomandato di ridurre il personale non essenziale dell'ambasciata a Kiev. Anche il Regno Unito ha comunicato il ritiro dei diplomatici e delle loro famiglie da Kiev. L'UE non sta seguendo USA e UK perché "non c'è motivo di drammatizzare la situazione mentre i colloqui con la Russia sono ancora in corso". La risposta ufficiale della NATO è attesa nei prossimi giorni e da essa si potrà forse capire quali carte sono ancora rimaste da giocare.

*Ricercatore presso l'Università di Kent. Collabora con East Journal

Immagine in anteprima: Frame video YouTube Euronews

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