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L’ovazione del Parlamento canadese a un ex nazista e la memoria delle SS Galizia in Ucraina

28 Settembre 2023 14 min lettura

L’ovazione del Parlamento canadese a un ex nazista e la memoria delle SS Galizia in Ucraina

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La visita del presidente ucraino Volodymyr Zelensky in Canada dello scorso 22 settembre è diventata un caso mediatico che ha richiamato un intenso dibattito intorno alla memoria della Seconda guerra mondiale e ha scosso profondamente il paese nord-americano, in cui la diaspora ucraina ha portato nel tempo circa un milione e mezzo di abitanti, il 3,5% della popolazione totale.

Zelensky, invitato dal primo ministro Justin Trudeau alla Camera dei comuni canadese, è stato ricevuto dagli applausi dei 338 deputati che hanno ribadito il sostegno del Canada allo sforzo militare e umanitario ucraino contro l’invasione russa.

Lo scandalo è scoppiato, tuttavia, in seguito alla doppia ovazione riservata dal parlamento canadese a un veterano ucraino di 98 anni, Jaroslav Hunka, residente in Canada dalla seconda metà degli anni ‘40. Presentato come “un eroe ucraino e canadese che ha combattuto per l’indipendenza ucraina contro i russi” dallo speaker della Camera Anthony Rota, Hunka si è realtà rivelato essere un ex soldato delle Waffen SS naziste.

Il Simon Wiesenthal Center, intitolato al famoso “cacciatore di nazisti” austriaco di origini ebraiche, ha duramente condannato il governo canadese e Trudeau, segnalando la compromissione di tutti i presenti in sala e il regalo di una facile vittoria propagandistica alla Russia, “distraendo da quella che è stata una dimostrazione di unità di grande importanza tra Canada e Ucraina”.

Al tempo stesso, il Wiesenthal Center ha chiesto le dimissioni di Anthony Rota che il 26 settembre ha rinunciato all’incarico di portavoce della Camera dei comuni, dopo una serie di critiche bipartisan, pure all’interno del suo stesso partito, diventando così il primo speaker dimissionario in Canada dal 1986. Poco prima della decisione, Rota aveva scritto una lettera di scuse, in cui si dichiarava amareggiato di non aver fatto il possibile per ottenere maggiori informazioni su Hunka, sebbene lo abbia presentato all’incontro con Trudeau e Zelensky come un residente del proprio distretto.

Una levata di scudi è pure arrivata, oltre che da Israele, dalla Polonia, già in parziale rotta comunicativa con l’Ucraina in seguito alla disputa sul grano e sul rifornimento di armi a metà settembre, nel contesto di una campagna pre-elettorale serrata e senza scrupoli condotta dal partito Diritto e Giustizia del presidente polacco, Andrzej Duda.

Il ministro dell’Istruzione polacco, Przemysław Czarnek, ha dichiarato su X che la Polonia è pronta a muoversi per una possibile estradizione di Hunka. La questione dell’Olocausto (sebbene lo stesso Wiesenthal Center abbia condannato, appena il 20 settembre, proprio il governo polacco per aver premiato con un’onorificenza lo scrittore anti-semita e di estrema destra, Rafal Ziemkiewicz), così come quella della violenza etnica fra ucraini e polacchi nella Seconda guerra mondiale, è primaria nella memoria collettiva, e altrettanto nella propaganda politica, di Varsavia.

L’ex senatore, e secondo più longevo deputato della camera bassa canadese, Noël Kinsella, ha poi ribadito che “quanto accaduto, oltre a essere un danno di immagine per le istituzioni canadesi, è pure un’offesa al presidente Zelensky e alla memoria della comunità ebraica”. D’altra parte, né lo stesso Zelensky né altri esponenti del governo ucraino hanno commentato l’accaduto, peraltro non di loro diretta responsabilità.

Nel dibattito pubblico ucraino, tuttavia, non si è raggiunto un consenso unanime di condanna, sebbene sia ovvio come un episodio di tale portata nuoccia alla reputazione internazionale dell’Ucraina in un momento diplomatico difficile quanto cruciale. A chi ha disapprovato l’evento senza indugio, prendendosela pure con una parte della diaspora ucraino-canadese non nuova a questo tipo di situazioni, si è contrapposta una fazione più radicale ed etno-nazionalista del discorso pubblico, che ha giustificato superficialmente Hunka come un difensore della patria contro i russi ante tempus. Quest'approccio è più o meno vicino alle posizioni storiografiche dell’ex presidente dell’Istituto della memoria ucraino, Volodymyr V"jatrovyč, già accusato in passato di revisionare la storia ucraina in merito all’esperienza di Bandera, dell’OUN-UPA e dei collaborazionisti ucraini nella Seconda guerra Mondiale.

Le SS Galiziane e la divergente memoria della Seconda guerra mondiale in Ucraina

Le prove della collaborazione di Jaroslav Hunka con le truppe tedesche sono state pubblicate dal professore ucraino dell’Università di Ottawa Ivan Katchanovski. Originario della Volinia, Katchanovski è autore di diverse ricerche sulle divisioni collaborazioniste nella Seconda guerra mondiale. Tra queste c’è il reparto in cui militava Hunka e che si è reso responsabile di diversi crimini verso i civili, inclusa l’uccisione di 100 ebrei, ucraini e polacchi nel liceo di Pidhaitsi, vicino Luts’k, in cui lo stesso Katchanovski ha studiato dopo la guerra.

Le foto diffuse da Katchanovski erano in realtà state pubblicate nel 2010 dallo stesso Hunka sul sito dei combattenti ucraini dell’Esercito nazionale ucraino (UNA) residenti negli Stati Uniti. Appena maggiorenne o poco più, Jaroslav Hunka era stato arruolato nella 14° Waffen-Grenadier-Division der SS (1° Galizien), meglio conosciuta come SS Halyčyna, cioè il nome ucrainizzato della Galizia, la regione storica nella parte occidentale del paese comprendente le città di Leopoli, Ternopil’ e Ivano-Frankivs’k, come pure il fianco orientale della Polonia.

Nella Galizia ucraina, analogamente alla Polonia e ai paesi baltici, si è andata affermando una visione divergente rispetto alla tradizione storiografica sovietica e russa. Secondo quest’ultima, la Seconda guerra mondiale, definita come Grande guerra patriottica, è cominciata il 22 giugno 1941 con l’invasione nazista e l’inizio dell’Operazione Barbarossa.

Al contrario, la moderna storiografia ucraina, in un clima politicizzato a partire dalla Rivoluzione arancione del 2004, si è gradualmente espressa a favore della condivisione, per lo meno cronologica, della narrazione prevalente nel resto d’Europa, per cui la Seconda guerra mondiale è cominciata effettivamente nel 1939.

Mettendo per un momento da parte le controversie legate alla memoria dell’UPA e dei collaborazionisti nazisti, questa mutazione cronologica ha senso se si considera l’esperienza dell’Ucraina occidentale tra il 1939 e il 1941 come un’occupazione dell’Unione Sovietica, dalla cui eredità l’Ucraina ha più o meno convintamente cominciato a smarcarsi dagli anni ’90, nel contesto di una ricalibrazione della storiografia più ampia, tipica dei paesi post-comunisti e post-sovietici.

L’occupazione sovietica dell’Ucraina occidentale, inclusa la Galizia, tra il 1939 e il 1941 provocò la deportazione di larghe fasce di popolazione sia ucraina che polacca in Siberia e Kazakhstan, come ricordato dallo storico ucraino Jaroslav Hrytsak nella recente traduzione italiana del suo libro Storia dell'Ucraina. Dal Medioevo a oggi (Mulino 2023).

Sottolinea lo stesso Hrytsak, tuttavia, come le statistiche ribadiscano il grado di adesione degli ucraini alla parte sovietica rispetto a quella tedesca. Gran parte degli ucraini aveva combattuto nell’Armata Rossa, e persino in Galizia il numero di partigiani rossi superava quello dell’UPA – quest’ultimi rimasero un fenomeno locale circoscritto alla Galizia e alla Volinia – e dei reparti collaborazionisti, peraltro diffusi in tutta l’Unione Sovietica: in Crimea, in Bielorussia e nella stessa Russia – l’Armata russa di liberazione del generale Vlasov era la più corposa di tutti i reparti filonazisti e antisovietici.

Il collaborazionismo ucraino nella Seconda guerra mondiale: tra UPA e Waffen SS

Durante il periodo sovietico, e pure dopo il 1991, le regioni centrali, meridionali e orientali dell’Ucraina condivideranno la narrazione della Grande guerra patriottica, guardando all’operato dell’Armata Rossa in modo unicamente positivo in funzione della liberazione dal nazismo dal paese, celebrando gli eroi esaltati dal regime staliniano, che nel frattempo aveva occultato alla popolazione le enormi perdite subite per raggiungere la vittoria.

Persino negli anni precedenti a Euromaidan, a Kiyv come a Odessa era maggioritaria la prospettiva sovietica dei “nazionalisti borghesi” in relazione alle truppe che combatterono contro l’esercito sovietico, creando una tensione culturale e memoriale sia fra veterani della Seconda guerra mondiale che nel discorso pubblico intorno alla storiografia nazionale.

La visione prevalentemente negativa dell’operato dell’UPA è dettata dalla cronologia degli eventi nei primi anni ’40. L’esercito insurrezionale ucraino, formatosi il 14 ottobre 1942, collaborò con i nazisti anche in seguito agli arresti di Stepan Bandera e dell’intelligentsia ultranazionalista. Gli arresti avvennero nel contesto della proclamazione dello Stato ucraino a Leopoli il 30 giugno 1941, quando già si erano formati i primi battaglioni, Nachtigall e Roland, composti da alcune centinaia di cittadini di etnia ucraini residenti in Polonia e coordinati dai vertici dell’OUN e Bandera. I due battaglioni avranno un ruolo importante nei pogrom dei giorni successivi alla proclamazione di indipendenza (presto annullata dai nazisti) della popolazione ebraica di Leopoli, come analizzato dallo storico americano-canadese John-Paul Himka.

Rispetto ai più imprevedibili nazionalisti dell’OUN-B, i tedeschi sceglieranno però di collaborare con Volodimir Kubijovic, fondatore e coordinatore delle SS Galizia. Kubijovic era fedele a Mel’nyk e all’OUN-M, l’altra fazione dei nazionalisti ucraini che secondo i nazisti era più affidabile di Bandera, rispetto al quale era incerto “se avrebbe accettato la superiorità tedesca”, come scrive lo storico polacco Grzegorz Rossoliński-Liebe nel suo monumentale lavoro sulla vita di Stepan Bandera.

In effetti, se Bandera e l’UPA passeranno alla lotta contro i nazisti nel 1943, unendola a quella antisovietica e antipolacca, senza tuttavia mai reinvertire le proprie azioni antisemite fino al 1945, altri reparti collaborazionisti ucraini continueranno a fiancheggiare i tedeschi sino alla fine della guerra.

Questo è il caso dell’Esercito nazionale ucraino (UNA), che il 15 aprile 1945 si formò in due divisioni con i superstiti delle formazioni nate nel 1943. Oltre alla già citata SS Galizia, in cui militava Hunka, c’era il gruppo di ucraini, tatari di Crimea e cosacchi del Volga riuniti nell’Esercito di liberazione ucraino (UVV).

I motivi alla base del collaborazionismo ucraino con il nazismo

In totale, 250 mila persone auto-identificate come ucraine servirono nella Wermarcht, nelle Waffen SS o nella polizia ausiliaria, rispetto ai sette milioni di ucraini arruolati nell’Armata rossa sovietica; i motivi del collaborazionismo con i nazisti furono eterogenei, così come lo sono le spiegazioni recenti.

Come ha sottolineato lo storico statunitense Timothy Snyder a fine anni ’90, questa collaborazione ha preso atto in varie forme ed è discutibile attraverso una molteplicità di fattori attenuanti: questioni territoriali e indipendentiste, paura della persecuzioni, ignoranza politica (ad esempio la memoria positiva dell’occupazione tedesca durante la Prima guerra mondiale), anti-comunismo, o semplice guadagno personale.

La più richiamata in ottica giustificazionista, oggi, è proprio la fede cieca dei nazionalisti ucraini nell’instaurazione di uno Stato ucraino indipendente dopo la guerra. Questa prospettiva si scontra duramente con le implicazioni di una eventuale rinascita nazionale sostenuta dai nazisti.

Quest’ultimi, in realtà, mai guardarono con favore alle aspirazioni ucraine, con l’eccezione di Alfred Rosenberg, relegandoli al ruolo di untermensch (subumani) slavi da sterminare durante l’applicazione del Generalplan Ost, il piano nazista all’interno del più ampio progetto di Lebensraum (spazio vitale). Ovvero pulizia etnica e deportazione delle popolazioni autoctone oltre gli Urali.

Gli ucraini figurano peraltro al quarto posto per numero di persone incluse nella lista dei Giusti fra le Nazioni realizzata da Yad Veshem, cioè i non-ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita, e senza interesse personale, per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista della Shoah. In Ucraina essi sono 2.691, meno solo di Polonia, Francia e Paesi Bassi, sebbene sia difficile astrarre questo numero dalla quantità di violenza antisemitica che ha avuto nell’Ucraina, oltre a Polonia, Germania, Ungheria e Cecoslovacchia, il suo centro principale.

Ciò che rimane certo è come la memoria dell’Olocausto in Ucraina abbia bisogno di essere maggiormente integrata nella propria storiografia, circostanza non favorita dalla tradizione storiografica sovietica, che ha teso a minimizzare l’Olocausto in quanto fenomeno prettamente ebraico, guardando alle vittime generalmente come “cittadini sovietici”, in ciò nazionalizzando l’Olocausto stesso per i propri scopi politici.

Nell’Ucraina contemporanea, la parziale rivalutazione di figure del nazionalismo ucraino nella Seconda guerra mondiale, compresi Stepan Bandera, Roman Shukhevich e altri combattenti dell’UPA e dei reparti delle Waffen SS, ha prodotto tensioni con Israele, e un aumento degli ostacoli nelle relazioni fra storiografia ucraina ed ebraica, una caratteristica piuttosto comune nei paesi post-comunisti.

La re-istituzionalizzazione dei combattenti filonazisti nella diaspora e la sua influenza sull’Ucraina contemporanea

La storiografia ucraina post-sovietica ha a lungo dibattuto sulla categorizzazione dei movimenti OUN-UPA e degli altri battaglioni ancor più legati con i vertici militari nazisti durante la Seconda guerra mondiale. L’indecisione è stata pesantemente influenzata dal revisionismo di una parte della scuola dell’Ucraina occidentale e della diaspora nordamericana, che ha teso a ripulire gli elementi controversi e di aperta adesione ai principi fascisti e nazional-socialisti dell’OUN in seguito al 1941, presunto momento della svolta ideologica del nazionalismo galiziano, per martirizzarne il percorso militare e ideologico.

La diaspora negli Stati Uniti e in Canada ha avuto un ruolo chiave in questo processo di revisionismo e ri-significazione. Nel contesto della Guerra Fredda, si decise di puntare lo sguardo unicamente sulla lotta antisovietica a oltranza dei combattenti più o meno integrati nella Wermacht (soprattutto per ciò che riguardava l’UPA, piuttosto che le SS Galizia stesse), e sulle domande di auto-determinazione per l’Ucraina, che in seguito al 1945 ricevevano inevitabili simpatie in Occidente, in modo simile a quelle dei Fratelli della foresta nei paesi baltici.

Una parte della diaspora ucraina (prevalentemente galiziana) in Canada e Stati Uniti costituì l’ossatura della storiografia ucraina durante il periodo sovietico, durante il quale scoperchiare il vaso di Pandora della storia ucraina era talvolta sconsigliato e più spesso proibito. In seguito all’oblio memoriale sovietico e alla svalutazione della qualità della sua produzione storiografica, i miti della diaspora furono “ri-esportati in Ucraina in seguito al 1991” come ha scritto brillantemente lo storico svedese Per Anders Rudling, fra i maggiori esperti continentali di nazionalismi dell’Europa orientale.

Il numero due dell’OUN e vice di Bandera, Yaroslav Stets’ko, fu il capo permanente dell’Anti-Bolshevik Bloc of Nations (ABN), e uno dei membri fondatori della World Anti-Communist League (WACL) istituita nel 1966 a Taipei. Sebbene Stet’sko abbia sostenuto la Germania nazista nella proclamazione d’indipendenza ucraina il 30 giugno 1941 accompagnando le truppe naziste a Leopoli e si fosse spinto a dichiarare, già due anni prima, come gli ucraini fossero “il primo popolo in Europa a comprendere l'opera di corruzione degli ebrei”, verrà riabilitato nel dopoguerra.

Nel luglio del 1983 Stets’ko verrà persino accolto, seppur fugacemente, alla Casa Bianca dal presidente statunitense Ronald Reagan e dal suo vice George W. Bush come “l’ultimo primo ministro di uno Stato ucraino libero”. Stets’ko fu pure tra i promotori della Captive Nations Week, un’iniziativa su base annuale del governo statunitense per dimostrare la solidarietà con i popoli vittime dei regimi autoritari, nell’alveo di un più ampio coinvolgimento del Partito repubblicano americano con i collaborazionisti europei in ottica anti-sovietica.

In modo ancor più problematico, sulla questione del collaborazionismo ucraino nella Seconda guerra mondiale “molti libri sono stati scritti da veterani dell'OUN, UPA e delle Waffen-SS Galizien, alcuni dei quali diventarono professori nelle università occidentali”, scrive Rossoliński-Liebee, mentre il ruolo dell’OUN-UPA nei massacri di ebrei e polacchi è spesso stato rappresentato come frutto unicamente della propaganda sovietica, quando non vere e proprie operazioni “false flag” degli agenti dell’NKVD allo scopo di delegittimare il sostegno popolare verso l’UPA e i reparti collaborazionisti, che in realtà – secondo l’unanimità degli storici – era generalmente terrore e paura di rimostranze.

La memoria politicizzata di una parte diaspora ucraina e degli ultranazionalisti ucraini attorno all’OUN-UPA e alla SS Galizia, è stata giustificata nell’opinione pubblica per la loro presunta azione di difesa dei confini ucraini dai bolscevichi, e la circostanza per cui le azioni di guerra delle divisioni ucraini non sarebbero state configurate come crimini di guerra dal tribunale di Norimberga, sebbene quest’ultimo abbia definito la SS Galizia come un’organizzazione criminale.

Grazie a un’intercessione del Vaticano, i collaborazionisti che si erano dimostrati anti-comunisti e professanti la fede cattolica vennero risparmiati dal rimpatrio in Unione Sovietica, e vennero trasferiti in diversi paesi occidentali, in una piccola operazione ODESSA est-europea, che coinvolse pure polacchi, baltici, cecoslovacchi e ungheresi. Il loro ingresso era peraltro proibito negli Stati Uniti e in Canada; in molti casi i britannici non informarono fino in fondo le autorità dei paesi di arrivo del coinvolgimento fattuale di quest’ultimi con le autorità naziste: lo stesso Hunka aveva soggiornato alcuni anni in Gran Bretagna, prima di stabilirsi in Canada.

In ogni caso, il Canada ha sempre evitato di condannare gli ex collaborazionisti attraverso il prisma della responsabilità collettiva; aver fatto parte delle Waffen SS non costituisce reato per la giustizia canadese, che ha permesso pure di instaurare un paio di monumenti alla memoria della divisione sul proprio territorio. Questa situazione favorevole ha spinto molti discendenti delle famiglie fuggite dalla controffensiva sovietica a negare l’evidenza rispetto al proprio passato. È il caso, ad esempio, della ministra delle Finanze canadese Chrystia Freeland, che per anni ha negato il ruolo del nonno materno ucraino come propagandista anti-semita nel giornale Krakivski Visti, svolto durante l’occupazione e instaurazione del Governatorato generale in Polonia.

Con le controverse leggi di decomunistizzazione del 2015 lo Stato ucraino, nel proibire la simbologia e propaganda comunista, l’ha equiparata a quella nazista, proibendo pure i richiami a quest’ultima. Tuttavia, sono rimaste delle zone grigie controverse, come la tolleranza, in seguito a lunga diatriba legale, verso i simboli collegati ai reparti delle SS Galizia. Quest’ultimi sono stati esposti pure in una marcia dedicata alla memoria del reparto nazista a Kyiv nell’aprile 2021; sebbene ad essa abbiano preso parte appena 300 persone, essa ha causato grosso clamore internazionale, soprattutto in Israele, ed è stata prontamente condannata dall’amministrazione presidenziale di Zelenskyj.

Episodi come quello di Jaroslav Hunka dello scorso venerdì, oltre a denigrare l’immagine del parlamento canadese, stereotipizzano l’immagine della stessa diaspora ucraina in Canada, sebbene Katchanovski, il professore che ha “smascherato” il passato Hunka, dimostri come essa non costituisca di certo un amalgama memoriale e identitario omogeneo, di cui quella giustificazionista della parentesi nazista, sommariamente liquidata come anti-bolscevica e patriottica, è solo una parte.

Ancor di più, situazioni come quelle di Hunka pongono un rischio per la percezione pubblica dell’Ucraina, offrendo una facile sponda per la propaganda russa, che ha ovviamente sin da subito usato l’accaduto per ribadire la “reale natura nazista degli ucraini”. Poiché il tema della Seconda guerra mondiale – in virtù della sua complessità storica, acuita dall’enorme violenza nelle terre di sangue dell’Europa orientale e dalla politicizzazione della memoria di Mosca nell’ultimo decennio – viene periodicamente rievocato dal Cremlino, la strategia comunicativa ucraina in tal senso dovrebbe cercare di ricordare la realtà dei fatti, al di fuori di ogni ambiguità.

Sette milioni di ucraini combatterono per l’Armata Rossa e la sconfitta del nazismo, e quasi altrettanti ucraini, compresi i civili, morirono durante la prima metà degli anni ’40: solamente i bielorussi, in proporzione alla popolazione, subirono perdite più gravi.

Una narrazione etno-nazionalista e perennialista di una presunta “guerra secolare” combattuta fra ucraini e russi, inevitabilmente rinforzata dall’odio post-invasione, rischia di distorcere la verità di fondo della storia d’Ucraina. La maggioranza degli ucraini, che sia nel 1939 o nel 1941, ha scelto di sostenere i bolscevichi, e in ogni caso una minima parte di essi ha accettato alleanze, anche solo parziali, con i nazisti. Rileggere il passato con gli occhi del presente, e separare forzatamente gli interessi convergenti di ucraini e russi ottant’anni fa, comparandoli alla situazione politica attuale, equivale a una riscrittura ideologica della storia.

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L’invasione russa dell’Ucraina non ha nulla a che fare con gli schieramenti della Seconda guerra mondiale, e ogni tentennamento ucraino in tal senso inflaziona il peso delle narrazioni di Mosca. Una condanna definitiva di Zelensky e dei vertici ucraini verso le manovre di una piccola parte politicamente interessata alla re-istituzionalizzazione dei suoi miti è oggi resa ancor più necessaria, poiché l’Ucraina difficilmente riuscirà a tornare sui livelli di sostegno internazionale dei primi mesi del 2022.

Nei primi mesi dell’invasione, l’identità ebraica e russofona del presidente ucraino, simbolo di una scelta civica e libera dell’idea nazionale, ha aiutato a conquistare la compassione del pubblico neutrale, per cui questa guerra non è più di una sequenza di immagini casuali trasmesse in televisione. Vederle accostate ai criminali nazisti compromette il senso della resistenza stessa.

Immagine in anteprima: frame video BBC

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