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Boric vince le presidenziali: “Il Cile ha sconfitto la paura”

21 Dicembre 2021 6 min lettura

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Boric vince le presidenziali: “Il Cile ha sconfitto la paura”

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di Susanna De Guio

La Alameda si è riempita di decine di migliaia di persone già dal pomeriggio di domenica quando, con lo scrutinio ancora in corso, era ormai chiaro che aveva vinto Gabriel Boric, e il suo avversario José Antonio Kast ammetteva la sconfitta. 

Non solo a Santiago, ma in moltissime città cilene dal nord all’estremo sud, questo 19 dicembre è stato di festa nelle piazze e nelle strade dove sventolavano le bandiere della campagna per Boric, ma anche molte del popolo nazione mapuche e quelle arcobaleno della comunità LGBTIQ+. 

Con il voto si sceglieva il prossimo presidente, ma in gioco c’era il futuro del paese, si sono scontrate due visioni politiche e ideologiche opposte, due maniere radicalmente distanti di pensare il governo, e la campagna elettorale aveva chiarito che con Kast i diritti delle donne rischiavano di retrocedere, che non ci sarebbe stato posto per le dissidenze né per i migranti. 

Lo scorso 21 novembre, al primo turno, il candidato di sinistra, ex dirigente del movimento studentesco nel 2011 e oggi presidente, si era posizionato secondo, a soli due punti di distanza da José Antonio Kast, che rappresenta l’estrema destra cristiana e conservatrice, antiabortista e dichiaratamente pinochetista.

È la prima volta nella storia democratica cilena che due candidati alla presidenza arrivano al ballottaggio con così poco margine nelle preferenze ed è la prima volta che il risultato si inverte rispetto al primo turno. Con i suoi 35 anni, Boric è anche il più giovane tra i presidenti eletti in Cile, e quello che assume l'incarico con il maggior numero di voti, 4 milioni 600mila (55,87%), contro i 3 milioni 600mila di Kast (44,13%). Gli 11 punti di distacco tra i due candidati esprimono chiaramente qual è il cammino scelto dai cileni con il voto, ma il numero più rilevante in questa elezione epica e tesissima è stato forse quello dell’affluenza alle urne, storicamente sotto la metà degli aventi diritto, e che domenica ha raggiunto il 55,65% sommando oltre un milione 200mila persone rispetto al primo turno di novembre (47,33%) e superando perfino la percentuale del 51% raggiunta con la storica votazione dell’Apruebo del 2020, dove si decideva se cambiare o no la Costituzione di Pinochet del 1980.

Leggi anche >> Cile, le elezioni per l’Assemblea Costituente e le speranze della nuova sinistra

Il plebiscito del 1989 che permise il ritorno alla democrazia non portò con sé un processo di riparazione storica, fondato sulla verità e la giustizia attorno ai crimini commessi durante la dittatura. Tornare a votare in Cile non ha significato poter ridiscutere la matrice neoliberale del sistema economico, importata con i Chicago Boys e implementata da Pinochet, né promuovere uno Stato sociale che garantisca salute pubblica, accesso all’educazione, pensioni dignitose. La rivolta scoppiata nell’ottobre del 2019 mostrava il punto limite di sopportazione di un popolo che, a trent’anni dalla fine del regime militare, vive condizioni di diseguaglianza tra le più esacerbate dell’America Latina e dei paesi OCDE. 

In questa cornice si possono leggere i festeggiamenti che hanno seguito la morte di Lucia Hiriart, vedova di Pinochet e figura politica chiave durante la dittatura, che è deceduta giovedì scorso all’età di 99 anni nella tranquillità della sua casa senza aver subito nemmeno un processo, ma in un momento chiaramente simbolico, tre giorni prima delle elezioni in cui la minaccia del ritorno dell’ideologia del regime militare era più concreta che mai.

Il processo politico che si è originato quando “il Cile si è svegliato”, come ripetevano le piazze durante i mesi delle proteste nel 2019, è ancora in corso e con le diverse votazioni a cui la popolazione è stata chiamata negli ultimi due anni, sta esprimendo la necessità di cambiamenti profondi e radicali, che superano di gran lunga le proposte del moderato programma di governo di Gabriel Boric, più vicino a un orizzonte social-democratico che a un progetto di stampo comunista, sebbene il vecchio fantasma del comunismo sia stato utilizzato a fondo da Kast durante tutta la campagna di queste settimane.

Tra le enormi difficoltà che dovrà affrontare il prossimo governo c’è inoltre la composizione politica delle due Camere del Congresso, dove Apruebo Dignidad, la coalizione di Boric, dovrà cercare grandi alleanze per poter governare, e dove la destra post-fascista di Kast ha guadagnato 14 seggi e continuerà ad essere una forza politica di grande rilievo, soprattutto al Senato.

Analizzando la distribuzione del voto, le vittorie più eclatanti del candidato amico di Bolsonaro e di Vox in Spagna si osservano nelle regioni rurali centrali del paese e nell’Araucania, territorio ancestrale mapuche dove Kast ha preso il 60% dei voti e rappresenta gli interessi delle grandi imprese forestali che storicamente hanno usurpato e devastato la terra delle comunità, con il sostegno di Carabineros e delle forze armate, come dimostra attualmente la forte presenza militare che ha accompagnato l’intero periodo elettorale, permessa dallo Stato d’Eccezione dichiarato da Piñera il 12 ottobre e tutt’ora vigente.

Nel nord del paese invece, al primo turno aveva sorpreso l’ottimo risultato di Parisi, candidato di un giovanissimo Partido de la Gente con proposte populiste anti-casta e ricette di libero mercato, che rispondeva alle difficoltà economiche acuite dalla pandemia e dal rincaro della benzina, così come al sentimento anti-migratorio sviluppato nelle zone di frontiera. Se era evidente che gli elettori di Parisi avevano la capacità di muovere l’ago della bilancia in questa elezione fortemente polarizzata, il risultato dice che non hanno seguito le indicazioni del loro rappresentante, che dopo settimane di strategie politiche e mediatiche ha infine dato il suo appoggio a Kast. 

Boric ha dimostrato di saper raccogliere il malcontento delle regioni più periferiche dopo la campagna elettorale del primo turno, che si rivolgeva soprattutto alla capitale e a un pubblico di già convinti, grazie soprattutto all’entrata in campo della presidente dell’Ordine dei Medici, Izkia Siches, che ha raggiunto una certa visibilità nell’ultimo anno interpellando e discutendo le scelte sanitarie del governo di fronte all’emergenza della pandemia, e che ha rinunciato al suo incarico per assumere la dirigenza della campagna elettorale di Boric, girando il paese da nord a sud con la figlia di otto mesi al seno e una narrazione capace di entusiasmare gli indecisi.

Ma il milione e 200mila nuovi voti raccontano anche di una fetta di popolazione che ha scelto di recarsi alle urne contro la minaccia fascista rappresentata da Kast più che per adesione al progetto politico di Boric, e quella sinistra che mantiene una posizione critica nei confronti del nuovo presidente avrà anche la responsabilità di mettere pressione al governo mobilitandosi nelle piazze per dare continuità alle rivendicazioni espresse durante i mesi della rivolta. Non è un caso che durante le celebrazioni per il sollievo che la vittoria di Boric rappresenta in Cile, uno degli slogan più ripetuti sia stato quello che chiede libertà per i prigionieri politici di quella stessa rivolta che è la base comune dell’identità politica del popolo cileno, che ha spaventato le destre, e che spinge per un cambiamento sostanziale della matrice neoliberale del paese.

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Per questa ragione, riveste una rilevanza fondamentale il destino della Convenzione Costituzionale, che il governo di Boric si è già impegnato a difendere e che deve riuscire, nel corso del prossimo anno, a smantellare le fondamenta del progetto di paese costruito dalla Costituzione di Jaime Guzmán, che permettono di convertire qualsiasi bene comune in una merce soggetta alle leggi del profitto, come è accaduto perfino con l’acqua.

Nel suo discorso inaugurale, Boric ha dichiarato che alla Moneda insieme a lui entrerà la gente, che “la speranza ha vinto sulla paura” e che si impegna ad “avanzare con responsabilità nei cambiamenti strutturali che il Cile sta chiedendo, senza lasciare indietro nessuno”.

Schivato il pericolo di replicare ancora una volta in America Latina il modello di Trump e Bolsonaro, comincia ora un cammino irto di ostacoli ma estremamente simbolico e pieno di scommesse di enorme portata.

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