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La violazione dei diritti umani in Cile

22 Novembre 2019 16 min lettura

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La violazione dei diritti umani in Cile

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Alex Nunez, 39 anni, padre di tre figli, stava tornando a casa dopo una giornata di lavoro durante il coprifuoco indetto dal presidente Sebastián Piñera in seguito alle violenti proteste scoppiate nella capitale e in altre città del Cile per l’aumento del costo dei biglietti dei trasporti pubblici. Non accadeva dai tempi della dittatura di Pinochet, quasi 30 anni fa. Il provvedimento era arrivato dopo la proclamazione dello stato d’emergenza. 

Mentre rincasava – è la versione dei suoi familiari – Nunez è stato inseguito da tre poliziotti che lo hanno duramente picchiato. Arrivato a casa, è stato portato d’urgenza in ospedale, dove è morto poco dopo per le ferite riportate. «Aveva il cranio fratturato e un edema cerebrale. Stava funzionando solo il 5% del suo cervello. Non potevano operarlo», racconta a Reuters Natalia Perez, la moglie di Nunez. La polizia, contattata dall’agenzia di stampa, non ha voluto rilasciare dichiarazioni e Reuters non è stata in grado di trovare elementi per poter verificare la versione della famiglia del 39enne tecnico operaio rimasto ucciso.

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Natalia Perez mostra una foto di suo marito Alex Nunez – via Reuters

La storia di Nunez non è l’unico episodio di violenze da parte delle forze di sicurezza cilena in questo mese di scontri, proteste e uccisioni. Natalia Aravena, un’infermiera di 24 anni, stava andando a una manifestazione di protesta vicino al palazzo presidenziale quando è stata colpita da un violentissimo getto d’acqua sparato dalla polizia sulla folla. A quel punto, racconta Aravena sempre a Reuters, «i poliziotti sono usciti dai loro veicoli e hanno iniziato a sparare gas lacrimogeni. All’inizio in aria, poi direttamente addosso ai manifestanti». Uno di questi ha colpito Aravena al volto lasciandola parzialmente cieca: «Stavo protestando con la mia voce e loro mi hanno attaccato con un’arma», il triste commento della giovane infermiera.

Natalia Aravena a casa sua durante l'intervista a Reuters

E non è stata diversa la sorte di Camila Miranda, un’artista di strada di 24 anni, ferita mentre stava partecipando a una marcia pacifica il 4 novembre a Plaza Italia, un luogo simbolico di Santiago del Cile perché divide un’area ricca da una meno abbiente della capitale cilena. All’improvviso, racconta Miranda, sono partiti alcuni colpi di arma da fuoco. L’artista di strada ha provato a mettersi al riparo accanto a un chiosco ma è stata raggiunta da 6 proiettili di gomma. Quattro le hanno perforato la pelle. E mentre il sangue scorreva lungo le sue gambe e cercava di restare in piedi afferrandosi a una recinzione, le forze di sicurezza hanno cominciato a lanciare in faccia gas lacrimogeni. Colpita alla testa, è stata trascinata di forza su un furgone della polizia, come testimonia anche uno scatto di un fotografo Reuters.

Camila Miranda mentre viene portata via dalla polizia – via Reuters

I pubblici ministeri stanno indagando su oltre mille casi di presunti abusi, che vanno dalla tortura alla violenza sessuale, da parte delle forze di sicurezza da quando, poco più di un mese fa, sono iniziate le proteste in Cile. E a queste bisogna aggiungere altre mille denunce presentate ma non ancora esaminate, ha spiegato Ymay Ortiz, capo della divisione diritti dei pubblici ministeri.

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Le vittime di abusi e violenze potrebbero essere molto di più, ha aggiunto Ortiz. Molte persone potrebbero non fidarsi delle forze dell’ordine e avere paura di sporgere denuncia di fronte alla più dura repressione dalla fine della dittatura militare di Pinochet nel 1990: «Stiamo lavorando sodo per trovare altri canali di dialogo con le vittime in modo tale che si sentano garantite e non in pericolo se denunciano gli abusi subiti».

Oltre che per i pestaggi e le torture, le forze di sicurezza – i cosiddetti “carabineros” – sono accusate di uso sproporzionato della forza per l’utilizzo dei “perdigones”, i pallini che sono stati sparati sulla folla per motivi di ordine pubblico. Il protocollo prevede che vengano usate cartucce da 12 millimetri con dentro 12 pallini a impatto non letale per disperdere assembramenti pericolosi. Ma, in quest’ultimo mese, i carabineros hanno sparato anche in assenza di un rischio reale, spesso ad altezza del viso e a distanza ravvicinata.

Un recente studio dell'Università del Cile sulle munizioni estratte dai manifestanti feriti ha scoperto che solo una minima parte (il 20%) era composta da gomma. Il restante 80% era costituito da silicio, solfato di bario e piombo. Il che significa che le pallottole utilizzate erano dure come "una ruota di uno skateboard", spiega il rapporto.

La Società oftalmologica cilena ha dichiarato che dal 19 ottobre al 10 novembre almeno 230 persone hanno perso la vista dopo essere state colpite agli occhi mentre partecipavano alle manifestazioni di protesta. Di questi, almeno 50 persone avranno bisogno di protesi agli occhi. «Ciò significa che il paziente non solo perde la vista, ma perde l'occhio», ha spiegato il dott. Patricio Meza, vice presidente del Medical College del Cile. Il ministro della sanità Jaime Mañalich ha annunciato un «programma di interventi agli occhi» per le «vittime di violenza politica» che copre i costi delle cure sanitarie e di quelle psicologiche.

«Siamo di fronte a una vera e propria emergenza sanitaria», ha aggiunto Meza. «Durante le proteste, è normale vedere la polizia sparare con pallini contro la folla. Spesso, direttamente in faccia. Altri paesi seguono dei protocolli per l’uso delle pistole a pallini, questo in Cile chiaramente non sta accadendo».

I manifestanti con lesioni agli occhi sono diventati un simbolo delle proteste cilene. Nel corso di diverse manifestazioni alcuni hanno marciato indossando bende per gli occhi in segno di solidarietà con le persone ferite. Come ad Antofagasta, dove sono stati appoggiati a terra grandi occhi di cartone: «Il governo sta lesionando gli occhi della gente in modo che restiamo in silenzio, per generare paura. Ma questa è una generazione che non ha più paura di nulla», ha detto Silvana (che ha chiesto di non rivelare il suo cognome) ad Al Jazeera.

A Vancouver in Canada più di 200 persone si sono radunate nel centro della città in solidarietà con le persone che hanno perso gli occhi in Cile.

L'Istituto Nazionale per i Diritti Umani, Amnesty International e il Medical College avevano sollecitato il governo a vietare l'uso di pistole a pallini da parte della polizia sin dall'inizio delle proteste, ma si sono scontrati contro un muro.

I tribunali di Antofagasta, a nord, e di Concepción, a sud, la scorsa settimana hanno vietato l'uso di armi e proiettili letali contro le persone che protestano pacificamente.

Il rettore dell'Università di Santiago, Juan Manuel Zolessi, ha dichiarato che il Consiglio dei Rettori, che rappresenta 29 università private e pubbliche, ha chiesto ai tribunali di Santiago di vietare l'uso di piombo e pallini di gomma da parte della polizia nazionale.

Sempre la scorsa settimana, il capo della polizia, il generale Mario Rozas, aveva annunciato che sugli elmetti dei carabineros sarebbero state installate delle telecamere per filmare le loro azioni e l’uso delle pistole a pallini sarebbe stato limitato a situazioni di “pericolo reale" per polizia e cittadini, come previsto dai protocolli.

Invece l’11 novembre, il giorno dopo le dichiarazioni di Rozas, lo studente di teatro Vicente Muñoz è stato colpito da proiettili sparati da un ufficiale di polizia a due metri di distanza e ha perso la vista dall’occhio sinistro.

«Penso che sia assolutamente incredibile che, dopo tutti questi casi di spari diretti al viso delle persone e di conseguente perdita degli occhi, non sia stata intrapresa un'azione immediata per far sì che non accada mai più», ha commentato Ennio Vivaldi, rettore dell'Università del Cile, dove Muñoz studia.

Dopo il perpetuarsi delle violenze da parte dei carabineros, domenica scorsa il presidente Piñera ha promesso azioni immediate contro gli abusi. «C’è stato un uso eccessivo della forza, ci sono stati abusi e i diritti di tutti non sono stati rispettati. Non resteranno impuniti e sarà garantita adeguata assistenza affinchè le procure e i tribunali possano indagare e fare giustizia».

Nei giorni precedenti il presidente cileno aveva affermato che il governo non aveva «nulla da nascondere» sulle torture ai manifestanti, ma aveva promesso di indagare, mentre il ministro della Giustizia Hernán Larraín aveva ammesso che «si sono prodotte situazioni che apparentemente sembrano configurare violazioni dei diritti umani».

Martedì scorso Rozas ha annunciato la sospensione dell’uso dei pallini durante le manifestazioni. Il capo dei carabineros ha spiegato che, secondo quanto emerso da un'indagine interna, ci sono state “discrepanze” sia rispetto alla tipologia delle pallottole (che solo in minima parte sono di gomma) che all’utilizzo che ne hanno fatto le forze dell’ordine.

Nel frattempo, un team della Commissione interamericana per i diritti umani ha svolto un sopralluogo di 4 giorni a Santiago del Cile per verificare se nel corso della repressione delle proteste le forze dell’ordine abbiano violato i diritti umani. Mentre si concluderà oggi l’indagine sul campo (durata tre settimane) della delegazione inviata dall’Alta commissaria Onu per i diritti umani, l’ex presidente cilena Michelle Bachelet, che avrebbe dovuto appurare casi di violenza sessuale da parte della polizia nei confronti delle donne arrestate durante le manifestazioni.

Stando alle cifre ufficiali diffuse dal governo, riporta Al Jazeera, in un mese di manifestazione e scontri, ci sono stati 23 morti, 2.391 feriti e sono stati eseguiti dalla polizia 6.300 arresti, in 759 casi a danno di minori. L’Istituto Nacional de Derechos Humanos (Indh) ha presentato 384 azioni legali rispetto a quanto avvenuto durante le proteste.

In Italia, in questi giorni, si sta molto parlando della morte di Daniela Carrasco, artista di strada di 36 anni, nota come “La Mimo”, trovata impiccata lo scorso 20 ottobre in uno dei quartieri periferici di Santiago del Cile. L’artista di strada aveva partecipato alle prime manifestazioni di protesta per il rincaro del costo dei biglietti della metropolitana.

Inizialmente si era parlato di suicidio ma, secondo il coordinatore di Ni Una menos, “Daniela è stata violentata, torturata, nuovamente violentata fino al punto di toglierle la vita”. Ipotesi seguita anche dalla rete di attrici cilene che hanno denunciato che Carrasco “è stata rapita dalle forze militari nei giorni della protesta il 19 ottobre” e hanno fatto un appello al governo e alla ministra Isabel Pla affinché sia fatta luce sulla morte dell’artista di strada e su altre 12 denunce di violenza sessuale da parte delle forze dell’ordine.

In Italia la vicenda è stata ripresa da "Non Una di Meno" ("percorso nato dal confronto tra diverse realtà femminili e femministe che da diversi anni stanno ragionando su alcuni temi come educazione alle differenze, libertà di scelta, ecc.").

E poi da politici, giornalisti e da associazioni come Libera e Gruppo Abele in quanto simbolo delle violenze in Cile nei confronti delle donne. Un monito per intimidire chi, soprattutto se donne, sta partecipando alle manifestazioni in Cile.

Ma, stando ai rapporti del medico legale e alle dichiarazioni della Procura, consegnate alla famiglia di Daniela Carrasco 3 giorni dopo la sua morte (e non lo scorso 20 novembre, come riportato dai media italiani) sul corpo dell’artista di strada non ci sarebbero lesioni fisiche attribuibili a violenze sessuali, la morte sarebbe dovuta a soffocamento per impiccagione e sarebbero stati escluse lesioni fisiche attribuibili a violenze sessuali. Al momento la famiglia non ha fatto nessun reclamo al National Institute of Human Rights (NHRI) per questo caso, ancora sotto indagine della Procura. 

Come è nata la protesta e a cosa ha portato finora

Le proteste sono iniziate a metà ottobre. Decine di studenti universitari hanno incominciato a irrompere nelle stazioni della metropolitana e saltare sui tornelli o scivolare sotto senza pagare. Il loro slogan era: "Evadi, non pagare, un'altra forma di lotta". Protestavano per l’aumento del costo dei biglietti dei trasporti pubblici.

Cile, metropolitana, proteste, incendi
via Guardian

Piano piano, però, la protesta si è estesa e ha coinvolto un numero sempre maggiore di persone che hanno cominciato a manifestare per il costo eccessivo della vita e le disuguaglianze sociali. Santiago, Valparaíso, Coquimbo e Biobío, le principali città cilene, sono state travolte da proteste, incendi e saccheggi.

In quei giorni, il presidente cileno Sebastián Piñera, ha risposto con la forza. Oltre 10mila forze dell’ordine nelle strade, il coprifuoco dalle 21 alle 7 nelle città interessate dalle proteste, la dichiarazione dello stato d’emergenza. «Siamo in guerra contro un nemico potente e implacabile, che non rispetta nessuno, che è disposto a usare la violenza senza limiti, anche se ciò significa la perdita della vita umana» , aveva dichiarato Piñera in un discorso trasmesso in televisione in tutto il Cile. 

Come spiegava al Wall Street Journal Constanza Uribe, una studentessa universitaria di 18 anni che aveva partecipato alle manifestazioni: «L'aumento del prezzo del biglietto dei trasporti è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ritengo necessaria la distruzione della metro perché non credo che avremmo potuto ottenere risultati senza distruggere». 

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via Guardian

Il Cile, commenta Rodrigo Booth, professore all'Università del Cile, in un'intervista al Washington Post, «era una pentola a pressione economica in ebollizione da decenni e alla fine all'improvviso è esplosa. Queste proteste hanno poco a che fare con il trasporto pubblico. In Cile le situazioni di disuguaglianza erano diventate brutali». 

Il paese è esploso, prosegue il professore, perché quelle stesse politiche, che lo hanno reso uno dei paesi più ricchi del Sud America, hanno creato forti disparità economiche e portato all'indebitamento di molti cileni. E poi è saltato il sistema di base: l'acqua, le autostrade, il sistema pensionistico sono stati tutti privatizzati. Fino al caso della metropolitana di Santiago, un'infrastruttura di trasporti moderna, la più grande del Sud America, motivo di orgoglio per molti cileni. Ma i ripetuti aumenti delle tariffe sono diventati insostenibili rispetto alla stagnazione dei salari al punto che una famiglia che guadagna un salario minimo sarebbe stata costretta a utilizzare un sesto del proprio reddito per i soli trasporti.

«Molti presumevano che proteste come questa si sarebbero verificate in seguito alla Grande Recessione, invece stanno accadendo un decennio più tardi e in un momento di lenta ripresa ma al tempo stesso in cui stanno aumentando le disuguaglianze sociali», aggiunge su Bloomberg, John Auters, esperto di mercati e finanza: «Il fatto che i cileni si siano ribellati al costo della vita suggerisce che una situazione simile potrebbe accadere più facilmente nel resto dei paesi in via di sviluppo. Il messaggio che arriva dal Cile in precedenza è arrivato dalle proteste dei Gilet Gialli in Francia, dalle manifestazioni per l’aumento del 20% dei prezzi del carburante in Messico, nel 2017, dallo sciopero dei camionisti per l’aumento del prezzo del diesel e la carenza del carburante l’anno scorso in Brasile». Proteste nate per questioni specifiche – in Libano una tassa sui servizi di videochiamata su WhatsApp, Facebook Messenger e FaceTime, in Arabia Saudita per i locali dove si fuma con il narghilé, in India per le cipolle – ma che non si sono esaurite quando le loro cause scatenanti sono rientrate e le richieste dei manifestanti sono state accolte.

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E così è stato in Cile. Nonostante pochi giorni dopo l’inizio delle proteste il presidente Piñera abbia dichiarato l’intenzione di aumentare la pensione di base universale del 20%, congelare le tariffe sull’elettricità e proporre una legge in base alla quale lo Stato coprirà i costi delle cure mediche, le proteste non si sono fermate e anzi sono diventate ancora più importanti. Il 25 ottobre un milione di persone ha partecipato a una nuova grande manifestazione pacifica di protesta contro il governo nella capitale Santiago. Sventolando bandiere e usando mestoli e padelle, i manifestanti hanno chiesto nuove riforme per ridurre le disuguaglianze economiche e sociali nel paese e chiedere le dimissioni del Presidente Sebastián Piñera, che invece ha cambiato la compagine di governo ma è rimasto al suo posto. Un'assemblea costituzionale, pensioni più elevate, salari, assistenza sanitaria e istruzione a prezzi accessibili erano le richieste dei manifestanti. 

E così si è andati avanti per un mese fino a venerdì scorso quando il governo ha annunciato l’intenzione di indire un referendum ad aprile 2020 per modificare la Costituzione. Si tratterebbe della prima volta, da quando c’era la dittatura ad oggi, che i cittadini vengono consultati per cambiare la carta costituzionale.

La promessa di una nuova Costituzione: un nuovo patto per il Cile o un modo per raffreddare le proteste?

Maggioranza e opposizioni hanno raggiunto un accordo di 12 punti che dovrà portare alla stesura della nuova Costituzione. Ad aprile 2020 i cileni dovranno esprimersi in un plebiscito a favore o contro la modifica della Costituzione. In caso di voto positivo, a ottobre 2020 si terranno nuove elezioni che eleggeranno un’assemblea che dovrà redigere entro un anno un testo che dovrà poi essere votato dai due terzi degli eletti. A quel punto si terrà un nuovo referendum nazionale che dovrà approvare la Costituzione così modificata. 

«I nostri cittadini avranno ora l'ultima parola, sarà la prima Costituzione ad essere elaborata in democrazia», ​​ha detto Piñera. «Nelle ultime quattro settimane, il Cile è cambiato. I cileni sono cambiati. Il governo è cambiato. Siamo cambiati tutti. Il patto sociale in base al quale abbiamo vissuto si è rotto». Nonostante l'annuncio, però, migliaia di persone sono ancora scese nelle strade di Santiago e si sono verificati altri scontri violenti tra piccoli gruppi di manifestanti e polizia.

L’annuncio del referendum costituzionale ha suscitato un grande dibattito nel paese: è davvero la proposta di un nuovo patto per il Cile e per scrivere finalmente insieme le regole della Costituzione o una strategia da parte del governo per far cessare le proteste?

Molti movimenti, spiega Charis McGowan su Al Jazeera,  hanno respinto la proposta, mentre altri la riconoscono come un passo in avanti. «Il referendum è solo una parte del problema», spiega una manifestante ad Al Jazeera. «La gente ora vuole giustizia per tutte le violazioni dei diritti umani che sono state commesse da militari, polizia e governo stesso. Nessuno dei rappresentanti lì ci rappresenta».

Per questo motivo, prosegue McGowan, è fondamentale il processo che porterà al referendum e come saranno coinvolti i cittadini nella stesura della nuova carta costituzionale. L'attuale costituzione del Cile ha subito molte riforme, ma è stata scritta nel 1980 da una commissione durante la dittatura militare di 17 anni del generale Augusto Pinochet. Le Costituzioni precedenti non prevedevano neppure la partecipazione attiva dei cittadini. Il Cile non ha mai tenuto un'assemblea costituzionale.

A destare dubbi sono diversi aspetti. Innanzitutto, l'accordo di 12 punti è ancora troppo vago. E i primi a essere esclusi dal voto, a causa dell’età, saranno proprio i giovani che hanno innescato le proteste. Inoltre, spiega Modatima, il movimento per la difesa delle risorse idriche, terrestri e ambientali, desta perplessità anche la scansione temporale che porterà al voto: «Si voterà tra 5 mesi. Il tempo di raffreddare le proteste e avere tempo per campagne di terrore».

Intanto, nelle ultime settimane, numerosi cittadini di tutte le età stanno utilizzando piazze e parchi per riunirsi e discutere della crisi e delle potenziali soluzioni. Si chiamano "cabildos", assemblee di base e gruppi di discussione.

Un esempio di cabildos – via Al Jazeera

«La nostra generazione non ha avuto spazi per questo tipo di discussioni aperte», spiega ad Al Jazeera Cristian Retamales, leader sindacale dei lavoratori del Ministero della Cultura di Antofagasta, cresciuto durante la dittatura di Pinochet. «È arrivato il momento di riprenderci questi spazi che abbiamo perduto. Come comunità, questo è il momento in cui dobbiamo riunirci e partecipare a questo tipo di attività. Questa è un'opportunità per ricostruire».

Alcuni cabildos sono nati per fare politica attiva sul territorio, altri invece come gruppi di sostegno di vicinato di fronte ai disagi delle proteste. Come nel caso dei residenti del quartiere La Florida di Santiago che si sono sentiti impotenti quando hanno visto la metropolitana di San Jose de Estrella bruciare per due notti consecutive lo scorso ottobre.

I residenti hanno detto che i militari non hanno risposto adeguatamente agli incendi. «Le forze dell’ordine non stavano facendo il loro lavoro. Siamo rimasti soli», ha detto sempre ad Al Jazeera Alejandra Meza, un'insegnante di 48 anni che vive nel quartiere. E così Meza e i suoi vicini hanno deciso di proteggere l'area in prima persone, sfidando il coprifuoco e pattugliando le strade di notte per proteggere i negozi locali da azioni vandaliche.

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Cresciuta durante la dittatura di Pinochet, Meza ha raccontato di essere turbata dalla presenza militare e dall'obbligo del coprifuoco e di essersi sentita più sicura grazie alla presenza dei suoi vicini, che hanno sostenuto i manifestanti, nonostante le violenze iniziali. 

Anche se le pattuglie notturne non sono più necessarie, Meza e i suoi vicini continuano a incontrarsi. «Senza questo movimento, non ci saremmo conosciuti», ha detto, aggiungendo che con i vicini non si era mai parlati prima delle proteste. «Questa è la cosa migliore che è venuta fuori, siamo diventati meno individualisti e stiamo dedicando del tempo per prenderci cura e cercarci l'un l'altro».

Immagine in anteprima via Al Jazeera

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