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L’Ucraina, la disinformazione e la guerra parallela

11 Aprile 2022 20 min lettura

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L’Ucraina, la disinformazione e la guerra parallela

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L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha aperto un conflitto che si sta dipanando, oltre che su quello militare, anche sul piano cibernetico e informativo.

Guerra cibernetica

Il fatto che la Russia stesse ammassando truppe (almeno 170mila) ai confini orientali dell’Ucraina, e richiamando i riservisti, già parecchi mesi prima dell’invasione (notizia basata su dati open source, quali immagini satellitari – Maxar e Planet – e informazioni derivate dai navigatori), ha fatto credere agli analisti che il cyberspazio avrebbe svolto un ruolo importante nel conflitto armato.

In realtà gli attacchi informatici operati dalla Russia hanno avuto un ruolo minimo nella guerra, e sono stati molto meno dannosi di quanto avrebbero potuto essere. Ad esempio, i siti web del governo ucraino (Ministero degli Affari Esteri, Gabinetto dei Ministri e Parlamento) e di alcune banche sono stati oggetto di attacchi DDOS (Distributed Denial of Service) poco prima dell’invasione (dalle ore 16 circa del 23 febbraio). Neuberger, il vice consigliere per la sicurezza della Casa Bianca, ha sostenuto che gli attacchi “limitati” potrebbero essere coerenti con uno sforzo della Russia di gettare le basi per attacchi informatici più dirompenti.

Secondo Robert Lee, CEO del gruppo di sicurezza Dragos, la rete elettrica ucraina era un bersaglio possibile, nonostante i rafforzamenti della sicurezza e gli aiuti degli Usa. Secondo gli esperti la Russia avrebbe potuto schierare una ampia gamma di attacchi informatici che negli anni sono già stati utilizzati verso altri paesi, compresi gli Usa (ad esempio l’attacco ransomware al gasdotto Colonial del 2021). E l’Ucraina è da anni sotto attacco informatico dalla Russia, a partire dallo spegnimento proprio di parte della rete elettrica nel 2015. Ma già nel conflitto russo-ucraino del 2014 gli attacchi cibernetici russi si sono limitati a defacciamenti di siti web e piccole incursioni nella rete elettrica. Ben altro si era visto, invece, contro l’Estonia nel 2007 e la Georgia nel 2008. Lì non solo i servizi bancari furono messi uso, ma i dipendenti del governo non erano in grado di comunicare tra loro e giornali e televisioni non erano in grado di fornire le notizie.

In Ucraina, invece, finora nessun cyber attacco alle infrastrutture chiave o ai sistemi di difesa sembrerebbe esser stato perpetrato (per quel che ne sappiamo). I motivi di tale assenza non sono noti, ci sono state varie speculazioni sul punto, come ad esempio c’è chi ha suggerito che agli Stati non conviene aprire a una guerra cibernetica di ampia portata visto che ogni Stato ha forti vulnerabilità. Lo si diceva già nel 2015, eppure la Russia non ha esitato a mettere in campo attacchi potenti in altri Stati.

In uno studio che analizza le campagne militari in un periodo di 10 anni, Nadiya Kostyuk e Erik Gartzke (Fighting in Cyberspace: Internet dependency and the substitutability of cyber and military operations), esperti di sicurezza informatica, sostengono che l’assenza di tali attacchi in Ucraina dipende dal fatto che le operazioni cibernetiche e quelle militari servono obiettivi politici differenti. Mentre le operazioni informatiche sono efficaci per raccogliere informazioni, rubare tecnologie o conquistare l’opinione pubblica, le operazioni militari servono per catturare risorse materiali e occupare territori. Non solo, le operazioni militari hanno anche lo scopo di terrorizzare la popolazione, riducendo la sua capacità di reazione.

Gli obiettivi dichiarati dalla Russia, quali “denazificare” (il termine usato è karatelnaya operatsiya, una frase che si riferisce quasi esclusivamente alle atrocità naziste compiute nelle terre occupate dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, per cui "denazificazione" nell'uso ufficiale russo significa semplicemente la distruzione dello Stato e della nazione ucraini) l’Ucraina (qui un thread utile sul punto), impongono quindi l’uso di forze militari per occupare il territorio. Se è vero che la campagna iniziale avrebbe dovuto durare pochi giorni (3 giorni), probabilmente l’idea era di spezzare il morale degli ucraini, con una invasione lampo, e creare shock nella popolazione. Del resto era lo stesso obiettivo della guerra russa in Afghanistan (e degli Usa in Iraq). Anche i bombardamenti a tappeto, mirati anche verso bersagli civili, e le operazioni di vera macelleria, come quella portata avanti a Bucha, sono operazioni dirette espressamente a fiaccare il morale della cittadinanza, e quindi ad arrendersi velocemente. E che dire dei "regali" lasciati dai russi, come sacchi di patate o cibo con bombe nascoste, in modo che salti in aria chi, ovviamente affamato, cerchi di prenderli?

L’operazione “lampo”, però, non è riuscita, quindi la Russia ha dovuto optare per un cambio di strategia, alzando la posta con i bombardamenti a tappeto. Una tattica già utilizzata in Cecenia e ad Aleppo (con oltre 100 bambini uccisi). Il bombardamento a tappeto di Grozny aveva lo scopo di svuotare la città della sua gente, uccidendola o trasformandola in profughi. Anche lì l’esercito russo aveva promesso “corridoi sicuri”, per poi sparare sulle famiglie che tentavano di fuggire dall’inferno di Grozny. Grozny è stato circondata, e poi rasa al suolo, con circa 50mila persone intrappolate, infreddolite e affamate negli scantinati (quelli che non venivano rastrellati per finire nei campi di prigionia russi). Successivamente le truppe di terra russe hanno compiuto atrocità di massa, sparando alla testa ai sopravvissuti e violentando le donne. Alla fine non si contavano le fosse comuni. Tutto questo è stato ampiamente documentato da Natalia Estemirova, assassinata nel 2009, e Anna Politkovskaya, uccisa nel 2006.

Grozny

Insomma, non solo ci sono scarse prove che l’utilizzo di cyber attacchi possa fare la differenza, in quanto richiedono tempo e non sempre ottengono risultati pratici, ma probabilmente non avrebbero avuto quell’effetto politico che la Russia voleva raggiungere in Ucraina. Non dimentichiamo che per Putin l'Ucraina è un affare in sospeso, dopo l’annessione della Crimea nel 2014. Vede l'Ucraina come parte della Russia e si irrita per il suo avvicinamento all'Occidente, il suo scopo probabilmente è conquistarla militarmente, e dare una lezione agli ucraini per aver scelto l’Occidente invece che la Russia (un "nazista" è un ucraino che rifiuta di ammettere essere russo). Insomma, farne un esempio (del resto in Ucraina "l'ipotesi 'brava gente - cattivo governo' non si applica"!).

Guerra di informazione

All’operazione militare si sono comunque affiancate vere e proprie campagne di disinformazione. La disinformazione e l’inganno, infatti, sono componenti chiave delle guerre, in quanto possono influire direttamente sul campo di battaglia.

Prima dell’inizio dell'invasione si è avuto un aumento del 2000% (circa 3.500 post al giorno) rispetto alla media giornaliera di novembre di contenuti dei social media in Ucraina in lingua russa (sfruttando il fatto che la lingua russa è correntemente parlata in Ucraina). Lo scopo di tali campagne era quello di sostenere l’intervento della Russia per ragioni umanitarie e creare sostegno per l’intervento militare, in pratica convincere la popolazione ucraina che la loro situazione era fuori controllo e che fosse necessario l’intervento della Russia, manu militari, per ripristinare l’ordine. È la stessa propaganda che è stata propinata ai russi in Russia.

Per anni la Russia si è concentrata nell’affinare le tecniche di disinformazione, in particolare alimentando l’idea di essere vittima delle democrazie e dell’Occidente. In tal modo ha giustificato l’invasione della Georgia nel 2008 e l’aggressione all’Ucraina nel 2014. Non solo, ha operato interferenze di ogni tipo nelle elezioni di altri paesi, in particolare degli Stati Uniti. Un’altra strategia è stata quella di nascondere le atrocità commesse dai soldati russi sul territorio, in genere utilizzando “false flag” (così chiamate con riferimento al nascondere l’identità dell’aggressore), messinscene (staged), e “crisis actor” (tutte tecniche che poi accusa i suoi “nemici” di utilizzare).

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Con l’invasione del 2022, però, le cose sono andate diversamente, in parte anche perché l’amministrazione Biden con una decisione senza precedenti si è affrettata (3 febbraio) a declassificare le informazioni di intelligence sui piani di Mosca, chiarendo che l'intenzione del Cremlino era di mettere in scena una classica “false flag” per far sembrare che fosse stata l’Ucraina a provocare la Russia. Si sarebbe trattato di un falso attacco da parte delle forze armate o di intelligence ucraine contro il territorio sovrano russo o contro persone di lingua russa, a seguito del quale la Russia avrebbe prodotto un video di propaganda con cadaveri e attori che ritraggono persone in lutto e immagini di luoghi distrutti, con l’evidenza di attrezzature militari ucraine o occidentali. Tutto questo, non dimentichiamolo, quando la Russia aveva già quasi 190mila soldati ai confini dell’Ucraina e nel territorio ucraino.

La mossa degli Usa (unica, in quanto l’intelligence non diffonde mai i dati di cui ha a disposizione se non dopo parecchio tempo) ha però evitato che la Russia potesse crearsi un casus belli ad hoc per l’invasione dell’Ucraina, cosa che potrebbe aver favorito anche la nascita della protesta interna contro l’aggressione all’Ucraina. Soprattutto ha consentito all’Ucraina di prepararsi e di avviare con gli altri paesi le discussioni internazionali per le risposte all’imminente invasione. Nel contempo il governo ucraino minimizzava la minaccia probabilmente per evitare il panico nel paese (anche perché forse una mobilitazione massiccia di forze avrebbe potuto fornire un pretesto alla Russia).

Nonostante ciò la Russia ha perpetuato il suo solito armamentario di disinformazione, accusando l’Ucraina di genocidio nei confronti degli indipendentisti del Donbass, così come aveva fatto anche prima dell’invasione del 2014 e dell'invasione della Georgia. Accusa, all’epoca, smentita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che alla fine ha stabilito che era stata la Russia a commettere violazioni dei diritti umani. Secondo le prove portate in giudizio le forze russe anche dopo il cessate il fuoco hanno chiuso e bruciato interi villaggi georgiani (20mila persone), eseguendo esecuzioni sommarie. Anche lì (come per Bucha) i russi hanno asserito che erano stati i georgiani, invece, a bombardare i propri cittadini per incolpare falsamente la Russia.

In Ucraina, dopo il bombardamento di due scuole nel Donbass (17 febbraio) i media russi hanno immediatamente attribuito la colpa all’esercito ucraino, e i separatisti hanno approfittato per evacuare (deportare?) i civili residenti verso la Russia. Ma i video fabbricati dalle forze russe sono stati rilevati facilmente come false flag, in quanto i metadati dimostravano che la registrazione era di due giorni prima che Mosca accusasse l’Ucraina. Il 22 febbraio altra accusa: gli ucraini avrebbero ucciso tre persone nel Donbass con uno IED (esplosivo improvvisato). I miliziani hanno pubblicato le immagini su Telegram, e il governo russo ha subito accusato gli ucraini. Poi il gruppo di giornalismo investigativo Bellingcat ha dimostrato che il danno non era coerente con l'esplosione di uno IED, che i resti carbonizzati sembravano essere cadaveri piantati sulla scena, con un'immagine [nda: le immagini sono tutt'ora presenti su Twitter, non inseriamo il link per il loro contenuto disturbante] che mostrava un taglio al cranio (apparentemente fatto con una sega per ossa). Un patologo forense ha detto: "È un tipico taglio eseguito per rimuovere la calotta cranica durante un'autopsia".

La Russia utilizza da sempre gli stessi schemi (del resto finora hanno funzionato, perché cambiarli?). Sono le aktivnye meropriyatiya (misure attive), un termine usato nell’Unione Sovietica dagli anni ‘50 per descrivere una gamma di operazioni segrete e negabili di influenza politica e sovversione, incluso il sostegno di movimenti politici amichevoli (si intende stranieri), e la diffusione di disinformazione.

Ad esempio si tratta di negare l’evidenza (come quando negava che gli uomini che si erano impadroniti nel 2014 degli edifici governativi in Crimea fossero forze militari russe) oppure realizzare false flag. Si tratta di un’operazione di disinformazione tesa a minare la fiducia nelle informazioni, precisa Kate Starbird, esperta di disinformazione presso l'Università di Washington. Lo scopo non è tanto convincere le persone, quanto piuttosto dimostrare che non si può credere in nulla, per cui tutto va messo in discussione. È la medesima tattica utilizzata da Trump negli Usa per arrivare alla Casa Bianca.

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Evidentemente il governo russo sperava di poter seminare sufficienti dubbi, che avrebbero paralizzato l’azione dei governi occidentali (sulla spinta di pressioni dell’opinione pubblica convinta dalla disinformazione russa) in modo da guadagnare tempo e ottenere rapidamente territori ucraini, per poi andare a negoziare in una posizione di forza. Se la Russia fosse andata al tavolo delle trattative con parte del territorio ucraino già conquistato, casomai avendo già decapitato il governo ucraino, molto probabilmente le divisioni tra i vari Stati occidentali (sulle quali incide anche la propaganda russa) avrebbero fatto il resto. La storia, forse, sarebbe stata non dissimile dalla Georgia o dalla Cecenia dove la Russia non ha pagato per i suoi crimini. Invece, la mossa degli Usa di declassificare informazioni di intelligence, ma in particolare la risposta dei paesi occidentali, con le redazioni specializzate e sempre più abituate a gestire le fake news e quindi in grado di rispondere e verificare velocemente i fatti, hanno consentito di sbugiardare i russi quasi in tempo reale.

Così è stato dimostrato che il video del Consiglio di sicurezza russo del 21 febbraio era preregistrato. Le immagini di russi che sparano in tutta l’Ucraina sono state diffuse mentre Mosca sosteneva che si trattava solo di un’operazione di mantenimento della pace nel Donetsk. Quando sono circolate voci sulla fuga del presidente ucraino (con l'intento di fiaccare la resistenza ucraina), Zelenskyy ha pubblicato immagini di se stesso nelle strade di Kyiv. E video che dimostrano i bombardamenti russi che prendono di mira anche i civili e gli ospedali, vengono pubblicati in continuazione sui social e ripresi dalle testate occidentali, mentre i russi sostengono di colpire solo obiettivi militari. E allo stesso modo le smentite russe sulla mattanza di Bucha sono state sbugiardate (e le prove continuano ad accumularsi). Anche Facebook e Twitter hanno fatto la loro parte cancellando gli account di un gruppo di hacker bielorusso che fingevano di essere giornalisti promuovendo narrazioni anti-ucraine.

La Russia continua e continuerà a inondare l’ecosistema informativo di disinformazione volta a confondere l’opinione pubblica, perché è evidente che la prima arma contro l'invasione russa è proprio la compattezza dell’opinione pubblica mondiale nel condannare queste aggressioni, e quindi per la Russia è essenziale seminare discredito nei confronti dei media informativi, non in Russia (dove la presa dei media è totale) ma nel mondo occidentale. Gli sforzi russi sono, purtroppo, rafforzati dai tanti in cerca di attenzione sui social che cavalcano informazioni false e fuorvianti solo per ottenere seguaci, carpendo la buona fede dei ben intenzionati che cercano di tenersi aggiornati. Ecco perché dal 2014, cioè da quando è stata presa di mira dalla disinformazione russa, la Finlandia si è attrezzata per insegnare il pensiero critico fin dalle scuole. L'obiettivo è formare cittadini attivi e responsabili, e imparare a valutare le informazioni che ricevono.

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Propaganda interna

È da anni che la Russia ha smesso di preoccuparsi di rispettare il diritto internazionale e della propria reputazione all’estero. Ciò che interessa davvero Putin è solo l'opinione pubblica interna e di come le sue azioni sono viste in Russia. Se il popolo russo appare non entusiasta allora occorre una giustificazione per l’aggressione di un altro Stato, ecco perché da anni la Russia cerca di promuovere il suo ruolo di attore umanitario, ed ecco perché Putin ama farsi fotografare mentre stringe le mani dei governanti occidentali, ben felici di fare accordi commerciali col dittatore russo. Insomma, per l’opinione pubblica interna la propaganda russa conta ancora, ecco perché vengono tuttora realizzate quelle assurde messinscene dove i diplomatici russi raccontano ai consessi internazionali increduli di come in realtà a Bucha sarebbero stati gli ucraini a bombardare i propri stessi cittadini. Non perché qualcuno al di fuori della Russia ci creda davvero, ma perché sono quelle immagini, e solo quelle (in realtà nei media russi controllati dal governo vengono riproposte anche immagini di media occidentali che riportano il punto di vista russo senza osservazioni o critiche, come per Tucker Carlson, il conduttore di Fox News noto per le sue posizioni anti-Usa), che poi vengono riportate in patria. Se all’ONU si parla in quel modo, diranno in Russia, allora forse deve essere così.

Ed ecco perché l’intera macchina di propaganda russa, con i media ormai strettamente sotto il controllo del Cremlino, sono sempre indaffarati a dipingere i paesi occidentali come guerrafondai paranoici disposti a distorcere la realtà, laddove, invece, sarebbe la povera Russia l’unica vera vittima.

In questa prospettiva i funzionari russi hanno bloccato l'accesso ai social media nel paese per impedire la diffusione di informazioni che non si adattano alla sua narrativa. In particolare Facebook ha implementato delle regole in base alle quali in Ucraina erano permessi discorsi violenti o di hate speech nei confronti dei russi. Tale modifica della policy viene spiegata da Facebook col fatto che nel caso specifico (e limitato all’Ucraina) si trattava di consentire un discorso in risposta ad una illegittima aggressione da parte della Russia (in sostanza in assenza di tale eccezione probabilmente mezza Ucraina avrebbe dovuto essere bannata dal social). Ma questa modifica delle politiche di Facebook ha giustificato l’accusa del governo russo verso Facebook di incentivare la russofobia, da cui il blocco del social. Il blocco è stato giustificato dal Roskomnadzor anche in base alle discriminazioni verso i media russi, che erano stati a loro volta bloccati da Facebook. Facebook, infatti, aveva bloccato il canale televisivo Zvezda, l'agenzia di stampa RIA Novosti, Sputnik, Russia Today, le risorse informative Lenta.ru e Gazeta.ru, sulla base delle sanzioni dei paesi occidentali.

Inoltre è stata introdotta una legge che prevede pene fino a 15 anni di carcere per chi diffonde intenzionalmente notizie “false” sui militari e sulla guerra. Molte parole sono sostanzialmente vietate, come “guerra” o “invasione”, e in generale il governo russo sostiene che i media occidentali stiano presentando una versione della situazione contraria alla realtà solo per discreditare la Russia. In tale prospettiva, ad esempio, il social TikTok è stato costretto a bloccare il caricamento di video dalla Russia per evitare di dover rispondere di contenuti che semplicemente parlano di “guerra” o “invasione”. In Russia oggi è vietato anche dire (o esporre un cartello con) "no alla guerra"!

E all'inizio dell'invasione il Cremlino ha inviato un documento ai media per spingere determinati argomenti, quali: l'Ucraina ha una storia di nazionalismo (che presumibilmente minaccia la Russia); l'operazione militare russa procede come previsto; Putin sta proteggendo tutti i russi; l'esercito ucraino “perdente” sta bombardando le aree residenziali dell'Ucraina orientale controllate dalla Russia; mercenari stranieri stanno arrivando in Ucraina; L'Europa “sta affrontando sempre più problemi” a causa delle proprie sanzioni; ci saranno “pericolo e possibili conseguenze legali” per coloro che in Russia protestano contro la guerra. Il documento rileva che è “necessario continuare a citare” Putin.

Yandex 25 marzo

Si dice che la Russia stia cercando di costruire un firewall come la Cina, un filtro tra la rete internet russa e il resto del mondo, proprio per impedire che le notizie possano raggiungere il popolo russo, per impedire che voci diverse da quella del governo possano raggiungere il popolo russo. Ma secondo gli esperti la Russia non possiede le tecnologie per tale sistema di filtraggio. Nel frattempo i cittadini russi si affrettano a scaricare VPN.

Anche le aziende russe sono soggette a queste forme di censura. Un’azienda russa che si dichiarasse pubblicamente contro la guerra (anzi, contro l'operazione speciale di liberazione dell'Ucraina) si ritroverebbe immediatamente sotto il controllo dell’autorità russa. Cosa che è accaduta negli anni a molte aziende. Il controllo del Cremlino è pervasivo, il suo scopo è di limitare o eliminare del tutto la capacità dei dissidenti di informare il pubblico sulla guerra censurata.

Il processo di assoggettare al controllo del governo i media russi (la televisione è ancora il principale media di informazione) è iniziato parecchio tempo fa. E precisamente fin dal primo mandato di Putin, quando il pasticciato salvataggio dell’equipaggio del sottomarino Kursk, affondato a causa di un’esplosione durante un’esercitazione in mare, scatenò le proteste dell’opinione pubblica. Fu allora che Putin iniziò a prendersela con la stampa indipendente, e diverse testate furono rilevate da uomini vicino alla cerchia di Putin. Nel giugno del 2001 il proprietario della Ntv, Gusinsky, fu costretto a cedere la sua società per poter uscire dal carcere, secondo una tecnica di negoziazione del Cremlino che sarebbe diventata tipica in quegli anni. Quell’operazione si è conclusa pochi giorni fa quando anche Novaya Gazeta (per la quale scriveva Anna Politkovskaya) è stata costretta a sospendere le attività. Del resto ormai non aveva più alcun senso, anche il responsabile per la comunicazione del giornale, Nadia Prusenkova, ha precisato: “Non possiamo dire più nulla”. Durante la guerra in Ucraina sono stati bloccati i seguenti media: Meduza, Dozhd, Echo of Moscow, The BBC, TV-2, Radio Liberty, Current Time, Voice of America, Tayga.Info, The New Times, Doxa, Deutsche Welle, The Village, Facebook, Twitter, App Store, Google Play. Hanno cessato le trasmissioni: Znak.com, Ksenia Sobchak’s.

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Il caporedattore di Dozhd TV ha detto: “La direzione di Dozhd TV ha deciso di interrompere temporaneamente il lavoro del nostro punto vendita. Il motivo sono le condizioni per tutti i giornalisti russi. I legislatori russi ci hanno messo in una situazione tale che è impossibile continuare a lavorare come giornalisti”; “alcuni membri del nostro staff hanno deciso di lasciare la Russia per un po' di tempo perché non ci sentiamo al sicuro rimanendo lì. Tuttavia, alcuni dei miei colleghi rimangono a Mosca”; “posso concludere dalla situazione delle ultime settimane – sia in generale che per quanto riguarda i giornalisti – che le cose si svilupperanno secondo il peggior scenario immaginabile, anche in precedenza inimmaginabili”.

Alexey Kovalev, giornalista investigativo di Meduza, ha aggiunto: “sS sei fisicamente in Russia, non sei davvero indipendente. Fai ancora affidamento su un'infrastruttura che qualcun altro possiede e sono sempre nelle tasche del Cremlino”.

Una guerra sugli smartphone...

In realtà è l’Ucraina che sta vincendo la guerra di informazione, perché le immagini che vediamo ogni giorno tramite giornali e social media, rendono più facile isolare la Russia. I video quotidiani dei soldati russi catturati, i post che prendono in giro le truppe russe, i funzionari di Kyiv che dimostrano la continuità del governo, si stanno dimostrando una efficace campagna informativa. E impedire che tali immagini entrino in Russia non è semplice. Occorre isolare completamente intere fasce della popolazione, nel contempo però non si può impedire a tutti di avere contatti con l’Occidente (es. imprenditori). La guerra ibrida che aveva avuto successo in Georgia o in Crimea, oggi non sembra ottenere gli stessi effetti. La differenza è che oggi la guerra avviene negli smartphone dell’intera popolazione. Per quanto tempo la realtà potrà essere tenuta lontano dalla Russia? E ogni tanto si vedono le crepe nel muro.

La popolazione ucraina sta cercando anche di rompere il “muro” che anni di propaganda di regime ha creato tra i russi e il resto del mondo. Del resto sono circa 11 milioni i parenti che gli ucraini si sono lasciati dietro in Russia, e molti di loro non credono alle storie di atrocità che i soldati russi perpetrano in Ucraina, molti non credono nemmeno che ci sia una guerra in corso. Ecco perché un ristoratore di Kiev ha creato il sito papapover.com (Papà, credimi), progettato per aiutare gli ucraini a coinvolgere i loro familiari in Russia, con l'intento di condividere le vere storie dal fronte di guerra con i parenti in Russia.

La tanto decantata (e sopravvalutata) influenza degli operatori del Cremlino non è riuscita nell’operazione di disinformazione, non è stata all’altezza del continuo flusso di immagini che mostrano quasi in tempo reale la brutalità dell’aggressione russa. Così la Russia ha dovuto subire la condanna (voto dell’ONU) da parte di moltissimi Stati per la sua “invasione” dell’Ucraina, con sanzioni commerciali e confische di beni degli oligarchi russi. Fino all’approvazione di un’indagine internazionale per i crimini di guerra compiuti dalla Russia. Ma la propaganda interna (insieme alle minacce e gli arresti) continua a mantenere la ferrea presa sul popolo russo, impedendogli di rivoltarsi contro il governo. L'esposizione per anni (The effects of repetition frequency on the illusory truth effect) alla propaganda di regime (un ambiente nel quale quindi non esiste pluralismo informativo) ha fatto presa nella popolazione, modificando le convinzioni e le percezioni.

In pochi giorni la Russia si è trasformata da uno Stato che fa affari con le principali democrazie, il cui Presidente stringe la mano dei più importanti leader democratici (le immagini delle strette di mano erano diffuse in Russia per mostrare quanto fosse benvoluto all’estero Putin), in uno Stato paria, e questo per il fallimento della guerra ibrida nella quale la Russia prima era maestra (basti pensare alla Georgia o alla Crimea). L’isolamento internazionale si sentirà in parecchi modi. Ad esempio la decisione di varie aziende informatiche di sospendere le vendite di software e hardware in Russia mineranno la sicurezza informatica russa, che sarà sempre più esposta alle vulnerabilità. E con questo avranno buon gioco i collettivi di hacker, come Anonymous, che hanno deciso di schierarsi al fianco dell’Ucraina, sottraendo informazioni, hackerando la televisione russa in modo da mostrare immagini della “guerra che non c’è” in diretta televisiva.

Nell’ideologia del governo russo, l’Occidente mira a sovvertire l’ordine costituito in Russia attraverso la democratizzazione forzata, sostenere la società civile e la trasparenza, per incoraggiare gli attivisti ad affrontare questioni come la corruzione interna e le violazioni dei diritti umani (a tal proposito l'8 aprile il governo russo ha chiuso in Russia Human Rights Watch, Amnesty International e altre organizzazioni non governative). A ciò si aggiungono evidenti paranoie che dipingono l’Occidente (e gli Usa) dietro ogni movimento possibile, come ad esempio la rivoluzione bianca del dicembre del 2011 quando oltre 100mila persone scesero in piazza a Mosca per protestare contro il governo di Putin. Oggi il patriarca russo, infatti, accusa apertamente l’Occidente di “rieducare” gli ucraini rivoltandoli contro la madre Russia (“La cosa più terribile non sono le armi, ma il tentativo di "rieducare", di trasformare mentalmente gli ucraini e i russi che vivono in Ucraina in nemici della Russia”). Peccato che poi i russi non si preoccupino più di tanto di violentare (anche i bambini) e ammazzare gli ucraini, nonostante la loro "fratellanza" (“popoli fraterni – russi e ucraini”).

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Commissario per i diritti umani dell'Ucraina Lyudmyla Denisova

Ed è proprio con Putin che la Russia ha rafforzato l’utilizzo di “misure attive” per affrontare la campagna di sovversione occidentale. Probabilmente è per questo motivo che la Russia ha preferito una strategia incentrata sulla propaganda e la disinformazione piuttosto che sugli attacchi cibernetici, anche perché un attacco cibernetico distruttivo comunque è equivalente a un attacco missilistico, mentre la propaganda cade in una zona d’ombra. Anche se alla fine il mezzo primario rimane sempre la guerra offensiva tradizionale. Ecco perché i russi sparano alle torri televisive piuttosto che abbatterle con attacchi informatici.

Quello che stiamo osservando in Ucraina è un conflitto diverso dagli altri, perché ci ha dimostrato come le piattaforme del web, i social media in particolare, sono importanti per la democrazia e per l’accountability dei governi. Sono strumenti di controllo e verifica dell’operato dei nostri governi. Ma non solo, vediamo anche che la comunità dell’intelligence open source, come i team di visual forensic dei giornali, stanno facendo un incredibile lavoro sfruttando dati da più fonti (anche social media) per scoprire e denunciare la disinformazione. Si tratta di un lavoro fondamentale che ci da la misura in cui una democrazia necessiti di tali strumenti per la sua sopravvivenza, in particolare del pluralismo dell’informazione. La lezione che possiamo imparare dalla Russia è proprio questa, nel momento in cui un governo mette le mani sui mezzi di informazione, e chiude le piattaforme del web perché non si attengono alla narrazione calata dall’alto, quella non è più una democrazia. Ricordiamocelo la prossima volta che qualcuno chiederà di chiudere Facebook.

Immagine in anteprima: frame video France2

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