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Francia, elezioni presidenziali: Macron e l’avanzata dell’estrema destra tra crisi sanitaria, clima e guerra in Ucraina

10 Aprile 2022 6 min lettura

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Francia, elezioni presidenziali: Macron e l’avanzata dell’estrema destra tra crisi sanitaria, clima e guerra in Ucraina

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di Filippo Ortona

Il 10 aprile si vota in Francia per il primo turno delle elezioni presidenziali (il secondo turno, a cui accedono i due candidati con il maggior numero di voti, si svolgerà il 24 aprile). È di gran lunga l’elezione più importante in Francia, durante la quale il paese elegge il prossimo presidente della Repubblica, che ha un mandato di 5 anni e assumerà la carica il 13 maggio. Il 12 e il 19 giugno si voterà per il parlamento.

Questa elezione arriva in un momento estremamente particolare. Da un lato, il primo mandato Macron è stato scosso da contestazioni sociali senza precedenti - i gilet gialli, lo sciopero contro la riforma delle pensioni -; dall’altro, la crisi sanitaria e sociale dovuta alla pandemia, l’incombere della crisi climatica e dell’invasione russa impongono grandi sfide ai partiti politici. Il tutto in un contesto segnato dalla continua ascesa dell’estrema destra: insieme, Éric Zemmour e Marine Le Pen accumulerebbero circa un terzo dei voti, secondo gli ultimi sondaggi.

Leggi anche >> Eric Zemmour: “creatura” mediatica di estrema destra, condannato per incitamento all’odio razziale e religioso e ora candidato alle presidenziali francesi 2022

Ad aumentare l’importanza del voto di domenica, è il fatto che, a parte le europee del 2024, non ci saranno altri scrutini per almeno 4 anni. Bisognerà attendere il 2026 per le elezioni municipali, il 2027 per le regionali; fino ad allora, saranno già passati 5 anni e sarà il tempo di una nuova elezione presidenziale. "È la prima volta dal 1969 che una presidenziale è seguita da un calendario elettorale così arido", scrive l’Opinion, un giornale liberale.

Cosa dicono i sondaggi

A lungo i sondaggi hanno dato per favorito il presidente uscente, Emmanuel Macron, ma negli ultimi giorni si è prefigurato un testa a testa con Marine Le Pen, del Rassemblement National (ex-Front National). La candidata di estrema destra è data tra il 20 e il 25% dei voti, mentre Macron tra il 24-29%, e la forchetta tra i due è sembrata in continua riduzione in questi giorni. Segue il candidato della sinistra, Jean-Luc Mélenchon, della France Insoumise, che viene dato attorno al 17-18%, anche lui in ascesa negli ultimi giorni prima del voto.

Il panorama sembra in parte simile a quello di cinque anni fa, quando Macron, a sorpresa divenuto il candidato del "centro", arrivò in testa al primo turno seguito a poca distanza da Marine Le Pen, François Fillon (centro-destra) e Mélenchon. Nel secondo turno del 2017, Macron ottenne poi il 66% dei suffragi.

Un secondo turno in bilico

A questa apparente somiglianza si associa, tuttavia, anche la più grande differenza rispetto al voto di cinque anni fa. All’epoca Marine Le Pen venne sconfitta nettamente da Macron nel secondo turno, mentre oggi tutto appare più complicato. Sebbene Macron rimanga favorito, lo scarto tra i due in un eventuale secondo turno si sta assottigliando progressivamente: solo 51,5% per Macron contro 48,5% per Le Pen, appena tre punti, secondo un sondaggio Harris Interactive pubblicato dal settimanale Challenges.

"È la prima volta dall’inizio del nostro barometro che i due finalisti del 2017 sono così vicini, mentre il duello oscillava tra 53-47% e 58-42% nel mese di marzo", scrive Challenges. "In un mese il presidente della Repubblica ha perso 6,5 punti nell’ipotesi di voto al secondo turno qualora dovesse affrontare Marine Le Pen".

L’estrema destra non è mai stata così vicina alla vittoria come in questa elezione. Un dato che certifica almeno in parte la relativa importanza del conflitto ucraino sulla campagna elettorale in corso. In effetti, il Rassemblement National ha numerosi legami col potere russo, e la stessa Le Pen ha sostenuto in passato Vladimir Putin. Il suo partito, d’altronde, ha tuttora un debito milionario con le banche russe. Niente di tutto ciò sembra aver scalfito Marine Le Pen, almeno da un punto di vista elettorale.

La scomparsa dei partiti tradizionali

Fino al 2017, la politica francese era stata, per decenni, incentrata attorno a due poli "moderati": il centro-destra, che oggi è rappresentato dal partito Les Républicains (LR), e il centro-sinistra il cui centro di gravità era il Partito socialista. Ora, non solo entrambi i partiti saranno quasi certamente eliminati al primo turno, per la seconda elezione di fila, ma le due donne che li rappresentano sembrano condannate a dei risultati umilianti: Valérie Pecresse (LR) è data attorno al 9%, alla pari con Zemmour; Anne Hidalgo (PS) è addirittura ferma a un disastroso 2%.

Gli apparati dei due partiti sono ormai passati con armi e bagagli all’interno del partito di Macron, La République en marche. Otto ministri del governo attuale vengono dal Partito socialista e undici dal centrodestra (più una manciata di figure provenienti dalla società civile).

Alcune figure prominenti del centro-destra e del centro-sinistra hanno già annunciato il loro voto per Macron, tra cui Manuel Valls, ex-primo ministro del presidente socialista François Hollande, Jean-Pierre Chevènement, ex-ministro di Fraçois Mitterrand, o ancora Jean-Pierre Raffarin, ex-primo ministro di Jacques Chirac, Éric Woerth, ministro sotto Sarkozy, Christian Estrosi, sindaco conservatore di Nizza. L’ex-presidente Nicolas Sarkozy, pur non essendosi ancora espresso in merito, ha rifiutato di sostenere la candidata del suo partito, Valérie Pecresse, e, secondo Le Monde, si appresta a sostenere Macron.

D’altro canto, la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon si è ormai affermata come forza egemone a sinistra, compresa quella ecologista (il candidato "verde", Yannick Jadot, è fermo al 4,5%), grazie a un programma radicale sull’economia, sull’ecologia e sul femminismo; mentre a destra, l’avanzata di Marine Le Pen e di Éric Zemmour ha marginalizzato la destra "classica".

L’avanzata dell’estrema destra

Se da un certo punto di vista tutto sembra molto simile al 2017, da un altro l’aspetto senza dubbio più importante (e inquietante) è l’avanzata dell’estrema destra. Éric Zemmour, condannato più volte per incitamento all’odio razziale e religioso, accusato di aggressione sessuale, sebbene non sia riuscito nel sorpasso di Marine Le Pen, è dato intorno al 10%, un risultato comunque impensabile solo qualche anno fa.

Assieme a Marine Le Pen, la destra nazionalista e xenofoba viaggia al di sopra del 30% dei suffragi, più di qualunque altra famiglia politica. Ed è anche l’unica il cui consenso sembra aumentare nel corso degli anni.

I programmi

La guerra in Ucraina e il Covid sembrano lontani dalle preoccupazioni dei partiti. La discussione mediatica attorno ai programmi elettorali è incentrata piuttosto attorno alla riforma delle pensioni, ai trattati europei, all’economia interna e all’ecologia.

Il programma di Macron è, se possibile, un’estremizzazione della sua politica liberale. Nonostante lo sciopero contro la riforma delle pensioni del 2018-9, la misura faro del candidato uscente è l’aumento dell’età pensionabile a 65 anni. Seguono la riduzione delle tasse di successione, la restrizione delle condizioni per l’accesso a una serie di sussidi per gli inoccupati, la riforma (in senso liberale) del welfare, l’alleggerimento di una serie di tasse per le imprese.

Marine Le Pen, dal canto suo, ha incentrato la sua comunicazione elettorale sul carovita, criticando il la presidenza Macron. In realtà, nonostante le frasi a effetto, il programma del Rassemblement National è «chiaramente ancorato al neoliberismo», come scrive Mediapart, e ha abbandonato l’idea della "destra sociale" che ne aveva segnato i successi passati. Inoltre, il discorso frontista resta "fondamentalmente di estrema destra", secondo Le Monde, che sottolinea i respingimenti massicci di migranti, la repressione dell’Islam, una laicità aggressiva, la restrizione delle condizioni per l’aborto e una riforma costituzionale autoritaria come parti fondanti del progetto Le Pen.

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La France Insoumise (LFI) di Jean-Luc Mélenchon, che aveva sfiorato l’accesso al secondo turno nel 2017, arrivando poi però quarto a ridosso degli altri candidati, è riuscita a diventare la formazione egemone a sinistra. La LFI ha un programma radicale, in particolare sui temi che hanno scosso la società in questi ultimi anni: la ridistribuzione della ricchezza, la violenza di genere, l’ecologia. Mélenchon ha ottenuto il sostegno di associazioni come Greenpeace (che ha giudicato il programma della LFI il migliore, assieme a quello dei verdi), e di associazioni femministe. LFI rivendica una rottura con le politiche neoliberali, proponendo misure come l’aumento a 1400 euro del salario minimo, l’abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni, un miliardo di euro per combattere le violenze di genere; oltre alla riforma costituzionale per ridurre sensibilmente la verticalità del presidenzialismo francese.

Sul clima, Mélenchon propone una visione che ricorda il Green New Deal di Bernie Sanders: una transizione ecologia e sociale guidata dallo Stato e in più l’uscita dal nucleare. Al contrario degli altri due candidati, che propongono entrambi la costruzione di nuove centrali nucleari, oltre allo sviluppo delle rinnovabili.

Immagine in anteprima via dissentmagazine.org

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