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La scommessa di Macron

11 Giugno 2024 10 min lettura

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La scommessa di Macron

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Qualche minuto dopo i primi exit poll svolti per le elezioni europee, il Presidente francese Emmanuel Macron ha diretto un messaggio alla nazione, comunicando la sua decisione di sciogliere l’Assemblea Nazionale. La decisione, come ha spiegato Macron, deriva dal risultato ottenuto dal Rassemblement National (RN), il partito oggi guidato da Jordan Bardella, ma legato al suo volto più noto: Marine Le Pen, capogruppo proprio all’Assemblea Nazionale. Alle elezioni infatti il RN ha ottenuto oltre il 30% dei voti, doppiando le liste che sostenevano il Presidente della Repubblica, tallonato tra l’altro dall’alleanza PS-PP di centrosinistra. 

Questo riporta quindi la Francia alle elezioni legislative - non alle presidenziali, è bene sottolinearlo - dopo appena due anni e qualche mese dalle precedenti. Il primo turno si svolgerà già a fine giugno, il 30, mentre il secondo turno avverrà il 7 di luglio. In Francia, infatti, la legge elettorale è un maggioritario a doppio turno: se nessuno dei candidati in una determinata circoscrizione riesce ad arrivare al 50% più uno, i primi due per voti andranno al ballottaggio - a voler essere precisi tutti i candidati che hanno preso più del 12,5%. 

La mossa di Macron può apparire alquanto azzardata. Il Presidente della Repubblica ha infatti la facoltà di sciogliere l’Assemblea una volta durante il suo mandato, ma questo non ha sempre giovato al Presidente in carica. 

Andò bene due volte a Mitterand, che sciolse l'Assemblea a maggioranza conservatrice dopo le sue due elezioni. Al tempo il mandato presidenziale durava sette anni, mentre quello dell’assemblea era di cinque, non garantendo quindi una maggioranza presidenziale alle legislative, spesso scontata dopo la riforma che ha accorciato il mandato presidenziale a cinque anni. Non andò allo stesso modo a Jacques Chirac che la sciolse nel 1997. Le elezioni premiarono però il Partito Socialista. Chirac si ritrovò quindi a dover gestire una coabitazione con il primo ministro socialista Lionel Jospin. Fu il suo governo a ridurre il mandato presidenziale da sette a cinque anni, per garantire una maggior governabilità: le elezioni legislative si sarebbero svolte qualche mese dopo quelle presidenziali, dando luogo a quello che prende il nome di Coattail Effect, per cui i voti a un presidente garantiscono voti anche ai candidati che lo supportano nelle legislative. Riguardo a quell’evento, Patrick Devedjian, ex membro dell’assemblea legislativa per il partito di Chirac, dichiarò:“Ci trovavamo in una casa con una fuga di gas e Chirac decise di accendere un fiammifero per vederci meglio”. 

Quella di Macron sembra quindi una scommessa, visti i precedenti. Ma le circostanze non possono che confermare che dietro ci sia una precisa strategia: nessun presidente convocherebbe elezioni pochi minuti dopo una debacle elettorale senza avere un piano.

Che cosa potrebbe succedere ora?

Ci sono almeno due risultati che rappresenterebbero un’ottima notizia per il Presidente Emmanuel Macron.

Paradossalmente, il primo passa proprio per una vittoria del Rassemblement National. L’agenzia sondaggistica Toluna-Harris Interactive prevede una netta maggioranza relativa del partito guidato da Bardella, che non arriverebbe però alla maggioranza assoluta dei seggi. I partiti che sostengono il Presidente Macron e l’attuale Primo Ministro, Gabriel Attal, vedrebbero una netta contrazione, passando da 249 seggi a una forbice che va da 155 a 125. 

Lo scenario più probabile, quindi, sarebbe una maggioranza di destra, formata dal Rassemblement National e dal partito di destra gollista Les Républicains , erede dell’UMP che fu di Chirac e Sarkozy. Alle presidenziali del 2022, il partito aveva candidato Valérie Pécresse, autodefinitasi come “un terzo Thatcher due terzi Merkel”, esponente quindi di una destra più orientata sui temi economici con una linea liberista. La sua candidatura non era stata apprezzata dai francesi, tanto che il partito aveva raccolto solamente il 4,79% alle presidenziali. Ciò aveva portato a una crisi finanziaria del partito che, non avendo superato la soglia per il rimborso elettorale pubblico ai partiti che arrivano almeno al 5%, si è ritrovato in una situazione economica disastrosa

A guidare il partito è subentrato Éric Ciotti, che lo ha spostato su posizioni di destra più radicale. Non a caso, proprio in queste ore, Ciotti ha dichiarato che il suo partito è disposto a un’alleanza con il RN all’interno dell’assemblea legislativa. Queste dichiarazioni non sono però condivise dall’ala più moderata del partito. Il Capogruppo all’Assemblea Legislativa, Olivier Marleix, ha espresso il suo disappunto per le dichiarazioni di Ciotti. A lui si sono uniti altri esponenti del partito, che ora chiedono le dimissioni di Ciotti. 

Se comunque questi risultati dovessero concretizzarsi, il Presidente della Repubblica sarebbe costretto a nominare un primo ministro di estrema destra, verosimilmente Jordan Bardella. E questo potrebbe essere lo scenario più favorevole a Macron e ai partiti che lo sostengono. La coabitazione, infatti, non giova particolarmente ai partiti di governo. L’esempio più eclatante fu proprio quello di Lionel Jospin che, dopo aver ricoperto il ruolo di Primo Ministro in coabitazione con Jacques Chirac, si vide escluso dal ballottaggio per le presidenziali. A scontrarsi furono invece proprio il candidato gollista Jacques Chirac e il controverso leader del Front National, Jean Marie Le Pen, con un risultato schiacciante per Chirac al secondo turno.

Una coabitazione potrebbe portare a un logoramento della destra del RN di Marine Le Pen. Al contrario, il candidato macronista del 2027 - sia esso Attal o l’ex primo ministro Edouard Philippe - potrebbe svolgere la sua campagna elettorale dall’opposizione, una situazione ben più allettante dal punto di vista elettorale. Questa analisi è condivisa dall’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, secondo il quale la mossa di Macron sarebbe un male necessario di due anni e mezzo per evitare una vittoria schiacciante alle presidenziali del RN nel 2027. 

Un secondo risultato, meno positivo e meno probabile, è quello di una coalizione più ampia che si formerebbe poi in parlamento. A giocare un ruolo, in questo caso, ci sarebbe proprio il sistema elettorale francese. La presenza del doppio turno tende infatti a favorire, tendenzialmente, candidati più moderati, isolando i candidati di destra più radicale. 

Già oggi, secondo i sondaggi, vi sarebbero degli elettori pronti a votare al primo turno in maniera differente rispetto alle Europee. In particolare, il 10% degli elettori de Les Républicains sarebbe disposto a votare per un candidato o una candidata di Ensemble, la lista che sostiene il presidente Macron, così come il 6% di chi ha votato per l’alleanza PS/PP e il 12% degli elettori verdi. A sorprendere di più ci sono gli elettori di Reconquete, il partito di destra radicale guidato da Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen: l’11% è intenzionato a votare per i partiti che sostengono il Presidente Macron. 

Se i partiti che sostengono Macron riuscissero a mantenere la maggioranza relativa dei seggi, potrebbero quindi provare a formare un fronte unico con le frange più moderate della destra e della sinistra francese, per evitare un parlamento disfunzionale come quello emerso alle ultime legislative. 

Qualora però non dovesse formarsi una maggioranza di questo tipo, si rischiano altri anni di paralisi. Nel corso di questi due anni, infatti, i governi che si sono succeduti hanno fatto ampio ricorso all’articolo 49.3 della Costituzione Francese. Questo articolo permette al governo di far passare un provvedimento senza una votazione formale in aula. Per fare in modo che il provvedimento non passi, le opposizioni sono tenute a presentare una mozione di sfiducia entro ventiquattro ore. Qualora la mozione di sfiducia dovesse passare, il provvedimento viene annullato e il governo cade, in caso il provvedimento diventa legge e il governo resta in carica. Il governo di Elizabeth Borne, ex Primo Ministro, si era avvalso di questo articolo durante il dibattito sulla riforma pensioni, scatenando violente proteste di piazza. 

Un eventuale fronte repubblicano per contrastare la destra dipenderà anche dalle scelte della sinistra francese. 

La sinistra francese ci riprova?

Dopo le elezioni presidenziali del 2022, quando il candidato de La France Insoumise (LFI) Jean-Luc Mélenchon arrivò a un passo dal ballottaggio, le forze di sinistra fecero blocco comune con la Nouvelle Union Populaire Écologique et Sociale (NUPES). Lo scopo era un terzo round delle Presidenziali, con lo scopo dichiarato di vincere il maggior numero di voti e costringere il Presidente Emmanuel Macron a nominare come primo ministro proprio Mélenchon. Il risultato però non premio la NUPES che arrivò dietro ai partiti della maggioranza presidenziale, sottraendo però a Macron la maggioranza assoluta - assieme all’ottima performance del RN, che alle legislative non aveva mai brillato.

L’esperienza della NUPES sembrava essere arrivata al capolinea proprio in vista di queste europee. I partiti della NUPES hanno corso separati in tre blocchi: il primo è quello vicino a LFI capitanato da Manon Aubry, quelle verde guidato da Marine Tondelier e infine il blocco del Partito Socialista e di Place Publique guidato da Raphael Glucksmann. Proprio quest’ultimo ha avuto un exploit raggiungendo il 13.83 per cento , mentre il risultato dei primi due blocchi ha lasciato a desiderare. In particolare, Glucksmann si pone come un politico più moderato rispetto a Mélenchon, tra i quali c’è un odio reciproco. Tra i temi su cui divergono, non si può non citare sia la questione dell’integrazione europea sia la guerra in Ucraina. 

Queste tensioni sembravano essersi appianate nei giorni scorsi. Il deputato de LFI François Ruffin aveva già lanciato nei giorni scorsi una petizione per chiedere un nuovo Fronte Popolare unito per fermare l’ascesa delle destre. Il nome non è casuale: fa infatti riferimento al Fronte Popolare che negli anni ‘30 fermò l’avanzata dei movimento autoritari nel paese e portò a riforme importanti dal punto di vista dei diritti sociali. A Ruffin si sono poi aggiunti vari esponenti di sinistra tra cui il leader dei socialisti Faure. Lunedì le forze di sinistra hanno comunicato che avrebbero presentato candidati comuni in tutti i collegi, in quanto il Nuovo Fronte Popolare costituisce una necessità storica per fermare l’avanzata della destra. 

C’è però un dettaglio non di poco conto: Ruffin rappresenta l’avversario interno al LFI di Mélenchon. Quest’ultimo è sì un personaggio carismatico, che dopo aver lasciato il PS ha costruito un partito arrivato terzo alle elezioni presidenziali, ma non manca di caratteristiche controverse. In particolare, le frizioni con gli alleati erano arrivate quando Mélenchon e il suo partito si erano rifiutati di condannare il 7 ottobre e di definire Hamas come un’organizzazione terroristica.

Per questo il Nuovo Fronte Popolare non sarà una riedizione della NUPES. Nel 2022 l’ottimo risultato di Mélenchon alle Presidenziali aveva fatto di lui il leader de facto della coalizione. Questa volta le cose, probabilmente, andranno in modo diverso. Poiché Mélenchon è considerato un personaggio divisivo, per la guida del Nuovo Fronte Popolare si fa il nome di Laurent Berger, ex segretario generale della Confédération Française Démocratique du Travail (CFDT), il secondo sindacato francese per numero di iscritte e iscritti. A mettersi di traverso però è lo stesso Raphael Glucksmann, leader di Place Publique. Il suo partito ha firmato un testo per proporre un’alleanza delle forze di sinistra, ma come ha spiegato l’entourage di Glucksmann a L’Opinion questo non vuol dire accettare le condizioni de LFI, rinnegando i propri valori europeisti. Se quindi l’intento di unire le sinistra c’è, sui contenuti e sugli accordi pratici le cose sono in alto mare. 

Qualunque sia il futuro, la strategia iniziale di Macron è naufragata

L’importanza del raggruppamento di sinistra - con un candidato meno controverso rispetto a Mélenchon - rappresenta però il fallimento della strategia che fin dal 2017 ha contraddistinto Emmanuel Macron e il macronismo. Come scrivevano Ismael Emelien e David Amiel, entrambi nel team che ha accompagnato Macron sulla soglia dell’Eliseo, nel loro The new progressivism. A grassroots alternative to the populism of our times, il programma macronista si basava su una riproposizione del bipolarismo. Con la crisi dei partiti tradizionali, questo nuovo bipolarismo sarebbe stato tra i populisti - di destra o di sinistra - e i progressisti. 

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Quello che è successo in questi anni dimostra invece il contrario. Cresciuto nell’ala destra del Partito Socialista, Macron aveva dato per scontato i voti moderati del centrosinistra, spostandosi invece su posizioni sempre più di destra per sottrarre terreno sia a Les Republicains sia al Rassemblement National. Questo non è avvenuto soltanto su tematiche civili, come per esempio nel caso della legge sull’immigrazione, ma anche sulle tematiche economiche, in particolare nel mondo del lavoro. Questo spostamento da una parte non ha convinto gli elettori di destra a votare per la maggioranza presidenziale, dall’altra ha lasciato spazio a sinistra. Ora la sinistra si sta riorganizzando e c’è da chiedersi quale sarà il suo impatto dal punto di vista elettorale, in una forma più moderata e meno controversa. Questo soprattutto alla luce delle tensioni sociali che sono emerse nel paese durante questi anni, a partire dalle proteste di piazza per la riforma delle pensioni

La presidenza Macron, almeno dal punto di vista politico, si è dimostrata fallimentare e incapace di imporre il suo progetto. È difficile quindi allearsi con un presidente che appare così debole. Per questo motivo, lo scenario di un fronte unito tra macronisti e moderati degli schieramenti tradizionali appare se non del tutto da escludere quantomeno inverosimile.

Immagine in anteprima: frame video BFMTV via YouTube

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