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Elezioni Francia: la diga repubblicana antifascista che ha ceduto e le responsabilità di Macron

22 Giugno 2022 8 min lettura

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Elezioni Francia: la diga repubblicana antifascista che ha ceduto e le responsabilità di Macron

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Domenica sera si è concluso l’ultimo atto della lunga stagione elettorale francese, iniziata ad aprile con le presidenziali e terminata con il secondo turno delle legislative per la Camera dei deputati. Sono stati due scrutini cruciali con risultati storici e inediti sotto molti punti di vista, che hanno certificato un cambiamento radicale del panorama politico e, tuttavia, caratterizzati entrambi da un’astensione record: 28% al secondo turno delle presidenziali - il più alto dal 1974 - e 53,7% al secondo turno delle legislative. Ricche di significati, le elezioni francese sono state povere di elettori. 

Dal 2002, le elezioni per la Camera seguono di qualche settimana le presidenziali. La riforma venne introdotta dai socialisti con l’obiettivo di dare una maggioranza forte al presidente entrante; ma col rischio, secondo i critici, di sminuire ulteriormente il ruolo del Parlamento in un sistema istituzionale già sbilanciato a favore di un Presidente quasi plenipotenziario. Fino ad ora aveva funzionato: nessun Presidente eletto o rieletto aveva fallito l’obiettivo di una maggioranza assoluta in Parlamento.

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C’è sempre una prima volta e, domenica, la coalizione del presidente fresco di rielezione Emmanuel Macron ha ottenuto “la più piccola maggioranza relativa della V Repubblica”, scrive Le Monde, “un fallimento enorme, [...] e uno scenario da incubo per il presidente”; un vero e proprio “schiaffo” (gifle), ha titolato Libération lunedì.

“Ensemble!”, la coalizione presidenziale, ha ottenuto solamente 246 deputati, perdendo quasi un terzo dei seggi alla Camera rispetto al 2017, fermandosi molto al di qua della soglia dei 289 eletti necessari ad assicurare una maggioranza assoluta. Diversi ministri e altre figure di primo piano della “macronie” sono stati sconfitti in una competizione elettorale che, 5 anni fa, era stata vinta in scioltezza, mentre altri hanno evitato il peggio per il rotto della cuffia, tra le quali la prima ministra Elisabeth Borne, che ha vinto il ballottaggio per poco più di 2000 voti.

Negli ultimi cinque anni, secondo diversi osservatori, Macron ha governato snobbando il Parlamento e i cosiddetti “corpi intermedi”, facendo leva sulla maggioranza schiacciante conquistata nel 2017. Uno stile jupitérien, degno del dio Giove, nel linguaggio giornalistico francese. Ora, tuttavia, l’inquilino dell’Eliseo sarà costretto a cercare dei compromessi. 

“La situazione è inedita. Mai nella storia della V Repubblica l’Assemblea Nazionale aveva conosciuto una tale configurazione”, ha dichiarato la prima ministra Elisabeth Borne domenica sera, a urne chiuse. Dopo anni di verticismo presidenziale, lo scenario della maggioranza relativa è del tutto nuovo per la politica francese, tanto da far dire ai sostenitori del presidente che il paese rischia di essere “ingovernabile”, mentre altri responsabili macronisti hanno agitato lo spettro di una dissoluzione delle Camere, misura estrema che il Presidente può prendere a suo piacimento, ma dalle conseguenze non sempre prevedibili: quando nel 1997 Jacques Chirac sciolse le Camere nella speranza di assicurarsi una maggioranza assoluta, si ritrovò con un parlamento di sinistra e dovette inclinarsi alla “coabitazione” col primo ministro socialista Lionel Jospin (furono gli anni della “gauche plurielle” e delle 35 ore). 

Il clamoroso scacco del governo Macron non è solo una questione di forma, ma di fondo. Il progetto macronista del sorpasso della divisione tra destra e sinistra, uno dei refrain della politica del presidente, ha alla fine portato all’affondamento dei partiti tradizionali e alla costituzione di tre blocchi schierati attorno alla divisione tradizionale tra, appunto, la destra e la sinistra, tanto nel mondo della politica che nella società più in generale. 

Oltre al partito presidenziale di centro-destra e alla destra tradizionale dei Républicains, sono emersi un blocco di sinistra, la Nupes (Nuova unione popolare, ecologista e sociale), l’alleanza delle sinistre francesi capitanata dal leader della France Insoumise (FI) Jean-Luc Mélénchon, e un blocco di estrema destra, il Rassemblement National di Marine Le Pen. 

Il successo elettorale del RN è la grande (e tragica) sorpresa di queste legislative. Da una sparuta pattuglia di 8 parlamentari, il partito di Marine Le Pen è divenuto, nel giro di una notte, il primo partito d’opposizione, con 89 deputati (seguito dalla FI con 79 eletti). Sebbene il RN sia già arrivato per due volte consecutive al secondo turno delle presidenziali (nel 2017 e ad aprile), le elezioni legislative sono lo scrutinio più difficile per l’estrema destra, e il clamoroso sfondamento all’Assemblea nazionale è l’indice di uno smottamento tettonico nella società francese: la fine del “barrage républicain”, quella “diga repubblicana” antifascista che, finora, aveva tenuto ai margini del parlamento l’estrema destra. 

Per capire il funzionamento del “barrage” e il suo significato, è necessario comprendere che le elezioni legislative francesi sono uno scrutinio maggioritario e uninominale a due turni. I candidati che ottengono più del 12,5% dei suffragi accedono al secondo turno, durante il quale è eletto colui o colei che ottiene più voti (a meno che uno dei candidati non ottenga, già dal primo turno, la maggioranza assoluta dei voti, nel qual caso viene eletto immediatamente). Per quanto negli ultimi decenni sia cresciuto il consenso per il RN, quando un suo candidato accedeva al secondo turno, tradizionalmente gli altri partiti invitavano gli elettori a votare per chiunque pur di non far eleggere un rappresentante dell’estrema destra: era questo, in sintesi, il “barrage” antifascista. 

L’imperfetto è ormai d’obbligo, giacché la diga - già scricchiolante negli ultimi anni - ha ormai completamente ceduto. Se le responsabilità di un fatto così epocale sono complesse e si estendono nel tempo, è impossibile ignorare il comportamento della compagine presidenziale in queste settimane, che ha ampiamente disertato la lotta all’estrema destra. Secondo un’inchiesta di Le Monde, Su 61 casi in cui, al secondo turno, si era configurato un duello tra un candidato Nupes e un candidato dell’estrema destra, solo “16 [candidati macronisti] hanno chiaramente fatto appello a votare per il loro ex-rivale di sinistra, e altri 16 a non votare il RN”, mentre la maggioranza ha rifiutato di dare alcuna consegna ai propri elettori. Al contrario, sempre secondo Le Monde, su 108 duelli Ensemble-RN, quasi tutti i candidati della Nupes (86 su, appunto, 108) hanno invitato a contrastare l’estrema destra.

Al di là delle consegne dei partiti, è lo stesso corpo elettorale ad aver disertato l’idea di un fronte unito contro l’ascesa del lepenismo. “I candidati di estrema destra non hanno suscitato la paura dell’elettorato,” ha detto Mathieu Gallard, dell’istituto di sondaggi Ipsos a FranceInfo. “Quando un candidato RN era in ballottaggio con uno della Nupes, gli elettori di Macron non hanno votato per il candidato di sinistra; e quando un candidato RN aveva di fronte uno di Ensemble, gli elettori della Nupes non si sono recati alle urne. Il fronte repubblicano non c’è più”.

Un dato preoccupante per la società, ma incoraggiante per l’estrema destra che “può ringraziare Emmanuel Macron”, scrive Ellen Salvi su Mediapart. Il successo del RN “è il risultato di cinque anni in cui il presidente ha giocato col fuoco per instaurare a tutti i costi un duello con Marine Le Pen,” facendo proprie le parole d’ordine dell’estrema destra, “passando il tempo ad agitare lo spettro dell’islamo-gauchisme” e prendendone in prestito le ossessioni identitarie e xenofobe. “Il confusionismo e la disonestà intellettuale del presidente della Repubblica e dei suoi sostenitori hanno fatto da passerella per le idee razziste che pretendevano combattere. È la loro responsabilità. E la nostra catastrofe”.

Una catastrofe che ha regalato all’estremismo di destra la più importante delegazione parlamentare nella sua storia. Un successo che potrebbe aprire le porte dei palazzi del potere a Marine Le Pen, giacché il primo partito di opposizione può accedere a una serie di cariche importanti, come la presidenza della commissione finanze della Camera, o la vicepresidenza del parlamento. La stessa Le Pen, d’altronde, ha già annunciato che lascerà la presidenza del partito per assumere quella del gruppo parlamentare del RN.

Il crollo del fronte repubblicano ha rubato la scena all’altro grande sconvolgimento di questa stagione elettorale, cioè la creazione e il successo della Nupes, l’inedita alleanza di socialisti, ecologisti, comunisti e insoumis attorno alla figura di Jean-Luc Mélénchon. Eliminato al primo turno delle presidenziali, l’ex-socialista aveva proposto, all’indomani della rielezione di Macron, di creare una coalizione tra tutte le forze della sinistra francese attorno a un programma comune per proporre candidature uniche. Una mossa inaspettata e coronata dal successo elettorale, malgrado le rimostranze della vecchia guardia socialista (in particolare dell’ex-presidente François Hollande): la sinistra francese ha eletto 142 deputati, più una dozzina di parlamentari d’oltremare etichettati a sinistra, rispetto alla sessantina del 2017. 

Sebbene lontana dalla maggioranza assoluta prospettata in campagna elettorale, col miraggio d’imporre una coabitazione a Macron, la Nupes è riuscita a mettere in crisi la compagine presidenziale, innanzitutto negandogli la maggioranza assoluta, poi battendo una serie di figure di primo piano della macronie, tra i quali l’ex-ministro degli Interni Christophe Castaner, la ministra dell’ecologia Amélie de Montchalin, il presidente della Camera Richard Ferrand, o la ministra dello sport Roxana Maracineanu, battuta da Rachel Keke, donna delle pulizie e sindacalista, figura delle lotte dei lavoratori “invisibili” nella capitale.

L’avanzata dell’estrema destra, tuttavia, ha eclissato il successo della sinistra unita attorno a un programma radicale. La Nupes rischia di essere emarginata mediaticamente e politicamente, persino da quei pochi privilegi garantiti all’opposizione parlamentare. Il governo sarebbe “pronto a dare la commissione delle finanze al RN”, ha detto Mélénchon, che ha proposto la costituzione di un gruppo unico della Nupes in Parlamento, al contrario di quanto era previsto dall’accordo pre-elettorale, secondo il quale ogni partito avrebbe avuto il suo gruppo, per poi coordinarsi in un inter-gruppo dell’alleanza. Davanti all’onda nera, il leader della FI vorrebbe cementificare la coalizione, “in modo che, senza alcuna ambiguità, sia chiaro e stabilito chi guida l’opposizione [a Macron]”. Una proposta per ora rigettata dagli altri partiti, ma la discussione sul futuro della Nupes e delle sue forme organizzative è destinata a tenere banco a sinistra nei prossimi mesi. 

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Intanto, Emmanuel Macron continua a passeggiare tranquillamente sulle rovine del fronte repubblicano, lanciando i primi, timidi corteggiamenti all’indirizzo di Marine Le Pen. “Possiamo avanzare assieme” su alcuni testi, ha detto domenica sera il ministro della Giustizia Eric Dupond-Moretti; “quando avremo bisogno di una maggioranza, andremo a cercare anche i voti” del RN, ha detto la deputata macronista Céline Calvez; per non parlare del Ministro dell’agricoltura ed ex-ministro per i rapporti col parlamento Marc Fesneau, che ha aperto alla possibilità di consegnare la presidenza della commissione finanze al RN. 

Parole impensabili anche solo qualche mese fa, quando il fronte repubblicano era ancora uno dei costituenti di base della politica francese, o quando lo stesso Macron affermava di essere lui la vera “diga” contro l’avanzata dell’estrema destra, facendo appello agli elettori di sinistra per battere Marine Le Pen al secondo turno delle presidenziali. O quando, nel suo libro Révolution (2016), scriveva che era proprio per combattere l’ascesa del RN che aveva creato il suo partito, all’epoca En Marche: “se non ci svegliamo, nel giro di cinque o dieci anni, il Fronte Nazionale sarà al potere”. Al termine dei primi cinque anni del suo mandato, Macron sembra perfettamente in grado di raggiungere almeno questo obiettivo.

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