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La TV polarizza più di Internet?

23 Luglio 2022 9 min lettura

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La TV polarizza più di Internet?

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Il fenomeno della disinformazione ha catturato da anni l’attenzione del pubblico e anche degli accademici, ed è generalmente collegato alle “camere d’eco” (echo chambers) e alle “bolle filtro” (filter bubble). Le echo chambers, cioè una forma di isolamento delle persone che si ritrovano a discutere quasi unicamente con persone con le medesime idee, e le filter bubble, cioè il filtraggio dei contenuti che fluiscono sul web da parte degli algoritmi utilizzati dalle grandi piattaforme, sono tutti fenomeni che, nel sentire comune, porterebbero alla segregazione di parte (partigiana, faziosa) delle persone.

Si tratta del classico pregiudizio di conferma in base al quale le persone tendono a ricercare informazioni conformi alla propria visione del mondo, e quindi in grado di confermare le proprie idee. Infatti, tutto ciò che è nuovo implica la necessità di mettere in discussione le proprie credenze e conoscenze e quindi significa dover abbandonare schemi mentali consolidati. L’essere umano ha, invece, la tendenza a percorrere strade già note piuttosto che dover fare lo sforzo di cambiare le proprie idee. Sempre secondo il comune sentire, e anche alcuni studi accademici, tali fenomeni sarebbero generalmente ricollegati all’ambiente digitale, in particolare i social media, quasi a sostenere (e in effetti delle volte è proprio quello che si sostiene) che siano fenomeni propri (nel senso di nati con) dell’ambiente digitale.

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La segregazione partigiana del pubblico sarebbe quindi principalmente una conseguenza di caratteristiche proprie e tipiche dell’online e, portando ad una polarizzazione politica (cioè ad un progressivo posizionamento più estremo), finirebbe addirittura per porre in pericolo la democrazia al punto da rendere necessario un intervento statale per risolvere il problema.

Vi sono relativamente pochi studi che hanno approfondito tali fenomeni, e sono praticamente tutti concentrati sull’ambiente digitale. Studi della fruizione delle notizie tramite i canali televisivi o media differenti da Internet, invece, praticamente non esistono. Fino ad oggi. Uno di questi dal titolo Quantifying partisan news diets in Web and TV audiences (autori: Daniel Muise, Homa Hosseinmardi, Baird Howland, Markus Mobius, David Rothschild, Duncan J. Watts) è stato pubblicato di recente e mostra delle conclusioni molto interessanti. Lo studio è focalizzato sul pubblico americano.

Parlando in generale, contrariamente alle aspettative, quelle spesso diffuse da stampa e televisione, probabilmente anche per demonizzare il media Internet (che di fatto è un diretto concorrente dei media tradizionali per il mercato della pubblicità), numerose indagini empiriche non hanno trovato che prove limitate sull’esistenza di camere d’eco e bolle filtro. In generale quello che si è scoperto è che la segregazione partigiana del pubblico agisce su un sottoinsieme molto piccolo della popolazione, da cui evidentemente gli effetti sulla società (e la democrazia) nel suo insieme sono estremamente limitati. Si tratta di risultati ormai consolidati, anche se raramente portati all’attenzione del pubblico, laddove i media tradizionali continuano più o meno imperterriti a diffondere il “mito” delle camere d’eco e bolle filtro come fenomeni inerenti all’ambiente digitale capaci di modificare nel profondo la nostra società.

Da questo quadro nasce lo studio sopra indicato, come necessità di allargare l’ambito dell’analisi ad altri media, in particolare la televisione, al fine di comparare i fenomeni delle camere d’eco e delle bolle filtro tra i vari media. Cioè, in ultima analisi, per stabilire se polarizza più Internet o la televisione.

Ovviamente ci sono delle chiare differenze tra televisione e Internet. Se il consumo di notizie online è filtrato e quindi guidato dagli algoritmi (a questo proposito proprio in questi giorni Facebook introduce Feeds, una scheda ordinata esclusivamente in base ad un criterio temporale), questo non avviene per il consumo di notizie in televisione. Ma in Tv il consumo è determinato dalle preferenze dello spettatore, per cui la selezione del canale, complice l’inerzia, può portare ad una segregazione dello spettatore esposto a contenuti che soffrono di pregiudizi (biased).

I risultati di questo studio sul consumo delle notizie sono i seguenti:

  • La Tv determina una segregazione partigiana del pubblico quattro volte più che Internet (17% contro 4%);
  • I consumatori di notizie televisive sono più propensi a mantenere nel tempo la loro dieta di parte rispetto all’online;
  • La dieta di notizie dei telespettatori è più concentrata su fonti privilegiate, mentre online gli utenti tendono a consumare da una maggiore varietà di fonti;
  • Paradossalmente, anche se in generale il pubblico delle notizie (telegiornali) si riduce, il pubblico che consuma notizie da fonti televisive partigiane tende ad aumentare.

Un aspetto essenziale che emerge da questo studio riguarda la “quantità” del pubblico che consuma notizie di parte, e che in sostanza è una minoranza (Andrew Guess, Benjamin Lyons, Brendan Nyhan, Jason Reifler, Avoiding the echo chamber about echo chambers: Why selective exposure to like-minded political news is less prevalent than you think), anche se il pubblico televisivo che consuma notizie di parte è decisamente più vasto e focalizzato rispetto a quello online. Ma le dimensioni del pubblico che consuma notizie di parte anche se può sembrare ampio (17% per la televisione, 4% per l’online) non è così grande quanto sembra credere l’opinione pubblica (o comunque i media tradizionali raccontano). Anche se un ragionamento sul punto si rende indispensabile, se il 17% non è una fetta ampia del pubblico, nell’ambito del contesto politico, e quindi di eventuali elezioni, il 17% non è poco. Infatti, circa il 16% del voti per le elezioni presidenziali del 2020 verrebbe dai consumatori di notizie televisive partigiane.

Dallo studio emerge ulteriormente che la segregazione partigiana è più evidente tra gli anziani del pubblico televisivo, 5 volte di più per gli adulti con più di 55 anni. Secondo gli autori potrebbe dipendere dal maggior interesse politico e impegno tra gli americani più avanti con gli anni. Inoltre gli americani bianchi risultano essere più partigiani, laddove la differenza razziale è più estrema nel pubblico di destra. Infine, con riferimento all’istruzione, la maggior parte di notizie di parte di sinistra sono consumate da un pubblico laureato.

Con riferimento ai tempi di segregazione partigiana, questa risulta di breve durata. Il pubblico di sinistra è più dinamico, c’è solo il 20,6% di possibilità che la sua segregazione permanga anche il mese successivo, l’1,9% dopo 6 mesi. Il pubblico di destra ha tre volte di più la probabilità di rimanere segregato dopo 1 mese (29,9%). Anche in questo caso emerge che la segregazione partigiana è molto più persistente tra il pubblico televisivo rispetto a quello online.

In conclusione, la segregazione di parte nella dieta delle notizie è decisamente più marcata tra il pubblico televisivo rispetto a quello online, fenomeno spiegabile anche in considerazione che online c’è una quantità di fonti di notizie molto più vasta (E. Dubois, G. Blank, The echo chamber is overstated: The moderating effect of political interest and diverse media), laddove la relativa scarsità di scelte disponibili in Tv incoraggia un consumo più concentrato. Inoltre la televisione, favorisce l’accettazione passiva di un’informazione in maniera molto più forte rispetto alla rete Internet, laddove quest’ultima richiede necessariamente una interazione e quindi un comportamento attivo che si concilia con maggiore difficoltà con una accettazione acritica dei contenuti. Ovviamente tale interattività è minore laddove la selezione è veicolata da algoritmi di raccomandazione, ma anche lì l’utente ha un certo potere di influenzare l’algoritmo, e comunque l’algoritmo non raccomanda sempre le stesse fonti (come fosse sempre lo stesso telegiornale).

Tenendo sempre presente le limitazioni di questo studio, tutte chiarite nel testo, è evidente che se da un lato si sta consolidando sempre di più la letteratura che spiega come l’effetto “camere dell’eco” e “bolle di filtro” è decisamente più limitato di quello che si crede, dall’altro uno dei primi (se non il primo) studio che si focalizza sulla televisione conclude nel senso che tali fenomeni sono addirittura più evidenti tra il pubblico televisivo rispetto a quello online. L’impressione, quindi, è che finora i media tradizionali ci abbiano raccontato qualcosa che non esiste o che comunque esiste in maniera decisamente meno rilevante per la nostra società, e che comunque non è un fenomeno che riguarda solo Internet. Questo aspetto evidenzia la necessità che l’attenzione sulle bolle filtro debba essere indirizzata verso la televisione.

Questa discussione emerge come assolutamente indispensabile per il futuro della nostra società, perché alla base di tali studi sta una domanda essenziale: l’espansione della scelte dei media è positiva o no per la democrazia? Credere che Internet polarizzi al punto da incidere sulle elezioni portando a votare Trump, comporta una discussione sulla necessità o meno che le nuove tecnologie siano in un certo qual modo limitate e soggette a restrizioni. Ma tali affermazioni, ormai è sempre più evidente, sopravvalutano la prevalenza e la gravità di questi fenomeni che al massimo catturano l’esperienza di una minoranza del pubblico. Per gli scienziati sociali la connessione tra social media e la prevalenza di bolle ideologiche non è chiara né teoricamente né empiricamente. I mezzi di informazione negli ultimi anni sono diventati essi stessi sempre più ideologicamente diversi. Con l’aumento dei canali televisivi si è passati da avere canali ideologicamente simili ad un panorama estremamente diversificato. Ciò ha consentito ai cittadini di aderire a canali (o in genere media) più ideologicamente simili alle proprie aspettative e interessi (Gregory Eady, Jonathan Nagler, Andy Guess, How Many People Live in Political Bubbles on Social Media? Evidence From Linked Survey and Twitter Data). L’adozione di Internet ha esponenzialmente aumentato tale diversità, democratizzando sia la produzione che il consumo di informazioni politiche e sociali. E ciò ha comportato anche maggiori possibilità di consumare informazioni politiche ideologicamente eterogenee.

La diversità di fonti porta anche ad un aumento, non solo della scelta, ma anche dell'esposizione accidentale a informazioni ideologiche eterogenee. Anche se non tutti cercano esplicitamente contenuti eterogenei, il meccanismo di condivisione dei social media porta all’esposizione a notizie non cercate e quindi anche non coerenti con le proprie predilezioni ideologiche. In tal modo la struttura specifica dei social media forma una sorta di argine alla formazione di bolle ideologiche. Laddove è fondamentale ricordarsi che la bolla ideologica è preesistente, connaturata all’essere umano. Ciò deriva dalla tendenza degli individui ad associarsi con i propri simili (McPherson, M., Smith-Lovin, L., & Cook, J. M., Birds of a Feather: Homophily in Social Networks), e dal fatto che le persone si impegnano frequentemente in un'esposizione selettiva, la tendenza a consumare informazioni che si allineano ideologicamente con le proprie convinzioni politiche.

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La diversità delle fonti online sembra avere una ricaduta positiva, perché proprio la varietà delle fonti online, in assenza di scarsità, permette di avere una dieta informativa meno partigiana rispetto a quella che altri media, come la Tv, determinano. Addirittura secondo alcuni potrebbe rivelarsi una sorta di correzione per la segregazione ideologica derivante dal media televisivo (Gregory Eady, Jonathan Nagler, Andy Guess, How Many People Live in Political Bubbles on Social Media? Evidence From Linked Survey and Twitter Data). I social media, infatti, amplificano i cosiddetti “legami deboli” (Granovetter, La forza dei legami deboli e altri saggi), che forniscono l’accesso a persone senza una particolare connessione personale, e nel contempo facilitano il mantenimento di tali legami deboli fornendo un flusso diretto di informazioni tra gli utenti. La facilità di formare, mantenere e quindi ricevere informazioni continue da legami deboli può essere utile per diversificare l'ambiente ideologico perché i legami deboli forniscono ponti a posizioni nei social network che non sono familiari. Barberà (How Social Media Reduces Mass Political Polarization. Evidence from Germany, Spain, and the U.S.) sostiene, infatti, che nel tempo gli utenti di Twitter tendono a seguire account più moderati, con ciò diventando essi stessi più moderati. Inoltre il meccanismo dei retweet da account non seguiti direttamente fornisce un importante percorso per accedere a informazioni da un ambiente più diversificato.
Ovviamente è anche possibile che la televisione possa fungere da correttivo per la segregazione ideologica online.

Quindi in conclusione occorre fare attenzione a non imporre restrizioni all’ambiente digitale che limitino la maggiore diversificazione dell’ambiente digitale rispetto a quello mediatico tradizionale. E ovviamente continuare a studiare gli effetti dei media sul pubblico, non focalizzandosi però solo su Internet, ma allargando anche agli altri media. A questo punto la televisione sembra essere il principale indiziato dei fenomeni della segregazione partigiana dei cittadini.

L’importante è non ricadere in una echo chamber che vede polarizzazione e echo chambers prevalentemente online, probabilmente in conseguenza dell’effetto lampione, una distorsione osservativa che deriva dalla tendenza umana a semplificare piuttosto che a cercare vie più complicate. In effetti è ovvio che online è molto più facile raccogliere dati sulla dieta informativa dei navigatori piuttosto che quelli relativi al consumo delle notizie da canali televisivi.

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