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L’incredibile storia del complotto contro Soros

31 Gennaio 2019 14 min lettura

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L’incredibile storia del complotto contro Soros

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Pianificatore di una sostituzione etnica su scala globale, il promotore di “falsi attentati” terroristici, finanziatore occulto di organizzazioni, movimenti e manifestazioni di stampo progressista in tutto il mondo. Dal femminismo all’integrazione fino a essere accusato di essere stato complice dell’Olocausto (lui ebreo sopravvissuto alla persecuzione nazista), sono almeno 10 anni che George Soros, il miliardario di origine ungherese, fondatore della ONG Open Society Foundations, viene ritratto come il grande burattinaio che decide le sorti della geopolitica mondiale.

Le teorie del complotto che vedono protagonista l’87enne miliardario sono molto popolari negli ambienti della cosiddetta “informazione alternativa” americana ed europea e hanno cominciato a diffondersi in larghe fasce dell'opinione pubblica. La loro genesi è ormai continuasembra sottostare alle regole di un generatore automatico di bufale.

Leggi anche >> L’ossessione per Soros e la bufala della sostituzione etnica

La storia dell'origine dei complottismi intorno a Soros sembra quasi la trama di un thriller politico essa stessa. La racconta su BuzzFeed il giornalista ed economista svizzero Hannes Grassegger in un articolo dal titolo "L'incredibile storia del complotto contro George Soros".

I protagonisti sono due consulenti politici statunitensi, ebrei come Soros, Arthur Finkelstein e George Birnbaum, consiglieri di importanti leader come Reagan, Nixon, Netanyahu e Orbán, perfettamente consapevoli di quello che stavano facendo nella loro demonizzazione del magnate ungherese e che, anzi, facevano dell'individuazione di un nemico comune e della delegittimazione degli avversari un metodo di costruzione di consenso intorno ai candidati per i quali lavoravano. E, come vedremo, proprio durante la consulenza alla candidatura di Viktor Orbán come premier in Ungheria nel 2010, hanno origine, seguendo la ricostruzione di Grasseger su BuzzFeed, le teorie del complotto su Soros: i due consiglieri politici hanno trasformato Soros in un meme – dipinto in diversi manifesti o in video propagandistici mascherati come annunci di servizio pubblico come il nemico numero uno del popolo ungherese – dando il la alla nascita del potente e veloce meccanismo di generazione automatica di storie cospirazioniste contro il fondatore della Open Society Foundations e, paradossalmente, alla diffusione di una nuova ondata di antisemitismo che molte storie su Soros veicolano.

Birnbaum e Finkelstein, scrive Grasseger, hanno fornito un nuovo modello per gli attacchi politici in un'era caratterizzata da divisioni globali. Hanno elaborato uno schema per far esplodere in modo diverso queste divisioni in contesti e paesi differenti e, così facendo, hanno contribuito a creare la figura del nemico ebreo (George Soros) costantemente utilizzata dall'estrema destra con effetti devastanti.

Chi sono Arthur Finkelstein e George Birnbaum

Ma prima facciamo un passo indietro. Per poter capire questa storia dobbiamo conoscere i due principali protagonisti: Arthur Finkelstein e George Birnbaum.

Arthur Finkelstein, a destra, nel 1983 allo Yale Club di Manhattan con Paul Curran, a sinistra, all'epoca candidato repubblicano come Governatore di New York, e Whitney North Seymour, ex procuratore distrettuale aggiunto del distretto meridionale – via New York Times

Figlio di un tassista, Arthur Finkelstein è stata una delle figure che ha reinventato il modo di fare consulenza politica proponendo uno stile spregiudicato soprattutto nella comunicazione sui media. Ex programmatore informatico, Finkelstein era entrato in contatto con il Partito Repubblicano nei primi anni ‘60 distinguendosi al suo interno per le sue capacità di consulenza elettorale anche attraverso l’utilizzo di sondaggi in grado di captare le opinioni degli elettori.

È in quegli anni che Finkelstein mette a punto quello che è stato definito successivamente il “metodo Finkel”, un vero e proprio metodo di consulenza politica che, visto oggi, sembra quasi una guida per le strategie politiche e comunicative degli attuali partiti di destra. “Molte persone sanno già come voteranno e chi sosterranno e a chi si opporranno. È praticamente impossibile convincerli a cambiare idea, è più semplice demotivare le persone che incentivarle ad andare a votare. Per questo, la via migliore per vincere è demoralizzare i sostenitori avversari”, era la convinzione di Finkelstein. E non è un caso, ricorda Grasseger nel suo articolo, che Trump, nel discorso fatto subito dopo essere stato eletto, abbia ringraziato i neri americani per non essere andati a votare. Segno che la strategia elettorale aveva colto nel segno.

Il “metodo Finkelstein” prevedeva colpire gli avversari sui temi più divisivi e che potevano provocare i danni maggiori, usualmente droga, criminalità e razza, come scrisse in una nota a Nixon nel 1970. Chi attacca per primo vince, era uno dei suoi motti. E ogni campagna elettorale richiede un nemico da demonizzare in modo tale da spingere il più pigro degli elettori ad andare al seggio giusto per votare contro.

Fu con questa tecnica che in Israele Netanyahu riuscì a sovvertire un’elezione considerata persa in partenza sconfiggendo Simon Peres. Al di sotto del 20% nei primi sondaggi, Likud, il partito di Netanyahu, cominciò a tappezzare il paese di manifesti che dicevano che Peres avrebbe diviso Gerusalemme, cosa non vere. Questo slogan fu scandito in Tv, alla radio, sui giornali e alla fine, nel dibattito televisivo conclusivo prima del voto, Peres finì col cadere nella trappola che gli aveva teso Finkelstein: la prima cosa che disse fu cercare di chiarire che non aveva alcuna intenzione di dividere Gerusalemme, proprio l’argomento che il consulente americano voleva che fosse trattato. E così Netanyahu finì con il condurre le redini del dibattito e poi vincere a sorpresa le elezioni.

George Birnbaum in una sua apparizione su Fox News nel 2015 – via Youtube

George Eli Birnbaum è stato uno degli allievi di Finkelstein. Nato a Los Angeles nel 1970, dove la sua famiglia si era trasferita dopo essere riuscita a fuggire dalle persecuzioni naziste (suo nonno era stato ucciso dai nazisti di fronte agli occhi di suo figlio), Birmbaum ha frequentato le scuole ebraiche dovendo fronteggiare spesso offese antisemite: «Prima informati su cosa sta succedendo agli ebrei nel mondo, poi preoccuparti del resto del mondo», era solito dirgli il padre dandogli da leggere il Jerusalem Post.

Birnbaum conosce Finkelstein a Washington negli anni ‘90. Nel 1998 i due iniziano a lavorare insieme in Israele come consulenti dello staff di Netanyahu, ma il connubio si consolida dal 2003 in poi in Europa Orientale e nei Balcani, dove ottengono successi in Romania e Bulgaria fino ad arrivare, con lo zampino di Netanyahu, alla candidatura di Orbán in Ungheria nel 2010. È qui che la coppia di consulenti politici crea il “nemico Soros” dando il via, paradossalmente, a una serie di messaggi antisemiti veicolati dalle storie complottiste sul magnate ungherese. Proprio loro due che sono ebrei.

La campagna elettorale di Orbán e la creazione dei complotti su Soros

Nel 2008, Birnbaum e Finkelstein iniziano a lavorare alla campagna elettorale per la rielezione di Orbán in Ungheria. A metterli in contatto fu proprio Netanyahu.

Il metodo da replicare era sempre lo stesso: individuare dei nemici su cui polarizzare l’opinione pubblica, dettare l’agenda politica e mediatica e mettere in difficoltà gli avversari. Questa volta bisognava combattere contro il capitale straniero e i burocrati europei: la Banca Mondiale, l’Unione europea, il Fondo Monetario Internazionale avevano chiesto misure di austerità nei confronti dell’Ungheria che versava in difficili condizioni economiche. Orbán vinse le elezioni nel 2010 in scioltezza ottenendo la maggioranza dei due terzi.

La vittoria schiacciante del premier ungherese creò però una condizione nella quale Finkelstein e Birnbaum non si erano mai trovati: una forza straripante al governo e la debolezza eccessiva degli oppositori. «Non c’era un nemico politico reale», ricorda Birnbaum a BuzzFeed. «Si trattava di una situazione mai vista in Ungheria e per conservare questo potere bisognava trovare un modo per tenere sempre “alta la tensione” e motivare le persone ad andare a votare».

«Quando il nemico ha un volto è più facile compattare le truppe e la popolazione», prosegue Birnbaum, e in quegli anni Orbán era impegnato a riscrivere la storia della nazione: l’Ungheria – ricorda Grasseger – che aveva collaborato con i nazisti, era rappresentata come una vittima, storicamente minacciata da nemici esterni, prima gli Ottomani, poi il nazismo, infine il comunismo. Ora l’identità del popolo magiaro era messa in pericolo dai musulmani e da forze sovranazionali.

È qui che Arthur Finkelstein ha un’illuminazione. Chi poteva impersonificare meglio di George Soros la figura del grande burattinaio che tira i fili di tutto quello che accade nel mondo? Soros era ungherese, quindi poteva risultare familiare, ma esterno allo stesso tempo, e non solo controllava il “grande capitale” ma lo incarnava.

Ci volle poco a convincere Orbán nonostante, a prima vista, fosse un’operazione senza senso: Soros non era infatti una figura politica, non viveva da anni in Ungheria, era molto anziano ed era conosciuto ovunque come un filantropo che si era opposto ai comunisti prima della caduta della Cortina di Ferro, tra l’Europa filo-atlantica e quella su cui c’era l’influenza dell’Unione Sovietica, aveva fondato a Budapest la Central European University, una delle migliori università dell’Europa orientale (ndr, recentemente costretta dal governo a chiudere e a spostare i propri corsi a Vienna, scatenando le proteste di centinaia di ungheresi anche per la cosiddetta “legge schiavitù” sugli straordinari). Inoltre, Soros aveva finanziato le pubblicazioni di Századvég, una piccola fondazione vicina all’attuale premier ungherese quando era all’opposizione, e Orbán era stato uno dei 15mila beneficiari di una borsa di studio dalla Opens Society Foundations che gli aveva permesso di studiare Filosofia a Oxford.

Ma, spiega Grasseger, i due consulenti politici americani vedevano in Soros il nemico perfetto: per molti di sinistra, il magnate ungherese era un avvoltoio perché nel 1992 aveva guadagnato oltre 1 miliardo di sterline speculando contro la moneta britannica, a destra Soros era inviso perché supportava qualsiasi cosa contro cui si battevano le destre nel mondo, l’uguaglianza, il cambiamento climatico, le questioni migratorie.

La campagna contro Soros partì nel 2013, circa 9 mesi prima delle nuove elezioni, con un articolo su un quotidiano vicino al governo che attaccava le ONG dicendo che erano controllate da Soros. Successivamente, il governo ungherese mise sotto controllo un’organizzazione ambientalista, che aveva ricevuto finanziamenti dalla Norvegia e dalla Svizzera, ritenuta vicina al fondatore di Open Society Foundations. La polizia mise sottosopra la sede dell’organizzazione e sequestrò i computer mentre il governo aprì un’inchiesta che, però, non portò a nulla ma fu sufficiente a diffondere l'idea che Soros sostenesse una rete oscura di organizzazioni non governative.

Nel 2015, quando l’Europa era chiamata a gestire i grandi flussi migratori in gran parte provocati dal conflitto in Siria, in una comunicazione ufficiale sul sito del governo, Orbán disse che la rete di attivisti sostenuti da Soros era diventata involontariamente complice dei trafficanti internazionali di esseri umani e, favorendo l’immigrazione incontrollata, stava indebolendo gli Stati nazionali.

Mese dopo mese gli attacchi si sono fatti più insistenti e continui. Ogni organizzazione sostenuta da Soros è stata definita mercenaria e finanziata da poteri stranieri fino ad arrivare al luglio 2017 quando tutta l’Ungheria è stata tappezzata di manifesti elettorali con la scritta “Non lasciare che sia Soros a ridere per ultimo” e ci sono state manifestazioni in cui lo slogan “Stop Soros” è stato scandito ripetutamente.

Alla fine del 2017 lo Stato ha inviato un questionario a milioni di cittadini che dovevano scegliere se supportare o respingere “il piano di Soros” che consentiva a milioni di africani e mediorientali di entrare in Europa ogni anno. La maggioranza votò contro. Orbán vinse le elezioni del 2018 in modo ancora più schiacciante. La strategia era riuscita.

Soros, spiega Birnbaum, è stato «il nemico perfetto, quello che puoi colpire senza che possa restituirti il colpo». Se avesse reagito, avrebbe confermato che aveva potere e influenza. Ha tentato di contrastare accuse e attacchi citando, ad esempio, il governo ungherese alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma non ha potuto controbattere su un piano politico.

La campagna anti-Soros orchestrata insieme a Finkelstein è diventata replicabile anche altrove colorandosi di contenuti e sfumature diverse a seconda dei contesti nazionali. «Soros era il nemico perfetto. È così ovvio. Era il più semplice dei prodotti, bastava impacchettarlo e metterlo in commercio», afferma Birnbaum.

Ad esempio, negli Stati Uniti c’è stato chi ha sospettato che il magnate ungherese fosse dietro la carovana di migranti proveniente dall’America Centrale e Trump ha dichiarato che le manifestazioni contro il candidato alla Corte Suprema Brett Kavanaugh fossero finanziate dalla Open Society Foundations, in Polonia un membro del parlamento lo ha definito “l’uomo più pericoloso al mondo”, in Italia il ministro dell’Interno Matteo Salvini lo ha accusato di avere un piano segreto per riempire l’Europa di migranti (ndr, il cosiddetto “Piano Kalergi”, che prevederebbe la sostituzione delle “razze europee” attraverso l’accoglienza di milioni di migranti, contribuendo in questo modo a smantellare la cultura europea e a creare un popolo debole e facilmente manipolabile), mentre lo scorso novembre alcuni media (tra cui Libero e il blog del Giornale, Gli Occhi della Guerra) hanno contribuito a diffondere la notizia falsa di presunte carte prepagate finanziate da George Soros e offerte ai migranti attraverso UNHCR (l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), con l'obiettivo di "foraggiare l'invasione".

Finkelstein e Birnbaum sono riusciti a trasformare Soros in un meme creando in altre parole un generatore automatico di storie sul magnate ungherese a portata di tutti online, commenta Grasseger nel suo articolo. E molto spesso i messaggi veicolati da queste storie, che trovano rapida diffusione in Rete, si tingono di tonalità e motivi antisemiti. Persino il figlio di Netanyahu, Yair, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook un meme antisemita nel 2017 (poi rimosso) che mostra Soros e i rettiliani che controllano il mondo.

Per quanto nelle campagne anti-Soros in Ungheria non sia mai stata utilizzata espressamente la parola “ebreo”, i riferimenti antisemiti impliciti sono stati frequenti. Membri della comunità ebraica ungherese hanno cominciato a esprimere il proprio risentimento durante la campagna “Stop Soros” del 2017, duramente condannata dall’ambasciatore israeliano.

Uno dei tanti meme di carattere antisemita su Soros – via El Confidencial

“Può esserci qualcosa di più auto-antisemita, nel senso letterale della parola, di quello che hanno fatto Finkelstein e Birnbaum?”, si chiede su Haaretz Carolina Landsmann. "Due consulenti ebrei hanno usato tutti gli stereotipi sugli ebrei per inventare un complotto antisemita contro Soros sotto l’egida del primo ministro israeliano Netanyahu, che li ha fatti incontrare con Orbán, e hanno contribuito alla crescita dell'antisemitismo in tutto il mondo", conclude la giornalista.

Birnbaum dice di non sentirsi responsabile per l’ondata di antisemitismo che le storie su Soros hanno scatenato, spiegando che quando è stata pianificata la campagna non sapeva che il miliardario ungherese fosse ebreo né gli risultava che Orbán avesse mai offeso gli ebrei. Né si sente nella paradossale condizione di aver contribuito, lui da ebreo, a favorire la propagazione di messaggi discriminatori e offensivi contro Israele e gli ebrei.

«L'antisemitismo è qualcosa di eterno, indelebile. La nostra campagna non ha reso nessuno antisemita che non lo fosse già prima. Lo farei di nuovo», ha commentato Birnbaum, che poi ha aggiunto: «Al di là di tutto, non posso attaccare qualcuno perché è ebreo?».

"Le storie antisemite su Soros non sono nate in Ungheria ma su Fox News"

In un altro articolo, pubblicato pochi giorni dopo quello di Grasseger su BuzzFeed, Robert Mackey scrive, però, su The Intercept che le storie cospirazioniste (e in particolar modo quelle a tinte antisemite) su Soros non sono nate in Ungheria ma sul canale americano di Rupert Murdoch Fox News.

Una vignetta del 2011 su Soros – via The Intercept

Secondo Mackey, Grasseger coglie nel segno quando dice che Filkestein e Birnbaum nelle campagne elettorali in Ungheria hanno trasformato Soros in un meme, creando le condizioni per la proliferazione di contenuti per assemblare storie complottiste sul magnate ungherese, ma la genesi delle teorie del complotto su Soros ha origine almeno sei anni prima, nel 2007, nelle trasmissioni condotte da Bill O’Reilly e Glenn Beck. Tra l’altro, prosegue Mackey, Birnbaum è stato un abituale frequentatore delle trasmissioni di Fox News diversi anni prima che cominciasse a lavorare per Orbán ed è probabile che abbiamo poi adattato in Ungheria quanto già ascoltato quando era ospite sul canale di Murdoch.

Già nell’aprile 2007, O’Really aveva descritto Soros come un oscuro finanziere intenzionato a “imporre un programma di sinistra radicale” con l’obiettivo di “comprare le elezioni presidenziali” statunitensi. Le parole del conduttore erano state poi riprese da uno degli ospiti di quella serata, Monica Crowley, che aveva sostenuto che le donazioni di Soros ai gruppi liberali erano “un modo brillante per aggirare le leggi della campagna elettorale” in gran segreto, grazie alla protezione dei media mainstream, mentre un altro ospite, l’attivista politico di estrema destra, Phil Kent, aveva definito Soros come “il vero diavolo dietro il mondo delle fondazioni di sinistra” che “odia davvero gli Stati Uniti”.

Meno di un anno dopo, in un film di animazione trasmesso sulla televisione iraniana, scrive ancora Mackay, Soros veniva rappresentato come “un magnate ebreo” che teneva segretamente i fili della politica estera americana all’interno della Casa Bianca. Un annuncio del ministero dell’Intelligence iraniano avvertiva gli spettatori che Soros era “la mente del colonialismo ultramoderno” che “usa la sua ricchezza e gli slogan come libertà, democrazia e diritti umani per portare al potere i sostenitori dell’America”. Nel cartone animato, il fondatore di Open Society Foundations complottava insieme alla CIA, John McCain e Gene Sharp, conosciuto per i suoi studi sulla nonviolenza e sulla disobbedienza civile e ritenuto tra i pensatori che hanno influenzato le “rivoluzioni colorate” nell’Europa orientale, per rovesciare il governo iraniano.

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Il personaggio raffigurante George Soros nel cartone animato trasmesso sulla televisione iraniano – via The Intercept

Nel 2008, durante il programma “Saturday Night Live”, in uno sketch satirico Soros veniva descritto in un sottopancia come il “proprietario del Partito Democratico”.

La parodia di George Soros durante "Saturday Night Live" – via The Intercept

Un paio di anni dopo, sempre su Fox, Glenn Beck si prodigò in una serie di accuse nei confronti di Soros che l’editorialista Michelle Goldberg definì “una sinfonia di fischietti per cani antisemiti”. Per Beck Soros era un “burattinaio” che aveva contribuito “a finanziare” le rivoluzioni in Repubblica Ceca, Ucraina e Georgia e “aveva fatto crollare regimi”, come nell’ex Jugoslavia. Le trasmissioni di Beck, spiega Mackay, hanno trovato larga eco e diffusione online contribuendo probabilmente a diffondere le teorie del complotto sul magnate ungherese.

Immagine in anteprima via imgflip.com

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