Post Media Literacy

Più che regolamentare le tecnologie, dovremmo concentrarci sulle sfide che i giovani devono affrontare. Mancano reti di sicurezza sociale

14 Febbraio 2024 8 min lettura

Più che regolamentare le tecnologie, dovremmo concentrarci sulle sfide che i giovani devono affrontare. Mancano reti di sicurezza sociale

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Era l’aprile nel 1954 quando la Commissione Giustizia del Senato degli Stati Uniti condusse due giorni di udienze per dimostrare l’impatto devastante dei fumetti sulla salute dei bambini, in quanto causa di crimini violenti e omosessualità, considerata all’epoca una malattia mentale. A settant'anni di distanza, il 31 gennaio 2024, la Commissione Giustizia ha convocato gli amministratori delegati di Meta (Mark Zuckerberg), Snap (Evan Spiegel), X (Linda Yaccarino), Discord (Jason Citron) e Tik Tok (Shou Zi Chew) con la stessa missione: proteggere i bambini “dallo sfruttamento sessuale” dei social media.

Dal 2017, anno in cui la psicologa statunitense Jean Twenge diede alle stampe il libro iGen, tradotto in italiano l’anno successivo con il titolo Iperconnessi, e scrisse su The Atlantic l’articolo dal titolo Have Smartphone Destroyed A Generation?, c’è stata più di un’audizione nella Commissione Giustizia del Senato statunitense nel tentativo di arrivare a strumenti legislativi di censura dei contenuti online in assenza di prove sostanziate di danni alla salute mentale. Nel 2019 si è aggiunto alla causa un altro psicologo, Jonathan Haidt, per dare il suo contributo nel persuadere una fazione anti-smartphone, anti-internet e poi anti-social media che si è diffusa sempre di più in tutto il mondo sulla base di dati male estrapolati, conclusioni che precedevano l’interpretazione critica dei risultati delle ricerche, il continuo uso disonesto delle correlazioni tra eventi e della loro rappresentazione grafica temporale.

Qualche anno prima, la vecchia Europa aveva iniziato con i famigerati interventi della neuroscienziata inglese Susan Greenfield. Alla Camera dei Lord del parlamento britannico, dove siede, sfruttando l’autorevolezza delle sue ricerche neurofisiologiche, dal 2010 Greenfield ha cominciato a promuovere incontri sui gravi rischi per il cervello dei rapidi cambiamenti apportati dalle tecnologie digitali. All'epoca, i deputati accolsero tiepidamente i suoi allarmi mentre la stampa trattò con notevole scetticismo le sue tesi pressoché confuse. Le veniva contestato che, nell’arrivare a conclusioni affrettate sui presunti danni cerebrali che imputava alle tecnologie digitali, non usava lo stesso rigore delle ricerche che aveva condotto fino ad allora. Nel 2015, con il suo libro Mind Change, Greenfield dichiarò l’intenzione di dar vita a un movimento che “proprio come il cambiamento climatico, non è solo globale, come abbiamo appena visto, ma anche senza precedenti, controverso e multiforme” per avere l’opportunità di “sfruttare le potenti tecnologie” in modo da raggiungere “un risultato positivo e senza precedenti, anche se non ancora specificato”. Insomma, tanto allarme alla base di una missione dichiarata incerta fin dagli inizi.

Difatti, nel corso degli anni non si è creato un movimento unitario avverso alle tecnologie digitali ma l’ansia collettiva alimentata da tali esperti e dai loro seguaci nei diversi paesi ha costituito un aggregante a cui i politici hanno rivolto sempre più attenzione. Nel tempo, anche l’atteggiamento della stampa generalista è cambiato, per seguire quasi soltanto la narrazione più allarmante.

Dispositivi digitali, social media e giovani generazioni: oltre l’ansia collettiva

Nell’ultima audizione di fine gennaio presso il Senato statunitense [ndr, qui la trascrizione], conclusasi con un nulla di fatto come tutti i tentativi precedenti, c’è stato un cambio di registro. I senatori promotori hanno tenuto a rimarcare la pacificazione tra repubblicani e democratici su questo tema, all’inizio e poi durante i vari interventi. Soprattutto, consapevoli che non avrebbero avuto il sostegno dell’industria al progetto di legge denominato Kids Online Safety Act, hanno deciso di trasformare l’audizione in un appello alla paura ovvero di contare su un’elevata attivazione emotiva del pubblico. All’iniziale presentazione di un video di presunte vittime dei social media che raccoglieva brevi storie di ragazzi e ragazze o di genitori, sono seguiti altri interventi ad alto contenuto emotivo anche nelle espressioni verbali e gestuali scelte.

Il capogruppo della maggioranza al Senato, il democratico Dick Durbin, presidente della commissione Giustizia, introducendo gli interventi successivi, ha descritto lo spazio online e dei social media come il luogo dello sfruttamento sessuale, di bullismo, disturbi alimentari, comportamenti suicidari, dipendenza.

“Queste app hanno cambiato il modo in cui viviamo, lavoriamo e giochiamo, ma, come le indagini hanno approfondito, i social media e le app di messaggistica hanno anche fornito ai predatori nuovi e potenti strumenti per sfruttare sessualmente i bambini”, ha affermato Durbin che ha poi aggiunto:

“Discord è stato utilizzato per adescare, rapire e abusare i bambini. Instagram di Meta ha contribuito a collegare e promuovere una rete di pedofili. I messaggi cancellati di Snapchat sono stati cooptati da criminali che estorcono denaro alle giovani vittime. TikTok è diventata una “piattaforma d’elezione” per i predatori per introdursi, coinvolgere e adescare i bambini per abusarne. La prevalenza di materiale pedopornografico su X è cresciuta man mano che l’azienda ha distrutto la fiducia e la sicurezza della sua forza lavoro. Oggi sentiremo gli amministratori delegati di quelle società. Non si tratta solo delle aziende tecnologiche che hanno contribuito a questa crisi, sono anche le responsabili di molti dei pericoli che i nostri figli affrontano online. Le loro scelte progettuali, i loro fallimenti nell’investire adeguatamente nella fiducia e nella sicurezza, la loro costante ricerca di interazioni e profitto rispetto alla sicurezza di base hanno messo a rischio i nostri figli e nipoti”.

In una tensione crescente, i senatori presenti hanno accusato le piattaforme di essere in parte responsabili della morte di bambini e hanno paragonato del tutto infondatamente i social media all'industria del tabacco per i danni causati. Si tratta di un accostamento a scopo sensazionalistico e privo di basi, se si pensa che ogni anno il fumo di tabacco causa circa 6 milioni di morti.

“Non c’è mai stata una discussione seria o ponderata su ciò che effettivamente si potrebbe fare per migliorare le cose per i ragazzi e le ragazze online, o per affrontare la reale crisi di salute mentale che si trovano ad affrontare oggi (di cui spesso si attribuisce la colpa ai social media, nonostante non ci siano reali prove a sostegno di tale affermazione)”, ha scritto Mike Masnick.

Ad ogni modo, la comunicazione enfatica è riuscita perché la frase “avete le mani sporche di sangue” pronunciata dal senatore repubblicano, Lindsey Graham, prima di dare la parola ai rappresentanti dell'industria dei social media è rimbalzata su tutti i media. Ragionandoci un attimo, questa frase potrebbe adattarsi solo a una convocazione dell’industria delle armi, considerando che le armi da fuoco sono la prima accertata causa di morte tra minorenni negli Stati Uniti. Eppure, è stata citata anche dal nostro ministro Schillaci in occasione del Safer Internet Day, con i consueti toni allarmistici usati per parlare di giovani e salute mentale senza dover impegnarsi in azioni concrete.

Il pathos della rappresentazione in Senato non ha subito alterazioni nel seguito. Gli amministratori delegati dell’industria dei social media non sono stati da meno e hanno sfruttato ampiamente questo tipo di comunicazione col loro tono o, ad esempio, facendo riferimento al proprio essere genitori, come ha tenuto a puntualizzare Shou Chew, consapevole dell’incubo rappresentato dai temi in discussione e come ha confidato Jason Citron di Discord, desideroso di rendere sicura la sua piattaforma e di farla amare dai propri figli proprio come lui ha amato i videogiochi ed è cresciuto videogiocando. Mark Zuckerberg è stato il protagonista assoluto: alzandosi in piedi, si è rivolto alle famiglie presenti e ha chiesto loro perdono. “Mi dispiace per tutto quello che avete passato”, ha detto. “Nessuno dovrebbe subire le cose che hanno sofferto le vostre famiglie”, aggiungendo che avrebbe continuato a impegnarsi con Meta per sviluppare strumenti adatti a proteggere i bambini.

Per gli effetti paradossali che può avere un’elevata attivazione emotiva nell’appello alla paura, Zuckerberg e colleghi sono risultati notevolmente più umanizzati rispetto a molti senatori presenti sulla scena.

Zuckerberg durante il suo primo intervento, ancora da seduto, aveva correttamente riportato che le evidenze scientifiche non supportano l’ipotesi di un impatto negativo dei social media sulla salute mentale dei più giovani.

Negli ultimi anni Facebook, ora Meta, ha manifestato un'apertura alla ricerca. Di recente è stata anche definita una collaborazione tra Meta e il Center for Open Science (COS) che segna un notevole cambiamento dell’industria verso la ricerca indipendente e trasparente. Tale apertura permetterà a ricercatori e ricercatrici di presentare al COS, un centro di avanguardia per la scienza aperta e la ricerca collaborativa, progetti basati su protocolli pre-registrati che intendono studiare il ruolo di variabili oggettive legate ai social media sul benessere psicologico. "Questa partnership tra Meta e COS rappresenta un passo significativo verso la promozione di una cultura di apertura e collaborazione tra il mondo accademico e l'industria, e mira a stabilire nuovi standard per le migliori pratiche nella condivisione di dati proprietari tra la comunità scientifica, a vantaggio in definitiva dell'interesse pubblico", ha affermato Tim Errington per il COS.

Un interesse pubblico non autenticamente contemplato in tutte le parti recitanti della Commissione.

L’audizione del 31 gennaio ha lasciato dietro di sé un’onda emotiva intercontinentale e un nulla di fatto sul piano di interventi governativi o accordi. Questa è una buona notizia se si considera che i senatori repubblicani e democratici in un’unica voce chiedevano all’industria dei social media di sottoscrivere il Kids Online Safety Act. KOSA è una proposta di legge introdotta nel 2022 dal senatore democratico, Richard Blumenthal, e dalla senatrice repubblicana, Marsha Blackburn, che ricorre al soluzionismo tecno-giuridico per risolvere i problemi della società. KOSA autorizza i procuratori generali a stabilire arbitrariamente quali sono i contenuti online dannosi per i più giovani. Se approvata, l’accesso ai contenuti online, o la loro rimozione, diventerebbero a discrezione di funzionari dello Stato e delle loro ideologie. “Più di 100 gruppi per i diritti umani e LGBTQ hanno condannato il disegno di legge, affermando che metterebbe in pericolo i minorenni, in particolare i giovani LGBTQ”, ha scritto Taylor Lorenz sul Washington Post, rilevando il notevole dissenso proprio tra i destinatari di questa accorata protezione, ragazzi e ragazze.

“Perché nessuno pensa ai bambini?” Dai videogiochi a Squid Game, oltre il sensazionalismo mediatico

Come ha scritto danah boyd su Medium:

“Una [la repubblicana Blackburn] degli ideatori di questo disegno di legge ha chiaramente affermato che la sua intenzione è quella di proteggere i bambini dai “transgender” e di prevenire “l’indottrinamento” da parte della comunità LGBT. Sono sbalordita da quanti democratici alzano le spalle e dicono che vale ancora la pena allinearsi con politici odiosi perché questo aiuterà più bambini. Il fatto è: non lo farà”.

boyd sottolinea come le discussioni attorno a questo tipo di proposte di regolamentazione siano concentrate sulla tecnologia come problema e allo stesso tempo come soluzione. Inoltre, aggiunge che non è la tecnologia a causare danni ma il fatto che “viviamo in una società malsana in cui i nostri gruppi più vulnerabili soffrono perché non investiamo nella resilienza né costruiamo reti di sicurezza sociale”. E si domanda: “Se invece ci concentrassimo sulle sfide che i giovani si trovano ad affrontare? E se investissimo davvero nell'affrontare i problemi alla base della loro ansia, della depressione e dell’ideazione suicidaria? E se investissimo nell'aiutare le persone più vulnerabili?”.

La realtà è che mentre i politici mettono in scena rappresentazioni sempre più drammatiche, “l’accesso alle cure per la salute mentale è limitato”, scrive boyd. “E i ragazzi si rivolgono a Internet nella speranza di trovare connessione, comunità e aiuto. Per alcuni, andare nelle tane dei conigli online peggiora sicuramente le cose. Ma il fatto è che molti non hanno nessun altro posto dove andare. Questo dovrebbe spaventare tutti noi. I giovani hanno bisogno di infrastrutture sociali che li sostengano. Non traggono benefici da nuovi strumenti di sorveglianza. E cercare di bloccare l’accesso dei giovani alla comunità e agli strumenti online che utilizzano per ottenere supporto per la salute mentale non farà magicamente scomparire i problemi. Il loro dolore diventerà solo meno visibile”.

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“Sono stufa e stanca dei politici che usano i giovani per lo spettacolo”, ha scritto nel paragrafo conclusivo boyd.

La sua frustrazione è condivisibile e ancor più per come la notizia di questa audizione è stata riportata - e continua a essere citata - sui nostri media che riescono immancabilmente a non andare oltre il pathos, a non spingersi oltre l’emotività del messaggio.

Immagine in anteprima: frame video NTD via YouTube

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