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Clima: l’invasione della Russia in Ucraina ci dice che è ora di accelerare la transizione energetica

28 Febbraio 2022 8 min lettura

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Clima: l’invasione della Russia in Ucraina ci dice che è ora di accelerare la transizione energetica

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La principale ragione che dovrebbe spingerci a completare la transizione energetica è la necessità di contenere il più possibile il riscaldamento globale, causato dalle emissioni prodotte dai combustibili fossili. Ma c'è una seconda, valida, ragione. Ce ne stiamo accorgendo proprio in questi giorni.

Quella in Ucraina non è una guerra per il petrolio e il gas. Ma è una guerra che ha, anche, a che vedere con il petrolio e il gas. Una guerra che, potremmo dire, mette a nudo la nostra dipendenza dalle fonti fossili. Una dipendenza che è ormai insostenibile, sia dal punto di vista ambientale che economico, e che rallenta e ostacola la lotta alla crisi climatica.

La transizione è una soluzione a entrambi i problemi, quello del clima e quello dell'energia. Ma deve essere rapida. L'aumento della temperatura globale è il risultato delle emissioni cumulative di CO₂ e altri gas serra. Più si emette CO₂, più la temperatura aumenta. Per questo motivo non basta arrivare a zero nel 2050. Conta anche come ci si arriva. È come per la pandemia: bisogna piegare la curva dei contagi. In questo caso, dobbiamo piegare la curva delle emissioni. E in fretta.

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Per arrivare a emissioni zero nel 2050 dobbiamo velocizzare subito l'abbandono delle fonti fossili. L'Europa ha stabilito l'obiettivo di ridurre almeno del 55% le proprie emissioni entro il 2030. Se la transizione deve essere rapida significa che dobbiamo sfruttare quelle tecnologie energetiche non-fossili che possono essere dispiegate più rapidamente. Il think tank Ember riporta che la rapida crescita delle energie rinnovabili nei Paesi Bassi e in Spagna ha ridotto, in appena 2 anni, la produzione di energia elettrica da gas naturale, rispettivamente, del 22% e del 17%. «Le energie rinnovabili possono essere dispiegate rapidamente per ridurre la dipendenza dell'Europa dal gas fossile», osserva Ember.

Nel suo intervento in Parlamento sull'invasione russa in Ucraina, Mario Draghi, parlando del problema energetico, avrebbe dovuto ricordare che l’Italia è un paese in ritardo nel processo di decarbonizzazione rispetto al resto d’Europa. In Italia la quota di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è cresciuta molto poco negli ultimi anni, dopo essere addirittura scesa.

Ciononostante (anzi, è uno dei motivi per l’Italia è così in ritardo) una parte della politica continua a sostenere false soluzioni. Secondo Matteo Salvini, dovremmo estrarre più gas e tornare a produrre energia nucleare. Il segretario della Lega le energie rinnovabili non le cita nemmeno. Salvini è il capo di un partito che ha spesso espresso posizioni negazioniste e trumpiane sul cambiamento climatico, perciò non deve sorprendere che non proponga reali soluzioni per risolverlo.

Può apparire sensato pensare che produrre più gas nazionale possa farci risparmiare quattrini e ridurre la nostra dipendenza energetica ma, come spiega il think tank ECCO, estrarre nuovo gas made in Italy non ci farebbe pagare bollette meno care. Inoltre, sarebbe una scelta incompatibile con gli impegni e gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. Il gas naturale ha già svolto, in questi anni, la sua funzione di fonte di energia “ponte” dal carbone a quelle non-fossili ed è destinato a essere progressivamente abbandonato. Parlare, addirittura, di «un vasto programma di estrazione di gas nel Mediterraneo», come fa il leader di Azione Carlo Calenda su Twitter, è un'assurdità, l’espressione di una visione che ignora la crisi climatica e gli scenari prodotti da organizzazioni come l’Agenzia Internazionale dell’Energia. Ma, del resto, in tutti questi interventi sulla questione energetica la crisi climatica non esiste nemmeno nel quadro. Ne consegue che anche le politiche che si caldeggiano siano in realtà false soluzioni, sia per il clima che per l'energia.

Ci vuole poco a infilare la parola nucleare in un discorso sulle politiche energetiche, rinfacciando agli altri di essere ideologici. Più complicato, a quanto pare, è uscire da una discussione in cui siamo impantanati da anni. E a cui, prima o poi, bisognerà cercare di mettere un punto. L'energia nucleare ha permesso di evitare di immettere nell'atmosfera decine di miliardi di tonnellate di CO2, e questo è un fatto. A livello globale, anche se alcuni paesi come la Germania hanno deciso di abbandonarla, l'energia nucleare continuerà a far parte del mix energetico. L'atomo non è, quindi, di per sé una falsa soluzione al problema del riscaldamento globale. Ma diventa una falsa soluzione - cioè un’idea che ritarda la transizione energetica, invece di promuoverla - se viene proposta come una realistica opzione per un paese, come l'Italia, dove la quota di produzione di elettricità da energia nucleare è oggi pari a zero. È zero, e riaprire la polemica sui referendum del 1987 non cambierà questa realtà. Il fatto che sia necessario evidenziare questa ovvietà è già di per sé una distrazione, rispetto alla discussione sulla transizione che si dovrebbe fare. L'eterna discussione sul nucleare tra gli opposti schieramenti avversi, quello del sì e quello no, è una diatriba che procede parallela alla realtà.

Nella realtà la transizione energetica deve accelerare. Cosa significa? Immaginiamo di iniziare oggi stesso la costruzione di quattro centrali nucleari in Italia. Saltiamo qualsiasi discussione, individuazione dei siti di costruzione, iter burocratico, autorizzazioni, opposizione, etc. Ci mettiamo tutti la firma senza esitazioni, il sottoscritto per primo. Assumiamo che non ci sarà nessun ritardo né lievitamento dei costi rispetto a quelli previsti, come invece può accadere. Immaginiamo un tempo di costruzione, medio ma piuttosto ottimistico, di 7-8 anni. Mentre nei cantieri i lavori procedono spediti e senza intoppi, né tecnici né burocratici (abbiamo già saltato a piè pari anche la discussione pubblica, compresa quella sulla localizzazione dei depositi delle scorie radioattive), nel frattempo dovremmo comunque proseguire anche con l’installazione delle altre tecnologie energetiche non fossili, che hanno tempi di realizzazione molto inferiori. Perché la transizione energetica deve accelerare adesso.

Per questa ragione, non possiamo sottovalutare il problema dei tempi e dei costi. Lo ha sottolineato Francesco Starace, amministratore delegato di Enel, che gestisce centrali nucleari in Slovacchia e Spagna. «In Slovacchia - spiega Starace - siamo azionisti di Slovenske Elektrarne che ha iniziato a costruire due nuove unità nel 2008: dovevano essere finite nel 2012 e lo saranno nel 2022, dovevano costare 3.3 miliardi e ne costeranno 6.2. Ed è un caso virtuoso».

Nel 2008, quando il Governo Berlusconi riaprì la discussione sull'energia nucleare spingendo per la costruzione di nuove centrali, il ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola aveva promesso: «entro cinque anni la prima pietra delle nuove centrali nucleari italiane». La Repubblica scriveva:

Il progetto dell'Enel stima una tabella di marcia teorica che si spalma su nove anni: due per l'allestimento del contesto normativo, due per l'iter delle autorizzazioni, quattro per la costruzione e uno da conteggiare per eventuali ritardi in corso d'opera.

L'Italia avrebbe così avuto «quattro centrali di terza generazione che nel 2020 copriranno almeno il 10% dei consumi di energia». Non è stato possibile verificare se quella tabella di marcia teorica sarebbe stata rispettata, perché di quel progetto non se ne è fatto più nulla.

Tutto questo dovrebbe farci comprendere che per velocizzare la transizione energetica dobbiamo usare gli strumenti di cui già disponiamo. Se ci proiettiamo nel futuro, nel 2200 o nel 2300, possiamo supporre che lo sviluppo delle tecnologie energetiche avrà raggiunto traguardi che oggi non immaginiamo. La fusione nucleare sarà diventata una realtà, una tecnologia impiegata su larga scala. Forse gli attuali impianti fotovoltaici e le turbine eoliche saranno archeologia industriale. Ma il decennio della transizione e della lotta alla crisi climatica è questo. Sono questi gli anni in cui dobbiamo fare il possibile per impedire che l’aumento della temperatura della Terra superi, almeno di molto, 1.5 gradi, facendoci entrare in un territorio di impatti e conseguenze inesplorato. I paesi più avanzati come l’Italia (un’altro particolare che spesso si ignora) dovranno essere i primi ad azzerare le emissioni.

Certe discussioni mostrano come ci sia spesso confusione su cosa sia la transizione e su quali siano i suoi obiettivi. Nella confusione si diffondono la disinformazione e le tesi ingannevoli e scorrette, come quella secondo cui l'aumento del costo dell'energia in Europa sarebbe da attribuire alla diffusione delle energie rinnovabili. C'è chi pensa che sulle rinnovabili siamo all'anno zero nella storia di queste tecnologie, quando in realtà stanno attraversando una fase di espansione. L'Agenzia Internazionale dell'Energia, nel World Energy Outlook 2021, scrive che nel 2020, nonostante la crisi causata dalla pandemia, l'installazione degli impianti solari fotovoltaici ed eolici è aumentata al ritmo più veloce degli ultimi 20 anni. In Francia, il paese più nucleare d'Europa, dove l'atomo produce circa il 70% dell'energia elettrica, la legge sull'energia e il clima del 2019 fissa l'obiettivo di ridurre la quota di energia nucleare al 50% nel 2035. Il presidente francese Macron, mentre rilancia il nucleare, afferma anche che «dobbiamo aumentare la nostra capacità di produrre energia rinnovabile».

C’è un altro aspetto della questione energetica di cui si dovrebbe discutere. Come osserva il think tank ECCO, «nel dibattito di questi mesi l’efficienza energetica e la cultura del risparmio sono completamente assenti quando invece sono le componenti essenziali e prioritarie per affrontare una crisi energetica». Stiamo uscendo da un’altra stagione che definire "invernale" è complicato. Febbraio è stato un mese più primaverile che invernale, salvo rapide incursioni di un freddo che ha ben poco a che vedere con quello degli inverni passati. Fatichiamo a percepirlo e anche questo è un ostacolo alla nostra comprensione del problema. Se fuori non fa troppo freddo abbassare le temperature, nelle abitazioni e negli edifici pubblici e commerciali, può essere un’azione immediata di risparmio dell’energia e di riduzione delle emissioni, alla portata di tutti.

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La transizione energetica è un processo complesso. È un insieme di azioni e politiche che coinvolgono tutti i settori dell'economia e della società. Il passaggio a un nuovo sistema di produzione energetico deve essere parte di una più ampia transizione ecologica, non soltanto tecnologica. Oggi stiamo realizzando che le fonti fossili non sono solo la causa del riscaldamento globale. Sono anche un'arma, militare e geopolitica, nelle mani degli autocrati come Putin, che ci minacciano, ci tengono in ostaggio e ci portano sull’orlo della guerra mondiale. Come scrive il vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans, «è ora di affrontare le nostre stesse vulnerabilità. Più velocemente ci muoviamo, prima riduciamo la nostra dipendenza».

È quello di cui si discute in Europa in questi giorni. È quello che noi cittadini dovremmo chiedere.

Immagine in anteprima: Wind park in north-eastern Germany (Mecklenburg), foto di Philipp HertzogCC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

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