Rivoluzione o elemosina? Il crowdfunding sfonda le porte della musica italiana
6 min letturaNel 2003 una band industrial, i Tasaday, propose il Progetto Kaspar (che affascina già solo per il nome che sembra quella di un'operazione segreta della II guerra mondiale), ovvero un progetto la cui idea, in parte, era “far faticare altre persone (non strettamente musicisti) in giro per il mondo, raccogliendo 'suoni'” che il gruppo avrebbe usato per creare il loro nuovo disco. Ma quest'idea di partecipazione fu estesa anche alla produzione e il gruppo decise di lavorare sul pre-order di questo nuovo album, ovvero l'ordine “a occhi chiusi” dell'album a prezzo di costo, 3 euro: “Chi ha pagato in anticipo la propria copia quindi è diventato anche produttore del CD. L'elenco dei produttori è riportato all'interno del booklet”.
Insomma, se i Tasaday avessero deciso di investire su un'idea del genere forse oggi sarebbero milionari, ma la storia è andata diversamente. Oggi, quello che avevano fatto embrionalmente loro ha un nome e delle regole precisi: crowdfunding. E ha anche delle società di riferimento (qui ne trovate alcune anglosassoni, mentre qui ce ne sono alcune italiane come Eppela, Produzioni dal Basso etc - senza dimenticare progetti come YouCapital, ad esempio), soprattutto in campo artistico. Esempio lampante ne è l'americana Kickstarter, ormai punto di riferimento di ciò che intendiamo con raccolta fondi partecipativa. Fare una lista di nomi di coloro che sono riusciti a realizzare il proprio progetto grazie alla piattaforma sarebbe impossibile, ma tra quelli grossi del panorama mondiale potremmo citare il regista David Lynch o la cantante Amanda Palmer (che l'ha definito il “futuro della musica” dall'alto del milione di fondi ricevuti, seguiti da varie polemiche per come sono stati usati). Ma ormai non è raro trovare tra i maggiori festival indipendenti del mondo (vedi il Sundance, ad esempio), film e documentari realizzati grazie al crowdfunding.
Se guardiamo alla vendita degli album fisici in perdita, con quelle digitali non ancora tali da sostituirle - benché prima o poi succederà – e considerando il mondo indipendente, dove i numeri sono abbastanza piccoli, la crisi colpisce forte e le maggiori entrate per i cantanti vengono dai live più che dalla vendita dei dischi, ci si rende conto che la ricerca di una forma di sostentamento alternativa è una delle maggiori sfide economiche e il crowdfunding si è inserito alla perfezione nel mondo dell'industria culturale.
Sono sempre più quegli artisti che si rivolgono a questa raccolta fondi per supportare le varie attività che compongono il lavoro di un musicista (e un po' per staccarsi dalle major e acquisire maggiore indipendenza): dalla realizzazione di un album a quello di un video, dalla promozione al tour o direttamente il ciclo completo. Un metodo, quello partecipato, che ha pregi e difetti, come in molti hanno notato parlando, soprattutto, del fenomeno Usa. Sicuramente c'è bisogno di una base fan molto forte e quindi di un rapporto che non si improvvisi solo “ad hoc”. C'è bisogno, soprattutto, di un progetto forte, chiaro e di una spiegazione che faccia capire il perché di quella determinata operazione. Le critiche per questa forma di finanziamento, infatti sono tante.
Fece abbastanza rumore – e parliamo sempre del mondo limitato dell'indipendente – il progetto degli Ex Otago, tra i primi a utilizzare questa forma di finanziamento per produrre l'album “Mezze Stagioni” o, senza andare molto lontano, basti guardare alle esperienze di Gianni Maroccolo, storico fondatore dei Litfiba, membro dei CCCP, CSI, Marlene Kuntz e produttore, oppure Umberto Maria Giardini, conosciuto fino a poco fa come Moltheni. Ma se scendiamo nella scala della fama quello che fanno gruppi come i Soviet Soviet (che si sono finanziati il tour messicano), i Brothers in law (per la loro partecipazione al festival SXSW) che hanno progetti molto diversi tra loro e sono buoni esempi di come poter utilizzare il crowdfunding.
Ciò che accomuna alcuni dei nomi fatti qua sopra, infatti, è una piattaforma che sta riscontrando sempre maggior successo. Creata da Giovanni Gulino dei Marta sui Tubi e Tania Varuni, si chiama MusicRaiser e in questi ultimi giorni è stata il motore (insomma, almeno il mezzo) di una lunga discussione sul crowdfunding italico: elemosina o rivoluzione? Sono intervenuti, tra gli altri, Federico Guglielmi, caposervizio della musica del Mucchio Selvaggio e noto critico musicale, Massimo Fiorio dei Lava Lava Love (noto anche come @dietnam), fino allo stesso Gulino che, intervistato da Rockit, ha dato alcuni dati del nuovo progetto:
Sul sito in questo momento abbiamo 84 progetti. Finora sono arrivati a termine 34 progetti, di cui circa il 60% ha raggiunto l'obiettivo che era stato fissato. Sul sito sono transitati circa 100mila euro in due mesi e mezzo e di questi oltre 80mila sono già arrivati alle band
e ancora
La funzione del crowdfunding è straordinaria. Se guardiamo solo all'Italia abbiamo una visione sfocata. A livello globale ci sono siti come Kickstarter, che hanno finanziato progetti per milioni e milioni di euro, senz'altro più di quelli che certi stati mettono a disposizione per l'arte. Gente come Beach Boys, Amanda Palmer, 10.000 Maniacs non hanno capito niente della vita? Non credo.
Una discussione aspra e molto interessante, ad esempio, è quella che s'è scatenata sul facebook di Guglielmi, che ha superato i 230 commenti. Ma cosa aveva scritto di così terribile il giornalista per scatenare questo dibattito? Testuale: “a voi sembra logico che sempre più musicisti indicano pietose collette per incidere dischi, realizzare video e quant'altro? A me pare fuori dal mondo, un'assurda e tristissima follia” a commento del video in cui Umberto Maria Giardini parlava del suo progetto per girare il suo nuovo video.
“Le 'pietose collette' mi sembra siano sotto gli occhi di tutti, ma ciò non significa che tutte le operazioni legate al crowdfunding siano, appunto, 'pietose' – dice Guglielmi a Valigia Blu - mi sembra lecito che un artista in circolazione da poco provi a farsi finanziare il primo disco, ma credo anche che un artista già più o meno affermato dovrebbe ricorrere al crowdfunding solo per un progetto che proprio non ce la farebbe a concretizzare soltanto con i propri mezzi”.
Insomma, sì al crowdfunding ma solo se non diventa la regola e soprattutto una moda, anche perché se da un lato “porterà alla realizzazioni di dischi - e altro - che diversamente non ci sarebbero stati” e “alcuni di essi saranno di valore” dall'altro c'è il rischio che “verrà fuori anche un sacco di robaccia inutile se non dannosa” e “di sicuro - in linea di principio - gli artisti già noti, e quindi con parecchi fan-sostenitori, avranno più opportunità degli sconosciuti che magari possono contare 'solo' sulla qualità artistica”.
Rispondendo, indirettamente (e probabilmente in maniera involontaria, visto nella domanda specifica non si faceva riferimento a MusicRaiser), anche alle parole di Gulini - sempre a Rockit - il quale sosteneva che “Per un'artista con una certa notorietà, il crowdfunding porta più disponibilità finanziaria rispetto alla proposta di una major. Dipende da come sai comunicare e della qualità della musica, perché i progetti che sono andati meglio su Musicraiser sono quelli con maggiore contenuto artistico. Quelli che ci provavano tanto per provarci, non sono andati da nessuna parte”.
Per Guglielmi, però, in sintesi, il pericolo principale è il fatto che “rivolgersi al crowdfunding potrebbe diventare una scorciatoia per investire ancora meno sulla propria musica: chi crede in quello che fa dovrebbe essere il primo a sbattersi per realizzarlo al meglio, anche imponendosi qualche rinuncia. Senza contare che un eccesso di richieste di finanziamento sarebbe letale, perché comunque la coperta rimane la stessa indipendentemente dalla parte da cui la si cerca di tirare”. Uno strumento in più, quindi – e non LO strumento – nelle mani degli artisti.
Guglielmi dà anche le sue tre regole d'oro: “1, totale trasparenza nella gestione. 2, senso della misura, ovvero aver dietro qualcosa di serio e importante e non capricci o idee pretestuose; 3, buon gusto nella scelta delle 'ricompense' per chi finanzia: bene prodotti esclusivi e gadget, malissimo le prestazioni troppo personali. Preferirei anche l'offerta libera a partire da una cifra minima che le contropartite più 'generose' per chi versa più soldi”.
Insomma il crowdfunding italiano non nasce certo ora, ma sulla scia di un 2012 in cui se n'è discusso molto, comincia a diventare una realtà concreta anche per chi fa musica. Le polemiche quindi continueranno, e anche i fraintendimenti. Senza dubbio sarà un'arma in più per chi saprà usarlo per la propria creatività (o un'inutile elemosina, a seconda dei punti di vista), noi terremo d'occhio che fine faranno tutti questi progetti, voi, intanto, segnalateci quelli più interessanti.
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Ma alla fine, visto il bailamme che s'è creato, Guglielmi quel post lo riscriverebbe allo stesso modo? “Sì. Ma aggiungendo in fondo, in neretto e a caratteri cubitali, 'preciso di non avercela con il crowdfunding in assoluto ma solo con l'eventuale uso improprio o imbarazzante che se ne può fare'”.
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