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Festival di Sanremo: tra buona musica, un format da cambiare e polemiche lunari, il racconto di un paese

13 Febbraio 2023 20 min lettura

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Festival di Sanremo: tra buona musica, un format da cambiare e polemiche lunari, il racconto di un paese

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La settantatreesima edizione del Festival della Canzone italiana, vinto (con merito) da Marco Mengoni, ha rappresentato le potenzialità, i limiti e le contraddizioni del dibattito pubblico del nostro paese come raramente è accaduto nella storia recente. Proviamo ad analizzarne alcuni aspetti.

Partiamo dai dati

1. Il Festival di Sanremo 2023 ha fatto registrare le percentuali di share televisivo più alte dalla metà degli anni ‘90. La finale ha raggiunto picchi del 66% di share (su tre televisori accesi durante la serata di sabato 11 febbraio, due erano sintonizzati su Sanremo, stando ai dati Auditel); la serata di venerdì 10 febbraio, in cui i 28 artisti in gara non si sono esibiti con la loro canzone ma hanno realizzato altrettante ‘cover’, tributando brani più o meno noti della storia della musica nazionale e internazionale, ha raggiunto gli indici di ascolto più alti dal 1987

Questi dati sono ancora più rilevanti dal punto di vista del successo del prodotto televisivo se consideriamo che Mediaset, il principale concorrente della Rai, ha deciso dopo anni di interrompere la ‘desistenza’ che portava il gruppo televisivo della famiglia Berlusconi a rimodulare i programmi in onda e di sospendere i format più popolari nella settimana del Festival di Sanremo, considerando persa in partenza la sfida degli ascolti. Sabato 11 febbraio, per esempio, il programma “C’è posta per te”, tra i più popolari (e storici) della tv commerciale italiana, è andato regolarmente in onda, ottenendo il 12.34% di share. Il sabato precedente lo show di canale 5 condotto da Maria De Filippi, per intenderci, aveva stravinto la sfida degli ascolti del sabato sera con percentuali più che doppie (29.1%).

Il successo commerciale del Festival di Sanremo nasce da un mix di fattori: dall’aumento del livello medio dell’offerta musicale, dalla capacità di intercettare pubblici tra loro molto diversi, con gusti musicali tra loro molto eterogenei (così come lo è il parterre dei partecipanti alla competizione), dall’ibridazione sempre più totale tra il mezzo televisivo e la fruizione attraverso i social media, che quest’anno ha forse raggiunto il livello più evoluto, rappresentato dal protagonismo di Chiara Ferragni e dall’insistenza (persino eccessiva) nel cercare il rimbalzo tra la diretta Rai e la possibilità di seguire il Festival attraverso gli account Instagram dei suoi protagonisti, che non smettevano di produrre contenuti “esclusivi” anche durante la diretta televisiva. Un ulteriore moltiplicatore di interesse è rappresentato dal Fantasanremo, un gioco gratuito online in cui chiunque può comporre una sua squadra di cinque artisti in gara per provare a conseguire il maggior numero di punti possibili, ottenuti sulla base dell’ordine di arrivo dei cantanti nella classifica generale e in quella delle singole serata del Festival, ma soprattutto su una serie di comportamenti adottati dai partecipanti alla gara nel corso della settimana del Festival (e anche nel corso delle esibizioni). Nell’edizione 2023 sono state registrate oltre 1.6 milioni di squadre al portale del Fantasanremo e l’impatto di questo gioco sullo show è sempre più evidente: abiti glitterati, capezzoli in vista, occhiali da sole, batticinque a Morandi e regali ad Amadeus sono figli della ‘caccia ai bonus’ collegati a questa competizione nella competizione. E, esattamente come il Fantacalcio per il campionato di serie A, ne rappresenta un antidoto al potenziale disinteresse.

È stato fatto notare che il pubblico televisivo, in termini assoluti, è calato rispetto alle edizioni del 1987, 1995 e 1997 (con cui è stato fatto il paragone per quanto riguarda lo share): è vero, ma questo dice più della progressiva contrazione del numero dei fruitori della tv generalista nel suo complesso che di una difficoltà del Festival; inoltre denota i limiti attuali del sistema di misurazione degli ascolti dei contenuti prodotti per la televisione (cioè dall’Auditel), considerando che non si tiene conto della possibilità di accedere a quegli stessi contenuti attraverso piattaforme di streaming (in questo caso Raiplay).

2. La direzione artistica degli ultimi quattro anni del Festival, curata dal conduttore Amadeus, ha reso sempre più allettante la partecipazione (in gara, e non solo da ospiti) di molti tra i protagonisti della scena musicale italiana moderna. L’aver reso il Festival di Sanremo (nuovamente) una competizione tra i migliori e non un solo una vetrina per nuovi artisti e una soluzione di ripiego per i musicisti di seconda fascia o desiderosi di un rilancio commerciale (ciò che è avvenuto, in buona parte, tra il 2000 e il 2020) ha di conseguenza riconsegnato al Festival il suo ruolo originario: un’autentica competizione tra talenti più o meno acclarati, e ciò ne ha aumentato l’interesse sia del pubblico sia dell’industria discografica: non ci sono etichette musicali che oggi si possono permettere il lusso di snobbare quel palcoscenico.

Volendo analizzare il Festival di Sanremo sulla base di questi due elementi oggettivi, cioè il successo del prodotto televisivo e la qualità media dell’offerta musicale, ci sarebbero pochi dubbi: l’edizione 2023 è stata un successo così come lo sono state, progressivamente sempre di più, le edizioni curate da Amadeus (direttore artistico dal 2020) e dall’attuale gruppo dirigente della Rai.

Parliamo di musica

Ancora una volta come negli ultimi anni, a Sanremo sono stati presentati molti brani di qualità, sia tra quelli in gara, sia nella serata delle cover.

La canzone vincitrice di quest’anno, ‘Due Vite’ di Marco Mengoni, è a mio avviso di livello inferiore rispetto ai vincitori delle quattro edizioni precedenti (‘Soldi’ di Mahmood nel 2019, ‘Fai rumore’ di Diodato nel 2020, ‘Zitti e buoni’ dei Måneskin nel 2021 e ‘Brividi’ di Mahmood e Blanco nel 2022) e anche rispetto al brano con cui lo stesso Mengoni ha vinto Sanremo nel 2013, “L’essenziale”, di fatto un classico della musica leggera italiana contemporanea; ma è comunque un singolo di grande qualità e la sua affermazione non desterà particolari polemiche.

L’affermazione così piena del cantante originario della provincia di Viterbo, mai in discussione (Mengoni è sempre stato il più suffragato ha anche vinto la serata delle cover del venerdì, un successo più controverso rispetto a quello conseguito nella competizione principale - ci tornerò più avanti), è apparsa quest’anno prima di tutto come un tributo all’artista e solo in parte un riconoscimento per il brano portato in gara. Anche la scelta dell’orchestra di attribuire a ‘Due Vite’ il premio per la migliore composizione musicale, sebbene si tratti un brano classicamente sanremese nel suo stile, non così complesso e originale dal punto di vista dell’arrangiamento, sembrerebbe seguire la stessa logica.

Mengoni, un talento cristallino la cui carriera non è sempre stata all’altezza delle sue potenzialità vocali, negli ultimi anni è riuscito a costruirsi un profilo trasversale, capace di risultare gradito a pubblici anche molto diversi tra di loro, e questo può fare la differenza in una competizione in cui la vittoria è determinata anche dalla capacità di conquistare credito sia tra il pubblico generalista (televoto e giuria demoscopica) sia tra gli addetti ai lavori (sala stampa). Questa sua capacità è figlia anche del rapporto che nel tempo ha saputo costruire con l’opinione pubblica: le lacrime di sabato in conferenza stampa, in cui ha raccontato di non riuscire a gestire la sua emotività in modo sempre lucido, sono apparse sincere; la dedica alle donne che hanno partecipato al Festival e non hanno raggiunto la fase finale della competizione - in cui sono arrivati cinque uomini - pur meritandoselo (Mengoni non ha fatto nomi ma è verosimile si riferisse in particolare ai brani di Giorgia e Madame, giunte sesta e settima, che non avevano nulla di meno rispetto, ad esempio, ai brani di Mr.Rain e Ultimo, giunti terzo e quarto), denota una grande consapevolezza e anche una grande capacità di saper essere vincitore con classe.

Questa edizione del Festival di Sanremo ha messo in luce molti altri aspetti di rilievo dal punto di vista musicale.

È stato l’anno della definitiva consacrazione artistica di Madame, anche se profondamente condizionata dalla sciagurata gestione delle polemiche dei mesi scorsi sull’indagine a suo carico per aver conseguito il Green Pass senza essersi sottoposta al vaccino; un condizionamento che potrebbe anche aver inciso sul suo risultato finale (settima nella classifica generale e assente dalla top 5 nella serata delle cover) e di cui lei stessa si è mostrata consapevole alla fine della sua esibizione nella serata finale, quando ha ringraziato Amadeus per il suo sostegno incondizionato, abbracciando il conduttore e mostrandosi visibilmente commossa.

Il suo pacchetto complessivo, composto dal singolo “Il bene nel male” e dalla rappresentazione del capolavoro di Fabrizio De André, ‘Via del Campo’, insieme a Izi, è apparso come il più solido innanzitutto dal punto di vista della personalità. La 21enne di Vicenza, negli anni scorsi oggetto di numerose ironie per il suo modo di cantare, molto contemporaneo, in cui non sempre la comprensione delle parole pronunciate è immediata, ha fugato ogni dubbio sia sulle sue capacità vocali sia su quelle di interpretare repertori artistici molto diversi tra loro.

La cover di ‘Via Del Campo’, una scelta di per sé coraggiosa e per certi versi pericolosa è stata interpretata con un mix rarissimo di rispetto per la versione originale e di innovazione: introdurre il vocoder per filtrare la propria voce e per cantare un pezzo di Fabrizio De André (i cui amanti sono perlopiù puristi) è ai confini dell’eresia: eppure lei, artisticamente, ne è uscita più forte di prima.

Sanremo 2023 ha rappresentato anche l’ingresso nei ‘grandi’ da parte di Lazza, che grande già lo era prima almeno dal punto di vista commerciale (il suo album ‘Sirio’ è stato in cima alle classifiche di vendita nazionali del 2022 con una continuità che non si vedeva da almeno un decennio) e che nonostante in questo momento della sua carriera in rapida ascesa “non avesse bisogno di Sanremo”, come ha avuto modo di affermare Amadeus qualche settimana fa, ha mostrato grande rispetto per la competizione, con un brano (‘Cenere’) che ha colto lo spirito classico del Festival pur non tradendo l’impostazione artistica originaria dell’artista 28enne di Milano, anche grazie all’ennesima produzione vincente da parte di Dardust.

È stata anche l’edizione di Tananai. Dodici mesi fa era apparso ai più come un cantante stonato che era venuto al Festival per cazzeggiare, ma già un anno fa aveva alle sue spalle una carriera che mostrava molto altro. Dopo ‘Sesso Occasionale’, un successo commerciale da ultimo posto in classifica, un altro piccolo classico della liturgia sanremese (che difficilmente si ripeterà quest’anno con Sethu, che però in compenso è stata una stella del Fantasanremo), l’artista milanese ha fatto una serie di buone scelte, commerciali (il singolo estivo con Fedez e Mara Sattei) e non, fino ad arrivare a ‘Tango’, una bellissima canzone d’amore, ben interpretata, e soprattutto con un videoclip di rara intensità, capace di schiantare settimane di polemiche su Sanremo, la guerra e Zelensky in meno di 4 minuti e senza nemmeno partecipare a quella stessa polemica.

Tananai, inoltre, si è presentato sul palco di Sanremo in occasione della finale portando tra le mani una rosa gialla e una blu, in simbolo di vicinanza al popolo ucraino (e in coerenza con il messaggio lanciato dal suo videoclip), a ulteriore conferma dell’assoluta ottusità dell’idea di poter separare l’arte dalla politica (un’ossessione salviniana) e dell’impossibilità di irreggimentare un festival della canzone attraverso meccanismi di censura preventiva, roba da polizia morale più che da servizio pubblico italiano.

La sorpresa dell’edizione 2023 è rappresentata certamente dal terzo posto di Mr.Rain con la sua ‘Supereroi’. Mai citato tra i favoriti prima dell’inizio del Festival e diciassettesimo dopo le prime esibizioni (il cui voto era appannaggio esclusivamente della Sala Stampa), il 31enne di Desenzano del Garda ha recuperato ben 14 posizioni con l’ingresso in scena del televoto nella serata di giovedì, e da quel momento in poi non ha lasciato più le parti alte della classifica, neanche nella serata delle cover, mantenendo il podio anche nella finale a cinque di sabato notte nonostante il peso del televoto, in questa occasione, sia sceso al 34% (con giuria demoscopica al 33% e sala stampa a pesare per il restante 33%). Questo andamento lascia intravedere un possibile grande successo commerciale per un’operazione che, pur apprezzabile (un testo dedicato alla depressione e al valore del chiedere aiuto in quelle circostanze), ha lasciato intravedere quote di paraculaggine forse eccessiva soprattutto se consideriamo proprio il messaggio di fondo, a partire dalla scelta di far inscenare il coro da un gruppo di bambini che è salito sul palco con Mr.Rain e sicuramente ha inciso sulla meccanica dei ‘buoni sentimenti’ in sede di televoto.

Questa edizione del Festival ha certificato nuovamente alcune cose che già erano note: il grande amore del pubblico per Ultimo, assai meno apprezzato però dalla critica (e questo ha inciso sul suo quarto posto finale, al di sotto delle aspettative, dopo che era risalito fino alla seconda posizione grazie alle spinta del televoto; per le stesse ragioni era giunto secondo nel 2019, alle spalle di Mahmood, con tanto di polemica demagogica da parte di Salvini e Di Maio sul peso della giuria di qualità sull’esito finale del Festival, che a loro dire era necessario ridimensionare); al contrario, la grande capacità di Colapesce e Dimartino di catturare il gradimento ‘alto’ (per loro due premi, quello della critica e quello della sala stampa) ma una complessiva sopravvalutazione dell’impatto sul grande pubblico (solo un decimo posto nella classifica generale); le doti autoriali dei Coma_Cose - a loro il premio per il miglior testo - e dei La Rappresentante di Lista, che hanno regalato una perla ai Cugini di Campagna.

Sanremo 2023 ha lanciato anche quattro piccoli campanelli d’allarme che riguardano altrettanti talenti in gara.

Elodie raggiunto un livello ottimo di maturazione artistica come cantante e ancora di più come performer, ma il suo nono posto (molto inferiore alle attese della vigilia) per ‘Due’ è comunque tutto sommato in linea con la qualità della proposta: il brano è tutto fuorché infelice, ma la sensazione di ‘già sentito’ - e di un ‘già sentito’ rispetto prima di tutto alle sue stesse canzoni precedenti - comincia a essere piuttosto pressante e richiederebbe forse una riflessione sul futuro percorso musicale della cantante romana.

È possibile fare un discorso simile per Giorgia, che è tra le migliori voci di sempre della storia della canzone popolare italiana ma che comunque ha in più circostanze dato la sensazione di non aver raccolto ciò che avrebbe potuto nella sua carriera. Il duetto nella serata delle cover con Elisa, in cui le due artiste hanno cantato Luce (Tramonti a Nord-Est), e Di Sole e D’Azzurro, che hanno portato Elisa al primo posto e Giorgia al secondo nel Festival del 2001, rappresenta forse uno dei momenti musicali più emozionanti in Italia negli ultimi 20 anni e accresce, se possibile, il rimpianto. Giorgia ha portato a Sanremo un pezzo “troppo sanremese”, godibile ma con sonorità che sono sembrate ancorate a qualche decennio fa, proprio mentre il mondo musicale italiano sta evolvendo a una velocità che da tempo non si registrava nel nostro paese. Questo ha rallentato la corsa di una cantante che, come sempre, ha cantato in modo eccelso ma che nonostante il suo talento e la sua popolarità non è riuscita a raggiungere la finale.

Ariete e Mara Sattei hanno invece dimostrato grande potenziale ma un talento ancora un po’ acerbo, soprattutto nella resa dei loro brani dal vivo. La differenza di qualità tra le esibizioni sul palco di Sanremo e le versioni di studio dei singoli ‘Mare di guai’ e ‘Duemilaminuti’, molto ben strutturate e con collaborazioni di grande livello nella scrittura (Calcutta per Ariete, il cantante dei Måneskin Damiano David per Mara Sattei), mostrano la necessità di crescere dal punto di vista vocale. 

Non si può non concludere questa carrellata sugli artisti in gara senza citare Rosa Chemical, perché non farlo potrebbe sembrare bizzarro, dato tutto quello che è accaduto attorno alla sua esibizione nella finale di sabato, con il bacio a Fedez e il conseguente effetto-farfalla sul futuro della Rai (di cui parlerò più avanti). L’artista 25enne di Rivoli ha fatto ciò che ci si poteva aspettare considerando il suo repertorio, niente di più e niente di meno. È stata un’operazione intelligente dal punto di vista musicale e anche culturale, soprattutto considerando le polemiche preventive di Fratelli d’Italia sulla sua presenza a Sanremo: il brano Made In Italy e il suo testo non erano certo più scandalosi (dato anche il contesto storico) rispetto, per esempio, a ‘Triangolo’ di Renato Zero, pubblicata oramai 45 anni fa. Sarebbe bastato leggere il testo della canzone o ascoltare almeno la sua prima esibizione prima di partire con il riflesso pavloviano: non c’era nulla di così sovversivo. Il pacchetto complessivo offerto è qualcosa che probabilmente da anni non farebbe più scalpore in un altro noto festival musicale, l’Eurovision Song Contest: le polemiche generate dalla sua presenza a Sanremo raccontano molto più delle idee dei polemisti che di quelle di Rosa Chemical.

La scelta di Amadeus di concedere il ruolo di super-ospiti ai grandi vecchi della musica italiana, rivendicata sin dall’inizio anche in termini di direzione artistica anche se in parte condizionata dal budget non più infinito che la Rai alloca al Festival di Sanremo, è stata molto furba dal punto di vista demografico. In un Festival che va via via svecchiandosi dal punto di vista musicale serviva qualcosa che creasse interesse anche in un pubblico più in avanti con gli anni. In questa logica di “pluralismo demografico” vanno lette anche le scelte relative agli unici due gruppi stranieri presenti quest’anno a Sanremo, Depeche Mode e i Black Eyed Peas, entrambi forti di una grande carriera ma non di un altrettanto grande presente.

La scelta-tributo alla storia della musica italiana ha regalato alcuni momenti di assoluto valore, come l’esibizione del trio Morandi-Ranieri-Al Bano; ma in altre circostanze, anche considerando lo stato di salute e l’età di alcuni ospiti che inevitabilmente ha inciso sulle performance canore, si è giunti a un livello prossimo al cinismo nelle scelte fatte.

Infine, ho trovato bizzarra la scelta di far determinare l’esito della serata delle cover al solo televoto e di aggregare i risultati di esibizioni scollegate rispetto alla proposta musicale oggetto della competizione (le cover, per l'appunto) al computo della classifica generale.

La scelta di attribuire un peso così determinante al televoto rispetto agli altri meccanismi classici - sala stampa/giuria di qualità e giuria demoscopica - non può essere considerata a priori migliore o peggiore rispetto ad altre (per quanto non sia la mia preferita, anche per un inevitabile condizionamento rispetto all’orario di voto effettivo: l’esito della finale è stato determinato anche dai votanti superstiti che sono rimasti svegli di sabato notte fino alle 2, cioè un sottoinsieme della platea dei partecipanti potenziali al televoto del Festival di Sanremo), ma in ogni caso si sarebbe dovuto scegliere un criterio uniforme tra il voto della serata delle cover (che portava all’assegnazione di un premio a parte) e quello della finale a 5 di sabato notte (che invece era misto) per garantire maggiore equità nella gara.

Di fatto nella serata delle cover abbiamo assistito solo in minima parte a un voto "di merito". Non a caso la classifica della serata assomiglia moltissimo alla classifica generale del giorno prima, anche se le canzoni nel frattempo erano cambiate tra giovedì e venerdì sera: Mengoni in testa, a seguire Ultimo, Lazza, poi Giorgia (l'unica eccezione, ma comunque parziale) e Mr.Rain. Quattro dei cinque artisti che erano nella top 5 sono rimasti nella top 5 anche nella serata delle cover. C'è stata una cristallizzazione delle dinamiche di voto già esistenti, legate più al ‘tifo’ per gli artisti più apprezzati nelle serate precedenti, piuttosto che una valutazione nel merito della proposta musicale del venerdì. Questa dinamica, del tutto speculare a quella dei sondaggi politici di opinione (in cui è acclarata, e anche un po’ preoccupante, la tendenza degli elettori  a costruire un orientamento sui fatti di attualità sovrapponendola con l’opinione espressa dai propri politici di riferimento, senza davvero entrare nel merito delle questioni), ha fatto prevalere esibizioni modeste come quella di Mr.Rain e di Ultimo, che di fatto ha recitato il ruolo di spalla di Eros Ramazzotti, a discapito ad esempio di Giorgia ed Elisa (il loro quarto posto nella serata di venerdì rappresenta, a mio avviso, la più grossa ingiustizia del Festival di Sanremo 2023: meritavano molto di più) o di Madame.

Infine: i social media hanno modificato profondamente la natura della competizione musicale. Nell’era pre-digitale tutto era legato alle esibizioni dal vivo e alla messa in onda delle canzoni alla radio. Oggi la costruzione del consenso è simile a quella di una campagna elettorale e bisogna curare ogni aspetto: il videoclip su Youtube, la promozione prima e durante il Festival, il numero degli streaming su Spotify: tutto contribuisce a creare interesse e senso attorno alle canzoni e a chi le incarna. Non sono più solo “canzonette”, ma è l’espressione di una vera e propria industria dell’intrattenimento che coinvolge competenze e risorse professionali per massimizzare l’impatto della partecipazione a Sanremo.

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Il format: servono davvero sei ore di show per cinque sere di seguito?

La domanda è volutamente retorica e la risposta è no. La messa in onda delle semifinali e della finale dell’Eurovision Song Contest, per esempio, dura molto meno (poco più di tre ore, e bisogna considerare che i meccanismi di voto dell’ESC sono ben più farraginosi rispetto al Festival di Sanremo). 

Le dirette del Festival durano così tanto per una serie di “non detti” di natura commerciale. Più sono lunghe le trasmissioni, più si può impattare su fasce orarie Auditel diverse, e questo amplifica il potenziale di raccolta pubblicitaria del programma (Sanremo è fondamentale per la Rai da questo punto di vista: nel 2023 il servizio pubblico avrebbe raccolto intorno ai 50 milioni di euro attraverso la vendita di spazi legati sia alle sponsorizzazioni sia agli spot). Per lo stesso motivo, per esempio, anche i talk show politici durano molto più del necessario.

La necessità di ‘allungare il brodo’ porta però a una serie di distorsioni che molto spesso sono all’origine di buona parte delle polemiche generate attorno al Festival: la presenza degli ospiti, la quantità e la natura dei monologhi (a proposito: la ventata fresca in campo musicale e culturale, che la Rai giustamente rivendica, avrebbe potuto e dovuto essere accompagnata anche da un ripensamento del consueto ruolo ancillare delle donne ospiti al Festival di Sanremo), la superfetazione di esibizioni musicali legate alle necessità di visibilità degli sponsor (la querelle legata a Fedez e alla foto strappata del viceministro Bignami vestito da Hitler è legata a un’esibizione avvenuta al di fuori del contesto di gara e anche fisicamente al di fuori del teatro Ariston di Sanremo) sarebbe qualcosa di cui prima di tutto il pubblico potrebbe fare a meno, anche considerando il livello di qualità sempre più alto della rassegna canora in sé, che in questa fase positiva per la salute della musica italiana rappresenta il vero elemento di attrattività del Festival.

Lo stesso bisogno di “quantità” necessaria a riempire lo spazio della messa in onda televisiva ha poi portato a un progressivo aumento del numero di cantanti in gara nel corso degli anni. Una competizione con 28 partecipanti (come è avvenuto nell’edizione 2023) è probabilmente eccessiva e rischia di annacquare un po’ il livello medio dell’offerta musicale, soprattutto per ciò che riguarda le esibizioni di livello medio-basso. Non è un caso se gli ultimi posti della classifica di quest’anno sono stati occupati in buona misura da artisti provenienti da Sanremo Giovani o da altri talent show musicali.

Personalmente sogno un festival le cui puntate si concludono a mezzanotte, in cui la musica sia l’unica protagonista sulla scena fino al momento dello stop al televoto. La necessità di far passare i tempi tecnici di calcolo e attribuzione delle posizioni in classifica potrebbe essere soddisfatta dalla presenza di ospiti (musicali e non) o di esibizioni legate agli sponsor (chiaramente in quantità molto minore rispetto all’attuale format): una riduzione del numero dei partecipanti alla gara favorirebbe ulteriormente questo risparmio di tempo. Infine, fatto non secondario dal punto di vista della qualità del prodotto televisivo: ci sarebbe un maggiore spazio al protagonismo della musica a discapito della componente autoriale che, anche nel corso dell’edizione 2023 di questo Festival, è apparsa spesso deficitaria, in alcuni casi persino cringe. Letture dal gobbo in quantità esponenziale, stacchetti comici che non facevano ridere, fuori programma che non lo erano: è un destino forse inevitabile se bisogna riempire per forza sei ore di diretta per cinque giorni consecutivi, ma è qualcosa a cui buona parte del pubblico rinuncerebbe senza troppi rimpianti.

Questa opinione, però, resterà molto probabilmente nel campo dei sogni proprio perché va a scontrarsi con la logica commerciale e pubblicitaria che è all’origine della natura del Festival di Sanremo contemporaneo.

Questa è l'Italia del futuro: un paese di musichette, mentre fuori c'è la morte (cit.)

Se volessimo analizzare il Festival di Sanremo 2023 dal punto di vista dell’efficacia del prodotto televisivo in termini di ascolti e dell’offerta musicale in termini qualitativi ci sarebbero poche discussioni da fare: è stato un clamoroso successo.

È un elemento che va tenuto in debito conto soprattutto considerando l’evoluzione del dibattito politico degli ultimi giorni e le indiscrezioni secondo le quali il governo starebbe pensando di rimuovere i vertici della Rai per punirli per il mancato ‘controllo preventivo’ di alcuni contenuti considerati politicamente inopportuni (su tutti, la scelta di Fedez di strappare una foto del viceministro Galeazzo Bignami vestito da Hitler nel corso di una sua esibizione. Come se il problema fosse quello e non che l’Italia ha un viceministro che nel corso della sua carriera politica ha immaginato che vestirsi da Hitler nel corso di un addio al celibato sia una cosa divertente e soprattutto opportuna, a maggior ragione se sei un pubblico ufficiale).

Una simile ritorsione metterebbe plasticamente in scena tre elementi:

1. L’attuale maggioranza di destra dismetterebbe rapidamente la retorica del ‘merito’ con cui si è presentata a Palazzo Chigi, nel momento in cui subentrassero contenuti a loro sgraditi dal punto di vista politico. Rimuovere chi ha contribuito a rendere le ultime edizioni del Festival di Sanremo un successo sempre maggiore non avrebbe alcun collegamento con la qualità del loro lavoro (sia sul fronte degli ascolti sia su quello dell’offerta musicale) ma sarebbe esclusivamente un atto di censura politica e di controllo del servizio pubblico per fini di condizionamento della sua offerta, in barba al pluralismo che è alla base della mission della Rai sin dalla sua origine.

2. Il Governo Meloni mostrerebbe la sua vera inclinazione, di cui già è stato possibile notare alcune avvisaglie nei mesi scorsi, a partire dalle querele temerarie non ritirate dalla leader di Fratelli d’Italia pur essendo diventata presidente del Consiglio: la volontà di non concedere spazi di dissenso rispetto a un ‘pensiero unico’ di natura conservatrice, se non proprio reazionario (il proprio): dopo che la destra si è lamentata per anni di 'dittatura del pensiero unico’ e del politicamente corretto’ nel nostro paese, di fatto si sta provando a imporre un nuovo ‘pensiero unico’, attraverso pressioni più o meno indirette al fine di azzerare l’espressione di qualsiasi pensiero non sia controllato e vidimato preventivamente dal potere politico. La tragicomica pantomima sulla presenza del premier ucraino Zelensky a Sanremo attraverso un videomessaggio e le relative polemiche, che poi ha portato la Rai a modificare la sua idea originaria di un videomessaggio, sino ad arrivare alla lettura di un assai meno accattivante testo scritto inviato da Zelensky e letto da parte del conduttore del programma, Amadeus, di sabato alle due di notte (con l’obiettivo di annacquarne profondamente l’impatto: obiettivo, tra l’altro, perfettamente raggiunto) proprio nei giorni in cui lo stesso Zelensky è stato accolto per un suo intervento dal vivo al Parlamento Europeo, è un’ulteriore dimostrazione dei pericoli collegati a ciò a cui stiamo assistendo nelle ultime ore, che non vanno affatto sottovalutati immaginando che, in fondo, si sta parlando solo di un festival musicale.

3. Rimuovere Amadeus dal ruolo di direttore artistico del Festival dopo un simile successo e come forma di ritorsione politica sarebbe il passo preparatorio per un intervento non solo sugli aspetti extra-musicali del Festival (che, come spiegavo prima, potrebbero essere ridotti in ogni caso, prima di tutto per aumentare la fruibilità televisiva dello show), ma anche su quelli squisitamente artistici a partire da una selezione preventiva dei partecipanti alla competizione, basata su criteri politici. Tutto questo avverrebbe dopo anni di retorica da destra secondo la quale non sarebbe opportuno ospitare contributi politici a Sanremo. In questi giorni sono sempre più evidenti le vere ragioni di questo continuo martellamento: scegliere ‘quale politica’ deve esserci e quale no. Anche nel corso di questo festival di Sanremo abbiamo assistito a una giusta presa di coscienza su quello che sta accadendo in Iran e un altrettanto giusto appello alla mobilitazione dopo il tremendo terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria. Il problema non è dunque la presenza della politica a Sanremo, non lo è mai stato. Il punto della questione oggi è che chi governa vuole scegliere i contenuti politici da trasmettere, e soprattutto quelli da non trasmettere. Si inizia da Sanremo, che essendo un format di intrattenimento è più facile da aggredire; il rischio è che, espugnato questo fortino, si possa decidere di andare molto oltre. Ed è per questo che ciò che sta accadendo va preso estremamente sul serio.

È anche per queste ragioni che Sanremo continua a essere un tassello fondamentale della storia e del racconto del nostro paese, “la cosa più importante tra le cose meno importanti”, parafrasando una famosissima citazione di Arrigo Sacchi sul calcio. Esagerato, provinciale, nazionalpopolare, cerchiobottista, un "distrattore" di massa mentre lì fuori c’è una guerra, un terremoto, diseguaglianze sociali gravissime: i difetti di Sanremo sono noti e non possono cambiare dall’oggi al domani. Ma il Festival è (da sempre) un caleidoscopio di ciò che l’Italia può offrire, nel bene e nel male, e non è un caso se proprio adesso rischia di diventare il principale terreno di scontro politico e una cartina di tornasole dello stato di salute della democrazia, e non solo della musica (ottima, per fortuna) dell’Italia di oggi.

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