Post

Fratelli d’Italia, l’orfanotrofio della destra

27 Gennaio 2013 8 min lettura

Fratelli d’Italia, l’orfanotrofio della destra

Iscriviti alla nostra Newsletter

6 min lettura

(Foto di Angelo Romano)

Sono circa le cinque di pomeriggio e una luce pallida si confonde con il bianco dei blocchi squadrati dell’Eur. Una fila di persone sosta all’ingresso del Palazzo dei Congressi, sormontato da uno striscione verde con il simbolo di Fratelli d’Italia e una scritta a caratteri cubitali gialli e bianchi che recita: «LIBERI ONESTI DECISI SENZA PAURA GIORGIA MELONI». Ho un attimo di pauroso smarrimento – e i bar hanno le serrande abbassate. Fa freddo.

Il 6 dicembre scorso – il giorno dopo la ridiscesa in campo di B. – un Guido Crosetto in preda alla frustrazione più totale aveva abbandonato lo studio di Omnibus con queste parole: «Io mi sono stufato, mi sono rotto, ma voglio che questa cosa molto personale diventi anche un dato politico. Preferisco alzarmi perché non ho più niente da dire sul tema e non voglio continuare a parlare del vuoto». Il 20 dicembre Giorgia Meloni annunciava su Twitter la nascita del nuovo movimento, in cui partecipa anche Ignazio La Russa: «È ufficiale. Io e Guido Crosetto lasciamo il Pdl. Nasce Fratelli d'Italia, movimento di centrodestra. Onestà, partecipazione, meritocrazia».

Qualche giorno dopo aver lasciato il Pdl, i dissidenti Meloni/Crosetto/La Russa decidevano coerentemente di allearsi con il Pdl, giustificando il tutto con una frase del tipo: «né con la sinistra né con Monti». Una motivazione che assomiglia a quella di alcune mogli picchiate selvaggiamente dai mariti alcolizzati: «è vero, lui abusa di me, però mi ama ancora».

A ogni modo, il 26 gennaio 2013 è il gran giorno della convention elettorale. Nel piazzale davanti al Palazzo sostano i Taxisti per Meloni (la risposta de destra ai Marxisti per Tabacci). Issano le bandiere di Fratelli d’Italia sulle loro vetture; sono presenti in forze grazie alla candidatura al Senato di Loreno Bittarelli, il capo dei tassisti romani del “3570”, definita da LEspresso «una delle lobby più potenti della Capitale». Verso le cinque e mezzo arrivano alla spicciolata i big del partito. Non appena Giorgia Meloni fa la sua apparizione, i fotografi si gettano come cani sull’osso, lei fa una brevissima sfilata su black carpet e poi schizza dentro, ché qui si deve iniziare la manifestazione.

La sala è gremita. Siccome l’idea di stare in piedi per 2+ ore mi atterrisce, non appena individuo delle poltrone libere mi fiondo a occuparle. Dietro di me ci sono quattro o cinque attempate Sorelle d'Italia in simil-pelliccia sul cui volto dev’essere passato un B-52 di fondotinta. Qualche sedia più avanti, una ragazza si sta facendo scattare delle foto con il palco sullo sfondo, neanche fosse la Costa Concordia arenata sul Giglio.  Sul maxischermo, intanto, scorrono in loop i mantra elettorali di Fratelli d’Italia - «Sfida il futuro. Senza paura.»). Ci sono cattive vibrazioni nell’aria.

Sul palco salgono la presentatrice e Fabio Rampelli, «signore delle tessere a Roma e dintorni» (secondo L'Espresso), nonché ex amico di Alemanno e Storace. Mentre ci sono problemi con i microfoni, scambio due parole con un ragazzo proveniente da An. Gli chiedo dell’alleanza con il Pdl. Risposta: «È una cosa che fa rodere il culo, ma a mali estremi, estremi rimedi». L’obiettivo, continua, è comunque quello di «fare una destra unita». D’accordo, ma è proprio necessario farlo con questa gente, che per 20 anni è stata organica al berlusconismo? «Devi turarti il naso – argomenta il ragazzo – perché siamo orfani di un vero partito di destra». Annuisco. Più che a un partito vero e proprio, Fratelli d’Italia in questo momento assomiglia a un orfanotrofio che raccoglie tutti i reduci sfrattati dall'affollata casa della Destra Italiana.

Dopo aver risolto i problemi con l’audio e aver ascoltato uno degli inni d’Italia più lugubri della mia vita, finalmente si comincia. Rampelli spiega l’obiettivo primario di Fratelli d’Italia: «Vogliamo rifondare la destra italiana». Poi attacca i «sindacati talebani» e la «finanza rossa». A un certo punto parla del neonato partito in termini di «freschezza» dell’offerta elettorale. Alla parola «freschezza» - e soprattutto guardando le prime file della platea – il pubblico risponde con un timidissimo applauso: forse è troppo anche per loro. Infine, Rampelli chiude l’intervento così: «Non vogliamo farvi perdere troppo tempo con questa manifestazione perché fuori c’è il mondo». Già.

Sul maxischermo viene proiettato un video «emozionale» (definizione di Rampelli) di qualche minuto chiamato «Uomini e popoli senza paura». È una specie di pantheon ideale del partito: dentro ci sono Milla Jovovich (pardon, Giovanna d’Arco), Oriana Fallaci, Madre Teresa di Calcutta, Margaret Thatcher, Giovanni Paolo II, Aragorn del Signore degli Anelli, Gandhi e altri ancora. Verso la fine del video scorre la famosa immagine di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, accompagnata da un lungo applauso spontaneo e da brividi gelidi lungo la mia schiena.

Arriva il turno dell’ex Ministro della Difesa Ignazio La Russa, che se la prende subito con i sondaggisti e Renato Mannheimer: «In privato mi aveva detto che FdI poteva attestarsi tra il 2 e il 4 per cento. Gli ho chiesto come mai però successivamente non lo ha detto in televisione. Mi ha risposto che per un movimento nuovo, di destra, la forbice più ragionevole era tra l'1 e il 2... E invece, Renato, vai in tv e dillo che siamo attorno al 4». La Russa poi elenca brevemente i valori e i punti programmatici di Fratelli d’Italia, che in realtà sono un miscuglio tra destra sociale storica e antipolitica alla Movimento 5 Stelle (le banche! L’Italia offesa! I giovani! I due marò! Le foibe! La casta! L'onestà! Liste pulite!), e rassicura la platea: «Sono due i nostri imperativi: mai con la sinistra e mai un Monti bis. La gente sa che si può fidare». Prima di scendere dal palco, La Russa allarga le braccia e consegna ai posteri una frase indimenticabile: «Sono salito, sono disceso, sono venuto nella politica». Applausi.

Ecce Guido Crossetto sul palco. «Ammazza quanto è arto» esclama un mio vicino di poltrona. In effetti, Crosetto è veramente enorme – una specie di Fudo della Montagna di Kenshiro che dopo più di 10 anni si è accorto che lavorare per la Morte Nera non era una cosa di cui vantarsi troppo in giro.

(In questo video Guido Crosetto discute animatamente con i vertici del Pdl se sostenere o meno le manovre economiche del governo Monti.)

Il deputato e imprenditore originario di Cuneo inizia dicendo che «questo partito è un bambino», che il risultato elettorale non è importante, che questo è solo il punto di partenza di un lungo percorso e che c’è «la pazzia di fare un partito prima delle elezioni e giocarci tutto: cos’abbiamo da perdere?». Crosetto racconta l’imbarazzo che si provava all’interno del Pdl nel doversi sedere accanto a personaggi impresentabili e donne «con la sesta di seno», e promette: «Non faremo un partito da casting di Beautiful». Infine, rende conto dell’aspirazione del partito: «Noi dobbiamo essere rivoluzione culturale per questo Paese».

Sono le sette e il sole è scappato da un pezzo. Giorgia Meloni si sistema dietro il podio, armeggia con i microfoni e si prepara a lanciare l’orazione finale della convention. Come prevedibile, è tutto un discorso d’attacco. Nel mirino della Meloni passano il Pdl, gli odiati fratelli camerati di Alleanza Nazionale, Vendola, la “Sinistra”, il Partito Democratico e, soprattutto, «l’oligarca» Mario Monti, il macellaio sociale che in un solo anno ha dato il colpo di grazia a un Paese che nelle ultime legislature era stato massacrato da governi in cui la destra di La Russa/Meloni/Crosetto & co. non ha mai governato.

Per la Meloni, infatti, la generazione Monti «ha perso», e ora è giunto «il tempo della generazione senza futuro» - cioè quelle generazioni a cui il futuro è stato scippato dalle politiche degli ultimi 15 anni. Devo ammetterlo: faccio un po' fatica a seguire questa parte di discorso.

Non può mancare, ovviamente, la Girandola Di Citazioni Improprie. La Meloni in successione cita Giorgo Gaber (brividi), Pericle (curiosamente sceglie proprio un passaggio che anni fa era costato la censura Rai a Paolo Rossi) e addirittura parafrasa il celebre monologo di Mel Gibson in Braveheart, che è un po’ il Sacro Graal dell’Orazione Politica di destra e un ottimo modo di chiudere una convention quando non si hanno idee.

Mentre in sala si riaccendono le luci, l’ossigeno torna a riaffluire al cervello e le (poche) bandiere di Fratelli d’Italia sventolano pigramente, l’ultima immagine che registro è quella di Ignazio La Russa che attraversa il palco di corsa, raggiunge Crosetto e Meloni e si lascia ritrarre con loro in una foto di gruppo degna di una posse anni ‘90.

Fuori dal Palazzo dei Congressi è buio, i volontari caricano il materiale elettorale sui furgoni e i taxi se ne sono già andati. C’è stanchezza, e un grande senso di vuoto. Scendo le scalinate a passi veloci e sento la voce di un uomo, che al telefono parla della convention appena conclusa con un tono chiaramente soddisfatto: «In questo cimitero in cui ci troviamo finalmente c’è una ventata di sorriso».

Non si sta muovendo nemmeno una foglia.

*

Freak Factor – 30 giorni di inferno elettorale" è il diario, rigorosamente irregolare, di Valigia Blu che segue gli aspetti assurdi e ridicoli di quella che si preannuncia come una delle campagna elettorali più squallide nella storia dell’Italia Repubblicana.

Segnala un errore