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Perché per il lavoro non è ancora la #lasvoltabuona

6 Marzo 2015 6 min lettura

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Perché per il lavoro non è ancora la #lasvoltabuona

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Sembra non esserci luce in fondo al tunnel del mercato del lavoro in Italia. Questo almeno è il quadro che emerge analizzando i dati Istat sull’occupazione pubblicati lo scorso 2 marzo e le comunicazioni obbligatorie rese note dal ministero del Lavoro, utili a monitorare le informazioni sulla vita lavorativa degli italiani.

Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica a gennaio 2015 c'è stato un aumento di 131.000 occupati (differenti dai "posti di lavoro", come già spiegato precedentemente) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nel complesso del 2014, rispetto all'anno precedente, il numero di occupati ha registrato un incremento (+88 mila) suddiviso tra il Nord e il Centro, mentre nel Mezzogiorno c'è stata una diminuzione di 45 mila unità.

Un aumento dovuto principalmente alla crescita dei contratti part-time (+124mila). Quelli a tempo pieno hanno registrato infatti un contrazione di 35mila unità.

Emerge in particolare un mercato del lavoro caratterizzato da sottoccupazione e precariato, come mostra anche l’incidenza del part-time involontario (Figura 1), soprattutto tra i giovani. I lavoratori tra i 15 e 24 anni che hanno accettato un lavoro part-time, pur aspirando a un lavoro a tempo pieno, sono più che raddoppiati tra il 2008 e il 2014 (+57%), mentre nello scorso biennio l'aumento è stato del 3,45%. Dato che rimane elevato anche per i fratelli maggiori e per i genitori per i quali l’incidenza del part-time involontario supera in entrambi i casi il 60%.

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Figura 1. Clicca per ingrandire. Fonte: rielaborazione propria su dati Istat

Guardando ancora ai dati Istat, i contratti a tempo determinato rappresentano il maggiore contributo (il 90%) all'occupazione, mentre quelli indeterminati si fermano solo al 20%.

Tabella 1
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Per capire come varia nel tempo il numero dei posti di lavoro bisogna guardare, invece, quanti contratti nuovi sono stati attivati e quanti sono stati chiusi in un determinato periodo.
L'altro ieri il ministero del Lavoro ha pubblicato i dati trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie, che sono alla base del calcolo dei posti di lavoro. Il risultato è sorprendente in negativo: nel quarto trimestre del 2014 i contratti cessati superano quelli avviati di quasi 900.000 unità.

Un dato spaventoso che è bene comprendere e analizzare. Ogni anno, l’ultimo trimestre è quello caratterizzato da una forte contrazione degli avviamenti netti. Tuttavia, nel quarto trimestre del 2014, i rapporti di lavoro attivati al netto di quelli distrutti sono stati 60.000 in meno rispetto allo stesso trimestre del 2013. Confrontando le medie annuali, tra il 2013 e il 2014, si può leggere una riduzione complessiva di 3.956 posti di lavoro.

I nuovi contratti a tempo indeterminato (Figura 2) continuano a diminuire (-207.995 nel solo trimestre) e lo fanno più velocemente che nel 2013: confrontando infatti i dati del quarto trimestre 2014 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente si nota che quelli distrutti sono circa 14 mila in più (+7%).

Clicca per ingrandire. Fonte: elaborazione propria su dati Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro
Figura 2. Clicca per ingrandire. Fonte: elaborazione propria su dati Comunicazioni Obbligatorie del ministero del Lavoro

 

Mentre i contratti a tempo determinato continuano ad aumentare, i posti di lavoro diminuiscono del 12% nella comparazione dell’ultimo trimestre del 2014 rispetto al 2013. Solamente i contratti di apprendistato aumentano significativamente. Se esista una vera e propria sostituzione tra le diverse tipologie contrattuali e l’apprendistato è difficile da stabilire. Tuttavia, la rappresentazione statistica permette di affermare che le imprese hanno visto di buon occhio la nuova legislazione sull’apprendistato, introdotta dal decreto Poletti.

L’instabilità dei rapporti di lavoro è, invece, ben rappresentata dalla durata effettiva di quelli cessati: nell’ultimo trimestre del 2014, infatti, il 32% dei contratti terminati ha avuto una durata non superiore al mese, il 36% tra i 4 e 12 mesi e solo nel 16% dei casi oltre un anno (Figura 3).

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Figura 3. Clicca per ingrandire. Fonte: elaborazione propria su dati Comunicazioni Obbligatorie del ministero del Lavoro

 

Molti, troppi posti di lavoro distrutti, e molte persone in cerca di un’occupazione. Se nel confronto tra il 2013 e il 2014 l’aumento del tasso di occupazione è stato di un esiguo 0,2%, il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 12,7% nel 2014 (il 20% nel Mezzogiorno), con un crescita della disoccupazione di lungo periodo, cioè di coloro che non hanno un lavoro da tempo, pari al 60,7% dei disoccupati (+7% rispetto al 2013).

La variazione annuale del tasso di disoccupazione per tipo di disoccupato è trainato da chi è alla ricerca di prima occupazione (+14,3%) senza grosse differenze di genere, come mostra il prospetto 7 dell’Istat.

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Tirando le somme della condizione del mercato del lavoro italiano nel 2014, è utile anche stabilire da cosa è composta la riduzione del tasso di inattività, spesso sbandierata come la cifra della fiducia ritrovata da parte di chi non lavora. L’incremento del tasso di attività sembra essere dovuto all’aumento dei soggetti tra i 55 e i 64 anni che provano a cercare lavoro, come mostra la Figura 4 e non a un minor scoraggiamento dei più giovani, il cui tasso di inattività mostra ora un andamento crescente, nonostante sia rimasto costante tra il 2013 e il 2014. Al contrario, la riduzione del tasso di inattività degli over cinquanta, iniziata nel 2004, si intensifica notevolmente con la crisi e continua ad aumentare nel 2014, senza mostrare grosse differenze di genere.

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Figura 4. Clicca per ingrandire. Fonte: rielaborazione propria su dati Istat

 

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Come mostra infine la Figura 5, l’incidenza dei NEET, cioè di coloro che non studiano e non lavorano, è a fine 2014 più elevata di quella relativa all’ultimo periodo del 2013. A partire dalla fine del secondo trimestre del 2014, quando entra in vigore il decreto Poletti, la quota di NEET tra i 15 e 24 anni passa dal 20,34% al 23,75% (un aumento nel trimestre del 16,8%) per poi arrestarsi a fine anno al 22,3%.

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Figura 5. Clicca sull'immagine per ingrandire. Fonte: rielaborazione propria su dati Istat

 

I dati quindi continuano a mostrare che in Italia non si crea lavoro ma si distrugge nonostante i tentativi di fornire una narrazione differente e meno drammatica.

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