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La disabilità in Italia: dati, problemi e prospettive future

18 Febbraio 2024 10 min lettura

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La disabilità in Italia: dati, problemi e prospettive future

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Il tema della disabilità entra nel dibattito pubblico più per dichiarazioni eclatanti, come per le polemiche seguite all’articolo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere, o per casi come quello recentemente accaduto con il Decreto Anticipi: per via dei ritardi sui decreti attuativi, i fondi per per le politiche in favore delle persone con disabilità sono andati al ministero dell’Economia.

Eppure, al di là delle parole, i dati sulla situazione delle persone disabili nel nostro paese fanno emergere un quadro preoccupante, in particolare se confrontato con gli standard europei: da una parte legislazioni all’avanguardia, dall’altra risultati pratici che hanno spesso lasciato a desiderare. Ciò è di particolare importanza soprattutto a fronte del nuovo paradigma sulla disabilità: l’ambiente in cui è inserita una persona può amplificare o ridurre la disabilità. Le barriere architettoniche, per esempio, impattano negativamente sulla vita di una persona con disabilità. Qual è quindi la situazione del nostro paese su questo fronte? 

La disabilità in cifre

Partiamo dai dati generali sulla popolazione con disabilità nel nostro paese, riportati in un’audizione dall’ex presidente dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), Giancarlo Blangiardo, presso il comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità nel 2021. 

Nel 2019 le persone con disabilità erano 3 milioni e 150 mila. A essere più colpite sono le persone anziane: il 22% delle persone over 75 si trova in condizione di disabilità. Il fenomeno è particolarmente diffuso, a livello geografico, in Umbria e Sardegna: si tratta infatti di regioni in cui l’età media (un indicatore improprio ma che restituisce le caratteristiche demografiche) è rispettivamente la terza e la quinta su base nazionale. 

La scuola è l’ambito su cui è disponibile il maggior numero di dati. Ogni anno, infatti, l’ISTAT redige un rapporto sull’inclusione degli alunni e delle alunne disabili nelle scuole. Il più recente è stato svolto per l’anno scolastico 2022-2023 ed è stato pubblicato di recente. Vediamo che cosa emerge dai dati raccolti. 

Nell’anno scolastico preso in considerazione sono quasi 338 mila gli alunni con disabilità, il 4,1% degli iscritti, con un aumento su base annua di 21 mila unità, corrispondente a un 7%. Il rapporto dell’ ISTAT fornisce anche una panoramica sulla tipologia di problema: il 56% degli alunni con disabilità che frequenta la scuola d’infanzia presenta disturbi dello sviluppo psicologico, percentuale che scende al 23% nella secondaria di II grado. La disabilità intellettiva è invece più concentrata nelle secondarie, rispettivamente al 41,9%o per la secondaria di primo grado e 48,3 % per la secondaria di II grado. Importante sottolineare però che il 39% degli alunni con disabilità presenta più tipologie. Ancora una volta, questa condizione presenta una maggior incidenza negli alunni con disabilità intellettiva, dove il 54% dei casi vive in una situazione di pluridisabilità. 

Tra gli studenti con disabilità, il 28% ha problemi di autonomia, che si traducono in difficoltà negli spostamenti interni agli edifici, nell’andare in bagno o nel comunicare; questi ultimi più comuni. 

A mancare sono però gli insegnanti specializzati nel sostegno. Se infatti si osserva solo il rapporto alunno-insegnante, sembra emergere un dato positivo: ci sono più insegnanti di sostegno per alunno rispetto a quelli previsti dalla legge. Questo dato, tuttavia, nasconde in realtà una problematica che il nostro paese si porta avanti da anni. Quasi un insegnante di sostegno su tre, infatti, è selezionato dalle liste curriculari: non si tratta quindi di un esperto in materia, che ha ricevuto una formazione specifica per svolgere un ruolo delicato come quello di docente di sostegno, ma insegnati selezionati per coprire la mancanza di figure specializzate. Non sono quindi degli esperti, ma dei docenti con altre competenze che sono selezionati per la mancanza di figure specializzate. Il fenomeno è più presente al nord, mentre al sud la situazione è leggermente migliore.

ISTAT rivela poi un ritardo nell’assegnazione: dopo un mese di scuola, circa il 12%o degli insegnanti di sostegno non risulta ancora assegnato. Tuttavia il quadro va migliorando rispetto al passato: negli ultimi quattro anni, infatti, la quota di insegnanti che sono selezionati dalle liste curriculari è calata notevolmente. Persiste invece la discontinuità del rapporto tra alunno e insegnante: quasi due alunni su tre hanno cambiato insegnante di sostegno da un anno all’altro. La mancanza di continuità educativa rischia di essere un freno alla maggior inclusione degli alunni con disabilità nelle scuole. 

Recentemente questo tema ha suscitato uno scambio acceso, sulle pagine del Corriere della Sera, tra il Ministro Valditara e il giornalista Gian Antonio Stella. Secondo il giornalista del Corriere, la ventilata riforma dell'istituto di Valditara non è mai andata in porto e i problemi continuano a persistere, sebbene Stella abbia sottolineato come la responsabilità sia dei vari governi che si sono succeduti. 

Il ministro ha risposto con una lettera al Corriere in cui sottolinea, oltre all’aumento dei professori di sostegno, anche il vincolo di rimanere tre anni nel ruolo affidato. A questo ha risposto sempre Stella, facendo notare che già in precedenza, con una legge del 2015, vi era il vincolo di rimanere per cinque anni  (e non tre) nel ruolo affidato, ma le varie interpretazioni l’hanno di fatto sfalsato. 

Uno strumento importante per gli alunni con disabilità è il Piano Educativo Individualizzato (PEI) che, coinvolgendo scuola, famiglia specialisti e in alcuni casi anche l’alunno o l’alunna, permette la progettazione di un percorso inclusivo dello studente. Eppure anche in questo caso si assiste a dei ritardi: per un alunno su quattro, al 31 ottobre, quando la scuola è ormai iniziata da un mese e mezzo, non è ancora stato predisposto il PEI.  

Sull’accessibilità invece la situazione è eterogenea. Solamente il 40% delle scuole risulta accessibile ad alunni con disabilità motoria, con una forte componente locale: se al nord il 44% delle scuole è a norma, con regioni con la Valle d’Aosta che raggiungono il 74%, la situazione peggiora nel mezzogiorno dove solo il 36% delle scuole è a norma.

Ma, appunto, il quadro si fa più fosco per le persone con disabilità sensoriali. Nel caso delle persone affette da sordità o ipoacusia soltanto il 17% delle scuole dispone di strumenti adatti, mentre per cecità e ipovisione, dove sono invece necessarie mappe a rilievo e percorsi tattili, si scende all’1,2%. 

Le difficoltà persistono però anche in altre situazioni. Un contesto su cui si sono soffermate le analisi ISTAT è quello dell’accesso alla cultura, in particolare biblioteche e musei. Se buona parte dei musei presenta servizi igienici a norma e rampe o ascensori per favorire le persone con disabilità motorie, a mancare sono i servizi per le persone con disabilità visive, come i percorsi tattili o i video nella lingua dei segni. Anche nelle biblioteche si assiste a problematiche simili. 

Queste potrebbero poi svolgere un ruolo attivo nell’inclusione, ma sono poche le biblioteche sul territorio che hanno attivato progetti destinati a persone con disabilità fisico sensoriale, emotiva o disturbi cognitivi. Interessante notare, come fa ISTAT, che le biblioteche in grado di offrire un’adeguata accoglienza alle persone con disabilità sono più presenti nei comuni con densità intermedia di popolazione, rispetto a quelli con elevata densità. 

Questo ha ovviamente delle conseguenze sulle reti sociali delle persone con disabilità. Solo il 43,5% dei cittadini con disabilità è inserito in una rete sociale di una certa dimensione, contro il 74,4% del resto della popolazione. Una differenza che produce un accesso molto ridotto ad attività culturali, sociali, politiche e sportive per le persone disabili, che si ritrovano così in uno stato di solitudine. 

Disabilità e povertà

La disabilità è fortemente collegata alla povertà. Sempre secondo l’audizione di Blangiardo, le famiglie delle persone con disabilità presentano un reddito annuo effettivo inferiore del 7,8% rispetto a quello nazionale. Di queste infatti quasi la metà riceveva, rispetto ai dati del 2021, un trasferimento monetario: in particolare assegni previdenziali e assistenziali, ma anche altri aiuti stanziati nel corso degli anni che possono essere consultati in dettaglio nella documentazione parlamentare. Questi aiuti, sottolinea Blangiardo, sono indispensabili per fornire assistenza alle famiglie, poiché senza i trasferimenti il rischio di povertà sarebbe considerevolmente più elevato. 

Tuttavia i trasferimenti da soli non garantiscono un tenore di vita dignitoso. Il 28,7% delle famiglie in cui c’è una persona con disabilità  è in condizioni di deprivazione materiali: ad esempio è indietro con bollette, affitto, mutuo; non può riscaldare adeguatamente l’abitazione; non può permettersi un'automobile o un telefono o una lavatrice. Questa situazione è particolarmente acuita al Sud. Ciò perché le famiglie in cui c’è una persona con disabilità si ritrovano ad affrontare spese aggiuntive di vario tipo, come quelle per i medicinali o per l’assistenza. 

Il dato desta particolare preoccupazione se si osserva la spesa dello Stato in materia. Come mostrato in un’analisi di Openpolis la spesa per malattia e disabilità nel nostro paese è la metà rispetto alla media europea rispetto al PIL. In particolare la spesa, se comparata ai paesi OECD, mostra una divergenza a partire dagli anni Novanta: se in un primo momento la spesa era in linea con gli altri paesi, a partire da quel periodo si assiste a un tracollo che l’Italia non ha ancora colmato. 

Veniamo ora alla situazione occupazionale delle persone con disabilità. È necessario sottolineare che, con la Legge nr. 68 del 1999, il nostro paese presenta un legislazione in materia estremamente avanzata, nonostante le difficoltà poi di attuazione. Due sono i punti principali del provvedimento. Il primo riguarda le quote: le imprese con un determinato numero di dipendenti sono obbligate a riservare una percentuale di posti di lavoro a persone con disabilità. 

Il secondo, invece, riguarda il collocamento mirato. Questo avviene attraverso varie procedure, come ad esempio Centri per l’Impiego specializzati in grado di destinare una persona con disabilità verso la carriera professionale più adatta. Questo va nella direzione di superare la precedente visione meramente assistenziale, inserendo la persona in un contesto lavorativo che sia fonte di soddisfazione e realizzazione professionale. 

Tuttavia, in una relazione al Parlamento dell’Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro (ANDEL), si sottolinea come oltre la metà delle persone iscritte alle liste di collocamento mirato si trova in una situazione di disoccupazione, ovvero disponibili a lavorare ma senza lavoro. Sempre la relazione ANDEL nota però un aumento delle assunzioni grazie soprattutto al Decreto Legislativo nr. 151 del 2015 che ha modificato il meccanismo di assegnazione delle quote destinate a persone con disabilità, spostandolo dalle nuove assunzioni al numero totale di dipendenti. Infatti, le aziende che non sono sottoposte all’obbligo, pur avendo aumentato il numero di assunzioni in valore assoluto, pesano meno sul numero di attivazione di contratti per persone con disabilità. 

Il confronto però con l’Europa restituisce un panorama a tinte fosche. Mentre in Europa la metà delle persone con disabilità è occupata, in Italia siamo fermi a un terzo. Per superare questo problema, come riferito dalla ministra per la Disabilità del Governo Draghi, Erika Stefani, è necessaria anche una riforma del sistema di collocamento mirato, con miglioramenti nelle banche dati in grado di far incrociare offerta e domanda di lavoro. 

Tra invecchiamento della popolazione e PNRR

Come detto, esiste uno stretto legame tra disabilità/non autosufficienza e anzianità. Infatti, già oggi, il 22% degli over 75 è in una condizione di disabilità. Stime sul lungo periodo sono state recentemente elaborate dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) nel suo rapporto. Nel 2050, stima INAPP, gli over 65 arriveranno a sfiorare i 20 milioni, il 34% della popolazione totale. Questo trend demografico, sempre secondo le stime dell’INAPP, ha delle conseguenze sul numero di persone con disabilità o non autosufficienti, per quanto detto prima: nel 2050 le persone con disabilità o non autosufficienti arriveranno a toccare quota 5 milioni.  

Ciò ha ovviamente delle ripercussioni sul sistema di cura che ancora oggi, soprattutto al sud, è perlopiù lasciato in mano alle famiglie. Non solo: con l’invecchiamento della popolazione e quindi una mancanza di persone in età lavorativa, questo potrebbe portare a delle problematiche dal punto di vista delle risorse. La spesa per disabilità e non autosufficienza dovrà necessariamente aumentare, ma questo a fronte di un mercato del lavoro dove si assiste a cambiamenti dovuti a cambiamenti demografici evidenti già oggi. 

Proprio su questo punto si concentra anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Per tale investimento sono previsti 500 milioni di euro. Il progetto va di pari passo con la formazione del personale sanitario per una maggior indipendenza delle persone con disabilità e non autosufficienti. In particolare si punta alla trasformazione, soprattutto per le persone con disabilità over 65, delle RSA in appartamenti singoli che siano poi integrati in una rete di servizi di cura e assistenza più capillari sul territorio. Questo, in un’ottica di maggior digitalizzazione, è inserito in un contesto di telesoccorso e in corsi per lo sviluppo di competenze digitali da parte degli anziani per un monitoraggio più tempestivo. 

Tuttavia anche in questo caso vi sono delle ombre: il piano infatti non rispetta la quota mezzogiorno, destinando all’area del paese poco più di un terzo delle risorse. 

La disabilità in Italia: tra buoni intenti, risultati meno brillanti e prospettive future

I provvedimenti varati finora non hanno eliminato le barriere e gli ostacoli affrontati dalle persone con disabilità. Anche la spesa pubblica sul tema è nettamente inferiore rispetto alla media europea. 

È necessario però sottolineare come il PNRR sia una grande opportunità, grazie anche al lavoro svolto dal governo Draghi sul tema e in generale il clima mostri segnali di un possibile miglioramento, sul fronte soprattutto della cura e delle opportunità lavorative delle persone con disabilità, al netto delle prospettive demografiche che rischiano però di creare una situazione estremamente delicata.  Soprattutto sul fronte sanità: anche in questo caso il PNRR interviene per cercare di rafforzare la sanità territoriale, ma - come più volte fatto notare - l’attuazione dei progetti e la capacità di spendere le risorse del Piano sembrano molto limitate. 

Il problema, come rileva anche un report dell’OECD, è soprattutto nella forte mancanza di personale sanitario infermieristico, senza il quale l’assistenza alle persone non autosufficienti e con disabilità diventa complicata. 

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Sul piano legislativo la ministra Locatelli ha presentato dei decreti attuativi che in linea teorica dovrebbero snellire la burocrazia per quel che riguarda prestazioni e servizi delle persone con disabilità. Sarà però necessario aspettare almeno il 2025 per vedere i primi effetti. Intanto, a livello di risorse, il governo Meloni ha sì effettuato una razionalizzazione dei vari fondi dedicati alle persone con disabilità, ma il nuovo fondo che ha istituito ha meno risorse rispetto a quelli che va a raggruppare: secondo le stime si tratta di 50 milioni di euro in meno. 

In generale quindi, se da una parte i tentativi di riforma sono condivisibili, la loro attuazione e il loro finanziamento lascia a desiderare, con conseguenze potenzialmente disastrose su un sistema sanitario che già oggi è in grande difficoltà. 

Immagine in anteprima: Marcus Aurelius via Pexels

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