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PNRR, bollette, appalti: la realtà economica presenta il conto al governo

30 Marzo 2023 8 min lettura

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PNRR, bollette, appalti: la realtà economica presenta il conto al governo

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Durante la campagna elettorale il volto della leader di Fratelli d’Italia appariva in primo piano nei manifesti per ribadire quanto fosse pronta a prendere in mano le redini del paese. Eppure, soprattutto dopo la strage di Cutro, il governo si è mostrato tutt’altro che pronto, trasmettendo in realtà nervosismo e frustrazione. Nonostante i tentativi di deviare il dibattito e l'agenda politica su temi identitari, più consoni all'attuale maggioranza, diverse questioni di natura economica si sono imposte, evidenziando i limiti del governo su un versante così cruciale.

PNRR: una strada in salita

Il primo grattacapo per la maggioranza è sicuramente il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Si tratta del piano che accompagna i fondi del Next Generation European Union, quelli negoziati al tempo della fase più acuta della pandemia dal governo Conte II finalizzati alla modernizzazione dei paesi che li ricevono per affrontare le sfide del futuro come la transizione ecologica e digitale. Il nostro paese, anche per far fronte alla debolezza strutturale che lo contraddistingue, è il primo per fondi ricevuti dall’Europa. 

Si tratta di fondi ingenti, 191 miliardi tra prestiti e sovvenzioni a fondo perduto, più un fondo complementare da 30 miliardi. Proprio in virtù di ciò e del ritardo che il nostro paese ha accumulato, assieme all’elevato debito che contraddistingue il nostro paese, è ritenuto un piano di vitale importanza per rientrare in una traiettoria di crescita. 

Questi fondi non sono però erogati indistintamente: i partner europei e la commissioni hanno richiesto soprattutto agli stati una serie di condizionalità (in particolare a quelli che ricevono più fondi), vigilando sia sull’attuazione di riforme necessarie per la crescita del paese - come quella riguardante la giustizia civile - sia sull’utilizzo dei fondi. 

In questi giorni il tema PNRR è tornato centrale sulla scena per via di due notizie che rappresentano un duro colpo per la maggioranza. La prima notizia riguarda proprio l’erogazione dei fondi, che come abbiamo detto è vincolata. La commissione europea avrebbe infatti congelato la tranche richiesta dal governo Meloni legata agli obiettivi, per un totale di 19.5 miliardi. Da quello che trapela da Palazzo Chigi, le perplessità della commissione non riguardano tanto i provvedimenti voluti dal governo Meloni, quanto quelli del governo Draghi, che era stato chiamato proprio per far fronte a questa sfida epocale del PNRR. In particolare quelli sulle concessioni aeroportuali, quelle sui teleriscaldamenti e quelle su progetti per lo stadio di Firenze e Venezia. 

Per ora la commissione ha preso tempo, ma dalle parti di Palazzo Chigi non si respira di certo ottimismo. Dopo il consiglio dei ministri è stata infatti convocata la cabina di regia per discutere proprio del tema. Il ministro per gli Affari Europei, Coesione e PNRR Raffaele Fitto ha infatti messo le mani avanti, visto che i prossimi obiettivi devono essere centrati entro giugno, che corrispondono a una rata di 16 miliardi di euro. Secondo Fitto è matematicamente impossibile rispettare le scadenze del PNRR fissate al 2026, chiedendo ai ministri di riportare criticità relative ai piani afferenti al proprio ministero. La speranza è rinegoziare proprio la scadenza del PNRR, portandolo al 2029, ma finora rimane solo un’ipotesi, caldeggiata dalla maggioranza nonostante le difficoltà da mettere in pratica. 

E qua arriviamo alla seconda notizia che preoccupa di più il governo Meloni: quella che proviene dalla corte dei conti. Secondo la relazione sul PNRR, infatti, l’Italia avrebbe speso solo la metà di quello che avrebbe dovuto, il 13% del totale. Tutte le missioni di cui è composto il PNRR sarebbe sotto il 10%, con alcune addirittura sotto al 5%. 

Ci sono due motivi per questi ritardi. Il primo, come facevano Gianluca Codagnone e Thomas Manfredi su Crossword, è che la struttura stessa del PNRR lo rende di difficile attuazione: i progetti sono troppo frammentati, di difficile attuazione e controllo. 

Il secondo riguarda invece la pubblica amministrazione italiana. Come già suggeriva il Forum Disuguaglianze e Diversità di Fabrizio Barca, per spendere al meglio le risorse la pubblica amministrazione necessita di una rivoluzione. I dati OCSE sono infatti drammatici: il nostro paese presenta il minor numero di under 35 sul totale dei dipendenti statali rispetto ai paesi presi in considerazione, nonché il maggior numero di persone anziane, che per loro natura sono meno reattive ai cambiamenti tecnologici.

C’è inoltre un elevato ricorso al precariato - oltre 350 mila - e una spesa per formazione insufficiente, 48 euro a testa solo per i dipendenti a tempo indeterminato che equivalgono a una giornata all’anno. 

Si tratta, però, di carenze strutturali: con gli anni, gli stati occidentali hanno infatti perso quelle che nella ricerca economica si chiamano “potenzialità dinamiche”, ovvero la capacità di dispiegare risorse e persone competenti con il cambiare delle circostanze. In Italia il problema è particolarmente ingombrante proprio per quanto detto sulla distribuzione anagrafica e la spesa in formazione. 

Senza un vero e proprio cambio di passo sulla pubblica amministrazione, il rischio è che il PNRR resti perlopiù su carta.

La battaglia in Europa sull’auto elettrica

Non va meglio in Europa, dove il governo italiano di Meloni ha incassato una sonora sconfitta con il voto del consiglio europeo a favore del ban all’immatricolazione- necessario ribadirlo: solo immatricolazione- di auto a combustibili fossili dopo il 2035 per ridurre le emissioni e orientare l’industria verso auto elettriche. All’interno del consiglio europeo il voto sul provvedimento, proposto dalla commissione europea all’interno del programma Fit 55 e dal parlamento europeo, era stato in un primo rimandato dalla presidenza svedese di turno, per via della contrarietà di paesi come l’Italia e la Germania, che in Europa è il paese decisamente più influente. 

Dopo l’approvazione da parte del parlamento europeo, il ministro dei trasporti tedesco Volker Wissing aveva annunciato a inizio marzo che il paese non avrebbe sostenuto il pacchetto se non ci fosse stata un’esenzione sugli e-fuel, ovvero dei carburanti sintetici a basse emissioni. Il nostro paese con il ministro Picchetto Fratin aveva invece proposto di inserire anche i biocarburanti, che a differenza degli e-fuel derivano da prodotti di scarto Qualche giorno fa però il Consiglio Eu-Trasporti ha votato il provvedimento che include gli e-fuel, ma non i biocarburanti. L’Italia, insieme a pochi altri paesi, si è astenuta. Solo la Polonia ha votato contro. 

Il motivo dietro questa scelta, secondo il governo, sarebbe preservare la cosiddetta neutralità tecnologica: lo stato non sceglierebbe su quali tecnologie puntare, ma sceglierebbe soltanto gli obiettivi lasciando al mercato la combinazione ottimale. Questo in realtà non ha nulla a che fare con il regolamento europeo: il regolamento si limita infatti a vietare l’immatricolazione su combustibili inquinanti, agendo sulle quantità come prescrive anche la ricerca economica sul tema. 

In realtà il governo è consapevole dei ritardi che l’industria automobilistica italiana ha accumulato nel corso degli anni. Secondo i dati più recenti dell’istituto Jato Dynamics, nonostante il buon risultato a livello europeo dell nuova Fiat 500 elettrica, è proprio il nostro paese a essere il fanalino di coda per quota di mercato, unico inoltre ad aver visto una contrazione rispetto all’anno passato dello 0.9%. 

Per evitare che il nostro paese rimanga indietro rispetto a quanto si appresta a essere approvato anche al Consiglio Europeo, servirebbe una strategia industriale in grado di orientare il mercato, come suggerisce la ricerca sul tema. Questo incontra però due problemi. Il primo, manco a farlo apposta, sono i soldi: bisogna trovarli. Si potrebbe trovare un misero tesoretto andando a intervenire su incentivi che non generavano innovazione, che al tempo dell’ultimo calcolo svolto da Giavazzi nel 2012, valevano 10 miliardi di euro. Questi potrebbero essere impiegati per un fondo relativo a progetti a missione, come proposto dall’economista del MIT e LSE John Van Reenen per gli USA, tra cui appunto quello della mobilità sostenibile.

Il secondo problema, però, riguarda proprio le dinamiche di innovazione. Queste sono contraddistinte dalla “distruzione creatrice”: i vecchi prodotti e le rendite che generano vengono spazzati via da nuovi prodotti e imprese, in un processo senza fine. Questo porterebbe quindi chi, in questi anni, non ha voluto innovare e acquisire le capacità di aggiornare la propria produzione fuori dal mercato. 

Il governo Meloni sarà capace di un piano ambizioso di questo tipo, anche a costo di scontentare la filiera dell’automotive italiana? Ognuno tragga le sue conclusioni. 

Decreto Bollette e codice appalti

Avviandosi alla conclusione di marzo, il governo ha dovuto necessariamente mettere mano agli aiuti riguardanti il caro bollette. Ma, oltre ai provvedimenti sul tema, il decreto Bollette conterrebbe anche disposizioni in materia fiscale. In particolare un nuovo condono varato dal governo Meloni. In particolare si tratta di uno scudo penale: chi ha evaso tributi come l’IVA si ritroverebbe solo a pagare il dovuto senza ripercussioni penali. 

Inoltre, proprio per le scadenze del PNRR il governo ha dovuto mettere mano al codice appalti, ovvero il codice unico che norma i rapporti tra la pubblica amministrazione e coloro che devono svolgere servizi o costruire opere. A presentarlo il ministro delle infrastrutture e leader della Lega Matteo Salvini, che parla di una rivoluzione che sbloccherà cantieri in tutta Italia, un tema su cui il ministro è tornato spesso nelle ultime settimane. Non sono del tutto convinti però sindacati e costruttori. 

D’altronde le perplessità riscontrate nel nuovo decreto appalti non sono poche. La novità più sostanziale riguarda le gare d’appalto: il nuovo decreto infatti rende strutturale le norme previste durante l’emergenza Covid, permettendo assegnazione diretta per lavori al di sotto di 5 milioni e 382 mila euro, che ad esempio nel 2022 rappresentano il 98.7% dei lavori, secondo l’ultima relazione ANAC. Secondo Salvini questo renderebbe più veloci le procedure. Non sono d’accordo però sia i sindacati sia le associazioni di categoria. In particolare le associazioni rilevano come le lungaggini relative alle gare d’appalto siano solo una parte del rapporto con la pubblica amministrazione. D’altronde, secondo i dati dell’International Civil Service Effectiveness dell’Università di Oxford la nostra Pubblica Amministrazione, fatto 100 il livello massimo d’efficienza della PA, il nostro paese ha un punteggio di 20, laddove la media dei paesi avanzati è di 60. Questa lunghezza si ripercuote anche sui costi dell’azienda, con un esborso che è di cinque volte superiore rispetto a uno dei paesi più efficienti sul tema, ovvero il Canada. 

La seconda importate novità è quella sul subappalto a cascata. Questo permetterebbe quindi il subappalto del subappalto, che desta preoccupazione soprattutto perché aumenterebbe, secondo gli esperti, il rischio di infiltrazione della criminalità organizzata (nonostante la stessa commissione europea propenda per la soluzione voluta dal governo). 

I cambiamenti apportati dal governo, secondo i critici, avranno più effetti sulla concorrenza, già oggi non del tutto encomiabile nel nostro paese, e sulla trasparenza. 

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Che futuro per il governo Meloni?

Meloni e i suoi alleati lo avevano ben presente fin da subito che non sarebbe stato facile ereditare la guida del paese. Si sapeva che gli impegni coi partner europei, assieme a una situazione economica globale non rosea,  avrebbero messo a dura prova il suo progetto per il paese. Ma, alle colpe ereditate, si aggiunge quello che a cui stiamo assistendo in questi mesi: un misto di incapacità - che traspare dal malcelato nervosismo dei membri più illustri della maggioranza - e difesa degli interessi che rappresenta, ma che rallentano e azzoppano la crescita del paese.

Finora queste difficoltà non hanno avuto grandi effetti dal punto di vista elettorale: oltre a un calo della Lega, il consenso elettorale per Fratelli d'Italia rimane stabile, complice anche un andamento positivo del mercato del lavoro. I problemi del governo Meloni nel gestire la situazione economica, però, faranno sentire il loro peso sul lungo periodo, quando le ricette salvifiche per rilanciare l'economia si dimostreranno per quello che sono e i ritardi nella gestione dei fondi lasceranno indietro l'Italia. Sperando, magari, che la congiuntura macroeconomica internazionale aiuti ad attenuare gli effetti.

Immagine in anteprima: ANSA

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