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India: donne e bambine stuprate, uccise, bruciate. In migliaia in piazza contro l’indifferenza del governo

11 Dicembre 2019 7 min lettura

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India: donne e bambine stuprate, uccise, bruciate. In migliaia in piazza contro l’indifferenza del governo

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Hanno trovato il suo corpo carbonizzato la mattina del 28 novembre, avvolto in una coperta sotto un cavalcavia nei dintorni di Hyderabad, capitale del Telangana, nell’India meridionale. “Disha” – questo il nome di fantasia con cui è stata chiamata per ragioni legali dopo la morte – aveva 27 anni e faceva la veterinaria. È stata uccisa e data alle fiamme dopo essere stata stuprata da quattro uomini, che l’avevano attirata con l’inganno.

Come ricostruisce India Today, alle 18 del pomeriggio del 27 novembre, Disha aveva parcheggiato il suo scooter per prendere un taxi condiviso e recarsi a Gachibowli, a 26 km di distanza, dove aveva appuntamento per una visita medica. Intorno alle 9 di sera era tornata indietro a riprendere il motorino, ma si era accorta che aveva le ruote a terra. L’autista di un camion parcheggiato nelle vicinanze e un altro uomo si erano offerti di aiutarla: uno dei due avrebbe portato lo scooter a riparare nelle vicinanze, e poi sarebbe tornato indietro. Disha aveva accettato, ma con il passare del tempo aveva iniziato a preoccuparsi. Dopo 20 minuti aveva chiamato la sorella, spiegandole la situazione, dicendo di avere paura perché quegli uomini erano lì fermi davanti a lei, mentre del motorino non si vedeva l’ombra. La sorella le aveva consigliato di prendere un taxi e tornare a casa. Disha aveva risposto che l’avrebbe richiamata a breve, ma di lei da quel momento non si è avuta più nessuna notizia.

Secondo la polizia, i due uomini erano membri di una banda di quattro persone che aveva organizzato la trappola, sgonfiando appositamente le ruote del motorino della ragazza. I quattro sono stati poi arrestati, e hanno confessato di aver stuprato a turno Disha dopo averla trascinata in un posto chiuso a pochi metri di distanza, di averla strangolata e di aver trasportato il suo corpo senza vita per circa 20 km a bordo del camion. Poi l’hanno gettata sotto a un cavalcavia e le hanno dato fuoco.

La vicenda di Disha ha scatenato un’ondata di indignazione e proteste. Tantissime persone si sono radunate fuori dal commissariato di polizia nella periferia di Hyderabad dove erano stati portati i colpevoli, invocando la pena di morte e chiedendo alla polizia un’assunzione di responsabilità per questi casi.

Secondo la testimonianza della famiglia di Disha, infatti, la sera della sua morte i genitori avevano girato diverse stazioni di polizia per lanciare l’allarme della scomparsa della figlia, ma si erano sentiti rispondere dagli agenti che forse la ragazza era fuggita con qualcuno. Solo diverse ore dopo sono effettivamente partite le ricerche. «L’apatia della polizia ci è costata nostra figlia», ha detto il padre a India Today TV. Le proteste hanno portato alla sospensione di tre agenti.

Shyamala Kunder del National Commissioner for Women (NCW) ha spiegato che la famiglia di Disha è in stato di shock per essere stati mandati di stazione in stazione per questioni di giurisdizione. «Se la polizia avesse risposto immediatamente, forse avrebbe potuto salvare questa ragazza. Ora chiediamo una punizione immediata per i colpevoli, per mandare un messaggio forte alla società», ha aggiunto.

La protesta si è estesa in diverse città indiane, tra cui Delhi, Bengalore e Calcutta.

Le mobilitazioni ricordano quelle avvenute sette anni fa, dopo lo stupro di gruppo e l’uccisione di una studentessa su un bus a Delhi. È stato in quel momento che nel paese si sono accesi i riflettori sul problema della violenza sessuale.

Il caso di Disha, infatti, è tutt’altro che isolato. Le statistiche parlano di circa 90 casi di violenza sessuale al giorno, in un paese che in un’indagine del 2018 condotta dalla Thomson Reuters Foundation è stato definito il più pericoloso al mondo per le donne.

Nei giorni seguenti della ventisettenne, sono emersi altri casi di violenza brutale contro donne e bambine: una ragazza è stata uccisa e bruciata dopo essere stata stuprata in gruppo nella città di Buxar nell’India orientale, mentre in un piccolo villaggio del Rajasthan (a nord) una bambina di sei anni è stata violentata e soffocata da un vicino di casa.

Un altro episodio è accaduto il 5 dicembre, nello stato settentrionale di Uttar Pradesh, dove una donna di 23 anni è stata cosparsa di petrolio e data alle fiamme. La ragazza era sopravvissuta a una violenza di gruppo alcuni mesi fa, e aveva presentato denuncia. Stava andando a incontrare il suo avvocato in vista del processo. Tra gli assalitori – cinque uomini – c’erano anche due dei suoi stupratori, fuori su cauzione. La donna è morta il giorno dopo a causa delle ustioni sul 95% del corpo.

Swati Maliwal, attivista per i diritti delle donne a capo del Delhi Women’s Commission, ha iniziato domenica 1 dicembre uno sciopero della fame per chiedere al governo un cambio di passo legislativo e giudiziario e fermare le violenze sessuali. «Negli ultimi tre anni mi sono occupata di 55 mila casi di stupro e violenza sessuale, ma quando ho sentito del caso di Hyderabad e poi di quello della bambina di sei anni non ce l’ho fatta più», ha spiegato al Guardian. «Il sistema – ha aggiunto – ha fallito, dalla polizia ai tribunali. Chiedo maggior risorse, più responsabilità della polizia, processi più veloci, un sistema forte che punisca gli stupratori e un messaggio da parte del governo che non verranno tollerate altre violenze sessuali. E se devo morire affinché questo succeda, così sia».

Maliwal ritiene che il silenzio del primo ministro indiano Narendra Modi sia la prova di una totale mancanza di interesse da parte del governo sul problema. «La paura dello stupro è uno stato d’animo permanente per le donne in questo paese; ce l’abbiamo dentro dal momento in cui nasciamo ed è impossibile sfuggirle. Penso costantemente alla mia sicurezza, ed è così quasi per tutte le donne in India».

Per Deepa Narayan, autrice del libro “Chup: Breaking the Silence About India's Women”, la società indiana «svaluta e deumanizza le donne sistematicamente, e lo stupro è il peggior sintomo».

Dal caso dello stupro sul bus del 2012 a oggi sono state approvate nuove leggi – ad esempio allungamento dei tempi di detenzione e pena di morte nel caso di vittime minori di 12 anni. Come ha scritto la corrispondente del Guardian Hannah Ellis-Petersen, l’opinione tra le donne e le attiviste è che il problema stia peggiorando, e che non ci siano stati grossi progressi. I governi degli stati indiani, ha aggiunto, non hanno nemmeno toccato il “fondo Nirbhaya”, con cui il governo centrale ha stanziato 10 miliardi di rupie per iniziative per la sicurezza delle donne: “Ad oggi, il 91% del fondo non è stato speso. Delhi, che vanta l’indesiderato titolo di ‘capitale mondiale dello stupro’, ha speso solo il 5% della sua dotazione”.

L’attenzione mediatica sul problema degli stupri ha portato più donne ad alzare la voce, ma il sistema giudiziario resta totalmente inefficiente. Secondo Ellis-Petersen, “le questioni sociali non vengono affrontate e la cultura dell’impunità per i crimini sessuali rimane salda”.

Se da un lato, infatti, c’è stato un significativo incremento delle denunce di stupro, passate da meno di 25 mila nel 2012 a oltre 38 mila nel 2016 (nel 2017, ultimo anno disponibile, la cifra era di 32.559), dall'altro, i tribunali non riescono a far fronte a questi numeri: i dati dicono che il 2017 si è chiuso con oltre 127.800 casi rimasti in sospeso – e solo 18.300 portati a termine.

Quanto alle condanne, tra il 2002 e il 2011 ci sono state nel 26% dei casi arrivati in tribunale. Dopo il 2012, il tasso aveva iniziato ad alzarsi, per poi tornare a poco più del 25% nel 2016 e poco sopra il 32% nel 2017. Secondo un’analisi della BBC sui dati, “può essere difficile arrivare a una condanna a causa dei tempi lunghi che occorrono ai casi per arrivare in tribunale, e delle pressioni che spesso vengono esercitate sia sulla vittima che su potenziali testimoni. Cosa che accade in particolar modo quando l’accusato è di alto profilo o ha legami politici”.

Una settimana dopo il ritrovamento del corpo di Disha, i quattro uomini accusati della sua morte sono stati uccisi dalla polizia in circostanze poco chiare. Stando a quanto ricostruito, si trovavano insieme a degli agenti sul luogo del delitto, per ricostruire alcuni particolari. I quattro avrebbero provato a scappare, e quindi sarebbero stati colpiti dagli spari dei poliziotti.

Come scrive il giornalista Kenan Malik sul Guardian, la violenza della polizia è essa stessa una questione in India, al pari di stupri e fallimento del sistema giudiziario. La polizia indiana è spesso accusata di questo tipo di esecuzioni extra-giudiziarie di sospetti, chiamate eufemisticamente “incontri”. “La rabbia profonda rispetto alla violenza sulle donne ha portato molti in India ad accogliere positivamente queste uccisioni. Ma la violenza non è un sostituto della giustizia. E consentire alla polizia di uccidere impunemente non è una cosa da celebrare, soprattutto per le donne”.

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Dopo il caso di Disha, su Twitter si era diffuso l’hashtag #HangTheRapists, mentre Jaya Bachchan, politica ed ex attrice di Bollywood, aveva dichiarato in Parlamento che per quanto possa sembrare duro «questo genere di persone dovrebbe essere portato in pubblico e linciato» e che di fronte a questi casi la gente «vuole che il governo dia una risposta appropriata».

Secondo Kavita Krishnan, segretaria di All India Progressive Women’s Association, però, questo tipo di risposta non fa che aggravare il problema: «La richiesta di pena di morte non è che una falsa pista. È l’opzione facile, perché evita qualsiasi responsabilità istituzionale e non costa niente, sono solo i legislatori che si auto convincono che tutto quello che serve per risolvere questo problema sia eliminare uno o due di questi diavoli. Non stiamo ancora affrontando il dibattito che abbiamo bisogno di affrontare, quindi nulla cambierà». Krishnan ritiene che tutto questo parlare di pena di morte in caso di stupro «significa solo che potremmo vedere più donne ammazzate, perché da vive sarebbero testimoni».

Foto in anteprima via Ansa

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