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UK al voto tra disinformazione e manipolazione online. E no, non c’entrano i russi

12 Dicembre 2019 7 min lettura

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UK al voto tra disinformazione e manipolazione online. E no, non c’entrano i russi

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Account ingannevoli, video manipolati e informazioni fabbricate: durante la campagna elettorale britannica la disinformazione online è stato uno strumento di propaganda nelle mani dei partiti di destra e di sinistra. Un articolo del New York Times analizza le strategie (e i colpi bassi) dei candidati alle elezioni che si tengono oggi.

Per anni i media si sono preoccupati delle cosiddette interferenze esterne, ossia di quelle campagne di disinformazione online create dalla Russia con l’obiettivo di destabilizzare il panorama politico occidentale, ma le elezioni in Gran Bretagna ci ricordano che le principali fonti di disinformazione abitualmente sono interne e ben integrate nella propaganda dei partiti.

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Il mese scorso, per esempio, il Partito Conservatore si è dovuto scusare dopo aver diffuso un video che era stato manipolato per far credere che il politico laburista responsabile della strategia del partito sulla Brexit non fosse in grado di rispondere a una domanda sull’uscita dall’Unione Europea.

Negli stessi giorni, sempre i conservatori, hanno comprato pubblicità su Google (poi bannata dal motore di ricerca) per far sì che chiunque cercasse il programma dei laburisti trovasse un sito nel quale venivano criticate le loro proposte.

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Solamente una settimana dopo, uno degli account ufficiali del partito di centro-destra è stato camuffato momentaneamente, durante il dibattito televisivo dei candidati, per sembrare un gruppo indipendente di fact-checker, sotto il nome “factcheckUK” e diffondere messaggi a favore di Johnson. Una mossa che non è piaciuta a Twitter, che ha denunciato come ingannevole la scelta dei conservatori.

Lunedì, durante un’intervista televisiva, Boris Johnson si è rifiutato di guardare la foto di un bambino di 4 anni con polmonite, coricato sul pavimento di un ospedale a causa della mancanza di letti. Una critica al Partito Conservatore per aver ridotto la spesa in sanità. Il Primo Ministro, dopo aver rifiutato di osservare la foto, ha preso il telefono del giornalista che tentava di mostrargli l’immagine e se l’è messo in tasca.

Il giorno dopo si è diffusa una teoria del complotto per screditare la famiglia del bambino, con dichiarazioni false che rivelavano che si trattava di una messa in scena. Tutto questo nonostante l’ospedale abbia confermato la veridicità di quella triste situazione e presentato delle scuse ufficiali. La bufala, nata da uno status su Facebook, è stata rilanciata anche da persone con una certa influenza mediatica, come la giornalista del Daily Telegraph Allison Parson che ha scritto su Twitter: "Allora, ho spiegazioni dettagliate date dalle infermiere di pediatria che spiegano perché la foto del bambino sul pavimento è 100% falsa". E ha poi continuato in un altro tweet: "Mettere in scena una foto. Causare indignazione. Attaccare le persone che dubitano dicendo loro di non avere sufficiente compassione. Gesù".

Durante la campagna elettorale sono stati utilizzati anche dei video manipolati. Facebook e Google hanno rimosso un video sponsorizzato del partito conservatore in cui dei giornalisti della BBC dicevano frasi del tipo "inutili ritardi alla Brexit", quando in realtà i giornalisti non facevano commenti ma citavano dichiarazioni di politici, ricostruisce la CNN. In un comunicato la BBC ha dichiarato che si trattava di un contenuto fuorviante che avrebbe potuto danneggiare "la percezione della nostra imparzialità".

Pure il Partito Laburista si è sporcato le mani con le informazioni ingannevoli. Il suo leader Jeremy Corbyn ha citato dei documenti che “rivelavano” una strategia dei conservatori che indebolirebbe il sistema sanitario nazionale. Successivamente si è scoperto che quei documenti erano stati pubblicati su Reddit un mese fa e spacciati come parte di una negoziazione segreta tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Inoltre, secondo quanto ricostruito da Reddit, erano legati a una campagna di disinformazione orchestrata in Russia. Il leader laburista si è rifiutato di indicare la fonte di questi documenti e ha respinto la possibilità che i laburisti possano aver beneficiato di un'operazione di disinformazione russa.

Inoltre, Corbyn è stato accusato di aver twittato un video "modificato in maniera selettiva" in cui compariva uno dei giornalisti del Financial Times, Nic Fildes, che spiegava le implicazioni dei piani di Labour per fornire gratuitamente la banda larga. Dopo una richiesta da parte del quotidiano finanziario, Corbyn ha poi eliminato il tweet.

Il Partito Conservatore, quello Laburista e i Liberal Democratici hanno poi stampato dei falsi quotidiani cartacei per distribuire propaganda. Scelta che è stata criticata duramente dal mondo dell'informazione, ma difesa dai politici. Jo Swinson, leader dei Liberal Democratici ha detto che l'uso di falsi giornali per pubblicità politica è una cosa che si fa da sempre.

Non potevano mancare razzismo e complottismo, due ingredienti fondamentali quando ci si appella all’odio e alla paura dell’elettorato. Su WhatsApp e su Twitter sono stati diffusi dei contenuti islamofobi nel tentativo di influenzare il voto dei cittadini di religione indù contro i laburisti. Mentre, dopo l’attentato sul London Bridge del mese scorso, sono circolati messaggi nei gruppi Facebook a supporto dei laburisti che rivendicavano che quegli omicidi erano in realtà una messa in scenda del governo conservatore, una “false flag”, per guadagnare consenso.

La normalizzazione della disinformazione

Durante la campagna elettorale internet è stato utilizzato per attirare l’attenzione, ingannare i media mainstream, diffondere indignazione e consolidare il sostegno degli elettori. A forza di sentir parlare in maniera confusa di “fake news”, la disinformazione sembra essersi normalizzata a tal punto che certi candidati la utilizzano apertamente come uno strumento legittimo per rafforzare la propria propaganda. Non c’è niente di nuovo in tutto questo, se non fosse per la sfacciataggine con cui certi “fatti alternativi” vengono proposti ai cittadini sia online che sui media mainstream.

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L’obiettivo principale di questa strategia sembra essere quello di generare caos. E questo è evidente soprattutto se osserviamo la scelte dei conservatori. Certe campagne sembrano pensate con l’obiettivo di essere smascherate facilmente, creare scandalo e distrarre in questo modo i media, spiega al New York Times Jenni Sargent, managing director di First Draft, una nonprofit che investiga la disinformazione online.

Molti dei video politici virali condivisi su Facebook o su WhatsApp nelle ultime settimane sono stati creati a tavolino negli uffici londinesi dei partiti. Secondo Emil Charlaff, che lavora a Momentum, un gruppo di propaganda laburista, i social media giocano un ruolo decisivo nella costruzione del consenso dei votanti. In questa agenzia lavorano 15 persone che producono video, meme e altri contenuti social, spesso ricorrendo all’ironia e all’indignazione per attirare l’attenzione. “Le persone sono così sature di informazioni che devi riuscire ad attirare la loro attenzione nei primi tre secondi”, ha spiegato Charlaff, che però si è difeso dicendo che Momentum non diffonde, almeno consapevolmente, informazioni false.

Anche il Partito Conservatore ha rafforzato la sua propaganda online, assumendo Sean Topham e Ben Guerin, due consulenti politici ventenni neozelandesi che l’anno scorso hanno lavorato alla campagna dell’eletto Primo Ministro australiano Scott Morrison. Il loro approccio comunicativo è molto simile a quello dei troll: cercano di utilizzare messaggi emozionali per provocare una reazione. “Stiamo parlando di rabbia, eccitazione, orgoglio, paura”, ha detto Guerrin durante una conferenza.

Lisa-Maria Neudert, ricercatrice del Oxford Internet Institute che studia l’uso dei social media durante la campagna elettorale, dice di essere preoccupata dall’uso di queste tattiche da parte dei partiti e dei candidati. “Il problema è che molte di queste cose sono legali. Ci si approfitta dei vuoti legislativi”.

Non è chiaro quale sia l’impatto di questa strategia. Nessun ricercatore è riuscito a dimostrare che la disinformazione online sia capace di cambiare il posizionamento politico degli elettori, anzi le ricerche svolte in questo ambito sembrano suggerire che questi contenuti si muovano all’interno di bolle di filtraggio alle quali appartengono persone che già condividono quelle idee politiche.

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È molto più preoccupante, semmai, che i partiti adottino tali strategie all’interno della propria linea di comunicazione ufficiale. Il problema infatti si presenta soprattutto quando la disinformazione riesce a penetrare nel circuito mainstream, convincendo o ingannando i giornalisti e dettando così l’agenda mediatica.

(Immagine: The Sun / Reuters)

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