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Giornalisti ‘tradizionali’ alle prese con i social network e i commenti dei lettori

14 Luglio 2012 5 min lettura

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Giornalisti ‘tradizionali’ alle prese con i social network e i commenti dei lettori

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Due giorni fa sulla mia bacheca di facebook c'è stato un dibattito sull'amaca di Michele Serra sul tema dei commenti online. Il dibattito è poi diventato un post/dialogo qui su Valigia Blu. Questa mattina l'amaca di Serra è dedicata proprio al post di Valigia Blu. E risponde alle critiche cercando di precisare meglio il suo pensiero sui commenti alle notizie dei giornali online.

Non entro nel merito dell'amaca (sì, purtroppo non sono d'accordo nemmeno stavolta :D), quello che notavo piacevolmente è che Serra pur non frequentando la rete, non 'vivendo' dentro questi socialcosi, a suo modo partecipa e si confronta. In un corto circuito web-carta stampata, per certi aspetti folle e affascinante. Serra non partecipa al dibattito, magari commentando sul sito, ma in ogni caso prende in carico le critiche dei lettori e risponde, utilizzando il suo spazio su carta stampa.

Questo mi ha fatto subito pensare alla mia non felicissima esperienza di ieri con un giornalista de l'Espresso, che invece è su twitter (a differenza di Serra), ma evidentemente usa questi luoghi/ambienti più come broadcast media che come communications media. Io ti calo dall'alto il mio sapere (articolo) e tu lettore devi solo consumare. Provi a fare domande, vuoi partecipare? 'Chiedo scusa, ma non sono un fan delle discussioni da bar'. E sì, questa purtroppo è la risposta che mi sono beccata. Un atteggiamento ben sintetizzato nel titolo dello storify che ho dedicato alla vicenda: 'Compra i giornali e non rompere i coglioni :D'.

Due modi completamente diversi di rapportarsi a queste nuove realtà che hanno stravolto un intero sistema, anche e soprattutto quello dell'informazione. Alle persone (pubblico, lettori) non piace solo consumare, ma piace produrre, partecipare, condividere (cultura partecipativa).

Di fronte a questo cambiamento l'unica strada, secondo me, è valorizzare e curare il lettore/interlocutore.

La questione commenti (qualità, anonimato) è una questione complessa, ricca di spunti, e altrove se ne parla da tempo. Di sicuro uno dei meriti dell'amaca di Serra è porre la questione in termini appunto di confronto, dibattito anche al di fuori della 'Rete'. Il tema c'è e va affrontato.<

Sulla chiusura o meno dei commenti dei lettori consiglio due post di Luca Sofri La chiusura dei commenti online e Ripensare i commenti online (dove si parla del sistema di Gawker per la gestione di commenti). Cito un paio di passaggi in particolare:

La questione della qualità dei commenti investe anche riflessioni sociali e culturali che non riguardano solo la rete, ma i nostri bisogni e comportamenti in genere. E infine riguarda la trasformazione dei giornali e dell’informazione".

"Il sistema di Gawker è un po’ complesso da spiegare: diciamo che è stata fatta saltare la successione cronologica dei commenti per cui ad apparire per primo è il più recente o il più immediato. Come se anche ai commenti si fosse decisa di attribuire una gerarchia, trattandoli più come il contenuto di un giornale o di un sito di news che come quello di un blog. Una serie di criteri automatici e manuali (le risposte che un commento riceve da altri commentatori, la sua pertinenza col tema trattato, l’affidabilità del commentatore) fanno sì che alcuni commenti abbiano maggiore visibilità, mentre altri vengono pubblicati ma persino su una pagina diversa da quella dell’articolo.

Si può decidere di chiudere ai commenti online, ed è una scelta. E ovviamente in un contesto media-tessuto connettivo della società (Clay Shirky) metti in conto le conseguenze di questa scelta. Ma se si decide di aprire ai commenti, allora è necessaria, a mio avviso, una policy, un sistema di moderazione e una cura. Un social media team che si possa occupare anche (solo) di questo aspetto. I giornali online dovrebbero garantire ai propri lettori una discussione civile e rispettosa di tutti i partecipanti (vale la pena segnalare la decisione del Sun-Times di sospendere i commenti all'articolo sulla morte di un collaboratore di Obama, decisione comunicata in questo modo: "EDITOR’S NOTE: Due to the tone and content of many of the comments associated with this story, commenting has been turned off. The Sun-Times encourages readers to make their voices heard, but commenting must maintain a respectful and constructive tone)".

Citando Mario Tedeschini Lalli:

1) Se una testata online apre i commenti su un pezzo, lo fa per scelta e anche questa - come qualunque altra - è una scelta editoriale che va valutata dall'utente: positivamente o negativamente.

2) Io non credo che l'evoluzione dell'universo digitale obblighi puramente e semplicemente tutti a comportarsi allo stesso modo, aprendosi a ogni possibile flusso e influsso. Se una testata digitale - meglio: se una "identità informativa digitale" si apre o non si apre ai commenti e ai contributi esterni e la misura in cui lo fa, sono consapevoli decisioni editoriali. Se lo farà poco, secondo me, ne soffrirà anche perché di fronte ai suoi cittadini/utenti perderà di considerazione. Se lo farà troppo, lasciando che si crei il casino più inverecondo sulle sue pagine, ne soffrirà altrettanto, respingendo altri cittadini/utenti. Dovrà trovare una via di mezzo.

3) Qual è la via di mezzo? Ah, saperlo! Ciascuno dovrà stabilirlo secondo i propri principi e valori. Specialmente, ciascuno dovrà poi aggiustarlo con la pratica. Nel complesso val la pena di stabilire alcune linee guida e fare un "policing" editoriale in base a queste linee guida. Non ci sono regole certe, ma non si può neanche immaginare che qualunque definizione dei termini di un dibattito sia considerato una "censura". Nessuno ha "diritto" a scrivere sulle mie pagine, conviene a me e a tutti noi che sulle mie pagine e sulle pagine di altri sia possibile un dibattito il più aperto e civile possibile.

Per la questione giornalisti-lettori-social network, può valere lo stesso ragionamento. Se un giornalista è su twitter, tanto per fare un esempio, può decidere di non 'interagire' e di non creare una 'relazione' con i suoi lettori/followers, e questo avrà un certo tipo di conseguenze/effetto.

Ma il futuro dell'informazione sta passando anche da qui, da questa scelta.

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Questo post 'La relazione con i lettori e il futuro dell’editoria'riportato da 40k, si rivolge agli editori tradizionali, e secondo me vale un po' per tutti giornalisti/testate/autori...

Gli editori tradizionali diventano sempre meno rilevanti e tendono a scomparire, a meno che non riescano a stabilire legami autentici con i lettori. Ciò che la maggior parte delle persone non capisce riguardo l’editoria è che gli editori tradizionali non sono interessati ai lettori e non stabiliscono relazioni con loro. Gli editori fanno accordi con gli autori e prestano attenzione ai distributori. Sui lettori sanno poco e niente. Al contrario, Amazon sa tutto dei suoi clienti che acquistano libri e stabilisce relazioni molto strette con loro, suggerendo i prossimi acquisti, notificando quando un libro del loro autore preferito viene pubblicato e così via. In un’era in cui il consumatore diventa il re, Amazon ha capito questo, gli editori no. E questo traccia il loro destino.

E a proposito di 'cura' dei lettori interessante la scelta di Einaudi che riporta il giudizio (anonimo) di un lettore di Amazon nella quarta di copertina di «Rosa candida»di Audur Ava Ólafsdóttir. Ne parla oggi il Corriere della Sera con un articolo di Filippo La Porta, dal titolo emblematico: Quando il lettore (e non il critico) certifica la qualità del libro.

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