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Il favoloso mondo di Paolo Crepet

21 Dicembre 2023 8 min lettura

Il favoloso mondo di Paolo Crepet

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Immaginiamo un evento completamente al di fuori del nostro orizzonte quotidiano. Qualcosa di così straordinario da sovvertire non solo la nostra vita, ma da porsi addirittura come spartiacque per l’intera umanità. Ad esempio lo sbarco di alieni sulla terra. Alieni aggressivi alla Mars attacks!, non bisognosi di comunicare come in E.T. l'extra-terrestre.

Immaginiamo quindi il convulso intreccio di avvenimenti che va dall'avvistamento degli alieni fino ai primi contatti, giungendo via via alle operazioni di distruzione e conquista, alla guerra per la sopravvivenza dell'umanità. E, attraverso le varie fasi, pensiamo a come tutto questo verrebbe coperto dai media italiani. 

Di sicuro possiamo star certi di una cosa: in mezzo a tanta apocalittica devastazione, finché in Italia ci saranno uno studio e delle telecamere ci sarà un talk show a mediare tra noi e la complessità di simili eventi. E finché ci sarà un talk show italiano, prima o poi sarà chiamato a commentare Paolo Crepet.

Il quale, in un contesto simile, farebbe una delle sue solite tirate, dicendo cose come “ah, certo che stanno vincendo gli alieni, mica hanno cresciuto una generazione sempre attaccata al telefonino”, “questi c'è caso che mangiano carne umana, mentre noi stiamo lì con le zuppette di miso, di tofu, ma dove volete che andiamo?”.

Se il punto di partenza vi sembra assurdo, e quindi più d’effetto che di sostanza, suggeriamo un’immersione prolungata negli interventi del noto psichiatra, tra televisione, festival, articoli e libri. Soprattutto se siete fan, caso in cui l’invito esplicito è a incrementare il dosaggio: non la pillola di Crepet, il capitolo di libro prima di coricarsi, non i dieci minuti di intervento in tivù, ma una scorpacciata che non teme l'indigestione.

Dopo una tale immersione, più delle parole vi arriverà la visione del mondo di Paolo Crepet, proprio come immaginario fatto di orizzonti, paesaggi e limiti invalicabili. Mondo che è simile a un bar di provincia, dove ogni mattina un Paolo di 72 anni si siede al tavolino del bar in piazza, ordina all’Aldo o alla Nella di turno il solito caffè e cornetto, inforca gli occhiali e si mette a leggere il grande quotidiano, affacciandosi così alla finestra per scrutare ciò che sta al di là dell’orizzonte.

Da lì, come trova un articolo su un tema esotico, collocabile oltre le colonne d’Ercole dell’immutabile provincia italiana, il nostro Paolo comincia a rimuginare sui bei tempi andati, l’animo mosso da un turbamento che ha come bersaglio il presente, e come interlocutore ideale i giovani. 

I giovani per il nostro Paolo sono ora ansiosi, ora sperduti, ora sfigati, ma quasi sempre passivizzati, destinatari di un'empatia paternalista da pretino di paese, di chi si accalora dal pulpito di una chiesetta mentre, ironia della sorte, ad ascoltarlo son quattro vecchiette. I giovani, infatti, dal paese son fuggiti all’estero, oppure se ne stanno infrattati in qualche incavo esistenziale che permette loro di sopravvivere, nonostante tutto.

Così, in questo piccolo mondo, tutto ciò che non è commisurato all’immutabile panorama va prima di tutto livellato. E, se non può essere livellato, è trattato come un presente sospetto poiché straniero. Peccato che questo mondo non sia un paesello, ma occupi invece molto spazio: palinsesti televisivi, grandi eventi, collane di saggistica. Ovunque si volga lo sguardo, infatti, i sacerdoti laici alla Crepet sermoneggiano un giorno sì e l’altro pure di fronte a platee ben nutrite, in regime di monopolio dei vecchi scarponi.

L’eco-ansia e il cambiamento climatico? Be', i giovani "hanno l’ansia per qualsiasi cosa" spiega Crepet a In onda, e ce l'hanno “perché gliela abbiamo comunicata noi”. Lo stesso clima, spiega ad Agorà estate, presenta dei “cambiamenti, non so se epopeici o meno”; a essere cambiata è di certo “la comunicazione, perché i social di cui parlate hanno bisogno di eventi estremi”. I climatologi, insomma, vivono fuori dall’universo-mondo della provincia. Problemi come gli allevamenti intensivi e le possibili diete alternative? La questione, casomai, è che “sono diventati tutti vegani”, e i ventenni (maschi) sono così “sfigati” che tocca loro in sorte di “far l’amore” con una vegana ("e che ci fai?"). La musica trap? Fa diventare drogati.

Crepet non problematizza l’umano nel presente, problematizza il presente di fronte a un umano cucito addosso a un segmento di pubblico preciso: la classe media italiana convinta di essere misura di tutto. Un umano che, fuori da ogni dialettica, è stato pre-determinato come buon senso o norma, presumendo che nessun attrito proveniente dall’esterno potrà mai rompere questo sacro patto fondativo. Da qui scaturiscono discorsi completamente avulsi dall’esperienza del mondo che uno può fare anche solo con pochi mesi di Erasmus. Ad esempio, nel suo ultimo libro Prendetevi la luna, Crepet colloca i videogiochi in correlazione con i “cartoni animati giapponesi”. Entrambi, infatti, sono corpi estranei che corrompono:

I videogiochi sembravano una bella trovata per molti genitori, almeno all’inizio. Era già accaduto qualcosa che aveva messo in allarme: era stata importata la moda dei cartoni animati giapponesi, alcuni dei quali carichi di violenza. [...] Ben presto si capì che più i videogiochi erano violenti, più attiravano l’attenzione.

Come fai a collocare entro un simile orizzonte l’opera di Hideo Kojima, l’esperienza estetica di un videogame come Death stranding? Vai a spiegare la storia dell'imprenditrice senegalese, Rokhaya Diagne, nella cui formazione i videogame hanno avuto un ruolo centrale. Vai a organizzare nel paesello un cineforum su Hayao Miyazaki.

Ma nessuno si prenderà mai la briga di contestare frontalmente certi messaggi; perché oltre a un’idea di società sono l'espressione di rapporti di forze. Nessuno, dal pubblico di un convegno, di una presentazione, di un festival culturale, si metterà a fare le pulci. Poter dire fantozzianamente in faccia a Crepet che la sua opinione sui videogame vale quanto La corazzata Potëmkin (“una cagata pazzesca”) ha il sapore del sogno proibito. E, onestamente, anche realizzando quel sogno, siamo sicuri che arriverebbero i fatidici novanta minuti di applausi più supplementari?

L’Italia è il paese demograficamente più vecchio dell’Unione Europea. L’ascensore sociale non è lento o scomodo: è proprio guasto, e la principale preoccupazione di molta politica e stampa è trovare un buon numero di capri espiatori, intanto che resta così. Oppure si ascoltano figli di imprenditori che spiegano quanti sacrifici han fatto prima di salire in cima con l'elicottero dei genitori. Insomma, è crudele norma che in Italia si passi dal sentirsi dire “ci spiace, non hai abbastanza esperienza”, a “mi scusi, ma cerchiamo qualcuno più giovane”. 

Infantilizzare i giovani, depoliticizzare il discorso pubblico in discorso morale su genitori e figli, serve prima di tutto a operare una rimozione del conflitto politico; la società è famiglia, e poi casomai cittadinanza e diritti. E i sacerdoti laici alla Crepet sono il volto compassionevole di una permanente conservazione che dà voce a un’angoscia identitaria; una conservazione che parla perché ascoltare significherebbe togliersi dal centro della scena, cedere potere. Ecco perché, sempre in Prendetevi la luna, quando si parla di welfare e sostegno alla disoccupazione, i Crepet hanno un cruccio ben preciso: “Chiedere a gran voce una rendita di cittadinanza allenta la caparbietà e la cocciutaggine nel voler inseguire i sogni”.  

Ma, dicevamo, non di solo Crepet vivono i palinsesti. Proprio questo mese è cominciato su La7 il nuovo programma di Corrado Augias (88 anni), La torre di Babele. Una nuova avventura iniziata “per gusto della sfida”, come spiegato da lui stesso al Corriere. Nella puntata dell’11 dicembre, a commentare con Augias i risultati del rapporto annuale Censis sulle paure degli italiani c’era Michele Serra (69 anni). L’Italia, emerge dal rapporto, è un paese di “sonnambuli spaventati, ciechi di fronte ai presagi": "Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del paese, o sono comunque sottovalutati". Quanto alle paure:

L’84% degli italiani è impaurito dal clima "impazzito", il 73,4% teme che i problemi strutturali irrisolti del nostro paese provocheranno nei prossimi anni una crisi economica e sociale molto grave con povertà diffusa e violenza, per il 73% gli sconvolgimenti globali sottoporranno l’Italia alla pressione di flussi migratori sempre più intensi e non saremo in grado di gestire l’arrivo di milioni di persone in fuga dalle guerre o per effetto del cambiamento climatico, il 53,1% ha paura che il colossale debito pubblico provocherà il collasso finanziario dello Stato.

Alla richiesta di un commento su quelle percentuali, Serra ci tiene a precisare che “il mondo è sempre stato tremendo”. Anzi, “è sempre stato un luogo nel quale le ragioni per avere paura erano persino maggiori di oggi”, e via con l’aneddoto del padre partito in guerra nel ‘40. Perciò, il “sospetto è che la società mediatica non ci aiuti”, intanto che ci si chiede, senza che nessuno nello studio possa davvero rispondere, quali paure possono avere i “popoli giovani”.

S'affollano uomini in età da pensione a discettare di ciò che sta lontano. E quando entro il recinto mediatico arrivano dei “giovani”, o in generale dei rappresentanti di tutto quello che di solito è argomento e non soggetto, si palesa il senso di rottura di un linguaggio che non è fatto per comunicare e ascoltare, ma per occupare tempo e spazio. Allora, dove non arriva il sermone bonario, di solito si palesa la parte più aggressiva, pronta a cazziare. Sempre e comunque dall’alto verso il basso, sempre e comunque con l’implicita premessa che non bisogna tirare troppo la corda, data la grazia ricevuta di un microfono e di un posto in uno studio. 

Qualcuno potrebbe pensare che sia un problema di conflitto generazionale, di fuga da Boomerville (o Ponte San Bumero, se preferite). Magari fosse così. In realtà è un problema di potere sclerotizzato, che diventa casomai più visibile attraverso i conflitti generazionali, poiché il semplice atto di sbracciarsi disturba il poltrire dei “sonnambuli”, e di solito chi è giovane ha più energie per sbracciarsi, abbozza meno. Figurarsi se è attivo politicamente.

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In una puntata di Dritto e rovescio andata in onda a gennaio, l’ex parlamentare di Forza Italia Andrea Ruggieri si scaglia così contro dei giovani percettori di reddito di cittadinanza: “Vi guardo, non siete poveri, non ci prendiamo per il culo”, e poi, rivolgendosi a una giovane nel pubblico, le dice “lei non si può permettere di venire qui con scarpe che non costano 10 euro”. A rifugiati e richiedenti asilo si fa pesare lo smartphone, al precettore di reddito di cittadinanza il paio di scarpe.

Di questa reprimenda rabbiosa il favoloso mondo evocato dai Crepet è in perfetta continuità. Certo, invece dell’insulto si offre una consolazione, si offre una qualche risposta che esorta a sognare, a osare; si manifesta una volontà di capire, un piglio da medico, una cura possibile. Ma in entrambi i casi ci si tiene lontani da una solida analisi materiale, l’ascolto quando va bene è autoriferito; si rinuncia a sondare i sintomi affidandosi al mestiere come forma di pensiero magico. Invece di un veleno, si riceve nel migliore dei casi un placebo. Potendo scegliere, vi accontentereste mai di un placebo come unica cura per una malattia grave?

Immagine in anteprima: frame video La7 via YouTube

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