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Come stanno le foreste primarie europee e perché è importante proteggerle

1 Aprile 2022 10 min lettura

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Come stanno le foreste primarie europee e perché è importante proteggerle

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Capire le foreste, individuare le loro specificità per poi comprendere i fattori di rischio e quali misure vadano promosse per tutelarle è un lavoro complesso, che comincia dalle parole e si conclude con l’adozione di leggi adeguate.

Quando parliamo di patrimoni forestali in pericolo tendiamo a pensare subito all’Amazzonia, al Brasile, all’Asia. Ma anche in Europa resistono alcune roccaforti di luoghi illesi, la cui effettiva tutela secondo gli esperti richiederebbe maggiori sforzi.

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Prima di iniziare a raccontare che cosa accade alle nostre foreste, è importante fare una premessa terminologica. Nominare correttamente questi spazi, infatti, non è semplice. Potrete sentire parlare di foreste “vetuste”, ovvero che non per forza sono rimaste immuni dall’intervento dall’uomo ma sono abbastanza antiche da aver recuperato le caratteristiche di quelle più giovani e primitive, o ancora le foreste definite “primarie”, che mantengono le loro caratteristiche primordiali e che non portano segni visibili dell’intervento umano.

Ma dove si trovano in Europa queste foreste? Quali sono le loro caratteristiche? E in quali rischi incorrono ancora oggi?

Le foreste primarie nel mondo

Chiamate anche “foreste vergini” le foreste primarie sono definite dalla FAO come “foreste rigenerate naturalmente di specie arboree native, dove non ci sono indicazioni chiaramente visibili di attività umane e i processi ecologici non sono significativamente disturbati”.

Nel 2021, il “Global mapping hub” di Greenpeace e l’Università del Maryland ha lavorato alla creazione di una nuova mappa delle “foreste vergini”, definite anche "paesaggi forestali intatti”. Consistono in tratti boschivi che presentano “un’estensione di almeno 500km quadrati in larghezza e 100km di lunghezza, un’alta concentrazione di biodiversità, la presenza di altri ecosistemi come ad esempio le paludi e l’assenza di alterazione diretta dovuta all’attività umana”. 

Secondo la mappatura, la maggior parte delle foreste intatte nel mondo interessa il 9% della superficie terrestre senza ghiaccio. La maggior parte di esse si trova in Amazzonia, Brasile, Canada, Russia, Repubblica Democratica del Congo. Tra il 2000 e il 2020 è stato perso il 12% dell’area complessiva, l’equivalente di 1,5 milioni di km quadrati. 

La situazione in Europa

Il progressivo sfruttamento dei suoli per attività agricole e industriali ha comportato in Europa un enorme cambiamento dei paesaggi boschivi, di cui a un certo punto non era più chiaro quanto fosse sopravvissuto e dove. Fino a pochi anni fa le informazioni erano poche e frammentate, suddivise per singoli paesi. Per questo il ricercatore Francesco Maria Sabatini, primo autore della ricerca Where are Europe’s last primary forests?, cinque anni fa ha scelto di dedicarsi alla raccolta e all’armonizzazione di tutti i dati cartografici disponibili. Questo lavoro è stato la base dello studio pubblicato nel 2020, Protection gaps and restoration opportunities for primary forests in Europe, in cui sono stati coinvolti 31 esperti e ricercatori da 20 paesi europei per capire dove fossero state mappate queste foreste primarie e se fossero effettivamente protette.

“In pratica su 1.770.381 km quadrati di foreste, che rappresentano il 38% del territorio europeo esclusa la Russia, quelle primarie corrispondono all’1,99% dell’intera area forestale, ovvero lo 0,61% della superficie terrestre europea”, spiega Sabatini a Valigia Blu. “Di queste, stimiamo che meno della metà sia sotto effettiva protezione legale. In percentuale si parla dell’1,08% delle foreste e quindi dello 0,33% della superficie complessiva”.

A questo si aggiunge il fatto che spesso la protezione di cui godono queste zone è minima e non sufficiente, perché non garantisce che la foresta rimanga primaria, ovvero totalmente priva di un intervento umano. “Secondo la nostra lettura di questi dati, 19mila km quadrati non sono protetti e altri 5mila non lo sono a sufficienza”.

Tra l’altro in questi luoghi sono presenti importanti specie animali o fungine, o ancora insetti di cui non conosciamo bene il ruolo e che tuttavia sono legati fortemente a questi ecosistemi. Si tratta anche qui di una variabile per capire quali foreste devono essere protette con più sforzo.

“La maggior parte delle foreste che abbiamo mappato – spiega Sabatini – è rappresentata da bosco boreale, ad esempio in Finlandia, composto da pino silvestre, abete rosso e betulle, oppure si trova in alta montagna, formate da specie come abete bianco e faggio. È chiaro che un tipo di bosco più raro, come quello mediterraneo o quello planiziale di Białowieża, a cavallo da Polonia e Romania, deve essere maggiormente tutelato perché è più raro”.

Fortunatamente anche a livello istituzionale si sta muovendo qualcosa. All’interno della EU Biodiversity Strategy for 2030, la Commissione Europea ha dichiarato ufficialmente la necessità “di conservare, mappare e proteggere severamente tutte le foreste primarie e vetuste rimaste nell’Unione Europea”.

Tra gli obiettivi citati:

  1. Proteggere almeno il 30% dell’area terrestre e il 30% delle aree marittime dell'UE e integrare i corridoi ecologici, come parte di una vera rete naturale transeuropea.
  2. Proteggere rigorosamente almeno un terzo delle aree protette dell’UE, comprese tutte le rimanenti foreste primarie e di vecchia crescita dell’UE.
  3. Gestire efficacemente tutte le aree protette, definendo chiari obiettivi e misure di conservazione e monitorandole adeguatamente.

“L’Unione Europea quindi definisce che tutte le foreste primarie e vetuste in Europa debbano essere protette rigorosamente”, osserva Sabatini. “E cinque anni fa non era affatto scontato che l’UE assumesse una posizione così netta. Poi certo, il diavolo sta nei dettagli e bisognerà vedere cosa accadrà effettivamente”.

Il caso Romania: un patrimonio forestale distrutto dall’avidità

Parlando di foreste europee a rischio, l’esempio più emblematico è quello della Romania, che da sola ospita alcune delle più grandi fasce di foresta vergine dell’Europa centrale, circa 500mila ettari tra primarie e vetuste.

Ormai da anni, però, il paese sta affrontando un costante aumento dei tassi di disboscamento illegale, anche all’interno di siti Natura 2000 (la rete di aree protette istituita nel 1992 dall’Unione Europea tramite la “Direttiva Habitat” e la “Direttiva Uccelli” che impone, se si pianificano interventi in queste zone, di provare che tali interventi non danneggino gli ecosistemi), infrangendo quindi la stessa normativa comunitaria e contribuendo a una perdita consistente di foreste primarie europee.

Secondo un rapporto del WWF, realizzato nel 2021, le autorità di controllo riescono a tracciare soltanto l’1% del disboscamento illegale che avviene nel paese, ovvero soltanto 200mila metri cubi di legname rispetto ai complessivi 20 milioni che ogni anno vengono strappati alle foreste rumene.

Ariana Vardo vive a Torino ma è di origini rumene. La sua famiglia si trova in un paesino tra Piatra Neamt e la riserva di Bicaz e il cambiamento di questi luoghi, nel corso degli anni, è diventato evidente. Attivista di Greenpeace Torino, dal 2021 si tiene sempre informata sulla situazione delle foreste della sua terra. “I miei nonni hanno la fortuna di abitare vicino a un parco naturale”, racconta a Valigia Blu. “Mi è capitato di uscire a fare una passeggiata e rendermi conto che all’improvviso attorno a me non c’era più bosco. Anni fa non c’era tutela né controllo, tutti tagliavano gli alberi anche solo per recuperare la legna per scaldarsi. E poi le grandi aziende straniere produttrici di legname hanno preso tutto”.

Nel corso degli anni si sono verificate decine e decine di episodi di attivisti aggrediti, picchiati e addirittura uccisi per aver tentato di fermare e documentare le attività illecite dei trafficanti. Mostrare attraverso immagini dirette, infatti, era l’unico modo per ottenere delle prove concrete di queste azioni, dal momento che irregolarità come tagliare più alberi di quelli consentiti per legge oppure farlo in zone proibite sono facili da insabbiare grazie a un sistema strutturato e ben radicato di criminalità organizzata.

A seguito di numerose denunce e anche interrogazioni parlamentari, nel 2020 la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti della Romania, esortando lo Stato a porre fine al disboscamento illegale che interessava anche aree protette Natura 2000. 

Le cose, però, non sono cambiate come avrebbero dovuto. Nonostante l’azione intrapresa dalla Commissione Europea, infatti, secondo un rapporto pubblicato a febbraio 2022, dal titolo Investigation into habitat degradation in Făgăraș, Domogled, Maramureș and Frumoasa Natura 2000 sites, pare che i tassi di disboscamento siano addirittura aumentati tra il 2020 e il 2022. Il rapporto è stato realizzato da organizzazioni molto attive per le foreste rumene, come ClientEarth, Euronature e Agent Green. Quest’ultima ha rilasciato qualche mese fa un altro rapporto in cui denunciava il coinvolgimento di Ikea nell’acquisto di legname prodotto in parte illegalmente in diverse zone dei Carpazi. Accuse a cui l’azienda svedese ha risposto dichiarando che, sebbene siano state effettuate alcune indagini in merito, non sono state trovate prove del suo coinvolgimento nell’utilizzo di legname reperito in maniera illecita, oltre al fatto che le normative in merito, ad esempio in Ucraina, sono suscettibili di interpretazioni.

Attualmente gruppi di volontari sono organizzati per documentare e segnalare i tagli illeciti e i passaggi dei camion che potrebbero trasportare legname non in regola.


“Un’altra importante questione da affrontare dovrebbe essere l’educazione della popolazione”, conclude Ariana. “Sono pochi quelli che controllano la provenienza dei prodotti che acquistano e non sanno che la loro stessa scelta di consumatori può fare davvero la differenza, anche per le foreste”.

Białowieża: l’ultima foresta primaria planiziale d’Europa

A cavallo del confine tra Polonia e Bielorussia, la foresta di Białowieża rappresenta l’ultima foresta planiziaria d’Europa, sito Unesco dal 1979, parco nazionale dal 1932 e area Natura 2000 dal 2007. Si tratta di un patrimonio preziosissimo, unica superstite tra le foreste che si trovano in pianura, quindi molto più esposte all’intervento umano rispetto a quelle montane. 

“La foresta di Białowieża è speciale perché è lì non esistono praticamente più foreste primarie nelle zone di pianura, dove suoli produttivi e millenni di attività umana hanno profondamente trasformato gli ecosistemi e portato alla pressoché scomparsa delle foreste primarie”, spiega Sabatini.

A differenza di tutte le altre come lei, Białowieża si è salvata per vicissitudini storiche. Ma oggi, nonostante la consapevolezza del suo valore culturale, ambientale e di conservazione è difficile definirla al sicuro.

Tra il 2016 e il 2018, infatti, il Governo polacco aveva annunciato la decisione di consentire il taglio di numerosi alberi. Il 17 aprile 2018 la Corte di Giustizia europea aveva emesso una sentenza per bloccare questa attività, in contrasto con le direttive UE sugli habitat, riuscendo a salvaguardare il prezioso ecosistema. 

Pochi anni dopo, nel 2021, Białowieża è tornata sotto i riflettori per una nuova decisione di autorizzarne il disboscamento, scelta che ha comportato la minaccia di sanzioni finanziarie da parte della Commissione europea se la Polonia non si fosse adeguata alle normative per la sua tutela. 

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Infine qualche mese fa, in seguito alla crisi migratoria che ha interessato la zona di confine, il Governo ha annunciato la decisione di costruire un lungo muro la frontiera con la Bielorussia, per impedire il passaggio dei migranti portati a Minsk dal Medio Oriente. Tra le numerose controversie di cui questa nuova costruzione è protagonista, c’è anche il fatto che il progetto dovrebbe attraversare in pieno proprio l’antica foresta. Per questo, un gruppo di circa 150 membri della comunità scientifica ha firmato una lettera indirizzata alla Commissione europea per provare a fermare questo progetto. 

Heilige Hallen, la piccola foresta tedesca protetta ma non troppo

In Germania, un centinaio di chilometri a nord di Berlino, si trova una grande area Natura 2000. E al centro di questa area batte un piccolo cuore di foresta primaria. Si chiama Heilige Hallen, tradotto “Le Sacre Sale”, a causa della particolare conformazione dei faggi dominanti che un tempo ricordavano le colonne di una cattedrale. È una piccola isola preziosa, grande appena 65 ettari ma che, a differenza dell’ampio spazio naturale che lo circonda da cui è separata da una sottile “zona cuscinetto”, è protetta e illesa dall’intervento antropico, almeno in tempi recenti. La sua particolare struttura infatti potrebbe essere dovuta a un intervento umano molto breve e antico, anche se oggi non se ne individua alcun segno.

Pierre Ibisch, professore della Eberswalde University of Sustainable Development ed esperto di gestione sostenibile degli ecosistemi forestali, e Jeanette Blumroeder, ricercatrice della stessa università, conoscono molto bene questa piccola foresta e seguono da tempo gli sviluppi dell’area in cui è inserita, preoccupati che la sua cattiva gestione possa indebolire Heilige Hallen invece che proteggerla.

“Anche da una foresta così piccola possiamo imparare tanto sul potenziale delle nostre foreste e su come gestire e curare al meglio le aree protette”, racconta Ibisch a Valigia Blu“Molti degli alberi che fanno parte di Heilige Hallen hanno più di 350 anni e negli scorsi decenni alcuni sono arrivati al termine della loro vita. Quindi vi si trovano grandi quantità di legno morto, che quando si decompone rilascia molta acqua contribuendo a mantenere la foresta umida e fresca, aiutando la natura e anche noi”, aggiunge Blumroeder.

Nonostante nella teoria sia rigorosamente protetta, in realtà Heilge Hallen è un ecosistema piuttosto fragile e minacciato. “L’area circostante è piena di strade forestali ed è soggetta a estrazioni di legname, oltre alla presenza di foreste di faggio gestite che sono state tagliate in modo eccessivo”, spiega Ibisch. “A questo si aggiunge il fatto che nel corso degli ultimi due anni le eccessive temperature e la siccità hanno messo a dura prova questi faggeti, molti sono morti e sono stati tagliati”.

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In pratica, mentre la natura che la circonda viene messa a dura prova, la piccola Heilige Hallen resiste. Come foresta primaria dotata di baldacchino (lo strato superiore formato dal fogliame) abbastanza chiuso, infatti, è in grado di autoregolarsi e di mantenere il proprio microclima, aiutando anche lo spazio circostante a mantenere in equilibrio le proprie funzioni e la temperatura. Per mantenere tutte queste proprietà, i ricercatori stanno lottando per promuovere una migliore gestione dell’area Natura 2000 in cui Heilige Hallen è inserita, e hanno chiesto direttamente al Ministero sia di ampliare l’estensione di questa piccola area centrale, sia di fermare la deforestazione nei suoi dintorni. Quest’ultima richiesta è stata temporaneamente accettata, anche se non è chiaro quanto durerà.

“La zona cuscinetto che si trova tra la piccola foresta e l’area gestita è molto piccola e non riesce a fare davvero il suo dovere di protezione”, afferma Blumroeder. “Se perdessimo Heilige Hallen e le sue proprietà, gli effetti negativi colpirebbero lei, lo spazio che la circonda e anche noi”.

Immagine in anteprima: Foresta di Heilige Hallen – Foto: Staubi59, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

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