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Stupro e consenso: il fallimento europeo sulla direttiva contro la violenza di genere

6 Febbraio 2024 9 min lettura

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Stupro e consenso: il fallimento europeo sulla direttiva contro la violenza di genere

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Il sesso senza consenso è sempre uno stupro. Eppure in Europa, nel 2024, non tutti i paesi sembrano pensarla così. E infatti il testo definitivo della direttiva europea per contrastare la violenza di genere, approvato il 6 febbraio, appare svuotato: in particolare è stato cancellato l’articolo 5 del testo originario, quello più controverso, che conteneva la definizione di stupro come “rapporto sessuale senza consenso”. La direttiva, che era stata proposta dalla Commissione europea l’8 marzo del 2022 in occasione della festa della donna, aveva già ricevuto l’ok del Parlamento europeo lo scorso giugno ed era al vaglio del Consiglio dell’Unione Europea: oggi si è trovato l’accordo sul testo definitivo, testo che però non contiene molti degli avanzamenti che si erano raggiunti in due anni di negoziazioni.

“C’è un atteggiamento rinunciatario che fa male: la discussione è durata solo due ore, simbolo del disinteresse che ruota attorno a questo tema”, spiega a Valigia Blu Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo e relatrice italiana sulla direttiva contro la violenza sulle donne. “La prima Presidente del Consiglio donna, Giorgia Meloni, non ha detto una parola. Questo perché il tema del consenso è considerato troppo divisivo in vista delle prossime elezioni europee: per i politici, non vale la pena perderci tempo. Le questioni che riguardano la vita delle donne non sono mai ritenute prioritarie”.

Nel testo definitivo mancano diverse proposte che il Parlamento e la Commissione avevano fatto e che i governi nazionali hanno di fatto depennato. Oltre alla definizione di stupro contenuta nell’articolo 5, è stata eliminata quella di “molestie sessuali nel mondo del lavoro”. Per quanto riguarda la violenza online, la diffusione di immagini intime non è più riconosciuta come una forma di violenza di per sé, ma è tale solo se la vittima può dimostrare il danno grave. Altri passi indietro riguardano la prevenzione: non si cita più la necessità di fare formazione ai magistrati e alle forze dell’ordine in tema di violenza di genere.

Le organizzazioni per i diritti delle donne si sono subito mobilitate: una petizione lanciata su change.org dall’associazione Differenza Donna in tre giorni ha già raccolto più di 70mila firme – e continuano ad aggiungersene centinaia ogni ora. “È una presa di posizione inaccettabile contro la quale tutte e tutti noi dobbiamo far sentire la nostra indignazione”, scrive Differenza Donna. Giorgia Fattinnanzi, responsabile Cgil delle politiche di contrasto alla violenza di genere, parla di una politica della UE che “comincia a fare i conti con la spinta retrograda delle destre”.

Molti Stati membri si erano detti a favore di un avanzamento della legislazione europea, ma la proposta ha raccolto anche molte ostilità: al centro del dibattito c’è la criminalizzazione dello stupro e il tema del consenso. In molti Stati europei (tra cui l'Italia), infatti, lo stupro è punito solo quando è dimostrato che ci sia stata una violenza, una coercizione o una minaccia: non basta che l’atto sessuale sia avvenuto in mancanza di consenso. Il problema è che spesso la vittima si trova in uno stato di shock e non riesce a reagire, oppure sceglie di non farlo per paura di fomentare ancora di più il suo aggressore. La gran parte degli studi sulla violenza sessuale dimostra che durante uno stupro le donne si paralizzano: circa il 70% delle vittime riferisce di aver provato questa condizione di immobilità.

Da qui deriva la definizione di stupro come “rapporto sessuale senza consenso” inclusa inizialmente nella direttiva: il riferimento è la Convenzione di Istanbul del 2011, il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, che nel tempo ha assunto grande importanza nel dibattito sui diritti delle donne. In particolare, la Convenzione – ratificata dall’Unione Europea nel 2023 – all’articolo 36 si riferisce allo stupro come a un “rapporto sessuale realizzato senza consenso”, specificando al paragrafo 2 che “il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona”.

Togliendo l’articolo 5, di fatto, la direttiva è stata “fortemente depotenziata”, ha scritto la senatrice Cecilia D’Elia Riviello. “Il tema del consenso è rilevante” e sarebbe potuto diventare “una bussola per tanti Stati, compreso il nostro, che ancora non hanno una legislazione esplicitamente fondata su di esso. Con la conseguenza che la donna spesso deve provare, in tanti tribunali, di avere davvero resistito alla violenza subita”.

Il testo definitivo verrà votato in plenaria ad aprile. “Abbiamo visto le piazze piene dopo la vicenda drammatica di Giulia Cecchettin”, afferma Picierno. “L’opinione pubblica ha raggiunto una certa maturità, è venuto il momento di intervenire. Così si annichilisce una domanda di giustizia”.

Una direttiva con un iter complesso

In Europa la violenza colpisce una donna su tre. Ogni settimana, almeno due donne nell’Unione europea vengono uccise da partner o familiari, e il 32% degli autori di molestie sessuali proviene da un contesto lavorativo. La strategia per la parità di genere 2020-2025 dell’Ue mette in campo nuove misure per prevenire queste forme di violenza, proteggere le vittime, perseguire gli autori e attuare politiche coordinate. In questo contesto nasce la direttiva proposta dalla Commissione, un atto giuridico che, quando viene approvato, impone agli Stati membri di raggiungere determinati obiettivi attraverso la promulgazione o modifica di leggi nazionali. In questo caso, lo scopo è creare degli standard minimi comuni a tutti gli Stati membri per agire contro diversi crimini fra cui lo stupro, la mutilazione genitale femminile, la sterilizzazione e i matrimoni forzati, lo stalking online e la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.

L’iter di approvazione di una direttiva è complesso: il testo viene proposto dalla Commissione Europea, dopodiché per entrare in vigore deve essere approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea, un organo composto dai ministri degli Stati membri. Le negoziazioni fra i tre organi, durante le quali il testo viene discusso e modificato, si chiamano “triloghi” e possono andare avanti mesi, se non anni. Per questa direttiva, il 13 dicembre si era concluso il quarto trilogo, ossia la quarta fase di negoziati, ma non si era arrivati a una versione definitiva. Il 6 febbraio si è infine arrivati all'approvazione.

Ad opporsi al testo iniziale della direttiva, quello più avanzato dal punto di vista della tutela dei diritti delle donne, non c'erano solo i paesi europei con le legislazioni più conservatrici in materia di diritti delle donne, come Polonia, Bulgaria e Ungheria, ma anche Stati come la Svezia, la Francia e la Germania: questi ultimi non erano contrari all’intero testo, ma non volevano includere il reato di stupro – il contesto articolo 5 – perché il tema non rientrerebbe nelle competenze giuridiche dell’Unione, visto che il diritto penale rimane di competenza esclusiva dei singoli Stati membri. Per includere lo stupro all’interno della direttiva, infatti, la Commissione aveva fatto riferimento al reato di sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, su cui l’Unione ha diritto di legiferare anche per il fatto che sono spesso si tratta di reati compiuti a livello internazionale: secondo alcuni Stati, però, lo stupro non rientrerebbe in questa categoria.

Negli ultimi mesi, alcuni Stati come Irlanda e Portogallo avevano deciso di cambiare la loro posizione e votare a favore, mentre altri hanno mantenuto i loro dubbi chiedendo che il testo venisse modificato. La Francia ha detto più volte di temere che l’inclusione dell’articolo 5 desse la possibilità agli stati che sono contrari di far poi annullare l’intera direttiva dalla Corte di giustizia, con la motivazione che l’Unione non ha giurisdizione sull’argomento.

Le diverse legislazioni sul reato di stupro in Europa

Quando si parla di reato di stupro, in Europa esistono tre diversi modelli di diritto penale, che variano in base all’importanza attribuita al consenso: il modello consensuale puro (anche conosciuto come “solo sì è sì”), quello limitato (conosciuto come “no significa no”) e quello vincolato. Il primo dà rilevanza massima al consenso: è considerato reato qualsiasi tipo di rapporto sessuale dove manchi il consenso della persona offesa. Il modello consensuale limitato dà importanza non tanto al consenso, quanto piuttosto al dissenso: in sostanza, è necessario che la persona manifesti apertamente di non voler avere un rapporto sessuale, perché l’atto sia considerato stupro. Infine c’è il modello vincolato, che è anche il più diffuso: in questo caso le aggressioni sessuali, per essere perseguite e punite, devono avvenire dietro minaccia, violenza o costrizione. Attualmente l’Unione europea è spaccata a metà: 14 paesi – tra cui Italia, Francia e Polonia – richiedono alle vittime di dimostrare l'uso della forza o della minaccia in caso di stupro, mentre altri 13 – tra cui Spagna, Belgio, Lussemburgo, Svezia e Grecia – basano il reato di stupro sul consenso.

Negli ultimi anni si sta dando sempre più importanza al consenso, anche grazie al lavoro di attiviste contro la violenza sulle donne e grazie alle convenzioni approvate in materia, come la Convenzione di Istanbul. In alcuni paesi questi cambiamenti si sono tradotti anche in importanti svolte del diritto penale. Il caso più recente è quello della Spagna, che nel 2022 con la legge di Garanzia integrale della libertà sessuale, proposta dall’allora ministra di Pari Opportunità Irene Montero, ha sposato il modello del consenso del “solo sì è sì”. In Danimarca la norma nota come la “legge sul consenso”, che giudica come stupro ogni rapporto sessuale in cui una delle persone coinvolte non abbia dato il consenso, è entrata in vigore il 1 gennaio 2021. In Irlanda nel 2016 la Corte Suprema ha raccomandato l’introduzione nella legislazione della definizione di consenso.

La Germania ha una situazione più sfumata: prima del 2016 era considerata un paese piuttosto arretrato in materia di violenza sessuale, dove una violenza sessuale poteva essere definita stupro solo se chi l’aveva subita aveva provato fisicamente a difendersi e poteva anche dimostrarlo in tribunale. La riforma approvata nel 2016 consente invece la punibilità degli atti sessuali “meramente dissensuali”, cioè commessi contro la volontà della vittima, senza necessità di violenza o minaccia. Il principio è quello del “no significa no”: è sufficiente superare il dissenso della vittima ai fini della rilevanza penale del reato sessuale.

Un caso interessante è quello della Svezia, che ha modificato la propria legislazione in senso consensuale nel 2005. Il dibattito si è infiammato con la vicenda giudiziaria di Julian Assange, accusato di stupro nel 2010, che ha messo sotto i riflettori l'incidenza relativamente alta delle denunce per stupro in Svezia: quell’anno il paese era primo in Europa, secondo in tutto il mondo. Il numero di stupri denunciati era passato da 2.200 nel 2003 a quasi 6mila nel 2010, proprio grazie all’effetto della nuova legge.

Ma sono ancora molti gli Stati ancora legati a una definizione “coercitiva” dello stupro, come la Francia, che sostiene che definirlo un atto sessuale non consensuale finirebbe per danneggiare le persone che lo denunciano, perché la mancanza di consenso esplicito sarebbe più difficile da provare in tribunale rispetto alla presenza di coercizione o minaccia. 

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Anche in Italia vige ancora il cosiddetto “modello vincolato”, anche se c’è stata un’evoluzione del concetto di violenza sessuale. Negli anni Ottanta questi reati erano catalogati ancora dal codice Rocco del ventennio fascista, che li considerava “delitti contro la moralità pubblica e il buon costume”: solo nel 1996 la violenza sessuale viene classificata come crimine contro la persona. Oggi il reato di stupro è regolato dall’articolo 609 bis del codice penale: esso avviene quando un soggetto “con violenza o minaccia o mediante l’abuso di autorità” ne costringa un altro a compiere atti sessuali. Negli anni, la giurisprudenza nella pratica ha superato il requisito della violenza come mezzo di costrizione, avvicinandosi a un modello consensualistico.

Nel 2008 la Cassazione ha stabilito che “il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità”. In una sentenza del 2016 sempre la Cassazione ha definito la “presenza necessaria del consenso durante l’intero arco del rapporto sessuale da parte della vittima, senza interruzioni ed esitazioni o resistenze di sorta”. Come spesso accade, quindi, la giurisprudenza supera la legislazione stessa: il problema è che le sentenze non sono mai un precedente vincolante. Barbara Carsana, esperta di diritto di famiglia e avvocata che si occupa di violenza di genere, ha spiegato: “Quello che dobbiamo rivedere e aggiornare è la norma nella sua formulazione in base al principio consensualistico puro, scardinando con la giurisprudenza avveduta una norma obsoleta”.

Immagine in anteprima: Fourandsixty, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

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