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Una città non a misura di auto: la battaglia dei cicloattivisti di Milano

8 Febbraio 2024 19 min lettura

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Una città non a misura di auto: la battaglia dei cicloattivisti di Milano

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20 min lettura

di Elena Colli, Matteo Spini, Jacopo Targa*

“Di Milano si muore”, recitano gli striscioni di una delle tante manifestazioni avvenute in città negli ultimi mesi. Purtroppo anche il 2024 si è aperto con una tragica notizia: Ivano Calzighetti, 37 anni, è stato travolto e ucciso da una persona alla guida di un’auto mentre rincasava in bicicletta. Secondo gli open data sulle vittime di incidenti stradali a Milano, nel 2023 sono 29 le persone che hanno perso la vita nelle strade del comune meneghino. Se si guarda al numero di scontri che coinvolgono biciclette in città, si nota che nel 2022 a Milano si è registrato il numero più alto tra tutti i grandi comuni italiani.

Per questa ragione, il cicloattivismo milanese negli ultimi tempi si è fatto notare parecchio: le numerose azioni messe in campo per la richiesta di una maggiore sicurezza delle strade milanesi - presidi, ciclabili umane, blocchi del traffico, “ciclabili clandestine” - hanno raggiunto l’attenzione dei media nazionali e talvolta pure internazionali.

E dire che nell’immaginario comune la bicicletta è legata a sensazioni rilassanti e di spensieratezza. Forse fin troppo, come dimostra un’ostinata infantilizzazione di questo mezzo nel contesto italiano, spesso relegato a oggetto di svago e di gioco e difficilmente concepito come vero e proprio mezzo di trasporto. La bici, in realtà, è uno dei mezzi più efficienti per spostarsi in contesti urbani densi, per il rapporto ottimale tra distanza percorsa e consumo di energie: come scriveva il filosofo austriaco Ivan Illich, «la bicicletta ha elevato la mobilità dell'uomo a un nuovo ordine, al di là del quale il progresso è teoricamente impossibile». Eppure la realtà cittadina è ben lontana da tutte queste sensazioni, in quanto ci si trova spesso a doversi muovere in un contesto in cui l’automobile domina incontrastata, opprimendo la sensazione di libertà che la bicicletta incarna. Tutto ciò non avviene casualmente, ma è da ricercarsi nel ruolo dominante che gli spostamenti in automobile hanno in questo contesto.

Milano, una città a misura d’auto

Nella sola città di Milano, lo spazio occupato dalle automobili parcheggiate è pari a nove volte il Parco Sempione. Si tratta di spazio pubblico – spesso occupato gratuitamente, come testimoniano le 100.000 auto in sosta vietata in città – a cui viene sottratto il compito originario di essere luogo vivo di socialità e aggregazione. Per fare un confronto, l’acclamata “sosta selvaggia” dei monopattini, veicoli decisamente meno ingombranti, è pari a 1.700 veicoli.

Fonte The Map Report

Laddove potremmo avere marciapiedi più larghi, ciclabili o spazi verdi, troviamo quindi spazio morto, imbruttito e reso improduttivo da veicoli che per il 92% del tempo rimangono, appunto, parcheggiati e inutilizzati a loro volta. Contrariamente al senso comune, il problema non è il fatto che ci siano pochi parcheggi, ma il fatto che le auto in circolazione siano troppe: come dimostra infatti un’analisi condotta da “Sai che Puoi?”, Milano, con 22 posti auto ogni 100 abitanti, ha più del triplo dei posti auto che ci sono a Barcellona e a Parigi, le quali ne hanno rispettivamente 7 e 6 ogni 100 persone.

Il vero problema è che le ricadute negative che genera il sistema dell’automobile non si limitano unicamente a chi utilizza prevalentemente l’auto per spostarsi, ma si estendono anche alle persone che scelgono di muoversi in altri modi. L’ambiente urbano e le strade sono progettate prevalentemente pensando alla mobilità motorizzata privata, impedendo al  trasporto pubblico di essere veramente efficiente e capillare e alla mobilità attiva di essere attrattiva, dal momento che il principio di gestione del traffico ha come obiettivo prioritario garantire lo scorrimento veloce delle automobili. Ed è così che la presenza di semafori, barriere architettoniche (come i guard rail), marciapiedi utilizzati come parcheggi e strade a più corsie vengono considerati elementi “normali” nelle strade cittadine. Ed è proprio questa normalizzazione che inibisce anche la possibilità di immaginarle diversamente (“non ci manca lo spazio, ci manca l’immaginazione”, scrivevamo in un articolo su Valigia Blu) e rende accettabili nella mente di chi guida i rischi che questo tipo di mobilità comporta: uno stato di cose che lo psicologo Ian Walker definisce come motonormatività. Essa, ad esempio, porta a considerare come consuetudine, anziché come grave infrazione, il fatto che i limiti di velocità siano raramente rispettati, così come l’idea che la mobilità ciclistica e pedonale debba essere marginalizzata e segregata in spazi residuali della strada.

L’autocentrismo non è una condizione naturale ma il prodotto di precise scelte politiche che hanno dato priorità al traffico motorizzato, in un incentivo reciproco con l’industria automobilistica, a scapito di trasporti pubblici e ciclomobilità. Come ricorda Gino Cervi, riprendendo il racconto Fosforo di Primo Levi, nella prima metà del ‘900 era normale per la classe operaia utilizzare la bicicletta in moltissime città italiane, Milano compresa. A partire dal dopoguerra, invece, il trionfo della motorizzazione, favorita dalla classe politica, ha espulso quasi completamente le biciclette dal panorama urbano. Basta guardare alla distribuzione delle risorse: nonostante l’aumento della sensibilità delle amministrazioni locali verso la mobilità attiva negli ultimi anni, gli investimenti pubblici continuano a favorire enormemente l’automobile. Secondo il rapporto di Clean Cities “Non è un paese per bici”, tra il 2020 e il 2030 i governi italiani hanno messo a bilancio 98,6 miliardi di euro per l’auto contro 1,2 miliardi di euro a favore della bicicletta. Le ultime tre giunte di centro-sinistra di Milano si sono mostrate inclini a realizzare piste ciclabili e interventi di moderazione del traffico ma con ambizioni modeste, forse per non scontentare troppo commercianti e automobilisti, già sul piede di guerra per le zone a basse emissioni (Area B e Area C).

Ma non si tratta “solo” di riduzione degli spazi di socialità, gioco e marginalizzazione delle altre modalità di spostamento. Come noto, il traffico automobilistico contribuisce agli alti livelli di inquinamento della Pianura Padana (tanto per dare un esempio, secondo uno studio del 2021 Milano era la quinta città europea per carico di mortalità per biossido di azoto, un gas inquinante prodotto principalmente dai motori a diesel. Si veda anche lo studio di Cittadini per l’Aria Onlus), ai cambiamenti climatici, al riscaldamento delle città, ma anche all’inquinamento acustico (un problema di salute pubblica decisamente sottovalutato) nonché alle numerose morti violente su strada: gli incidenti stradali sono la prima causa di morte nei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni.

A Milano, la crescita significativa di sinistri stradali sulle due ruote trae le sue origini dal 2020, anno in cui si è registrato il numero più basso degli ultimi 10 anni (813), e da cui è iniziata una continua crescita (1.467 nel 2022), in una combinazione di fattori innescati dalla pandemia.

Fonte: Il Post, elaborazione dati da l’Atlante italiano dei morti (e dei feriti gravi) in bicicletta

È in quel periodo infatti che proprio Milano, “la città che non si ferma”, è stata forzosamente fermata dalla pandemia da COVID-19 e dal drammatico impatto sulle vite umane che tale crisi sociosanitaria ha comportato. Involontariamente, questo ha prodotto l’opportunità per una riflessione critica rispetto alla mobilità. Infatti, come in altre città nel mondo, nel periodo 2020-2022 sempre più persone hanno scelto la  bicicletta come mezzo adatto ad assicurarsi un buon distanziamento fisico pur mantenendo allenati i polmoni e il corpo, nella diffusa riscoperta dell’importanza del fare attività fisica. Anche il bonus bici e la promessa di decine di chilometri di piste ciclabili hanno contribuito al boom ciclistico. Peccato che dell’ambizioso piano milanese per il contenimento dell’uso dell’auto nella fase 2 (“Strade Aperte”), ripreso entusiasticamente da diverse testate e addirittura da Greta Thunberg, vediamo oggi ben pochi risultati. 

Del "forte potenziamento della rete ciclabile" annunciato nel piano rimangono oggi soprattutto le poche decine di km di itinerari di emergenza tracciati in sola segnaletica e sistematicamente non rispettati (es. Viale Monza), o, finalmente, la messa in sicurezza di alcuni tratti iniziata dopo tre anni con la colorazione dell’asfalto in rosso e i cordoli in cemento (es. Corso Buenos Aires) – richieste avanzate da tempo dalla comunità cicloattivista.

Nuova segnaletica orizzontale e colorazione dell’asfalto in ottobre 2023, foto propria

Anche l’approccio Città30 citato nel Piano rimane sostanzialmente sulla carta: dall’ordine del giorno approvato il 9 gennaio 2023 su “Milano Città 30” non si sono più avute notizie dei suoi effettivi sviluppi e avanzamenti di tipo tecnico-politico. Il risultato è che la messa in sicurezza degli spazi per la mobilità attiva non ha saputo stare al passo con l’effettivo boom delle biciclette in città, con il conseguente aumento di sinistri e di morti in strada.

In aggiunta,  l’aumento dei cantieri in città, probabilmente anche alimentato dal bonus 110% sulle ristrutturazioni approvato dal governo Conte II, ha determinato un grande numero di mezzi pesanti in circolazione. I numeri sulle morti in strada dell’ultimo anno parlano chiaro: sono state nove  le persone travolte e uccise da persone alla guida di mezzi pesanti nel 2023 (fonte: open data sulle vittime di incidenti stradali a Milano). Un bollettino di morte che ha alimentato un sentimento di paura verso l’utilizzo della bicicletta proprio nel momento in cui sempre più persone in città si stavano approcciando a questo mezzo, evidenziando le crepe di una “rivoluzione rimasta a metà”.

La risposta del cicloattivismo

Ma c'è chi dice no: chi si rifiuta di considerare "normale" o "inevitabile" il susseguirsi di articoli di cronaca sulle morti in strada. C'è chi si ferma a ricordare ogni singola vittima, sostituendo i numeri con i nomi, e che alla motonormatività contrappone un lavoro collettivo volto a immaginare una città diversa, a misura di persona.

Se, da un lato, il Comune di Milano ha mostrato poca ambizione nell’affrontare nella pratica questa situazione, dall’altro lato, diverse risposte e riflessioni sono arrivate da parte di cittadinə e associazioni che rivendicano un uso sicuro dello spazio urbano. L’incremento dell’uso della bici e dei rischi connessi al suo uso ha consolidato una comunità ciclistica che è composta da diverse soggettività e approcci (chi fa parte di associazioni e organizzazioni strutturate, chi storicamente coinvolto nell’attivismo locale, ma anche chi è salitə in sella da poco tempo), che tuttavia appare coesa nella diversità che la caratterizza, e che forse trae la sua forza proprio da una pluralità di attori che provengono da diversi contesti ma convergono verso lo stesso fine.

Fare rete: l’unione (di approcci e competenze) fa la forza

L’ondata di mobilitazioni del 2022-2023 si deve a una rinnovata comunità di attori, in alcuni casi storicamente radicati nel cicloattivismo milanese e in altri casi di più recente arrivo e non sempre strettamente legati a esso. 

Da un lato, infatti, c’è l’esperienza e il network costruito dalle persone che fanno parte da parecchio tempo dell’ambiente del cicloattivismo milanese, che spesso hanno come denominatore comune la Critical Mass cittadina. Come narrato nel libro curato da Chris Carlsson – uno degli storici partecipanti della critical mass di San Francisco – il cicloattivismo italiano nasce a Milano nel febbraio del 2002: mentre in tv veniva trasmesso il festival di Sanremo, un gruppo di cicliste e ciclisti diede vita a una festosa pedalata collettiva  reclamando una città diversa, una città più romantica e allegra, opposta a quella che vede le persone isolate e chiuse dentro un’automobile e imbottigliate in un perenne traffico. Quella serata di febbraio provocò la prima frattura del modello autocentrico, oltre a diventare una ricorrenza che si ripete ogni giovedì sera partendo da Piazza Mercanti.

Varie realtà nacquero dalla critical mass milanese e andarono a costituire la seconda ondata di cicloattivismo nel 2011-2012, che corrisponde alla nascita di Salvaiciclisti in Italia e che proprio in questi anni vedono festeggiare, in molti casi, dieci anni di attività: Upcycle, Bici e Radici, Massa Marmocchi – le quali si uniscono all’attivismo più istituzionale e storico di realtà come FIAB Ciclobby.

Tra queste persone c’è Davide Branca, soprannominato anche Zeo. Chi frequenta la scena del cicloattivismo milanese non può non conoscere Zeo, visto che si vede spesso alle manifestazioni e alle iniziative con la cargo bike di Share Radio – una radio web di cui fa parte, nata nel 2009 a Baggio, periferia Ovest di Milano, che mira a promuovere la coesione sociale in città. O ancora Angelo Lisco, che si autoassegna il ruolo di “arruffapopolo”: da quando ha incrociato per caso la Critical Mass non ha più mollato la causa, e cerca oggi di farne una professione a tutti gli effetti, gestendo la realtà di Ciclofficina Nascosta dentro al Parco Sempione. Insieme ad altri nomi come Marco Mazzei, oggi consigliere comunale a Milano, ci hanno raccontato di come la Critical Mass abbia fatto da incubatore per la creazione di una serie di realtà che poi hanno proseguito la loro strada in autonomia e con diversi approcci: chi diventando associazione, chi militando in maniera più politica, chi trasformandosi da ciclofficina in veri e propri negozi.

Ci sono poi realtà più recenti che hanno portato elementi di novità, con nuovi approcci e competenze specialmente in ambito comunicativo: tra le più citate c’è sicuramente Sai Che Puoi?, campagna principale del Comitato Colibrì per la diffusione della cultura della partecipazione attiva e della mobilitazione politica, e “Non vediamo l’ora”, comitato per la ciclabile sul Ponte della Ghisolfa. Ma anche Ilaria Fiorillo, che con la sua pagina Instagram Milanoinbicicletta mostra la bellezza di pedalare in città e la necessità di poterlo fare in sicurezza. In questi casi ha giocato un ruolo fondamentale il sapiente uso della comunicazione social e in generale l’ausilio di professionistə della comunicazione per campagne, comunicati, locandine, risposta critica a pubblicità inefficaci, grafiche e linguaggi efficaci. Come afferma Mazzei, “hanno portato del professionismo dentro a un mondo molto amatoriale e frammentato, anche in termini di ore/uomo”.

L’unione di questi diversi tipi di forze, competenze ed esperienze hanno generato un nuovo fermento al cicloattivismo meneghino, al punto che una coalizione composta da Cittadini per l'Aria Onlus, Sai che puoi?, FIAB Milano Ciclobby Onlus, Genitori Antismog ETS e supportata da più di 200 associazioni ha dato vita alla campagna “Città delle persone” che si è costituita un po’ come la piattaforma di tutte le mobilitazioni del cicloattivismo del 2022-2023. Nonostante la diversità di attori e azioni che compongono il cicloattivismo Milanese, ciò che emerge è una compattezza delle rivendicazioni principali:

  • Approvare il percorso di “Milano città a 30km/h”, attraverso la redistribuzione dello spazio pubblico in favore di chi si sposta a piedi, coi mezzi, in bicicletta.
  • Realizzare una intera città ciclabile, per tutte le età e le abilità, adottando le ‘10 priorità per il biciplan di Milano’ di Clean Cities
  • Rendere ‘strada scolastica’ gli spazi davanti a ogni scuola della città
  • Attuare un programma per eliminare tutta la sosta illegale attualmente tollerata
  • Dare priorità ai mezzi pubblici, aumentando le corsie preferenziali e introducendo l’onda verde negli incroci semaforici.
  • Ripristinare immediatamente le domeniche a piedi.
  • Imporre i sensori di movimento ai mezzi pesanti, una richiesta che è stata avanzata a partire dalla tragica collisione stradale dove ha perso la vita Veronica D’Incà il 1 febbraio 2023

Queste rivendicazioni fanno parte del più ampio slogan che chiede mettere le persone al centro della pianificazione urbana. Infatti, come dimostra anche un video di Mark Wagenbuur – un famoso blogger olandese che documenta la cultura ciclabile dei Paesi Bassi – diverse categorie di persone traggono beneficio quando vengono introdotte misure per ridurre l’autocentrismo, come ad esempio le persone con disabilità e i bambini. Ed è anche in quest’ottica che si possono leggere le azioni portate avanti dalla comunità ciclistica milanese, che da tempo ha ampliato il discorso dalla dimensione della “bici” a quella più generale dello “spazio pubblico” e delle persone.

Come ammesso da molte delle persone intervistate, lo sforzo di fare rete, unendo anche diversi approcci, è stato fondamentale per definire e portare avanti questa battaglia, con lo scopo di condividere saperi e pratiche di mutuo aiuto tra le varie associazioni e realtà.

Agire: come ottenere la città delle persone?

A fianco di forme più istituzionali di pressione, ciò che stupisce del cicloattivismo milanese è la frequenza di azioni di protesta messe in campo tra aprile 2022 e dicembre 2023: 28, più di una al mese, senza contare le critical mass.

A dare impulso a questa terza ondata di cicloattivismo milaneseè stata la protesta sul Ponte della Ghisolfa del 28 aprile 2022, organizzata dal comitato cittadino “Non vediamo l’ora” e ripetuta poi per altro quattro volte fino a ottobre 2023. Il ponte della Ghisolfa - Cavalcavia Bacula è un’infrastruttura importantissima, molto trafficata e priva di piste ciclabili. Secondo un monitoraggio condotto da “Non vediamo l’ora”, ogni giorno almeno 1.600 ciclistə l’attraversano, passando per i marciapiedi o rischiando la vita in mezzo al traffico. Il bilancio partecipativo del 2017-18 prevedeva la realizzazione di una pista ciclabile, inserita poi nel Piano Triennale delle Opere Pubbliche 2019-21 ma mai realizzata. A partire dalla promessa tradita dell’amministrazione comunale è nata una mobilitazione che ha coniugato blocchi stradali, lobbying e realizzazione di piste ciclabili “clandestine” sul ponte stesso, prontamente cancellate dal Comune. La realizzazione della pista ufficiale è prevista per il 2025, un tempo ritenuto inaccettabile dalla comunità cicloattivista che infatti continua a mobilitarsi.

La mobilitazione fortemente simbolica della Ghisolfa ha innescato una serie di altre sequenze di proteste, tra le quali va sicuramente menzionata “ProteggiMi”, una sorta di “ciclabile umana”. L’idea, importata da Portland e discussa tramite una convocazione pubblica nel luogo di ritrovo della Critical Mass Milanese,  è stata organizzata per la prima volta il 10 novembre 2022  a seguito della frustrazione per il mancato rispetto della nuova ciclabile di Viale Monza ed è stata replicata 4 volte, vista la sua ampia partecipazione. Questa mobilitazione ha avuto un impatto mediatico notevole ed è riuscita ad attirare l’attenzione sulle cause dell’insicurezza della corsia ciclabile di Corso Venezia-Corso Buenos Aires-Viale Monza, una delle più utilizzate in città e continuamente occupata da veicoli in sosta. La protesta è stata replicata in altre città italiane e la sua eco è arrivata anche oltralpe.

Le vicende del Ponte della Ghisolfa e di ProteggiMi illustrano benissimo il grande lavoro emotivo svolto dai/dalle leader del cicloattivismo. Le mobilitazioni del 2022-2023 mostrano caratteri di forte innovazione tattica, professionalità comunicativa e radicalità, fattori che hanno portato a una grande attenzione (ci torniamo), ma anche alla doppia capacità di creare empatia con chi si muove a piedi e in bici e stimolare indignazione verso l’amministrazione comunale, a partire dalla delusione e dalla frustrazione rispetto alle promesse tradite.

Eppure nonostante le mobilitazioni del 2022 non si può dire che le strade della città siano ancora sicure per chi le percorre in bici, in monopattino o a piedi. Il primo febbraio 2023 Veronica Francesca D'Incà è morta tragicamente travolta da una persona alla guida di un camion. Tre giorni dopo è esplosa la rabbia del movimento cicloattivista milanese e migliaia di persone hanno manifestato in Piazzale Loreto restituendo un’immagine che ricorda il celebre “Stop de kindermoord” olandese, dando inizio al grido “Basta morti in strada”.

La manifestazione a seguito della morte di Veronica Francesca D’Incà. Photo credits: Andrea Cerchi

A seguito di questa manifestazione, il trafficatissimo nodo di Piazzale Loreto è diventato sempre di più il simbolo della città auto-centrica da reimmaginare. In seguito alla morte di Alfina D’Amato, a giugno 2023, ennesima donna travolta in bicicletta da una persona alla guida di un mezzo pesante, è stata organizzata un’altra iniziativa per bloccare il traffico del piazzale: questa volta si è trattato di un evento-lampo organizzato nel giro di due giorni via passa parola nelle chat di messaggistica privata.

Volantino diffuso via Telegram e Whatsapp pochi giorni dopo la morte di Alfina d’Amato per organizzare un blocco stradale di protesta

La nuova sequenza di proteste con lo slogan “Basta morti in strada”, con presidi e azioni simili come risposta a ogni morte in strada ha dunque assunto la forma di rituale, cioè azioni sociali ripetitive, standardizzate, simboliche e dal contenuto fortemente emotivo che sono state utilizzate per contrastare la normalizzazione di tali tragedie e convogliare indignazione e rabbia verso le istituzioni considerate inadempienti. Potremmo etichettare “Basta morti in strada” come commemor-azioni, per mettere in evidenza appunto la combinazione tra commemorazione dei morti e azione politica.

Il ricorso al blocco stradale in varie occasioni come modalità di protesta, ma anche alla ciclabile “clandestina” disegnata sul ponte della Ghisolfa per ben 4 volte tra luglio del 2021 e novembre 2023, dimostrano la radicalità e la rabbia di una parte del movimento cicloattivista, un “fianco radicale” disposto anche a violare la legge e a sfidare le ire di automobilisti e amministratori pur di cambiare uno status quo ritenuto intollerabile, che è emerso in modo più evidente proprio a seguito delle morti in strada. Anche se tali forme di disobbedienza civile hanno raggiunto ultimamente una popolarità grazie alle azioni  dei movimenti per il clima (es. Ultima Generazione), è importante sottolineare il fatto che essa era già una prassi della critical mass e dei movimenti di cicloattivismo, utilizzata proprio per ribaltare la relazione tra biciclette e automobili.

Le prime crepe nella città autocentrica

Dopo due anni di lotte per “una città delle persone” ci sono i primi risultati: il tema della sicurezza di ciclistə e pedoni ha attirato una considerevole attenzione mediatica ed è entrato nell’agenda politica della città. Tra i provvedimenti più importanti ci sono l’approvazione dell’ordine del giorno per una città a 30 km/h da parte del Consiglio Comunale, la riduzione delle agevolazioni dedicate al Milano-Monza Motor Show (dalle 80 auto esposte in piazza Duomo del 2022 alle 10 del 2023) e la delibera che introduce l’obbligo di sensori per angoli ciechi per i mezzi pesanti. Purtroppo quest’ultimo è stato recentemente bocciato dal TAR a seguito di un ricorso di Assotir (Associazione delle imprese di autotrasporto), ma è in fase di ricorso da parte del Comune di Milano oltre che in discussione a livello nazionale con una proposta di legge. In generale va considerato che gli accadimenti che interessano una città come Milano, e l’attenzione mediatica che ne consegue, hanno il potere di agire come cassa di risonanza a livello nazionale. Cosa che è effettivamente successa ad esempio con la riapertura del dibattito sulle Città30 nell’agenda politica italiana: anche questo può essere considerato un grande risultato.

È notizia recente anche l’istituzione di una squadra di agenti della polizia locale dedicata al controllo del rispetto delle ciclabili di Corso Buenos Aires e Viale Monza, da tempo tra le richieste del cicloattivismo. Tuttavia, se viste in dettaglio, queste misure denotano un carattere ancora troppo poco tangibile: l’ordine del giorno di gennaio sulla Città 30 non è mai stato trasformato in qualcosa di più concreto, come è stato invece fatto a Bologna con la delibera del 1° luglio che ha sancito l’attuazione della Città 30, di cui si vedono già ora i primi cantieri; anche nel caso di sensori e pattuglie dedicate si tratta di misure “palliative” pensate all’interno del realismo automobilista che non contesta il ruolo dominante che è ancora occupato dalle automobili a Milano.

E ora?

Se alcune delle richieste avanzate dalla comunità ciclistica hanno avuto ampio appoggio da parte del Consiglio municipale (nello specifico, l’ordine del giorno “Città 30” e l’obbligo dei sensori), lo stesso non si può dire della Giunta, che si è mostrata spesso assente e priva di una presa di posizione netta rispetto ai gravi accadimenti in città. 

Il processo si è bloccato dunque tra le mani di chi detiene il potere esecutivo, con lo stesso sindaco Beppe Sala spesso accusato dalla comunità ciclistica di essere verticistico e poco dialogante, in perenne equilibrio tra politiche moderatamente ambientaliste e la volontà di non creare troppi conflitti con commercianti, automobilistə e lobby dell’auto, che rimane molto forte e presente nel capoluogo meneghino.

D’altro canto, l’invito del Consiglio Comunale alla Giunta di realizzare la Città30 non ha prodotto a oggi particolari decisioni. Rispetto al ponte della Ghisolfa, nel breve periodo si prevede di implementare dissuasori e segnaletica di protezione a tutela di chi si sposta in bici, ma la realizzazione di una vera e propria pista è stata rimandata al 2025. Più in generale, l’impressione è che manchi una pianificazione di medio e lungo periodo, la capacità di coinvolgere la cittadinanza con operazioni mirate di comunicazione e partecipazione, e soprattutto l’ambizione di città come Parigi, Londra, Bruxelles e Strasburgo che in pochissimi anni hanno rivoluzionato il modo di spostarsi dei propri abitanti.

Se dal punto di vista esecutivo serve una spinta più coraggiosa, dal lato dell’attivismo il volume delle proteste non ha ancora i numeri delle grandi manifestazioni che hanno mosso Amsterdam o Londra. La lotta civica milanese ha coinvolto una pluralità di attori che, come visto, adottano tattiche e metodi di varie tradizioni di azione politica in maniera complementare e flessibile, con un risultato efficace.

Tuttavia c’è ancora molto da fare: un tema che è emerso anche dalle persone intervistate è la necessità di ampliare la comunità ed unire le lotte. Ad esempio, il maggior coinvolgimento di movimenti climatici come Fridays for Future, Extinction Rebellion e Ultima Generazione o dei/delle rider potrebbe essere un fattore chiave nell’aprire nuove crepe nell’idea che le automobili siano imprescindibili nella città e aiutare a costruire una nuova idea di vivere urbano più in armonia con l’ambiente. O ancora, i movimenti transfemministi e in contrasto alla violenza di genere come Non Una Di Meno, che nella bicicletta possono ritrovare uno dei tanti strumenti e simboli di lotta e liberazione per una città più sicura e inclusiva per tuttə.

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Questo non significa necessariamente liberarsi completamente delle auto, ma ridimensionarne il ruolo e il modo in cui occupano lo spazio, secondo il principio che “più grande e più pesante è il mezzo che si guida, e più grande è il rischio di fare male e quindi la responsabilità verso le altre persone”, come evidenziato da alcune riflessioni emerse dal presidio “Basta morti in strada” organizzato per ricordare Ivano Calzighetti. È proprio da queste prime crepe che può avere luogo il crollo della città autocentrica. Ma sarà un crollo positivo, che creerà spazio per la ricostruzione di una città diversa, dove le persone, e non le auto, torneranno finalmente a essere al centro della vita urbana.

*Si ringraziano per le chiacchierate ed il tempo dedicato: Angelo Lisco, Ilaria Fiorillo, Davide Branca, Tommaso Goisis, Ilaria Lenzi, Marco Mazzei

Immagine in anteprima: La manifestazione a seguito della morte di Veronica Francesca D’Incà. Photo credits: Andrea Cerchi

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