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La crisi sanitario-economica mondiale riaccende il dibattito sul reddito di base universale. La Germania annuncia un esperimento di tre anni

27 Agosto 2020 8 min lettura

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La crisi sanitario-economica mondiale riaccende il dibattito sul reddito di base universale. La Germania annuncia un esperimento di tre anni

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La pandemia e la crisi economica che ne deriva hanno contribuito a riaccendere il dibattito internazionale sul reddito minimo garantito e sul reddito di base universale (in inglese, Universal Basic Income o UBI). Su Valigia Blu abbiamo pubblicato nel 2017 un approfondimento specifico sull’argomento, nel quale analizziamo le definizioni, la storia e le diverse posizioni.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito alla perdita di moltissimi posti di lavoro, con gravi conseguenze sulla spesa pubblica degli Stati. Secondo alcuni, in uno scenario di recessione globale, il reddito di base potrebbe smettere di essere visto come "un'utopia irrealizzabile" e diventare piuttosto uno strumento che permetta di risparmiare soldi pubblici e incentivare i consumi.

La povertà globale è diminuita negli ultimi tre decenni, ma molti di coloro che ne sono usciti sono rimasti vulnerabili. Come spiega questo articolo pubblicato da The Conversation, l'80% dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo ha un'occupazione che è improbabile possano continuare a svolgere da casa, il che significa che i lockdown impediscono loro di lavorare. E il 70% dei lavoratori in questi paesi si guadagna da vivere con lavoro nero, la maggioranza quindi non è coperta da alcuna forma di protezione sociale. In questi paesi le misure di contenimento del COVID-19 stanno lasciando un gran numero di persone senza alcun reddito.

Un recente working paper del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite sostiene che uno strumento di assistenza incondizionata di emergenza- denominato "reddito di base temporaneo" (in inglese Temporary Basic Income o TBI) - sarebbe un modo urgente, equo e fattibile per impedire alle persone di cadere in povertà a seguito della pandemia. Secondo Eduardo Ortiz-Juarez, co-autore del paper, "un reddito di base temporaneo non è un'idea radicale. Diverse forme vengono lanciate con nomi diversi e con diversi livelli di finanziamento in tutto il mondo". 

Negli Stati Uniti, una coalizione in crescita formata dai sindaci di Atlanta, Seattle, Los Angeles, New Jersey, Mississippi, Oakland, Stockton e altre città sta chiedendo l'implementazione di un reddito federale garantito per far fronte alla recessione nazionale. Non si tratterebbe di reddito di base universale, ma di un reddito minimo garantito, destinato alle persone più povere e limitato nel tempo, in maniera analoga al modello proposto dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite.

In Spagna è stato approvato a giugno un reddito minimo garantito che oscilla tra i 461 e i 1.015 euro mensili, di cui si beneficeranno 850 mila nuclei familiari bisognosi, con un impatto sulle finanze pubbliche di 3 miliardi di euro l’anno. Il governo spagnolo prevede che questa misura potrà essere d'aiuto a circa 2,3 milioni di persone (1,6 milioni sono quelle in condizioni di povertà estrema). Potranno farne richiesta le persone di età compresa tra i 23 e i 65 anni che risiedono in Spagna da almeno un anno senza interruzioni, indipendentemente dalla cittadinanza. Sebbene non si tratti di un reddito di base universale (in quanto condizionato all'assenza di un reddito), gli esperti lo osservano con interesse, come se si trattasse di un esperimento su larga scala. La maggior parte dei programmi pilota di reddito di base, infatti, consistono nell'offrire denaro a piccoli gruppi di poche centinaia o poche migliaia di persone, non a un'intera comunità. In altre parole, implementano in maniera ridotta un reddito di base, ma non un reddito di base universale. Visto in questo senso, lo scenario spagnolo potrebbe essere un ottimo terreno di studio per quanto riguarda gli effetti di un reddito di base su persone disoccupate.

La Germania, invece, ha annunciato uno studio triennale sul reddito di base, per capire come una misura di questo tipo influisca sull’economia e sul benessere dei beneficiari. Il Pilotprojekt Grundeinkommen (in italiano, progetto pilota sul reddito di base), gestito dall'Istituto tedesco per la ricerca economica e da Mein Grundeinkommen, una startup con sede a Berlino, prevede di assegnare a 120 persone una somma mensile di circa 1.200 euro per la durata di tre anni. La loro esperienza sarà paragonata a quella di altre 1.380 persone che non hanno ricevuto lo stesso tipo di aiuto economico.

I ricercatori prevedono di ricevere circa un milione di candidature entro novembre. Tra queste, 20 mila candidature saranno selezionate in maniera casuale e le persone selezionate intervistate sulla propria situazione. Alla fine saranno scelte 1.500 persone che prenderanno parte all’esperimento, della durata di tre anni. Solo 120 di loro riceveranno il reddito di base, mentre il restante campione servirà come gruppo di controllo, per confrontare cioè i risultati dell'esperimento.

Jürgen Schupp, a capo dell'esperimento, ha dichiarato a Der Spiegel che lo studio consentirà a tutti di avere un dibattito maggiormente informato sull'argomento: "Il dibattito sul reddito di base è stato finora come un salone filosofico nei momenti buoni e una guerra di fede nei momenti difficili", ha detto. “È - da entrambe le parti - plasmato da luoghi comuni: gli oppositori affermano che con un reddito di base le persone smetterebbero di lavorare per adagiarsi sul divano davanti a canali streaming circondati da cibo spazzatura. I fautori sostengono che le persone continueranno a svolgere un lavoro soddisfacente, diventeranno più creative e caritatevoli e salveranno la democrazia". Con questo studio si spera di migliorare la qualità del dibattito sostituendo i cliché con la conoscenza empirica.

L'Istituto tedesco per la ricerca economica è attivo in questo campo da anni, racconta Vox. Nel 2014 ha finanziato attraverso il crowdfunding una lotteria con la quale veniva assegnato un reddito di base ai vincitori (più di 500 persone in tutto il mondo). Ognuno di loro ha ricevuto circa 1.000 euro al mese per un anno. Secondo FastCompany, l'80% dei beneficiari ha affermato che il reddito di base li ha resi meno ansiosi, più della metà ha affermato che ha permesso loro di continuare la propria istruzione e il 35% ha dichiarato di sentirsi più motivato al lavoro. Queste informazioni sono coerenti con quello che sappiamo finora sui possibili effetti di un reddito di base universale.

Cos'è il reddito di base universale

Il reddito di base universale è un reddito erogato dal governo ai suoi cittadini, indipendentemente dal loro patrimonio o dalla condizione lavorativa. I sostenitori del reddito di base sono convinti che questo strumento possa sostituire efficacemente i sussidi basati sul reddito, ridurre le disuguaglianze e migliorare il benessere delle persone, offrendo loro la sicurezza finanziaria necessaria per vivere nella società. I critici di questo modello affermano che un reddito di base universale potrebbe danneggiare la produttività nazionale e sarebbe troppo costoso da implementare, nonostante gli studi suggeriscano il contrario.

Leggi il nostro approfondimento >> Il reddito di base è una cosa seria

I risultati degli studi ci dicono che il reddito di base tende ad aumentare la felicità, la salute, la frequenza scolastica e la fiducia nelle istituzioni sociali, riducendo la criminalità. L'effetto sulla condizione lavorativa è più incerto, ma uno studio in Finlandia ha rilevato che non sembra disincentivare la ricerca di un lavoro (una delle maggiori preoccupazioni di chi si oppone).

Il reddito universale è una famiglia di idee strettamente correlate tra di loro, con una lunga storia. Reddito di base universale, reddito incondizionato, dividendo sociale, reddito annuo garantito, reddito di cittadinanza, imposta negativa sul reddito: il concetto su cui si regge il reddito di base universale è stato chiamato negli anni in diversi modi, ha animato conservatori e progressisti, è riemerso in momenti di turbolenza politica ed economica per poi inabissarsi in quelli di maggiore stabilità. Fin dalle sue origini, le diverse proposte (e il dibattito che di volta in volta è scaturito) si sono articolate intorno a un dilemma: estendere l’erogazione delle prestazioni sociali a tutta la collettività (secondo un’opzione universale) o rivolgerla solo a determinati soggetti, in base alla loro condizione economica (secondo un’opzione selettiva)?

La prima volta che se ne parla è probabilmente nei primi anni del XVI secolo quando Thomas More immagina nella sua Utopia (1516) un’isola dove a ciascun abitante fossero assicurati mezzi di sussistenza senza dover dipendere da un lavoro. L’idea viene poi ripresa dal marchese de Condorcet che, all’epoca della Rivoluzione Francese, aveva proposto una forma di “assicurazione sociale” prima di essere condannato a morte. Da allora ha inizio un lungo viaggio tra l’Europa e gli Stati Uniti in cui più volte si è fatta strada l’ipotesi di un reddito di base per rispondere a questioni diverse tra il mondo rurale della Francia e del Regno Unito e gli Stati Uniti dopo la crisi del 1929 e nel periodo a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70, per poi tornare prepotentemente al centro del dibattito pubblico nei giorni nostri con sperimentazioni in cantiere in diversi paesi del mondo.

Nessun paese ha finora adottato il reddito di base universale. È giusto specificare che in Italia il cosiddetto “Reddito di cittadinanza” non è un vero reddito di cittadinanza (sinonimo appunto di reddito di base universale), ma un reddito minimo condizionato alla formazione e al reinserimento lavorativo, assegnato in base al reddito e al patrimonio di chi ne fa domanda. È quindi importante non confondere le due cose.

Progetti pilota simili a quello della Germania sono già stati realizzati negli Stati Uniti, in Canada, Brasile, Finlandia, Olanda, Iran, Kenya, Namibia, India e Cina. Il più importante è anche quello più recente ed è stato fatto in Finlandia.

La sperimentazione del reddito di base in Finlandia

La Finlandia ha pubblicato pochi mesi fa i risultati di un esperimento simile a quello tedesco. E si è rivelato un successo (contrariamente a quanto erroneamente riportato da alcuni giornali italiani nel 2018, quando il governo finlandese decise di non prorogare il progetto allo scadere del biennio iniziale).

L’esperimento finlandese, considerato lo studio più approfondito al mondo sul reddito di base universale, ha dimostrato che questa misura aumenta il benessere mentale e finanziario dei beneficiari, oltre a migliorare modestamente l'occupazione, riporta New Scientist.

Tra il 2017 e il 2018, come parte dello studio, 2.000 disoccupati di età compresa tra i 25 anni e i 58 anni (selezionati nel dicembre del 2016 da un campione casuale), hanno ricevuto un reddito mensile di base di 560 euro.

I cittadini finlandesi prescelti, scriveva all’epoca Internazionale, avrebbero ricevuto “la somma in maniera automatica, senza ostacoli burocratici né penalità se guadagnano altri soldi” e non avrebbero dovuto “rendere conto di come spendono il denaro ricevuto”.

Nell’aprile 2018, il governo finlandese ha deciso di non prorogare il progetto pilota senza attendere l’analisi dei risultati del primo biennio. Tali risultati sono stati presentati a maggio scorso dall’Istituzione pensionistica nazionale (KELA), responsabile dell’esperimento.

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Lo studio ha confrontato l'occupazione e il benessere dei 2.000 beneficiari del reddito di base con un gruppo di controllo di 173 mila persone che ricevevano un’indennità di disoccupazione ordinaria. Tra novembre 2017 e ottobre 2018, le persone con reddito di base hanno lavorato in media 78 giorni, sei giorni in più rispetto a quelle con sussidio di disoccupazione. Quando sono state intervistate, i beneficiari del reddito di base universale hanno riportato un migliore benessere finanziario, salute mentale e funzionamento cognitivo, nonché livelli più elevati di fiducia nel futuro. E non rappresenterebbe un disincentivo per le persone a lavorare, come sostengono invece da anni i critici di questa misura.

Alla domanda se il reddito di base potrebbe aiutare le persone ad affrontare situazioni come le ricadute economiche della pandemia di COVID-19, Minna Ylikännö, Senior Researcher presso il KELA, ha risposto che potrebbe aiutare ad alleviare lo stress in un momento incerto come questo: "Penso che darebbe sicurezza alle persone che si trovano in gravi situazioni di precarietà, ossia quando non sai se avrai un reddito o no", ha detto.

(Immagine via Pixabay)

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