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Cancel culture, dalle origini alla propaganda dell’estrema destra in Usa alle farneticazioni in Italia

8 Maggio 2021 16 min lettura

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Cancel culture, dalle origini alla propaganda dell’estrema destra in Usa alle farneticazioni in Italia

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Scrivo questo pezzo con la chiara consapevolezza di chi, come si dice dalle mie parti, vuole “Asseccà ‘o mare cu ‘a cucciulella”, ovvero tenta di prosciugare il mare utilizzando una semplice tazzina, vista la mole impressionante di false notizie, notiziole enfatizzate, ragionamenti mistificatori e orrorifici alla quale siamo sottoposti giorno per giorno.

Parliamo di Cancel culture, di che cos’è, com’è nata, come si è evoluta negli USA, com’è stata strumentalizzata dalla destra e di come viene travisata e caricaturizzata in Italia.

Le origini

In un recente articolo sul Washington Post, Clyde McGrady ha individuato il momento in cui “to cancel” è entrato nel gergo degli afroamericani, per poi, come spesso accade (si parla di culture appropriation) essere prelevato ed utilizzato contro di loro dai bianchi: lo scrittore e sceneggiatore Barry Michael Cooper fece pronunciare le parole “Cancel that bastard” ad uno dei personaggi  del film del 1990 “New Jack City”, che narra la storia di alcuni spacciatori afroamericani durante la c.d. invasione del crack a New York. A pronunciare la frase è Nino Brown, un esponente di punta dello spaccio in città, e nelle intenzioni di Cooper il verbo “to cancel” serviva ad esprimere la sua onnipotenza. Gli venne in mente nel più classico e casuale dei modi: mentre scriveva ascoltò per caso il brano del 1981 “Your Love Is Cancelled” di Nile Rodgers (il leggendario leader degli Chic), una delle tante canzoni su un amore andato a male. L’espressione, qualche anno dopo, dopo essere stata utilizzata qui e lì da qualche artista, tra cui il rapper 50cent, e in qualche serie TV, viene fatta propria dalla community detta Black Twitter.

L’evoluzione

Su twitter e in generale sui social “to Cancel someone” diventa quindi un modo di dire per intendere “togliere il like”, “smettere di seguire” e “togliere il supporto”.

Sull’Urban Dictionary la definizione del 2018 è ”To dismiss something/somebody. To reject an individual or an idea”, letteralmente “Scaricare qualcosa o qualcuno. Rifiutare un individuo o un’idea”. Spesso veniva utilizzato in maniera intercambiabile con il termine “woke” (una specie del nostro Sveglia!) per richiamare l’attenzione dei propri contatti su qualcuno o qualcosa che aveva passato il limite. Clyde McGrady lo riferisce come qualcosa di più simile a cambiare canale che chiedere all’emittente di cancellare il programma, come a dire che aveva una dimensione individuale o, comunque, legata ad una sfera ristretta di amici e conoscenti.

Meredith D. Clark, assistant professor in the Department of Media Studies at the University of Virginia, nel suo paper del 2020 «A brief etymology of so-called “Cancel culture”» ha scritto che la Black Twitter Community ha inizialmente utilizzato il modo di dire essere

"Canceled" in alcuni meme. Ma “il riferimento è stato successivamente colto da osservatori esterni, in particolare giornalisti con un'enorme capacità di amplificare il (proprio) sguardo bianco”. “Politici, esperti, celebrità, accademici e persone comuni hanno quindi narrativizzato la cancellazione [...] associandola a una paura infondata della censura e del silenzio”.

Dare la notizia al personaggio pubblico sui social che era stato “canceled” fu uno dei risultati della disintermediazione resa possibile dai social media. Parliamo della metà degli anni ‘10, su Facebook non esisteva ancora la reaction “Grrr” e Twitter tuttora non ha un tasto per esprimere disappunto. Qui e qui un esempio dei tweet dell’epoca, entrambi citati nell’articolo di Aja Romano intitolato “Why we can’t stop fighting about Cancel culture” nel quale vengono riportate anche le parole di Anne Charity Hudley, PhD, Chair of Linguistics of African America at the University of California Santa Barbara: “Canceling è un modo di dimostrare che non c’è bisogno di avere il potere di cambiare le disuguaglianze strutturali. Non devi nemmeno avere il potere di cambiare tutta l’opinione pubblica. Ma come individuo puoi avere un potere [...] per i neri e le persone con un basso reddito e prive di diritti civili, questa è la prima volta che hai voce in capitolo in questo tipo di conversazioni".

Cominciarono, successivamente, ad arrivare le “call-outs”, attraverso gli hashtag sui social e i blog più seguiti dagli afroamericani, per invitare il resto della comunità, anche al di fuori della propria rete di contatti, a smettere di seguire chi l’aveva fatta grossa.

A tal proposito in molti distinguono la Cancel culture dalla call-out culture, proprio per sottolineare il passaggio dalla dimensione individuale o ristretta a quella di massa e più o meno organizzata.

La Cancel culture In Italia fino alla fine del 2019

Cercando nell’archivio di Repubblica, risulta che il primo articolo a parlare di Cancel culture è dell’agosto del 2018, a firma di Giuliano Aluffi. Nel pezzo, intitolato “Se non mi piaci ti cancello”, Massimo Mantellini definiva il canceling come una dichiarazione pubblica: «Non voglio più avere nulla a che fare con questa persona» e venivano elencate “alcune vittime della Cancel culture: Logan Paul, nel mirino dopo l'ironia fatta durante un video girato nella "foresta dei suicidi" in Giappone; PewDePie, lo youtuber messo alla berlina per alcune battute fuori luogo; Scarlett Johansson, accusata dalla comunità transgender di voler rubare il lavoro ai trans; Kanye West accusato per un presunto post razzista e lo chef Gordon Ramsey accusato dai vegani di avere ironizzato su di loro”.

Con scarsa fantasia, anche il secondo pezzo di Repubblica a parlare di Cancel culture, pubblicato oltre un anno dopo, si intitolava “Se non mi piaci ti cancello” ma era la traduzione di un pezzo di Ta-Nehisi Coates intitolato “The Cancellation of Colin Kaepernick” nel quale l’ottica era ribaltata e si narrava dell’ostracismo della NFL, la lega del Football Americano, contro Colin Kaepernick, il giocatore afroamericano che per primo si era rifiutato di stare in piedi durante l’esecuzione dell’inno nazionale, inginocchiandosi in segno di protesta contro la violenza e il razzismo sistemico della polizia. “Fino a poco tempo fa - scriveva Ta-Nehisi Coates - la cancellazione viaggiava dall'alto verso il basso, dai potenti contro chi non ha potere. Ma ora, in quest'era in cui chiunque abbia un account Twitter o Facebook può diventare un editore, l'ostracismo sembra essersi democratizzato”.

Gli altri risultati provenienti dalla ricerca nell’archivio di Repubblica sono tutti articoli scritti nel 2020, più o meno in concomitanza con la pubblicazione su Harper’s Magazine della famosa lettera aperta firmata da circa 150 intellettuali tra cui Noam Chomsky, J.K. Rowling, Salman Rushdie e Margaret Atwood sulla giustizia e sul dibattito pubblico.

Leggi anche >> La lettera dei 150 intellettuali contro la “cancel culture” è fuori dalla realtà

A dimostrazione della scarsa comprensione del tema, il discorso di Obama del 30 ottobre 2019 nel quale parla esplicitamente di call-out culture e di woke non viene messo in relazione alla Cancel culture dalla stampa italiana, eccezion fatta per il Corriere della Sera (edizione cartacea) che in un pezzo del 1° novembre a firma di Viviana Mazza intitolato “Obama ai ragazzi: il mondo è complicato, servono compromessi” scrive che la “Woke culture è legata alla Call-out culture e anche alla Cancel culture, il boicottaggio dei personaggi pubblici che commettono errori”.

Fino alla fine del 2019, quindi, la stampa italiana, seppur non prestando grande attenzione al tema, riporta abbastanza correttamente cosa sia la Cancel culture. La locuzione non è ancora distorta.

Le prime avvisaglie della distorsione, fase immediatamente precedente alla caricaturizzazione, arrivano alla fine del 2019.

L’Italia recepisce la distorsione di destra della locuzione Cancel culture

È il Foglio il primo giornale italiano ad occuparsi di Cancel culture nel senso deteriore di cui si parla oggi. Prima, nel recensire il libro di Bret Easton Ellis, “White”, scrive che ogni performance artistica non conforme ai voleri del pubblico è “roba meritevole di boicottaggio e censura nella forma del de-platforming, la tecnica preferita dalla cosiddetta Cancel culture”.

Nel dicembre 2019, l’australiano Macquarie Dictionary elegge parola dell’anno Cancel culture. La definizione che ne dà è più o meno quella classica “l’atteggiamento all'interno di una comunità che richiede o determina il ritiro del sostegno ad un personaggio pubblico”, mentre la motivazione per la scelta è che si tratta di “Un atteggiamento così pervasivo che ora ha un nome, la Cancel culture della società è diventata, nel bene e nel male, una forza potente”. Il Foglio, nel commentare la notizia, si chiede: Quanti sono i libri “finiti al macero ancor prima di essere pubblicati? Quanti i quadri, da Balthus a Gauguin passando per Schiele e Picasso, che si è fatto o si voleva far sparire dalla vista del pubblico nei grandi musei, processandoli ex post per la condotta sessuale poco reprensibile dei loro autori? Quanti i direttori d’orchestra, i cantanti, i ballerini, scomparsi dal mondo della musica classica e operistica? [...] Quante le statue [...] tirate giù ? Quanti i cartoni animati archiviati per sempre o le musichette jazz poco edificanti fagocitate dalla nuova doxa antirazzista e militante?

Ecco che, per la prima volta, il #MeToo, la richiesta di abbattimento delle statue, il macero, la censura e persino i cartoni animati vengono mischiati in un unico calderone sotto l’egida della Cancel culture, in quello che sembra quasi un libretto di istruzioni per quello che succederà di lì a qualche mese.

Già, perché per altri 6 mesi la stampa italiana non si occupa di Cancel culture per poi procedere a ritmi incredibili. Una sommaria rassegna stampa del 2020 e 2021 restituisce oltre 200 articoli per la ricerca “Cancel culture”, il primo dei quali è, ancora del Foglio, di giugno 2020.

Non può essere casuale la concomitanza con l’omicidio di George Floyd e, soprattutto, con la gigantesca ondata di proteste che prese piede in tutto il mondo. Floyd viene assassinato da un poliziotto il 25 maggio 2020, negli USA la comunità afroamericana e non solo scende in piazza, il mondo dello sport si schiera, anche in Italia.

La stampa, che per la prima metà del 2020 ha del tutto ignorato il fenomeno, comincia ad occuparsi in maniera compulsiva di (quella che chiama) Cancel culture.

In prima linea c’è sempre il Foglio, con due articoli del 10.6.2020. Il primo sul ruolo del giornalista dopo l’editoriale di Margaret Sullivan sul Washington Post, il secondo sulle dimissioni del direttore di Bon Appétit, Adam Rapoport, a seguito della diffusione su twitter di una sua vecchia foto nella quale si era “travestito” da portoricano.

Nessuna delle due notizie “parte” dagli Stati Uniti in correlazione alla Cancel culture. In effetti si tratta di questioni interne alle redazioni e di rapporti con gli editori, ma a costruire il frame della Cancel culture ci pensano i media di destra: il New York Post e Fox News in una serie di articoli e servizi TV mettono insieme: James Bennett, dimessosi dal New York Times per aver ospitato l’editoriale di un senatore repubblicano che invocava la repressione militare contro le proteste di piazza; Adam Rapoport, di cui abbiamo parlato; Claudia Eller, sospesa (e poi riammessa) da Variety a seguito di uno scambio di tweet; John Cruz, licenziato dal celebre marchio di chitarre Fender (forse) per aver pubblicato un post su Facebook che ironizzava violentemente sulle proteste BLM; la vicenda di Via col Vento (di cui parleremo dopo); la fine, dopo 32 stagioni, di Cops, un reality show sulla polizia; la presa di posizione della Lego al fianco del movimento BLM; la decisione della NASCAR (National Association for Stock Car Auto Racing) di bandire le bandiere confederali dai propri eventi; la direttiva dei Marines, sempre sulle bandiere confederali; l’abbattimento a Richmond, da parte dei dimostranti, della statua di Jefferson Davis, unico presidente degli stati confederati e combattente nella guerra di secessione; il presunto attacco su twitter al cartone animato Paw Patrol

Il tutto è condito dalle chiose che oramai siamo abituati a sentire anche in Italia: “non si può più dire niente”, “dove andremo a finire” e così via.

Le storie raccolte non hanno nulla o quasi in comune tra di loro. Certo, sullo sfondo negli USA c’è la vigorosa protesta del movimento BLM, ma nessuno ha chiesto la chiusura di una serie TV, il ritiro dal commercio di un giocattolo o il licenziamento di un liutaio.

Non c’è stata nella maggior parte dei casi la call-out dei cosiddetti (dalla destra) social justice warriors (sulla escalation di questo termine è utile dare una lettura al paper di Sean Phelan, Associate Professor at the School of Communication, Journalism and Marketing, Massey University, Wellington), eppure tutto viene frullato ed etichettato come Cancel culture.

Si tratta, né più né meno, del metodo utilizzato con altre etichette, dalla teoria del gender al buonismo al politicamente corretto.

Leggi anche >> Il politicamente corretto: un falso mito creato dalla destra per attaccare la sinistra

10 dei casi più famosi (per tacer di Biancaneve)

Raccogliere tutti i casi in cui in Italia è stata tirata in ballo con scarsa o nessuna cognizione di causa negli ultimi 12 mesi è pressoché impossibile. Una brevissima rassegna, tuttavia, aiuta a renderci conto di come il frame costruito dalla alt-right americana sia stato fatto proprio dai media italiani:

1) Via col vento ritirato, anzi no

10 giugno 2020, su tutte le testate italiane rimbalza il titolo “HBO ritira Via col vento dal catalogo, è razzista”. Alcuni esempi qui, qui, qui e qui. I più arditi parlano apertamente di censura. La verità, ormai nota, è che il regista John Ridley in un editoriale sul Los Angeles Times, sottolineando come il film avesse romanticizzato ed edulcorato la questione della schiavitù, aveva chiesto “Voglio essere molto chiaro: non credo nella censura. Non credo che Via col vento debba essere chiuso in un caveau di Burbank. Sto solo chiedendo che, dopo un opportuno periodo, il film venga reintrodotto sulla piattaforma HBO Max, insieme ad altri film che siano in grado di offrire un quadro più ampio e completo di ciò che la schiavitù e gli Stati Confederati hanno rappresentato. O forse potrebbe essere accompagnato da conversazioni sul modo di raccontare e sul perché sia importante avere molte voci che condividono storie da diverse prospettive, piuttosto che avere solo quelle che rafforzano le opinioni della cultura prevalente. Attualmente non è presente neanche un avvertimento o un disclaimer prima del film.” HBO ha raccolto l’appello, ha sospeso la distribuzione del film per due settimane e lo ha reinserito con l’aggiunta di un disclaimer e di alcuni contenuti aggiuntivi. Oggi lo trovate un po’ su tutti i servizi di streaming.

2) Lettera aperta su Harper’s di 150 intellettuali

7 luglio 2020, 150 intellettuali firmano una lettera aperta intitolata “A Letter on Justice and Open Debate” sul periodico Harper’s Magazine. Vista l’autorevolezza dei firmatari, l’appello viene ampiamente trattato sulla stampa. La Cancel culture non è nominata nella lettera, ma il riferimento è evidente. Non c’è alcun riferimento, invece, al revisionismo e all’abbattimento delle statue; c’è un appoggio esplicito alle proteste, alla richiesta di riforma della polizia e una condanna fermissima di Donald Trump, descritto come “una vera minaccia per la democrazia”. Gli articoli sui giornali, invece, vengono accompagnati da foto di statue abbattute e frames di Via col vento. Repubblica pubblica un editoriale di Flores D’Arcais in cui questi sostiene che la lettera è contro la «cancellazione della cultura» (virgolettato nel testo), salvo correggersi il giorno successivo e invocare l’errore di traduzione (ma come abbiamo visto la Cancel culture non è neppure nominata nell’appello, quindi non si sa cosa abbia tradotto). Pierluigi Battista nel commentare la lettera dice che “l’obiettivo è fare tabula rasa del passato, di tutti gli autori di ieri non considerati ‘corretti’ agli occhi dell’ ‘inquisizione’ di oggi, che vede nelle opinioni differenti il Male e in taluni simboli artistici e culturali, anche passati, una minaccia”. Tutte cose che nella lettera e nella cronaca non ci sono, nemmeno lontanamente.

3) La Cancel culture di Putin

21 luglio 2020, Yuri Dmitriev, uno storico russo, viene condannato a 3 anni e mezzo di carcere per pedofilia dopo un processo iniziato nel 2018, il Foglio e la Stampa titolano “La Cancel culture di Putin”. (questa è la mia preferita)

4) Gauguin e la statuina paleolitica

27 luglio 2020, l’algoritmo di Facebook rimuove, ritenendola inappropriata, l’immagine di una statuina del paleolitico, per poi scusarsi. La Stampa titola così

5) La morte del prof. Mike Adams

28 luglio 2020, il prof. Mike Adams, criminologo dell’Università Wilmington del North Carolina, dimessosi dopo una serie di esternazioni controverse, si toglie la vita. Il Foglio titola “Una vera Cancel culture”.

6) La Cancel culture secondo Panebianco

17 agosto 2020, nel suo editoriale “La paura di essere liberi”, Angelo Panebianco definisce la Cancel culturedistruggiamo statue e altre vestigia del passato perché incompatibili col sentire comune odierno”.

7) Ritrovamento a Pompei

27 dicembre 2020, riemerge dagli scavi di Pompei un Thermopolium con tegami e resti di cibo. Tra i resti viene ritrovata anche un’iscrizione derisoria nei confronti di un omosessuale. Il Giornale ci fa un pezzo intitolato “E ora provate a cancellare quella scritta omofoba” nel quale si legge “Adesso non resta che aspettare al varco i legionari del politicamente corretto, del #noOmofobia, del Lgbt, della Cancel culture. Per coerenza, dopo aver imbrattato statue e monumenti schiavisti, fascisti, sessisti&omofobi, devono venire a Pompei e cancellare, subito, la scritta. Troppo facile prendersela solo con Churchill.” Ma perché?

8) Omero razzista e bannato dal Massachusetts (naturalmente no)

5 gennaio 2021, Follia negli Usa: "Odissea razzista, via da scuola" e “Omero razzista”. In America una scuola elimina l'Odissea. Ci tornerà su qualche mese dopo anche Salvini. Naturalmente nessuna scuola ha bandito Omero né gli ha dato del razzista, la prof. in questione aveva semplicemente proposto una rimodulazione dei programmi. Nel frattempo su La Gazzetta del Mezzogiorno si trasforma in “un gruppo di docenti”.

9) Mozart razzista (ma solo secondo Gramellini)

1 aprile 2021, la vicenda è abbastanza nota, metto qui come promemoria la
ricostruzione de Il riformista.

10) La biografia di Philip Roth al macero (ma quando mai)

23 aprile 2021, la Norton, casa editrice di “Philip Roth: The Biography”, scritto da Blake Bailey, decide, dopo le accuse di violenza sessuale allo scrittore, alcune risalenti nel tempo, altre più recenti, in un primo momento di fermare la ristampa del libro già in commercio, in un secondo momento di rescindere il contratto, rendendo libero l’autore di pubblicare con un altro editore. Per il Manifesto le copie sono andate al macero, Natalia Aspesi fa un appello dalle pagine di Repubblica “Fateci leggere la vita di Roth” dove si chiede se verranno distrutti i libri di Roth, quelli di Houellebecq e se verrà cambiato il finale di Anna Karenina (ma perché poi?).

In realtà il libro è stato stampato e distribuito, è in vendita nelle librerie, si trova ancora oggi su Amazon, sia in formato cartaceo che Kindle. Esiste già la versione audiolibro. Verrà pubblicato in Italia da Einaudi. Il Foglio, però, parla di censura.

Un’etichetta di destra affibbiata a liberal e progressisti in un momento in cui si combatte per i diritti

La Cancel culture come ideologia, dunque, non esiste. Esiste, però, un tag, un’etichetta che la destra statunitense e, a cascata, la stampa mondiale hanno affibbiato a tutto ciò che si muove in un momento in cui si combatte per i diritti civili. Combattono gli afroamericani negli Stati Uniti, combattono le donne in tutto il mondo, combattono gli appartenenti al mondo LGBTQ.

Non combattono tutti insieme, non hanno una piattaforma comune. I singoli movimenti, a loro volta, non sono compatti. Esistono fronti e spaccature e, naturalmente, contraddizioni.

Come nota Claudia Durastanti su Internazionalenessuno sta bruciando Harry Potter in piazza, né il Racconto dell’ancella, Noam Chomsky non resterà senza un editore, e Andrew Sullivan troverà un altro lavoro domani” ma alcuni cambiamenti stanno avvenendo, ci sono “nuovi invitati alla festa” e bisogna tenerne conto. 

Dietro molte decisioni, molti licenziamenti e molti contratti rescissi, ci sono interessi economici. Se la Lego decide di smettere di pubblicizzare negli USA i propri set di costruzioni delle stazioni di polizia, lo fa per sensibilità, ma anche e soprattutto per evitare di subire cali di vendite. Come la Coca Cola, in tempi di obesità e attenzione al fisico, ha deciso di puntare sulle bibite a zero calorie, così editori, case di moda, produttori di giocattoli, case di distribuzione, etc. orientano le proprie strategie di mercato in base alle esigenze del momento.

Tutto questo ha poco a che fare con la Cancel culture e molto a che fare con il capitalismo, ma sembra interessare poco o niente.

Evocare lo spauracchio del nuovo fantasma della cancellazione che si aggira per il mondo fa comodo all’estrema destra, ai conservatori. Serve a spostare l’attenzione.

Secondo Mapping Police Violence sono 352 gli americani uccisi negli Usa da parte della polizia dall’inizio dell’anno. Più di due al giorno. Di questi, 87 sono afroamericani, il 24,7% del totale, nonostante rappresentino il 13% della popolazione.

Con l’assalto a Capitol Hill abbiamo visto di cosa siano capaci i suprematisti bianchi. È del tutto ovvio che quella parte politica tenti di screditare chi lotta (contro di loro) per avere un futuro. Come abbiamo visto sopra, lo ha fatto per anni la destra italiana dando del buonista a chi voleva salvare vite nel Mediterraneo e dell’ideologo gender a chi si preoccupava delle discriminazioni contro gli omosessuali.

Quello che non è invece del tutto chiaro è perché in Italia ci tocca leggere cose aberranti come questa;

Di che roghi parla Mentana? Quali sarebbero gli attivisti che hanno proposto di bruciare o censurare libri? Come può, in tutta coscienza, paragonare (con tanto di foto) due cose come il nazismo e la Cancel culture?

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A che gioco stanno giocando i commentatori, i direttori di giornali e gli editorialisti che evocano di continuo, da un anno a questa parte, la Cancel culture?

Due giornaliste del SF Gate si sono chieste due giorni fa se fosse il caso di ragionare sul bacio del principe a Biancaneve (cosa peraltro non nuova, guardate come ne parla la bravissima Iliza Shlesinger nel suo spettacolo Elder Millennial dal minuto 2.10, giusto per chiudere con un sorriso), la domanda viene ingigantita da alcuni media e fa il giro del mondo. Si può ridere della cosa, si può ragionare, si può rispondere seriamente o metterla in burla, ma sul serio qualcuno crede che una domanda del genere metta in discussione le nostre libertà? Sul serio argomenti del genere meritano più spazio delle discriminazioni per ragioni di sesso, etnia, orientamento sessuale e religione che quotidianamente affliggono milioni di persone?

Foto anteprima Tony Webster sotto licenza CC BY 2.0 via Wikimedia Commons

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