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Brasile al voto per eleggere il nuovo presidente: la corsa di Lula da favorito, le minacce di Bolsonaro

1 Ottobre 2022 11 min lettura

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Brasile al voto per eleggere il nuovo presidente: la corsa di Lula da favorito, le minacce di Bolsonaro

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Lula è il nuovo presidente del Brasile

Aggiornamento 31 ottobre 2022: Luiz Inácio Lula da Silva ha sconfitto Jair Bolsonaro ed è diventato il nuovo presidente del Brasile. La vittoria di Lula è stata confermata dalla Corte Elettorale Superiore (TSE) quando erano state scrutinate il 98% delle schede: il leader del Partido dos Trabalhadores aveva il 50,83% dei voti validi e non poteva più essere raggiunto da Bolsonaro (PL), fermo al 49,17%.

"Sono qui per governare questo paese in una situazione molto difficile. Ma ho fiducia che, con l'aiuto della gente, troveremo una via d'uscita affinché questo paese possa vivere in modo democratico, armonioso. E possiamo anche riportare la pace tra le famiglie per costruire il mondo di cui abbiamo bisogno, e il Brasile", ha detto Lula nel discorso di ringraziamento per la vittoria. "È ora di deporre le armi, che non avrebbero mai dovuto essere impugnate. Le pistole uccidono. E scegliamo la vita", ha aggiunto. Accanto a lui i suoi alleati, il vicepresidente eletto, Geraldo Alckmin (PSB), e il senatore e terzo classificato al primo turno, Simone Tebet (MDB).

Si è trattato di una delle elezioni più accese e problematiche nella storia del Brasile: Lula ha vinto con "appena" due milioni di voti in più rispetto a Bolsonaro che non ha ancora commentato il risultato. "Accetterà i risultati?", si chiede il New York Times in un commento sulle elezioni.

I capi di governo europei, del Sud America e degli Nord America si sono immediatamente congratulati con Lula non appena la sua vittoria è diventata ufficiale.

Brasile, Lula in testa al ballottaggio, ma per Bolsonaro non è ancora finita

Aggiornamento 3 ottobre 2022: Le elezioni del 2 ottobre in Brasile rappresentavano la tessera chiave del puzzle latinoamericano, per comprendere come si muoverà l’orientamento politico dell’intera regione. Eppure per conoscere le future strategie e alleanze bisognerà aspettare, il Brasile andrà al ballottaggio.

Alla fine di una lunga giornata elettorale, in cui Lula Da Silva è partito in netto svantaggio rispetto a Bolsonaro nel conteggio dei voti, la lenta rimonta ha portato il candidato del Partido dos Trabalhadores (PT) al 48,38% delle preferenze, mentre l’attuale presidente di estrema destra è retrocesso fino al 43,24%. I due protagonisti indiscussi dell’intensa campagna elettorale degli ultimi mesi torneranno dunque a confrontarsi alle urne il prossimo 30 ottobre.

Gli ultimi sondaggi prima delle elezioni mostravano Lula in vantaggio sul contendente di 14 punti, mentre la realtà delle urne ha mostrato un margine molto più ridotto, di soli 5 punti: se il PT puntava vincere le elezioni al primo turno, il dato da segnalare è quindi negativo per le forze progressiste raccolte attorno alla figura carismatica dell’ex presidente che ha guidato il Brasile tra il 2003 e il 2010 e che è stato assolto il 3 luglio 2019 dopo 19 mesi di carcere con un’imputazione per corruzione nello scandalo conosciuto come Lava Jato.

Gli ultimi quattro anni di governo dell’ex militare Bolsonaro stati segnati da scandali politici, una pessima gestione della pandemia con un numero di morti tra i più alti del mondo, l’aumento dell’inflazione e del costo della vita, la crescita della povertà e della violenza armata oltre alla persecuzione delle popolazioni indigene e l’avanzata della deforestazione, il discorso esplicitamente razzista e l’apologia della dittatura, eppure la maggioranza nelle regioni del sud e del centro dell’enorme Paese federale ha scelto nuovamente Bolsonaro, mentre il consenso a Lula si concentra nelle regioni più povere, nel nord e nord-est del Brasile. 

Nella sfida al secondo turno giocheranno un ruolo fondamentale i votanti dei candidati che si sono posizionati al terzo e quarto posto: Simone Tebet, del Movimiento Democratico Brasileño (MDB), con un orientamento di centro destra ma un discorso fortemente anti-bolsonarista, ha raccolto il 4,16% delle preferenze e non ha ancora esplicitato le sue indicazioni di voto, ma soprattutto non è scontato che i suoi elettori la seguano. Un discorso simile si può fare anche per Ciro Gomes del Partido Laburista, politico di lungo corso con un profilo di centro sinistra e già candidato presidenziale in tre occasioni, che ha ha preso il 3,05% dei voti presentandosi come un’alternativa alla polarizzazione politica e non è detto che appoggerà Lula al ballottaggio.

Alle urne si sceglievano anche senatori, deputati e governatori, che confermano al Partido Liberal di Bolsonaro più forza di quella che raccontavano i sondaggi e le aspettative della campagna. “Vinceremo le elezioni, questo mese è solo un tempo extra” ha affermato Lula subito dopo il risultato, ma la vera campagna per il prossimo governo del Brasile comincia ora.

Il 2 ottobre il Brasile va al voto per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, rinnovare il parlamento, scegliere i governatori dei singoli Stati e i rappresentanti delle assemblee locali. Se nessuno dei candidati otterrà più del 50% delle preferenze, il 30 ottobre ci sarà il ballottaggio. 

Sebbene la campagna elettorale in Brasile sia iniziata ufficialmente lo scorso 16 agosto, la tensione attorno al voto di domenica già da parecchi mesi ha raggiunto livelli critici, e si è polarizzata attorno ai due principali candidati. Si tratta ovviamente di Luiz Inácio da Silva, meglio noto come Lula, che ha governato il paese tra il 2002 e il 2010 con il Partido do Trabalhadores (PT) ed è favorito in tutti i sondaggi, e Jair Bolsonaro l’attuale presidente di estrema destra, che già dall’anno scorso sta sventolando il fantasma dei brogli fino a minacciare di non accettare il risultato delle urne nel caso di una sconfitta.

A fine agosto, l’ispettore generale del Tribunale Superiore della Giustizia brasiliano, Mauro Campbell Marques, ha aperto un’indagine contro Bolsonaro per i suoi attacchi all’affidabilità delle macchine elettroniche del sistema di votazione, durante un incontro svolto il 18 giugno con rappresentanti diplomatici di numerosi paesi. L’accusa è di aver utilizzato la riunione per fare campagna elettorale in anticipo rispetto ai tempi stabiliti dalla legge e di aver diffuso informazioni false sul rischio di brogli. Mentre Bolsonaro resta inquisito, la giustizia ha già disposto il ritiro dai canali televisivi e social dei video dell’incontro diplomatico.

A denunciare gli attacchi di Bolsonaro contro il sistema giudiziario è intervenuta anche Michelle Bachelet, all’epoca Alta Commissaria dell’ONU per i Diritti Umani. “Quel che mi sembra preoccupante – ha sottolineato Bachelet – è che il presidente chieda ai suoi simpatizzanti di protestare contro le istituzioni giudiziarie”.

All’inizio di giugno, durante una visita ufficiale nello stato del Paraná, Bolsonaro ha dichiarato “se è necessario andremo in guerra per difendere la libertà” e ha invitato i suoi elettori a prepararsi, sottolineando che la dedizione nei confronti del Brasile non è solo prerogativa dei militari che fanno giuramento di difendere il Paese a costo della propria vita. Ex capitano dell’esercito, Bolsonaro ha riempito di generali i ministeri del suo governo ed è un noto difensore della dittatura che ha vissuto il Brasile tra il 1964 e il 1985. Già un anno fa minacciava di non accettare il risultato elettorale a meno che non si fosse cambiato il sistema di voto, e negli ultimi mesi si è assicurato l’appoggio esplicito delle forze militari, settore in cui continua a godere di un forte consenso.

Questa strategia ammicca all’assalto al Campidoglio dei manifestanti pro-Trump avvenuto il 6 gennaio 2021, dopo le elezioni negli Stati Uniti, e vuole installare l’idea che in Brasile sia possibile un colpo di Stato. Come ha già fatto l’anno scorso, Bolsonaro ha cominciato a utilizzare la data del 7 settembre, che segna l’indipendenza del Brasile dal dominio portoghese, per agitare il suo elettorato con toni bellici. A fine luglio la rapida diffusione sui social network di messaggi rivolti contro il Tribunale Elettorale, l’auto-convocazione massiccia nelle piazze dei gruppi di estrema destra, fino all’evocazione di una guerra civile hanno allarmato profondamente ampi settori della società che hanno reagito con un “manifesto in difesa della democrazia e la giustizia”.

Lanciato dall’università di Sao Paulo, il testo è stato firmato in pochi giorni da quasi un milione di persone, tra cui si trovano i nomi di grandi personalità politiche e intellettuali brasiliane, mentre anche le principali associazioni di imprese del mondo industriale e bancario si sono allineate in difesa del sistema democratico ed elettorale. Lo scorso 11 agosto, davanti a migliaia di persone riunite, è stato letto pubblicamente il manifesto che fa riferimento alla “lettera ai brasiliani” di ripudio della dittatura, presentata nel 1977 nella stessa facoltà di Diritto, e si propone una vigile allerta sui rischi che corre il sesto paese democratico più grande del mondo e forza dominante dell’America Latina.

Secondo le testimonianze raccolte dal New York Times tra funzionari del governo e parlamentari, militari, giudici, autorità elettorali e diplomatici, non esiste una reale minaccia di colpo di Stato. A Bolsonaro mancherebbe l’appoggio istituzionale sufficiente da parte delle imprese, della stampa, della classe media e di attori internazionali come gli Stati Uniti, che invece era presente nel 1964 quando in Brasile si è insediata la lunga dittatura militare.

Sebbene lo stesso Bolsonaro abbia abbassato i toni nel corso dell’estate, dichiarando che accetterà il risultato elettorale se il voto sarà realizzato in maniera “pulita e trasparente”, i sondaggi continuano a dare il suo rivale, Lula da Silva, in vantaggio di circa 16 punti (47% contro 31%). Al secondo turno il PT è dato vincente con il 54% delle intenzioni di voto. Per un’eventuale vittoria al primo turno di Lula, che pure al momento non viene esclusa, pesa il numero degli indecisi che si attestano, secondo un articolo di O Globo, intorno al 10%.

La preoccupazione sulle possibili svolte autoritarie dei settori bolsonaristi è però motivata da un altro dato allarmante. Negli ultimi cinque anni il numero di persone con un un registro per possesso di armi è cresciuto di dieci volte, passando da 63mila nel 2017 a 673mila oggi, grazie anche alla retorica del governo sulla liberalizzazione del porto d’armi – che guarda al modello statunitense – e ai numerosi tentativi legislativi portati avanti per facilitarne l’accesso. Tentativi che sono poi stati in parte frenati al Congresso e dal Supremo Tribunale Federale, con cui Bolsonaro ha spesso avuto contrasti durante il suo mandato. È altrettanto inquietante registrare che anche all’interno delle forze di polizia federali e dell’esercito è avvenuto un aumento del 20% del numero di armi in dotazione.

Negli ultimi sei mesi sono state uccise 214 persone, in un clima di tensione e paura che gli analisti associano ai discorsi di Bolsonaro. Il 27 settembre un sostenitore dell'ex presidente Lula da Silva, è stato accoltellato in un bar nel nord-est del paese da un uomo entrato in cerca di elettori del leader del PT. Altri due sostenitori del PT sono stati uccisi da quando è iniziata la campagna elettorale. Due settimane fa, nel sud del Rio Grande do Sul, Stato che confina con Corrientes e Misiones, un produttore rurale, bolsonarista, è morto dopo aver urtato intenzionalmente un'auto che aveva gli adesivi di Lula, guidato da un consigliere del PT. "Che faranno i sostenitori di Bolsonaro in caso di vittoria di Lula? Attaccheranno il tribunale elettorale? E da che parte si schiereranno le forze di polizia militare, quasi 400.000 persone in tutto, che dovrebbero mantenere l'ordine?", si chiede un articolo dell’Economist.

A penalizzare l’attuale presidente verso una rielezione c’è la pessima gestione della pandemia del nuovo coronavirus, che ha causato oltre 680mila morti, il numero più alto del mondo dopo quello registrato negli Stati Uniti. Proprio a causa delle politiche negazioniste di fronte al coronavirus, Bolsonaro ha dovuto affrontare l’anno scorso una Commissione parlamentare d’inchiesta del Senato rivolta a indagare gli scandali e le responsabilità del governo nella grave crisi sanitaria che ha investito il paese, dove sono emerse gravi dilazioni e irregolarità nell’acquisto dei vaccini.

Con la pandemia e l’aumento della disoccupazione, negli ultimi due anni si è duplicato anche il numero di persone che soffre la fame, dato che riporta il Brasile alla condizione di trent’anni fa, mentre nel 2014, dopo le politiche sociali costruite durante i due governi di Lula (grazie al boom del prezzo delle materie prime e delle esportazioni alla Cina), il paese era uscito dalla mappa di monitoraggio della fame nel mondo stilata dall’ONU.

Probabilmente per oscurare queste criticità, durante la campagna elettorale Bolsonaro non ha fatto altro che spostare l’attenzione dal piano strettamente politico, attaccando Lula – definito un ladro corrotto – i giornalisti e le donne. I programmi sono passati così in secondo piano con alcune vaghe proposte per la cultura, il contrasto del cambiamento climatico e della deforestazione dell’Amazzonia che, anzi proprio sotto la presidenza Bolsonaro, ha visto un’impennata. E con essa, sono aumentati gli omicidi di indigeni, difensori delle foreste, attivisti e giornalisti, come Bruno Pereira e Dom Phillips.

Leggi anche >> Brasile, il giornalista Dom Phillips e l’attivista Bruno Pereira uccisi mentre indagavano sullo sfruttamento illegale dell’Amazzonia

In questi mesi il presidente uscente si è limitato a promettere un piano di protezione promosso dalla comunità internazionale, cosa abbastanza difficile vista la sua storia di aperta ostilità nei confronti degli ambientalisti. Alla luce di quanto fatto dalla sua amministrazione, la sua proposta non ha incontrato altro che scetticismo. “Bolsonaro ha riportato il Brasile ai giorni del selvaggio west che pensavamo di esserci lasciati alle spalle”, ha detto al Guardian Adriana Ramos, dell'Instituto Socioambiental del Brasile, che lavora per proteggere le popolazioni indigene e le loro case nella foresta. “Non è quindi esagerato dire che il destino dell'Amazzonia dipende dall'esito delle elezioni del 2 ottobre. Se Bolsonaro vincerà di nuovo, la più grande foresta pluviale del mondo potrebbe superare il suo punto di rottura. Se perderà, avremo la possibilità di riportare l'Amazzonia - e il Brasile - fuori dal baratro”.

Secondo uno studio dell'Università di Oxford e dell'International Institute for Applied System Analysis, la rielezione del presidente uscente Bolsonaro potrebbe significare livelli elevati di deforestazione amazzonica nei prossimi anni. Se Lula, invece, si limitasse a fare quanto già fatto durante i suoi anni di presidenza, la deforestazione dell’Amazzonia potrebbe diminuire dell'89% entro il 2030, con una riduzione significativa delle emissioni del Brasile.

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Se alle elezioni del 2018 Lula non era un rivale, poiché si trovava in carcere per l’enorme scandalo di corruzione chiamato Lava Jato, e Bolsonaro si presentava come il candidato anti-establishment, stavolta sarà molto difficile per il presidente uscente ottenere lo stesso risultato. Lo scorso 13 luglio, il Congresso ha approvato un emendamento costituzionale che consente a Bolsonaro di aumentare i limiti di spesa durante l’anno elettorale. Il pacchetto di politiche sociali, per un totale di 7.630 milioni di euro da ripartire a meno di tre mesi dalle elezioni, è rivolto soprattutto a camionisti e tassisti oltre che alle famiglie, dove andrà a rimpinguare il programma già esistente, chiamato Auxilio Brasil, e aiuterà a contenere il prezzo del gas e dei trasporti pubblici.

Sebbene è poco probabile che queste misure possano contribuire a rovesciare le intenzioni di voto dei brasiliani, che puntano decise verso Lula in questa campagna elettorale fortemente polarizzata, siamo lontani da un ritorno del ciclo progressista dei primi anni Duemila. Durante la sua presidenza dal 2003 al 2010, Lula ha contribuito a far uscire dalla povertà 20 milioni di brasiliani, ha rivitalizzato l'industria petrolifera del paese e portato il Brasile sulla scena mondiale. Questa volta, per sottrarre ulteriori fasce di consenso a Bolsonaro e arginare eventuali accuse di illegittimità della vittoria, Lula ha cercato di coinvolgere gruppi che sono, potenzialmente, tra i più preoccupati di un suo potenziale ritorno al potere, come i conservatori sociali, l'agribusiness, i mercati finanziari e le forze dell’ordine. Il compito di governare e risollevare un Brasile in ginocchio dal punto di vista economico e sociale, con i resti della pandemia e una guerra in corso, sarà molto più difficile di quello svolto dallo stesso Lula fino a dieci anni fa.

Immagine in anteprima: Jeso Carneiro, CC BY-NC 2.0, via Flickr.com

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