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Serve un piano vaccinale per l’Africa: davanti a un’emergenza globale, l’unica risposta possibile deve essere globale

2 Marzo 2021 12 min lettura

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Serve un piano vaccinale per l’Africa: davanti a un’emergenza globale, l’unica risposta possibile deve essere globale

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Dopo un peggioramento e il ricovero in terapia intensiva ad Harare, capitale dello Zimbabwe, lo scorso 26 gennaio è morto per complicanze legate alla COVID-19, James Gita Hakim, cardiologo apprezzato, noto ricercatore sul virus dell’HIV e presidente del dipartimento di medicina dell'Università dello Zimbabwe. 

Su Science Magazine Kai Kupferschmidt, biologo molecolare e giornalista scientifico, spiega che questa morte rappresenta una perdita devastante per la medicina del paese africano, come testimoniato da Leolin Katsidzira, gastroenterologo e collega di Hakim: «Teniamo presente che qui abbiamo avuto un'enorme fuga di cervelli. Persone come James sono quelle che fanno funzionare il sistema». Appena il giorno prima, nello stesso ospedale, è morto sempre per la COVID-19 anche David Katzenstein, medico statunitense trasferito ad Harare dopo il suo pensionamento e divenuto direttore del Biomedical Research and Training Institute dove sono stati formati ricercatori locali e introdotte moderne tecniche diagnostiche e di monitoraggio. Nelle ultime settimane, in Mozambico sono deceduti un anestesista, un gastroenterologo, un urologo e due giovani medici di medicina generale, mentre molti altri operatori sanitari sono gravemente malati. Perdite importanti in un paese che ha la proporzione tra medici e abitanti tra le più inferiori al mondo. Nel complesso, l'Africa sub-sahariana ha il numero più basso di medici ogni 10mila abitanti.

Queste morti, spiega ancora Kupferschmidt, evidenziano una fondamentale criticità nella risposta globale alla pandemia di nuovo coronavirus Sars-CoV-2: da dicembre in Europa, Asia e America sono stati somministrati milioni di dosi di vaccini, dando priorità agli operatori sanitari, mentre fino a due settimane fa non un solo paese dell'Africa sub-sahariana aveva avviato le vaccinazioni, lasciando senza alcuna protezione i pochi operatori sanitari presenti in questi luoghi. Dalla scorsa settimana i paesi sub-sahariani che hanno iniziato a vaccinare sono Sudafrica, Seychelles, Ruanda, Mauritius, Zimbabwe, Senegal, Costa d'Avorio e Ghana. Per il resto, la maggior parte dei paesi nel continente africano non ha ancora iniziato una campagna di vaccinazione e dovrà attendere fino alla fine dell'anno, scrive la BBC. Per Matshidiso Moeti, direttore regionale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per l'Africa «è profondamente ingiusto che gli africani più vulnerabili siano costretti ad aspettare i vaccini mentre i gruppi a basso rischio nei paesi ricchi vengono messi in sicurezza» con le vaccinazioni.

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Come abbiamo analizzato in precedenza, i paesi più ricchi hanno infatti rapidamente prenotato dosi sufficienti per vaccinare la propria popolazione più volte. L’OMS e l’UNICEF hanno denunciato che “questa strategia autolesionista costerà vite e mezzi di sostentamento e darà al virus ulteriore opportunità di mutare, eludere i vaccini e minacciare la ripresa economica globale”. Il 24 febbraio l'OMS ha comunicato che l'80% delle 210 milioni di dosi di vaccini in tutto il mondo sono state somministrate fino ad ora in soli 10 paesi.

Per garantire una distribuzione equa dei vaccini in tutto il mondo, indipendentemente dal potere d’acquisto di ogni singolo paese, lo scorso giugno è stato lanciato COVAX (Covid-19-Vaccine Global Access Facility), un progetto della GAVI Alliance (una cooperazione di soggetti pubblici e privati con lo scopo di migliorare l'accesso all'immunizzazione per la popolazione umana in paesi poveri) che comprende OMS, Banca Mondiale, UNICEF e la Bill & Melinda Gates Foundation. L’obiettivo di COVAX è di mettere a disposizione entro la fine del 2021 almeno 2 miliardi di dosi di vaccino, di cui 1,3 miliardi da destinare ai paesi più poveri. COVAX negozia un prezzo per ciascun vaccino con i vari produttori, i paesi ricchi pagano il prezzo pieno negoziato mentre quelli più poveri versano soltanto un contributo finanziario. Inoltre, ci sono paesi come ad esempio la Germania, la Francia e la Spagna che sostengono finanziariamente l’approvvigionamento di vaccini per altri paesi. 

Il progetto COVAX ha dovuto però fare i conti con varie problematiche, come denunciato lo scorso mese dal direttore generale dell'OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus: «Anche se parlano la lingua dell'accesso equo, alcuni paesi e aziende continuano a dare la priorità agli accordi bilaterali, aggirando COVAX, facendo salire i prezzi e tentando di saltare in prima fila. Questo è sbagliato. Inoltre, la maggior parte dei produttori ha anche dato la priorità all'approvazione normativa nei paesi ricchi, dove i profitti sono più alti, piuttosto che presentare i loro dossier all'OMS per la prequalificazione». Un approccio che «mette a rischio le persone più povere» e «potrebbe ritardare le consegne di COVAX e creare esattamente lo scenario che COVAX vuole evitare, con l'accaparramento, un mercato caotico, una risposta non coordinata e continui sconvolgimenti sociali ed economici». Appena un mese dopo, António Guterres segretario generale delle Nazioni Unite ha affermato che i progressi sulla vaccinazione contro il nuovo coronavirus Sars-CoV-2 nel mondo sono stati “selvaggiamente irregolari e ingiusti”: “Il mondo ha urgente bisogno di un piano vaccinale globale per riunire tutti coloro che possiedono il potere, le competenze e le capacità di produzione richieste”.

Un segnale positivo è però arrivato lo scorso 24 febbraio, con l’atterraggio di un aereo cargo all'aeroporto internazionale ghanese di 600.000 dosi di vaccino AstraZeneca (sviluppato in Gran Bretagna e prodotto in India) contro il coronavirus, grazie proprio al progetto COVAX. Juliette M. Tuakli, medico di salute pubblica e pediatra ad Accra, capitale del Ghana, ha commentato al Washington Post che queste dosi significano che "c'è speranza".

Due giorni dopo, il 26 febbraio, oltre 500mila dosi di vaccino, sempre tramite il progetto COVAX, sono arrivate in Costa d'Avorio. Per martedì 2 marzo è prevista inoltre la consegna in Nigeria di circa 4 milioni di dosi del vaccino contro il nuovo coronavirus.

A questi piccoli segnali di speranza si aggiunge la recente notizia del potenziamento del finanziamento da parte dei paesi del G7 a COVAX, arrivato a 7,5 miliardi di dollari (il programma però resta ancora sottofinanziato): “Il presidente Usa, Joe Biden, ha messo sul piatto 4 miliardi di dollari. Importante anche il contributo della Germania, con 1,5 miliardi di dollari, mentre Londra si è impegnata a donare ai paesi bisognosi tutte le sue dosi in eccesso. L'Ue ha annunciato 100 milioni di euro a sostegno delle campagne di vaccinazione nei paesi con esigenze umanitarie critiche e sistemi sanitari fragili, che si aggiungono ai 2,2 miliardi di euro forniti da Team Europe a Covax”, riassume Agi

Il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ha proposto inoltre che Europa e Stati Uniti donino il prima possibile all'Africa 13 milioni di dosi di vaccino in modo che si possano vaccinare i 6,5 milioni di operatori sanitari del continente: «Se noi, europei, americani, saremo in grado di consegnare queste 13 milioni di dosi il più in fretta possibile, allora saremo credibili, ma se annunciamo oggi miliardi di dosi da dare fra sei mesi, un anno, allora i nostri amici africani acquisteranno queste dosi in Cina o in Russia e la forza dell'Occidente non sarà una realtà concreta». Bisogna ora vedere come intendono muoversi per il prossimo futuro gli altri paesi coinvolti. Secondo quanto riportato da diversi media, il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, durante il Consiglio Ue straordinario tenutosi in videoconferenza il 24 febbraio, avrebbe "messo in rilievo un problema di credibilità nei confronti dei cittadini europei se si avviassero le donazioni in questo momento", sostenendo "di comprendere in pieno le ragioni morali, ma di non essere a favore delle donazioni ora, perché l'Unione è troppo indietro sulle vaccinazioni".

L'Organizzazione Mondiale della Sanità in un comunicato ha specificato che COVAX prevede di inviare in Africa a febbraio, nella fase iniziale, 90 milioni di dosi di vaccino, sufficienti a immunizzare circa il 3% della popolazione locale più bisognosa di protezione, compresi gli operatori sanitari. Successivamente, “con l'aumento della capacità di produzione e la disponibilità di più vaccini, l'obiettivo è quello di vaccinare almeno il 20% degli africani, fornendo fino a 600 milioni di dosi entro la fine del 2021”. Questo significa, ha spiegato John Nkengasong, capo dei Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie, che i vaccini forniti tramite il progetto COVAX «non faranno uscire» il continente dalla pandemia perché per ottenere questo risultato i paesi africani dovranno vaccinare almeno il 60% della propria popolazione. L’obiettivo di quest’anno, ha continuato Nkengasong, è di raggiungere la soglia di vaccinazione del 35%.

È anche attivo un programma di vaccinazione anti COVID-19 dell’Unione africana, organizzazione internazionale comprendente tutti gli Stati del continente. Lo scorso 14 gennaio il presidente Cyril Ramaphosa ha annunciato che l'Unione africana si era assicurata 270 milioni di dosi provvisorie di vaccino COVID-19 per conto dei suoi Stati membri, attraverso garanzie di impegno di approvvigionamento anticipato fino a 2 miliardi di dollari per i produttori da parte dell’African Export-Import Bank. Recentemente MTN, la principale rete mobile africana, ha comunicato un contributo di 25 milioni di dollari al piano. L'Unione africana, il 25 febbraio, ha comunicato inoltre di sostenere le richieste internazionali ai produttori di farmaci di sospendere temporaneamente i brevetti su alcuni farmaci e sui vaccini anti COVID-19 per accelerare il loro lancio nei paesi poveri.

Medici con l'Africa (CUAMM), tra le più grandi organizzazioni non governative italiane per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane, ha richiesto la necessità di "un piano vaccinale per l’Africa": "Per prima cosa il vaccino deve arrivare a destinazione e ben conservato. Dalla capitale va trasportato nei punti vaccinali, negli ospedali e poi da questi ai centri sanitari fino ai villaggi. Serve un sistema logistico che funzioni compresa la ‘catena del freddo’ che garantisca i -3/-4 gradi necessari. Ma ci sono anche cose più elementari da garantire: le siringhe, il cotone, l’alcol. Poi ci vuole il personale che somministra il vaccino e che deve essere formato (...).".

Casi covid in Africa, via Africa CDC

Nel frattempo, dall’inizio della pandemia, in Africa sono stati registrati più di 3,8 milioni di casi confermati di COVID-19, con oltre 3,4 milioni di persone guarite e più di 100mila morti. I paesi maggiormente colpiti dall’epidemia sono quelli al Nord e al Sud del continente. Nell’ultimo mese in Africa le morti legate alla COVID-19 sono aumentate del 40% rispetto al mese precedente, con più di 22mila persone morte nelle ultime quattro settimane. L’Africa Centers for Disease Control and Prevention ha poi recentemente registrato un rallentamento dei decessi.

Richard Mihigo, coordinatore del programma di immunizzazione presso l'ufficio per l'Africa dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ha detto che l'aumento delle morti è stato più pronunciato in paesi vicini al Sud Africa, come Zimbabwe, Mozambico e Malawi, con la possibilità che la variante 501Y.V2 identificata in Sud Africa a fine 2020 si sia diffusa nella regione dell'Africa meridionale. Una situazione che ha portato a una forte pressione sugli ospedali di questi paesi. «Le persone muoiono a causa della mancanza di cure di base», ha detto John Nkengasong, citando ad esempio la carenza dell'ossigeno nelle strutture sanitarie.

Ad oggi in Africa rispetto ad altri continenti sono stati registrati ufficialmente comunque meno contagi e meno morti per COVID-19. Alcuni analisti, che hanno provato a indagare su questo fenomeno, hanno scritto che potrebbe essere stato causato da un insieme di fattori come ad esempio una popolazione molto giovane, fattori genetici e una reazione tempestiva e organizzata di diversi paesi africani già avvezzi alla diffusione di epidemie nel loro territorio. Il monitoraggio della progressione della pandemia di COVID-19 in Africa è però al momento molto impegnativo “a causa della fragilità dei sistemi sanitari che spesso non consentono di raccogliere dati in modo tempestivo e delle difficoltà nel valutare l’impatto delle strategie di contenimento adottate”, si legge sulla rassegna scientifica riguardo la pandemia nel continente africano condotta dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

via OMS

Un’inchiesta della BBC ha evidenziato ad esempio che solo otto paesi africani – Egitto, Sud Africa, Tunisia, Algeria, Capo Verde, São Tomé e Príncipe, Seychelles e Mauritius – su oltre 50 hanno un sistema obbligatorio per registrare i decessi. Gli altri utilizzano invece una sorta di conteggio che  spesso “è su carta e non è disponibile in una forma digitalizzata condivisibile”. Inoltre, “le informazioni possono essere utilizzate in un specifico territorio ma non possono calcolare le tendenze di mortalità a livello nazionale”.

via BBC

Ciò ha ricadute, spiega ancora la BBC, nel calcolo delle “morti in eccesso", cioè un indicatore chiave per studiare l’impatto della pandemia perché aiuta a capire la perdita complessiva di vite umane causate direttamente dalla COVID-19, ma anche quelle a livello indiretto dovute a vari fattori come i sistemi sanitari sovraccarichi, la paura di andare in ospedale e una recessione economica. L’eccesso di mortalità è “una cifra che si deduce dal confronto del numero di decessi in un dato periodo di tempo con il numero di decessi attesi in quello stesso periodo in base al numero di morti registrati negli anni precedenti”. Ma per ottenere questo dato ci deve essere una registrazione completa dei decessi. In Sud Africa questo ad esempio è stato possibile, registrando al culmine della pandemia alla fine dello scorso luglio il 54% di morti in più rispetto a quanto previsto per quello stesso periodo di tempo. Effettuare questo calcolo non è stato invece possibile per la maggior parte dei paesi del continente, poiché i dati a disposizione sono scarsi.

Un recente studio pubblicato sul British Medical Journal (BMJ), inoltre, mette in dubbio che la pandemia di COVID-19 non abbia avuto un impatto importante sul continente africano. I risultati, pubblicati la scorsa settimana, indicano che il basso numero di infezioni e morti registrate in tutta l'Africa potrebbe derivare dalla scarsità di test effettuati, spiega Deutsche Welle. I ricercatori hanno verificato che in un obitorio di un grande ospedale universitario a Lusaka, in Zambia, poche delle persone morte erano state testate, nonostante presentassero i sintomi tipici della COVID-19: “Pertanto, i casi da nuovo coronavirus Sars-CoV-2 sono stati sottostimati perché i test sono stati eseguiti di rado. Se questi dati sono generalizzabili, l'impatto della COVID-19 in Africa è stato ampiamente sottovalutato”, concludono gli studiosi. Christine Jamet, direttrice delle operazioni di Medici senza frontiere (MSF), ha affermato che ci vorrà del tempo per stabilire il reale impatto dell'epidemia in Africa e aggiunto che l'idea secondo cui il continente africano sia stato sfiorato dalla pandemia di COVID-19 è sbagliata.

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Non bisogna infine dimenticare che la pandemia ha effetti negativi oltre che sulla salute, anche su aspetti sociali, lavorativi ed economici, comportando l’aumento delle disuguaglianze e della povertà. Olivier De Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite su povertà estrema e diritti umani, lo scorso dicembre ha infatti avvertito in un’intervista ad Avvenire che l’impatto sociale più drammatico dovuto alla pandemia ci sarebbe stato nei paesi africani: «Hanno scarso accesso al credito sui mercati finanziari per compensare le perdite e ampliare la protezione sociale delle categorie più fragili. Prevediamo almeno altre 25 milioni di persone in povertà estrema».

Foto anteprima: COVID-19 testing / World Bank Photo Collection via Flickr sotto licenza CC BY-NC-ND 2.0

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