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La corsa geopolitica al vaccino che rischia di minare la fiducia dei cittadini

17 Settembre 2020 15 min lettura

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La corsa geopolitica al vaccino che rischia di minare la fiducia dei cittadini

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Quando è iniziata la corsa per la produzione dei vaccini per debellare la COVID-19, uno degli scenari più temuti dagli scienziati e dagli esperti di salute pubblica di tutto il mondo era rappresentato dal sacrificio della sicurezza di un eventuale vaccino in nome della velocità.

Da subito, politica e scienza hanno parlato linguaggi diversi, tra chi annunciava che avremmo avuto un vaccino “entro 12 o 18 mesi” e chi, invece, predicava prudenza e invitava a non fare proclami, cercando di spiegare quanto fosse lungo l’iter di approvazione di un vaccino e ricordando che il più veloce era stato quello per gli orecchioni nel 1967: c’erano voluti 4 anni per autorizzare la campagna di vaccinazione, un arco di tempo decisamente maggiore di quelli prefigurati attualmente. 

Questo perché creare un vaccino è, per certi versi, la parte più semplice. Dimostrare che è sicuro ed efficace e che può essere usato in grandi fasce della popolazione e in grandi quantità, può richiedere invece anni o anche decenni. E, in alcuni casi, non si riesce nemmeno a trovarne uno, come per l'HIV, ad esempio.

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“Il divario tra scienza e politica si allarga sempre di più”, ha scritto in un editoriale il caporedattore di Science Holden Thorp, commentando l’annuncio di Putin di “Sputnik V”, il vaccino russo contro il coronavirus, e le reiterate dichiarazioni del Presidente USA, Donald Trump, che ha più volte parlato di un vaccino pronto entro le elezioni presidenziali del 3 novembre 2020 e appena ieri ha sostenuto di prevedere l'inizio della campagna di vaccinazione entro la fine di ottobre e la somministrazione di 100 milioni di dosi entro la fine del 2020, nonostante in precedenza il direttore dei Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) avesse detto che le prime dosi del vaccino non sarebbero state a disposizione prima della metà di aprile 2021.

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A colmare questo divario non aiutano di certo i media che – con titoli, di diverso tenore, sparati sui giornali di carta, online e in TV, che annunciano ora la soluzione vicina, ora battute d’arresto – sono troppo impegnati a seguire la cronaca puntuale di una questione che richiede invece un’analisi sistemica dell’intero contesto per far capire quali sono gli attori e gli interessi in gioco e i tempi e limiti della ricerca, della produzione e dell’autorizzazione di un vaccino, in modo tale da dare ai cittadini gli strumenti utili per poter comprendere cosa viene comunicato da capi di Stato, case farmaceutiche e laboratori di ricerca e capire davvero dove stiamo andando e a che punto siamo. 

Oltre che soluzione per arginare la COVID-19, il vaccino è, infatti, una risorsa politica ed economica. Lo abbiamo già visto quando sono iniziate le sperimentazioni dei primi vaccini: le aziende produttrici hanno annunciato risultati promettenti delle prime fasi dei test prima di pubblicare gli esiti degli studi clinici condotti e i capi di Stato si sono affrettati a “prenotare” dosi dei diversi vaccini senza aspettare che il loro di iter di approvazione si fosse concluso.

Nella comunicazione di questi "progressi" si è innescato un meccanismo perverso: un'azienda comunicava che le sue sperimentazioni preliminari erano promettenti prima ancora di pubblicare studi sulle piattaforme online o di proporli a riviste scientifiche per avviare un processo di valutazione tra pari, precludendo così la possibilità a medici e scienziati di giungere a proprie conclusioni sulla base delle prove disponibili. 

“È come se un amministratore delegato di una società pubblica annunciasse una relazione favorevole sugli utili senza fornire dati finanziari di supporto: una prassi che la Securities and Exchange Commission (ndr, la Consob americana) non consentirebbe mai”, aveva commentato al riguardo William Haseltine, professore in pensione della Scuola di Medicina di Harvard e fondatore del dipartimento di ricerca su HIV/AIDS e sul cancro dell'università.

Nel frattempo, sulla base di quegli annunci, le aziende hanno cominciato a chiedere autorizzazioni d'emergenza alle autorità di controllo per comprimere i tempi tra le diverse fasi di test, e a far intendere di essere pronte in tempi più o meno brevi per la campagna di vaccinazione a patto che fosse soddisfatto il fabbisogno necessario di dosi da utilizzare per le nuove sperimentazioni e l'eventuale somministrazione su larga scala del futuro vaccino. 

È qui che poi sono intervenuti i governi (e anche soggetti privati come fondazioni e case farmaceutiche), supplendo a questa domanda da parte delle aziende produttrici di farmaci e vaccini, attraverso l'acquisto di dosi da destinare poi ai propri cittadini e da vendere agli altri Stati, costruendo così delle vere e proprie linee di produzione ancora prima che ci fosse qualcosa da produrre. 

Col passare dei mesi, la pressione politica è aumentata. Ad agosto, due giorni prima dell’inizio della Convention del Partito Repubblicano, il presidente USA, Trump, ha accusato la Food and Drug Administration (FDA) di ritardare l’approvazione di qualsiasi vaccino sperimentale fino a dopo le elezioni presidenziali di novembre. “Il ‘deep state’, o chiunque altro, della FDA sta rendendo molto difficile per le aziende farmaceutiche convincere la gente a testare i vaccini e le terapie. Ovviamente sperano di ritardare la risposta a dopo il 3 novembre”, ha twittato a fine agosto Trump, facendo riferimento diretto alla teoria cospirazionista del “deep state”, secondo la quale esiste un governo permanente di burocrati impegnati a contrastare l'agenda del presidente. In altre parole, secondo il presidente degli Stati Uniti, la FDA starebbe rallentando l’approvazione del vaccino sviluppato da "Operation Warp Speed" per volontà politica e non perché sta semplicemente svolgendo il suo ruolo di sorveglianza e verifica dell’andamento delle fasi di sperimentazione.

Quando, all’indomani del tweet di Trump, la FDA ha concesso l’autorizzazione per l’“uso di emergenza” del plasma dei covalescenti per i pazienti affetti da COVID-19 prima che fosse stato provato un chiaro beneficio negli studi clinici, in molti hanno cominciato a temere una procedura di approvazione simile anche nel caso del vaccino tanto auspicato dal presidente USA, ha commentato sul Guardian la giornalista e scrittrice britannica, Laura Spinney, autrice del libro “Pale Rider: The Spanish Flu of 1918 and How It Changed the World”.

Intanto, destano perplessità anche i vaccini, approvati da Russia e Cina, seppur non completamente testati. Ai primi di agosto, Putin ha annunciato l’inizio della vaccinazione di massa per ottobre (innanzitutto degli individui a rischio, come medici, insegnanti e figure costantemente a contatto con grandi gruppi di persone) e l’approvazione del vaccino “Sputnik V”, chiamato così in omaggio al primo satellite artificiale mandato in orbita intorno alla Terra. In molti, in sede internazionale, hanno espresso il timore che gli studi clinici siano stati poco accurati per fare in modo che il vaccino fosse lanciato prima di tutti gli altri. Il 4 settembre, tre settimane dopo l’annuncio, la rivista scientifica Lancet ha pubblicato i risultati di uno studio, condotto su 76 persone tra giugno e luglio, secondo il quale il vaccino ha prodotto una forte risposta immunitaria in tutti i partecipanti senza effetti collaterali seri. In una lettera aperta agli autori dello studio, un gruppo di scienziati ha evidenziato innanzitutto che si tratta di dati relativi a due studi separati, uno sul vaccino in soluzione e l’altro su una formulazione liofilizzata, e ciascuno condotto coinvolgendo un numero esiguo di volontari, e ha espresso dubbi sui dati raccolti, i cui valori sembrano essere stati duplicati. Lo studio, spiegano i ricercatori, presenta i risultati in un diagramma a quadri senza fornire una ripartizione dettagliata dei dati su cui si basano. Gli scienziati russi, interpellati da Lancet (che ha specificato di aver sottoposto a revisione esterna lo studio), hanno respinto le critiche, sottolineando che “i dati sono affidabili e accurati e sono stati esaminati da cinque revisori di Lancet, il protocollo clinico nella sua interezza è stato presentato agli editori della rivista”.

Ancora prima che Putin annunciasse “Sputnik V”, anche la Cina aveva approvato un vaccino non completamente testato da somministrare al personale militare. A fine agosto è stata data la notizia dell’utilizzo di un nuovo vaccino non ancora approvato nei confronti di lavoratori essenziali.

In tutto questo, spiega Spinney sul Guardian, “non sono solo i politici ad avere fretta”. Il 2 agosto, Steven Salzberg, un biologo computazionale alla Johns Hopkins University di Baltimora, nel Maryland, ha suggerito a Forbes di somministrare un vaccino promettente a un gruppo più ampio di volontari prima ancora che le sperimentazioni cliniche fossero completate, scatenando una serie di proteste che l’hanno spinto a ritrattare tutto il giorno dopo. Mentre, un gruppo di ricerca legato all’Università di Harvard ha proposto l’utilizzo di un vaccino fai-da-te, testato finora solo sui 20 membri del team. “Là fuori nel mondo reale, milioni di persone si ammalano e tantissime muoiono ogni giorno. Non crediamo che il nostro vaccino possa essere più pericoloso”, ha affermato Preston Estep, uno studioso del genoma, appartenente al gruppo.

«Sembra che ci sia una corsa per comprimere i tempi, sopprimere le scadenze e ignorare i problemi di sicurezza», ha detto al Guardian Paul Offit, capo del Vaccine Education Center presso il Children's Hospital di Philadelphia, negli Stati Uniti. 

Il risultato è che sempre più persone, non necessariamente antivacciniste, stanno nutrendo dubbi sulla sicurezza di un eventuale vaccino contro il nuovo coronavirus e non sono predisposte a essere vaccinate, rischiando così di pregiudicare l’efficacia di un’eventuale campagna di vaccinazione. Secondo recenti sondaggi fatti negli Stati Uniti, la percentuale di adulti disposti a vaccinarsi è scesa del 21% in sei mesi, passando dal 72% dello scorso aprile al 51% nella settimana tra il 2 e il 6 settembre.

La preoccupazione degli scienziati: “Stiamo facendo tutto di fretta”

La corsa sfrenata a chi distribuisce per primo il vaccino contro il nuovo coronavirus preoccupa non poco gli scienziati. «Sono sempre più preoccupata che le cose vengano fatte di fretta», afferma Beate Kampmann, a capo del Vaccine Centre presso la London School of Hygiene and Tropical Medicine. 

«Ci si sta concentrando esclusivamente sui potenziali benefici senza pensare in modo ragionevole ed equo ai possibili danni», aggiunge il filosofo e bioetico Angus Dawson, che lavora all'Università di Sydney, in Australia. 

Proprio nei giorni scorsi, il gigante farmaceutico britannico AstraZeneca (che a maggio aveva raggiunto un accordo con l'Università di Oxford per la produzione delle prime 400 milioni di dosi in caso di approvazione del vaccino e di essere pronta a produrne 1 miliardo tra il 2020 e il 2021) aveva annunciato di aver dovuto interrompere la sperimentazione della fase 3 del vaccino anti SARS-Cov-2, sviluppato in collaborazione con l’italiana IRBM di Pomezia, dopo che un partecipante aveva manifestato non precisate sintomatologie avverse molto gravi. Per quanto sia l’Università di Oxford che l’azienda farmaceutica avessero rifiutato di divulgare qualsiasi informazione “per motivi di riservatezza dei partecipanti”, alcune persone vicine allo studio avevano detto che lo studio era stato sospeso per un caso sospetto di mielite trasversa, un’infiammazione del midollo spinale che ha un’associazione nota, ma molto rara, con la vaccinazione.

A distanza di pochi giorni AstraZeneca ha annunciato la ripresa delle attività di sperimentazione, dopo che una rapida revisione da parte del comitato indipendente di revisione della sicurezza dello studio e delle autorità nazionali di regolamentazione aveva concluso che la sintomatologia manifestata dal partecipante non era associabile all’inoculazione del vaccino. «Nello sviluppo di qualsiasi nuovo farmaco, la sicurezza è di fondamentale importanza. È quindi molto rassicurante sentire che le sperimentazioni del vaccino contro il coronavirus di Oxford riprenderanno dopo la revisione da parte di un comitato di sicurezza indipendente e dell'Agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari», ha affermato la professoressa Fiona Watt, presidente del Consiglio di ricerca medica del Regno Unito. Dopo il nuovo annuncio di AstraZeneca, il presidente della IRBM di Pomezia, Piero di Lorenzo, ha commentato che in Italia le prime dosi del vaccino arriveranno a novembre «se non si verificheranno criticità e la sperimentazione proseguirà come previsto», rispettando così «la tempistica già annunciata dallo stesso ministro della Salute Roberto Speranza».

È già la seconda volta che lo studio Oxford-AstraZeneca viene sospeso e le persone associate allo studio si aspettano ulteriori pause prima che si arrivi all’approvazione finale. “Ci impegniamo per la sicurezza dei nostri partecipanti e per i più elevati standard di condotta nei nostri studi e continueremo a monitorare da vicino la sicurezza”, ha affermato l’Università di Oxford.

Tuttavia, il dottor Avindra Nath, direttore clinico presso l'Istituto nazionale per i disturbi neurologici e l'ictus, una divisione del National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti, ha espresso più di una perplessità sull’accaduto soprattutto per le scarse informazioni fatte circolare sulla patologia che ha colpito il partecipante alla sperimentazione. «Ai piani alti alti del NIH sono molto preoccupati. Tutti confidiamo in un vaccino, ma se ci sono gravi complicazioni, tutta la sperimentazione potrebbe intraprendere una strada sbagliata», ha detto il dottor Nath che ha aggiunto, a proposito della sperimentazione del vaccino sviluppato dall’Università di Oxford che si sta svolgendo negli Stati Uniti: «Stiamo cercando di capire come dare una mano, ma la mancanza di informazioni rende tutto più complicato. Sono sicuro che prima di riprendere lo studio le autorità britanniche hanno valutato tutto. L'ultima cosa che vuoi fare è fare del male alle persone sane». Il dottor Jesse Goodman, professore e medico della Georgetown University, capo regolatore dei vaccini presso la FDA durante l'amministrazione Obama, si è detto sicuro che l’agenzia esaminerà i dati e si consulterà con i regolatori britannici prima di consentire la ripresa dei test negli Stati Uniti.

Attualmente sono 18mila i partecipanti alla sperimentazione, che si sta svolgendo nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Sud Africa e in Brasile. Complessivamente, Oxford e AstraZeneca prevedono di arruolare fino a 50.000 persone in tutto il mondo negli studi di fase 3 del vaccino AZD1222. 

Sui rischi derivanti dall’eccessiva fretta era intervenuto lo scorso 13 agosto anche il caporedattore di Science Holden Thorp. “Le scorciatoie nei test mettono in pericolo milioni di vite a breve termine e danneggeranno la fiducia del pubblico nei vaccini e nella scienza per molto tempo a venire. Non possono essere ammessi compromessi sui vaccini”, ha scritto Thorp.

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Gli studi clinici iniziano con il coinvolgimento di un piccolo numero di persone per valutare la sicurezza del vaccino, seguiti poi da fasi su campioni più grandi per confermare l’efficacia e verificare gli effetti collaterali su più ampia scala. Se un vaccino sperimentale viene giudicato sicuro ed efficace alla fine di questo processo, diventa idoneo per l'approvazione. Ma è universalmente riconosciuto, spiega Thorp, che questi studi non possono cogliere tutti i possibili effetti collaterali e per questo motivo la sorveglianza continua dopo l'approvazione. Ad esempio, un vaccino contro il rotavirus, una causa comune di diarrea nei neonati, è stato ritirato dal mercato nel 1999 quando si è scoperto che causava l'ostruzione intestinale in una piccola percentuale di bambini, un effetto collaterale che, per la sua rarità, gli studi non erano riusciti a cogliere.

La questione è ancora più complessa nel caso della COVID-19, causata da un virus di cui si sa relativamente poco e che rende la strada verso un vaccino ancora più ricca di incognite. Basti pensare, spiega Rodolfo Saracci su Scienza in Rete, alla possibilità di effetti paradossali del tipo ADE (“antibody-dependent enhancement”, ovvero potenziamento dipendente da anticorpi), provocati sia dal virus che dalla risposta al vaccino. In questo caso accade che alcuni degli anticorpi prodotti non si legano abbastanza bene al virus, gli si aggrappano e finiscono per provocare una risposta infiammatoria pericolosa ed esacerbare la malattia.

Già solo questo non giustifica la velocità richiesta da capi di Stato e società produttrici dei vaccini. 

“Quello che facciamo con COVID-19 potrebbe avere ripercussioni sulla fiducia in tutti i programmi di vaccinazione”

La percezione che le pressioni economiche prevalgano sulle esigenze sanitarie può avere effetti devastanti sulla credibilità e l’autorevolezza della scienza, della medicina e delle agenzie sanitarie chiamate a sorvegliare sugli iter di sperimentazione di un vaccino. 

Minore sarà la fiducia riposta nella scienza e nelle istituzioni, maggiori saranno le probabilità che sempre più persone sceglieranno di non prendere un vaccino una volta che sarà disponibile, rischiando di pregiudicare il raggiungimento dell’immunità di gregge. 

«Dobbiamo stare attenti», spiega ancora Beate Kampmann, «perché quello che facciamo con COVID-19 potrebbe avere ripercussioni sulla fiducia in tutti i programmi di vaccinazione».

Secondo una ricerca svolta da Matt Motta dell’Oklahoma State University e un sondaggio svolto da Gallup questa estate, quasi un terzo dei cittadini americani sostiene di non essere disposto a essere vaccinato contro la COVID-19. Un altro sondaggio della Kaiser Family Foundation ha rilevato che il 54% degli intervistati rifiuterebbe un vaccino gratuito approvato il giorno prima delle elezioni. 

A minare la fiducia nel vaccino sono due fattori, commenta Brian Resnick su Vox: il timore che troppa fretta nell’approvazione possa avere ripercussioni sulla sua sicurezza, e l’eccessiva ingerenza dell’amministrazione Trump che porta a chiedersi se l’operazione Warp Speed messa in campo dal Presidente degli Stati Uniti sia stata pensata per salvare le persone o per garantire la sua rielezione.

In più occasioni Trump ha annunciato l’approvazione di un vaccino in tempo per le elezioni presidenziali del 3 novembre. Come ricostruisce Elizabeth Cohen sul sito della CNN, già a maggio, in occasione del lancio del programma di sviluppo di un vaccino statunitense, "Operation Warp Speed", il Presidente USA aveva parlato della «realizzazione di un vaccino entro la fine dell'anno, probabilmente anche prima». La Casa Bianca, all’epoca, aveva fissato come obiettivo quello di avere 100 milioni di dosi di vaccino entro l'autunno, ambizione che non godeva di alcun sostegno scientifico.

Posizioni sostenute anche successivamente. Il 6 agosto Trump si era detto “ottimista” che un vaccino sarebbe stato pronto intorno al 3 novembre [ndr, giorno in cui si terranno le elezioni presidenziali]. Durante la campagna elettorale, circa quindici giorni fa, il Presidente statunitense ha dichiarato: «Sarà consegnato entro la fine dell'anno, a mio parere, forse prima, anche prima della fine di ottobre». Infine, all’inizio della scorsa settimana, nel corso di una conferenza stampa, ha ribadito: «[Sarà] fatto in un periodo di tempo molto breve - potremmo anche averlo durante il mese di ottobre. Avremo presto il vaccino, forse prima di una data speciale. Sapete di che giorno sto parlando».

Queste affermazioni, però, prosegue Cohen, sono state smentite da un funzionario federale vicino a “Operation Warp Speed”, che ha dichiarato alla CNN di non conoscere alcuno scienziato coinvolto nel programma che pensi di lanciare il vaccino prima del giorno delle elezioni.

A generare ulteriore sfiducia nelle istituzioni e nella possibilità di avere un vaccino realmente sicuro ed efficace, ci sono state poi, come detto, le accuse di Trump alla FDA di rallentare l’iter di approvazione del vaccino, la successiva autorizzazione all’uso d’emergenza del plasma dei covalescenti per il trattamento della COVID-19 da parte della FDA, in assenza di studi che ne attestassero un chiaro beneficio, e l’annuncio da parte dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) che gli ospedali saranno pronti a distribuire un vaccino entro il 1 novembre (due giorni prima delle elezioni).

Il 62% degli intervistati dalla Kaiser Family Foundation è preoccupato che la pressione politica della Casa Bianca si traduca in un vaccino approvato dalla FDA prima che tutti i dati sulla sicurezza siano disponibili. E, secondo un recente sondaggio di Stat e Harris, il 72% dei repubblicani e l'82% dei democratici temono che il processo di approvazione del vaccino sia guidato più dalla politica che dalla scienza.

In Europa le cose non sembrano andare meglio. Secondo un articolo di Politico, la Commissione e l'Agenzia europea per i medicinali (EMA), in collaborazione con i paesi membri dell’Unione europea, starebbero lavorando a un modello che possa consentire ai singoli Stati di approvare la distribuzione di un vaccino non ancora approvato come uso compassionevole. 

Il 3 settembre, nel corso di un briefing, un funzionario della Commissione ha definito questa ipotesi improbabile per due motivi: «L'autorizzazione pre-commercializzazione è qualcosa di molto raro» e in ogni caso è poco probabile che «avremo un vaccino in una data tale che possa consentire un’autorizzazione del genere». Tuttavia, alcuni Stati, come Belgio e Croazia, stanno valutando se distribuire un vaccino non ancora autorizzato.

Nel frattempo, di fronte ai timori dell’opinione pubblica, lo scorso 8 settembre, nove case farmaceutiche produttrici del vaccino hanno pubblicato una dichiarazione congiunta in cui hanno assicurato il loro impegno ad “attenersi alla sicurezza e alla scienza” e a non cedere alle pressioni provenienti dagli ambienti politici dei diversi governi.

I dirigenti di AstraZeneca, BioNTech, GlaxoSmithKline, Johnson & Johnson, Merck, Moderna, Novavax, Pfizer e Sanofi hanno promesso di presentare solo potenziali vaccini COVID-19 per l'approvazione o l'autorizzazione per l'uso di emergenza dopo aver dimostrato la loro sicurezza ed efficacia attraverso uno studio di Fase 3. "Riteniamo che questo impegno contribuirà a garantire la fiducia dei cittadini nel processo scientifico e normativo attraverso il quale i vaccini COVID-19 vengono valutati e infine approvati", hanno affermato le nove società.

Tuttavia, nonostante la dichiarazione d’impegno, finora latitano i dati sui test effettuati, requisito fondamentale per capire su quali basi viene chiesta e concessa o meno una autorizzazione.

«Sono delusa», ha detto Rachel Sachs, professoressa associata di Diritto alla Washington University di St. Louis che studia la regolamentazione degli alimenti e dei farmaci. «Nella dichiarazione congiunta non si fa alcun riferimento alla trasparenza». 

Immagine in anteprima via pixabay.com

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