Post Fuori da qui

Trump e la leadership di un culto distruttivo

30 Marzo 2024 11 min lettura

author:

Trump e la leadership di un culto distruttivo

Iscriviti alla nostra Newsletter

11 min lettura

Nei suoi 77 anni di esistenza terrena, Donald J. Trump è stato molte cose: figlio di Fred Trump ed erede del suo patrimonio, imprenditore di scarse capacità ma abilissimo venditore di sé stesso, figura emblematica dei rampanti anni ’80 di Wall Street, star dei reality, presidente degli Stati Uniti d’America, ispiratore di un'insurrezione armata ai danni delle istituzioni americane, imputato in una serie interminabile di processi che sembrano riprodursi alla velocità dei Gremlins dopo mezzanotte. Ma è anche, come postulato da più persone su diverse testate e in diverse situazioni (ne elenchiamo solo alcune: The Atlantic, The Hill, The Intercept, una persona condannata per i fatti del 6 gennaio a CNN, l’autore del libro The cult of Trump Steven Hassan) il leader di un culto? Più nello specifico: è il leader di un culto distruttivo?

Per capirlo, o provare a capirlo, bisogna prima di tutto definire che cos’è un culto distruttivo, espressione che si sta progressivamente sostituendo a “setta” nell’identificazione di un’organizzazione che manipola e danneggia i suoi membri, spingendoli a compiere azioni antisociali e pericolose per sé e per gli altri. Anche se tutte le sette sono in qualche modo distruttive per i loro seguaci, l’espressione “culto distruttivo” è più precisa nell’identificare il tipo di setta che fa danni anche all’esterno, alla società, oltre che ai suoi membri. 

Che il seguito di cui gode Donald Trump abbia ormai raggiunto livelli di fanatismo assoluti è sotto gli occhi di tutti almeno dal 6 gennaio 2021, e lo prova anche il fatto che l’ex presidente sia riuscito a vincere di nuovo le primarie repubblicane nonostante i vari procedimenti giudiziari a suo carico e la violenza verbale che contraddistingue qualunque suo pronunciamento pubblico, oltre alla progressiva e visibile incapacità di completare una frase senza ingarbugliarsi. Questo, va detto subito, non ci dice niente delle probabilità di Trump di vincere le elezioni a novembre, ma ci dice parecchio della presa che ha ancora sull’elettorato repubblicano, oltre che sui membri del partito, che sembrano incapaci di - o forse solo indisponibili a - scrollarselo di dosso.

I culti distruttivi sono contraddistinti da alcune caratteristiche che li accomunano più o meno tutti. Vediamo quali sono e proviamo a capire se il culto di Donald Trump rientra nei parametri.

Presenza di un leader carismatico indiscusso e, soprattutto, indiscutibile 

Donald Trump è il vertice unico del culto identificabile come MAGA, dallo slogan (“Make America Great Again”) coniato durante la campagna elettorale del 2016 dall’ex presidente. Nei culti ce n’è sempre uno, a volte due (come nella setta nota come Heaven’s Gate, i cui adepti si suicidarono in massa nel 1997). Nei culti distruttivi, il leader è circondato solo da fedelissimi, familiari o persone che non mettono mai in dubbio la sua parola, per i motivi più vari, che possono andare da un autentico convincimento della bontà delle idee del leader all’opportunismo più bieco, guidato principalmente dal desiderio di partecipare nella spartizione degli utili. Trump ha intorno un assortimento molto variabile di queste figure, alle quali è legato per lo più da rapporti utilitaristici. La precarietà dei rapporti intessuti da Trump è evidente dai suoi rapidissimi voltafaccia: Nikki Haley, da lui nominata ambasciatrice alle Nazioni Unite, è diventata “Birdbrain” (“cervello di gallina”, più o meno) nel momento in cui si è candidata contro di lui alle primarie. E il suo vice-presidente, Mike Pence, è stato per Trump l’uomo migliore del mondo fino al giorno in cui si è rifiutato di collaborare al sabotaggio delle elezioni, regolarmente vinte da Joe Biden.

Molti di questi leader esibiscono tratti di narcisismo patologico: eviteremo qui di psicanalizzare Donald Trump, non avendone gli strumenti. Ci limiteremo a dire che alla luce dei fatti questa ipotesi non è da scartare. È pur sempre uno che è sospettato di aver fatto seppellire l’ex moglie in un campo da golf per riqualificarlo come terreno cimiteriale e non pagarci sopra le tasse.

Ideologia riconoscibile e linguaggio ristretto solo agli adepti

Il culto di Donald Trump ha una specificità rispetto ad altri che l’hanno preceduto: si è innestato su culti preesistenti e li ha cooptati, appropriandosene, senza generare nulla di nuovo o costruire un sistema ideologico e valoriale autonomo. Il che non significa che la sua figura non sia stata, a suo modo, generativa. QAnon, il gruppo di complottisti di estrema destra classificato dalla CIA come “organizzazione terroristica” ben prima dell’attacco del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, nasce e si sviluppa intorno a Donald Trump, ma non è stato ideato da lui: l’impianto ideologico e la narrazione di QAnon sono frutto di una costruzione del misterioso utente di 4-chan noto come Q, e tutto il linguaggio in codice della setta è stato ideato e diffuso a partire da dei post social. 

Trump non ha, quindi, inventato modi originali e segreti per definire i rituali del suo culto, ma ha sicuramente contribuito a consolidare alcuni slogan, da “rigged election” (“elezioni truccate”) a “witch hunt” e “hoax” (“caccia alle streghe” e “bufala”). Non essendo un culto segreto, quello di Donald Trump ha meno necessità di manipolare il linguaggio rispetto a una setta che si nutre anche e soprattutto di un senso di esclusività.

Di certo, quello che ruota intorno a Trump ha come collante il senso di rivalsa diffuso in una vasta fascia della popolazione a bassa scolarizzazione, i bianchi dei ceti impoveriti che vedevano (e in parte vedono tuttora) in lui un vendicatore, l’outsider che dice le cose come stanno, capace di dar loro una voce contro i fighetti che mangiano la rucola, tipo Barack Obama.

Separazione dalle famiglie

Gli anni della pandemia da Covid-19 ci hanno lasciato in eredità, oltre a parecchi traumi che smaltiremo nel tempo, anche le fratture familiari e sociali che si sono create a seguito del diffondersi delle teorie complottiste sui vaccini. Una delle caratteristiche delle sette è la separazione delle persone dalle loro famiglie e dal tessuto sociale che le circonda, in modo da renderle più manipolabili. Negli anni ’70 della ricerca spirituale, culti e sette costruivano luoghi fisici in cui insediare le loro comunità, separandole dal mondo in maniera tangibile, controllando la comunicazione con l’esterno con la manipolazione psicologica o con la violenza. Un tratto che accomuna i membri del Peoples Temple di Jim Jones (altro culto finito in un suicidio di massa nella loro comune nel cuore della foresta in Guyana) dell’ashram fondato da Osho e di tutte le organizzazioni che impediscono o limitano il contatto con chi non pratica la stessa religione o non segue lo stesso credo.

Negli anni ’20 del 2000, i culti si sono fatti liquidi e la separazione dalle famiglie avviene per scelta degli adepti o delle famiglie stesse, che vedono in Donald Trump una minaccia esistenziale. Come dicevamo prima, Trump è disponibile a cooptare chiunque gli dimostri fedeltà o veda in lui un veicolo per la concretizzazione delle sue idee di società, anche le più estreme. In un paese grande come gli Stati Uniti, in cui molte comunità sono isolate da chilometri e chilometri di terra selvaggia, non è raro che i trumpiani più fanatici siano anche gente che vive oltre il controllo delle autorità, come la famiglia Bundy, militanti anti-governativi di estrema destra attualmente in carcere per avere occupato con le armi una riserva naturale.

Controllo dei corpi e della sessualità

In ogni culto distruttivo che si rispetti, i membri imparano presto che i loro corpi sono strumenti dell’ideologia del capo, che decide chi deve mangiare cosa e quanto (come in “Un Punto Macrobiotico” di Mario Pianesi), come ci si veste, come si portano i capelli, chi può frequentare o sposare chi: gli esempi sono innumerevoli ed è difficile farne un elenco senza dilungarsi troppo. Molto spesso, il leader chiede e ottiene la disponibilità dei corpi delle adepte, specialmente di quelle più giovani e belle, come nel caso della Manson Family, dei Branch Davidians di David Koresh (anche quelli, com’è noto, morti in maniera tragica) o di Damanhur, organizzazione ancora esistente il cui fondatore, secondo alcune fuoriuscite dalla comunità, era solito avere rapporti sessuali con le donne che ne facevano parte.

A parte le violenze sessuali accertate (come quella a E. Jean Carroll, avvenuta nel 1996 nei camerini di Bergdorf Goodman) e la ricorrente oggettificazione della sua figlia maggiore, Ivanka, Donald Trump non risulta esercitare quel genere di controllo sulle donne della sua cerchia, che sono comunque abbastanza poche, e spesso sono sue parenti. Non è difficile osservare, tuttavia, che la destra americana sembra essere ossessionata dal sesso in generale, e che l’universo trumpiano ha assorbito con grande facilità anche la grossa parte della cosiddetta manosphere, l’universo dei maschilisti radicalizzati convinti che le donne non siano persone ma solo incubatrici, serve e ancelle degli uomini. Il rovesciamento della sentenza Roe v Wade, che tutelava il diritto all’aborto a livello federale, è uno dei tanti tasselli del controllo che le destre vogliono esercitare sui corpi di chi può generare.

Dal canto suo, Trump – un uomo imponente, per quanto molto fuori forma e che si nutre quasi esclusivamente di cibo spazzatura – parla di continuo dei corpi delle persone che lo circondano, quasi sempre in maniera dispregiativa oppure sessualizzante. Questo atteggiamento sembra riflettersi in particolare sulle donne che frequentano Mar-a-Lago, la sua tenuta in Florida, che tendono ad aderire tutte allo stesso standard estetico: capelli lunghi, mastoplastica additiva, interventi di dermoestetica invasiva, trucco pesante, abiti avvolgenti e tacchi vertiginosi. Donald ha “un tipo”, a quanto pare, e ogni donna si adegua come può per non sfigurare nel sancta sanctorum di un uomo capace di distruggerti con due frasi.

Continue richieste di denaro

Donald Trump ha costruito la sua intera immagine politica sulla sua ricchezza: al suo esordio come candidato, era solito ripetere di non aver bisogno di soldi dalle lobby, cosa che lo avrebbe reso, secondo la sua versione, impermeabile alla corruzione. A seguito del processo intentatogli (e vinto) dalla procuratrice distrettuale dello Stato di New York Letitia James per frode fiscale, questa immagine di uomo ricco e vincente ha subito un colpo durissimo: il valore delle sue proprietà è stato gonfiato per rimediare prestiti più alti dalle banche e pagare meno tasse, la sua disponibilità di denaro liquido è minima, mentre è massima la probabilità che James gli faccia sequestrare i beni immobili per rientrare della cifra enorme che deve allo Stato. Trump è quindi ridotto a pietire soldi dai suoi sostenitori per poter pagare le sue spese legali.

Non basterà, ovviamente: per assicurarsi il controllo dei soldi del partito, che gli servono per fare campagna elettorale, Trump ha piazzato Lara Trump, moglie di suo figlio Eric, a capo della Republican National Convention, l’organo che (fra le altre cose) è incaricato di gestire i fondi. In questo, non è diverso da molti altri leader di sette, che hanno costruito la loro ricchezza sulle donazioni (ottenute, molto spesso, con la manipolazione) dei fedeli, disposti anche a spogliarsi di ogni bene pur di costruire il mondo ideale promesso dal loro guru.

Capacità di manipolare la realtà a piacimento sfruttando la fede degli adepti

Questa è forse la parte più delicata e importante della nostra analisi. La fede è una risposta umana a un bisogno altrettanto umano, quello di credere in qualcosa che potrà migliorare il mondo, la tua vita e quella dei tuoi cari. A volte è un aldilà che ci consolerà delle sofferenze di questa vita, e a volte è un al di qua costruito sulla sconfitta e l’umiliazione dei propri nemici. “We’re gonna win so much you’re gonna get tired of winning” (“Vinceremo così tanto che vi stancherete di vincere”), annunciava Donald Trump ai suoi futuri elettori nel 2016. Per un po’ è stato vero, ma non per molto: già nelle elezioni di metà mandato, Trump aveva cominciato ad avvertire i primi scricchiolii. Non ne ha vinta una da allora, anzi, non ne ha vinta mezza: come fai, allora, a convincere i tuoi fedeli che non sei un perdente? Basta farti passare per perseguitato, uno che il “deep State” (la versione americana dei nostri servizi segreti deviati) vuole imprigionare e levare di mezzo per impedire al popolo di esprimersi.

È una tecnica rodata e testata: la fede, quando è vera fede, si nutre di sé stessa e della capacità di superare non solo le prove della vita, ma anche il confronto con la realtà e talvolta persino le leggi della fisica. Il vero fedele non chiede prove della verità di quello in cui crede: gli scettici (i santommasi, diremmo noi, che siamo di tradizione cristiana) non sono veri fedeli, ma eretici che vanno allontanati. L’insistenza di Trump sulle elezioni truccate e sul complotto ai suoi danni funziona allo stesso modo: chi ci crede, ci crede e basta, a dispetto di ogni prova contraria.

Incitamento ad atti per soddisfare i bisogni del leader

Un culto distruttivo non è davvero distruttivo se non distrugge qualcuno o qualcosa. Aum Shirinkyo, la setta fondata nel 1987 in Giappone da Shōkō Asahara, fu protagonista diversi attacchi terroristici con il sarin, un gas velenoso che venne disperso nella metropolitana di Tokyo, nonché di diversi omicidi compiuti anche all’interno della setta. Charles Manson, che abbiamo già citato in precedenza, fu il mandante degli omicidi di Sharon Tate e dei coniugi LaBianca, compiuti dai membri della sua family. I casi di abusi e pedofilia all’interno di comunità chiuse come quella fondamentalista dei mormoni di Short Creek sono ben documentati, e il loro leader, Warren Jeffs, è attualmente in prigione per aver “sposato” diverse minorenni in un matrimonio plurimo. 

Iscriviti alla nostra Newsletter


Come revocare il consenso: Puoi revocare il consenso all’invio della newsletter in ogni momento, utilizzando l’apposito link di cancellazione nella email o scrivendo a info@valigiablu.it. Per maggiori informazioni leggi l’informativa privacy su www.valigiablu.it.

Come è piazzato Donald Trump, sulla scala della pericolosità sociale? Molto bene, anche senza contare i fatti del 6 gennaio, che ebbero come risultato almeno cinque morti, fra cui quella di Ashli Babbit, sostenitrice di Trump uccisa dalla polizia di Capitol Hill durante l’irruzione nelle sedi del Congresso. Come dicevamo, QAnon – che riconosce Trump come suo leader politico – è stata classificata come organizzazione terroristica, e i suoi seguaci si sono resi protagonisti di una quantità di aggressioni, rapimenti e omicidi. Nell’ottobre del 2022, un fanatico complottista si introdusse in casa dell’allora Speaker della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, e aggredì suo marito con un martello. Non solo Trump ha sempre rifiutato di assumersi ogni responsabilità morale per l’accaduto, ma ha anche irriso Paul Pelosi per l’aggressione subita. Più in generale, chiunque osi opporsi a Trump rischia grosso: le minacce di morte da parte dei suoi sostenitori sono garantite, e dato che spesso si tratta di gente armata, vanno prese molto sul serio.

In conclusione

Donald J. Trump è il leader di un culto? Nel senso più ampio possibile, sì: fede cieca, abusi, dissociazione dalla realtà, continue richieste di denaro e di manifestazioni di lealtà, tutto contribuisce a dipingere un quadro coerente con la maggior parte dei criteri per la definizione di un culto distruttivo. I dittatori, gli autocrati e i leader a cui sembra volersi ispirare sono personaggi molto vari, spesso guidati da un’ideologia coerente, per quanto sanguinaria, e da una visione di mondo chiara e identificabile oltre il culto della personalità. Donald Trump, al contrario, sembra essere del tutto amorale: il suo unico interesse è lui stesso, ogni cosa ruota intorno a lui, e anche la sua visione politica è priva di una direzione che non sia quella razzista, conservatrice e violenta del suprematismo bianco, e in questo è molto più simile al leader di una setta che a un politico vero e proprio. La sua sconfitta, incarcerazione o rovina non cancellerebbe le profonde divisioni che si sono create negli Stati Uniti, decennio dopo decennio, da molto prima che lui vincesse le elezioni sull’onda di un momento favorevole e sfruttando un vuoto di leadership di un partito da tempo in declino. Ci sarà sempre un Trump pronto a sfruttare quel vuoto per il suo tornaconto personale: resta da vedere se sarà sempre lo stesso Trump, o uno simile con un nome diverso.

Immagine in anteprima: NARA & DVIDS Public Domain Archive

Segnala un errore